venerdì 11 ottobre 2019

Sakè

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Il sakè o sake (dal giapponese , "bevanda alcolica") è una bevanda alcolica tipicamente giapponese ottenuta da un processo di fermentazione che coinvolge riso, acqua e spore koji. Per questo motivo viene anche chiamato "vino di riso". Non è classificabile tra i distillati né tra i liquori, e costituisce una categoria a parte.
Il vino di riso conosciuto in Occidente come "sakè" è di un tipo particolare chiamato nihonshu (日本酒 "alcol giapponese") in giapponese. In Giappone, la parola sake significa semplicemente bevanda alcolica, e a seconda della regione può assumere vari significati specifici. Nel Kyūshū meridionale, sake si riferisce di solito a una bevanda distillata, lo shochu di patate (芋焼酎 imojōchū). Lo shōchū è un distillato fatto con la canna da zucchero. Sake è un termine che può essere usato anche per un'altra bevanda distillata di Okinawa, l'awamori (泡盛), letteralmente "cupola trasparente", o kusu, "vecchia bevanda". Queste altre forme di sakè sono distillate a partire da un riso a chicco lungo e da kurokoji (黒麹 kurokōji), "koji nero".

Storia
La storia del sakè non è ben documentata e ci sono molteplici teorie su come possa essere stato inventato. Un'ipotesi sostiene che la pratica della fermentazione del riso abbia avuto origine in Cina, lungo il Chang Jiang, attorno al quinto millennio a.C., e sia stata successivamente esportata in Giappone. Un'altra ipotesi fa risalire la fermentazione del sake al Giappone del terzo secolo, con l'avvento della coltivazione del riso in umido. La combinazione di acqua e riso avrebbe portato a muffa e fermentazione. Il primo sake venne chiamato kuchikami no sake (口噛みの酒), o "saké masticato in bocca", ed era fatto con il riso di un intero villaggio, castagne, miglio, ghiande, e preparato sputando il miscuglio in un tino.
Gli enzimi della saliva permisero agli amidi di saccarificare (convertendosi in zucchero). In seguito a questo dolce miscuglio si aggiunse grano appena cotto e così poté fermentarsi in modo naturale. Presumibilmente il miglior sake prodotto in questo modo derivava da giovani ragazze vergini. Si annota per l'uso della masticazione che un comportamento analogo, per introdurre enzimi atti alla trasformazione del prodotto per lo stesso scopo, (anche in questo caso fatto da ragazze, o da vecchie), e usato da millenni per produrre la chicha (bevanda alcolica derivata dal mais) in Brasile, Bolivia, Perù ed Ecuador. È probabile che questa prima forma di sake avesse un basso contenuto alcolico e venisse consumata come porridge. Questo metodo è stato adottato anche dai nativi americani; vedi il cauim, e il pulque. Il vino di miglio cinese, xǐao mǐ jǐu (小米酒), prodotto allo stesso modo, è nominato in alcune iscrizioni del XIV secolo, essendo stato offerto agli dei in rituali religiosi.
Più tardi, approssimativamente dall'VIII secolo, il vino di riso, mǐ jǐu (米酒), divenne popolare in Cina con una formula quasi identica a quella del più tardo sake giapponese. Secoli dopo, la masticatura divenne inutile con la scoperta del koji-kin (麹菌 Aspergillus oryzae?), una muffa i cui enzimi convertono l'amido presente nel riso in zucchero, che è anche usato per fare amazake, miso, nattō e salsa di soia. Il riso innestato con koji-kin è chiamato kome-koji (米麹), o riso di malto. Una miscela di lievito, o shubo (酒母?), è quindi aggiunta per convertire gli zuccheri in etanolo. Questo sviluppo può aumentare di molto il tasso di alcol del sake (18%-25% per vol.); come l'amido è convertito in zucchero dal koji, gli zuccheri sono convertiti in alcol a partire dal lievito in un processo istantaneo. Il koji-kin è stato scoperto più probabilmente per caso. Le spore di koji e il lievito che fluttua nell'aria finirono in una densa mistura di riso e acqua rimasta fuori.
La fermentazione risultante creò un porridge di sake non diverso dal kuchikami no sake ma senza il problema della masticatura di un intero villaggio. Probabilmente questo porridge non aveva il miglior sapore ma l'ebbrezza era sufficiente per far sì che la gente continuasse a interessarsi a produrne. Un po' di questa miscela sarebbe stata mantenuta come punto di partenza per il gruppo seguente. È da notare che l'azione congiunta di una muffa (Aspergillus) e di un Saccaromicete specifico per il riso, (probabilmente Saccaromices orizae) produce una rapida trasformazione degli amidi in zuccheri e quindi questi in alcool, lo stesso non accade con le fermentazioni comuni, ad esempio quelle sostenute da Saccaromices cerevisiae (birra, vino), dove la trasformazione da amidi in zuccheri quando necessaria, non ottenuta da muffe, è difficoltosa e dove la gradazioni alcoliche massime possibili (senza distillazione) sono più limitate, ad esempio per il vino d'uva la gradazione alcolica massima possibile è circa 15% per vol.
Nel VII secolo a.C. esperimenti e tecniche venute dalla Cina diedero origine a un sake di maggior qualità. Col tempo il sake divenne sufficientemente popolare che al palazzo imperiale di Kyōto (poi capitale del Giappone) fu istituito un organismo per la sua preparazione. Questo ebbe come conseguenza la nascita dei birrai di sake a tempo pieno, e questi artigiani aprirono la via per molti sviluppi nella tecnica. Fu appunto durante l'era Heian (794-1185) che vennero aggiunte tre nuove fasi al processo di fermentazione (una tecnica per aumentare ancora il livello di alcol e ridurre le possibilità di inasprimento), esempio delle migliorie apportate in questo periodo. Nei successivi 500 anni la qualità e le tecniche usate nella produzione del sake migliorarono costantemente. Divenne usanza la preparazione di una miscela di partenza o "moto" per coltivare il maggior numero possibile di cellule di lievito prima della fabbricazione.
I birrai avevano anche la capacità di isolare il koji per la prima volta, e perciò seppero controllare con coerenza la saccarificazione (conversione dell'amido in zucchero) del riso. Attraverso osservazioni, esperimenti ed errori, si sviluppò anche una forma di pastorizzazione. Partite di sake che iniziarono a inasprirsi a causa di batteri durante i mesi estivi furono versate dalle loro botti in serbatoi e riscaldate. Comunque, il risultante sake pastorizzato sarebbe poi tornato nelle botti infettate dai batteri. Di qui il sake avrebbe assunto un sapore più acido, e quando fosse arrivato l'autunno sarebbe stato pessimo. Le ragioni per le quali avvenisse la pastorizzazione e come si potesse migliorare la qualità non sarebbero state comprese finché Louis Pasteur non avesse fatto la sua scoperta circa 500 anni più tardi.
Durante la Restaurazione Meiji furono scritte delle leggi che permisero a chiunque avesse capacità economica e conoscenze pratiche di mettere su e dirigere una fabbrica di sake. Nacquero così in un solo anno circa 30.000 fabbriche in tutto il Paese. Ad ogni modo, col passare degli anni il governo impose sempre più tasse sull'industria del sake e lentamente il numero delle fabbriche si ridusse a 8.000. La maggior parte delle fabbriche che si svilupparono e sopravvissero a questo periodo appartenevano a ricchi proprietari terrieri. I latifondisti che possedevano raccolti di riso avrebbero avuto ancora del riso a fine stagione e, piuttosto che lasciare che queste scorte di riso rimanessero inutilizzate, le avrebbero trasportate alle loro fabbriche. La fabbrica di famiglia con maggiore successo fra queste è attiva ancora oggi.
Nel Novecento la tecnologia di produzione del sake fece passi da gigante. Nel 1904 il governo aprì l'istituto per la ricerca nella produzione del sake, e nel 1907 si tenne il primo concorso di degustazione di sake. Furono isolate specifiche varietà di lieviti selezionate per le loro proprietà e arrivarono serbatoi in acciaio ricoperti di smalto. Il governo iniziò ad acclamare l'uso di serbatoi smaltati perché facili da pulire, di durata eterna, e privi di problemi batterici (il governò considerò le botti in legno "anti-igieniche" a causa dei potenziali batteri viventi dentro al legno). Sebbene tutto ciò sia vero, il governo pretese anche più tasse dai produttori perché il legno delle botti succhiava una quantità significativa di sake (attorno al 3%) che avrebbe dovuto essere tassata. Questa fu la fine dell'era delle botti di sake in legno, e il loro uso scomparve totalmente. Durante la guerra russo-giapponese del 1904-1905 il governo bandì la produzione di sake in casa, che non era soggetta ad alcuna tassa, per far aumentare ancora di più le entrate fiscali dovute al sake, che in quel periodo costituivano già un sorprendente 30%.
Questa fu la fine del cosiddetto "doboroku" (sake fatto in casa): questa legge rimane infatti ancora oggi malgrado le vendite di sake costituiscano attualmente solo il 2% delle entrate del governo. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale l'industria del sake subì un pesante colpo dopo che il governo pose un freno all'uso del riso per la produzione di alcolici. La maggior parte del riso cresciuto in questo periodo venne usato per le fatiche di guerra e questo, in unione con molti altri problemi, fu il destino di migliaia di aziende in tutto il Giappone. In precedenza era stato scoperto che piccole dosi di alcol potevano essere aggiunte al sake per migliorarne l'aroma e la struttura. Dal decreto del governo, alcol puro e glucosio venivano aggiunti a piccole quantità di miscela di riso, aumentando la resa di quattro volte tanto. Il 95% del sake di oggi è prodotto usando questo tecnica, rimasta dagli anni della guerra. C'erano anche alcune fabbriche capaci di produrre sake senza riso. Naturalmente, in questo periodo ne risentì molto la qualità.
Dopo la guerra le fabbriche di sake iniziarono a riformarsi poco alla volta, e la qualità del sake crebbe gradualmente. Ad ogni modo cominciarono a essere sempre più popolari in Giappone la birra, il vino e i superalcolici, e negli anni 1960 per la prima volta il consumo di birra superò quello di sake. Il consumo di sake continuò a diminuire, ma in contrasto la qualità migliorò notevolmente. Oggi la qualità del sake è al suo apogeo, e questo alcolico è diventato effettivamente una bevanda mondiale con la nascita di alcune fabbriche nel Sud-Est asiatico, in Sud America, Nord America, Cina e Australia. Inoltre sempre più aziende stanno tornando ai vecchi metodi di produzione. Mentre il resto del mondo sta forse bevendo sempre più sake, e la qualità è aumentata, ci sono delle difficoltà per l'industria del sake. In Giappone la vendita di sake sta ancora scendendo e non è sicuro che l'esportazione del sake in altri Paesi possa salvare le aziende giapponesi. Infatti attualmente ci sono circa 1500 aziende in Giappone, laddove nel 1988 ce n'erano circa 2500.

Preparazione
Occorre procurarsi una tokkuri (una bottiglietta per sakè), versarvi dentro il sakè e coprirla con una pellicola, per non disperderne l'aroma. Immergere in una pentola con l'acqua preriscaldata (ma appena tiepida), lasciarla a fuoco lento per circa 4-5 min. in maniera che raggiunga la temperatura di 35-40°. Occorre fare attenzione che la temperatura non superi i 50°, altrimenti l'aroma e il gusto ne risultano alterati, mentre si scalda afferrare il tokkuri per il collo e agitare in maniera che si riscaldi uniformemente e non solo dal basso. Va notato che le varieta' di sake di alta qualità (Ginjo, Daiginjo) vengono viceversa servite fredde per non alterarne i delicati aromi fruttati e floreali. Il riscaldamento deve essere dunque tendenzialmente riservato solo ai prodotti di qualità inferiore.

Tipologie di sakè
Esistono due principali tipi di sake: il futsuu-shu (普通酒) ovvero il "sake normale" e il tokutei meishoshu (特定名称酒), il "sake per occasioni speciali".
Il futsuu-shu non possiede i requisiti per alcun livello di sake di designazione speciale. È l'equivalente del nostro vino da tavola e rappresenta oltre il 75% di tutto il sake prodotto. D'altra parte il tokutei meishoshu o "sake per occasioni speciali" è contraddistinto dalla certificazione di raffinamento (macinatura) del riso ovvero della purezza (restrizione nell'aggiungere alcool distillato). Raffinare il riso è importante in quanto la parte interna dei chicchi contiene l'amido (ciò che fermenta) mentre la parte esterna contiene oli e proteine, che tendono a lasciare aromi strani o spiacevoli nel prodotto finito. Raffinare il riso rimuove la parte esterna del chicco, lasciando solamente il cuore d'amido.


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