Il vino cotto è un tipico prodotto
alimentare delle regioni Marche ed Abruzzo. Viene prodotto nelle zone
collinari e pedemontane delle province di Ascoli Piceno, Fermo,
Macerata e Ancona ed è in particolare molto apprezzato quello del
territorio dei comuni di Lapedona e di Loro Piceno.
Uguale denominazione ha il prodotto
abruzzese, anch'esso riconosciuto dal Ministero delle politiche
agricole alimentari, forestali e del turismo come uno dei prodotti
agroalimentari tradizionali italiani.
Da non confondersi con il vincotto,
prodotto tipico pugliese, ottenuto dal mosto fresco.
Storia
Il caldaro di rame dove viene bollito
il mosto
La pratica di bollire il mosto prima
della fermentazione risale all’antichità classica, dove veniva
consumato come bevanda, come condimento o come correttivo per vini.
Un vino cotto simile a quello
attualmente prodotto in Abruzzo e nelle Marche è descritto da Plinio
il Vecchio, nel I secolo d.C., in diversi passi della Naturalis
historia e nel Libro X del De re rustica di Lucio Giunio Moderato
Columella.
Nell’antica Roma erano conosciute
diverse tipologie di mosto cotto, a seconda del grado di
evaporazione: il caroenum, il defrutum e la sapa, rispettivamente
ridotti di un terzo, della metà o di due terzi del volume
originario.
Nel XVI secolo, nell'anno 1534, Sante
Lancerio, bottigliere del papa Paolo III menziona l’esistenza di
vini cotti di diversa qualità.
Andrea Bacci, nel 1595, nel De naturali
vinorum historia, un compendio composto da sette libri su tutti i
vini conosciuti, nel XV capitolo del I Libro, descrive le
caratteristiche produttive del vino cotto.
Nel 1870, Gabriele Rosa, storico
ascolano, nel II libro della Storia di Ascoli Piceno, disquisendo
delle uve a bacca bianca e a bacca rossa del territorio cita anche il
vino cotto del territorio.
Come riportato nell'Inchiesta agraria
Jacini il territorio teramano, in particolare quello dei Comuni di:
Bisenti, Cermignano e Basciano, sperimentò questo nuovo tipo di
vinificazione, e in tale opera viene sottolineata la grande fattura
che tale prodotto assume con il trascorre degli anni «...si
elaborano quattro maniere di vino cotto, cioè, conservato, crudo,
semplice, crudo ritornato... il vino cotto poi dopo il quinto anno
almeno, si diventa saporoso, eccitante e squisitamente piacevole per
un aroma sui generis che gli dà il tempo...è risaputo che tutto il
Teramano, che i nostri vini vecchi, maturi e purificati. Essi
acquistano densità sciropposa, sapore abboccato, aromatico,
lievemente amarognolo, fragrante ed empireumatico, limpido color
rosso cupa ciliegia.»
Nelle Marche ed in Abruzzo è stato
riconosciuto un preciso disciplinare di preparazione del vino cotto
come riportato nel Bollettino Ufficiale della Regione Marche. Anno
XXXIII, n.° 63, 20 maggio 2002.
Vinificazione
Per la produzione del vino cotto viene
utilizzata l'uva dei vitigni tipici delle zone citate, quali: la
Malvasia ed il Montonico della zona di Acquasanta Terme, il Pecorino,
il Moscatello bianco e rosso e lo Zibibbo del comprensorio di Arquata
del Tronto, il Maceratino, il Sangiovese, il Montepulciano, il
Galloppa. Uve autoctone, alcune a piede franco, prodotte dalle
alberate, (metodo di allevamento della vite con utilizzo degli Aceri
o alberi da frutto anziché degli attuali pali in legno o cemento)
effettuavano la cosiddetta interzatura, ovvero la riduzione a caldo
del volume di un terzo del mosto iniziale, ottenendo un prodotto che
messo poi in botti di legno subiva una lenta fermentazione e
successivamente l'invecchiamento.
Una volta pigiata l'uva, il mosto
ottenuto si mette in un caldaro (grossa pentola di rame), con
l'avvertenza, tramandata dalla tradizione, di porvi una verga di
ferro nudo per impedire al rame del caldaro di passare in soluzione.
La verga di ferro si tiene fino a che il mosto non si sia scaldato.
Nel caldaro il mosto viene cotto a fuoco direto fino a quando
l'evaporazione non porti il contenuto a ridursi di una quantità
variabile tra un terzo e un mezzo di quella iniziale; la maggiore o
minore concentrazione varia a seconda del grado zuccherino di
partenza. Nelle Marche c'è chi durante la bollitura aggiunge una
mela cotogna per ogni quintale di mosto, allo scopo di aromatizzare
la bevanda.
Non appena raffreddato, il mosto
concentrato viene "rimboccato" in caratelli di rovere ove è
lasciato fermentare.
A fermentazione alcoolica avvenuta è
trasferito in un contenitore in cui è già presente il vino cotto
degli anni precedenti; molto importante sarà un suo lento e lungo
invecchiamento evitando forti ossidazioni. È proprio questo il punto
più delicato ed importante della vinificazione: in questa fase è
necessario calcolare il giusto dosaggio fra il vino cotto nuovo con
quello vecchio ed effettuare una spillatura accorta, per evitare
problematiche ossidazioni. Eventuali errori in queste operazioni
potrebbero impedire il formarsi del profumo fruttato caratteristico
della bevanda.
Non è infrequente che il mosto
concentrato e non ancora fermentato venga "rimboccato"
direttamente nel vino cotto vecchio, ma tale pratica è rischiosa e
riservata ai più esperti, in quanto essa rischia di compromettere il
giusto dosaggio tra nuovo e vecchio, e di provocare con la
fermentazione il sommovimento dei depositi contenuti nel recipiente e
il temporaneo intorbidimento della bevanda.
Il procedimento della cottura rendeva
il vino meno acido e quindi poco soggetto a trasformarsi in aceto.
Quando il raccolto era peggiore del solito o quando il proprietario
del terreno sceglieva l'uva migliore e lasciava al contadino quella
più rovinata, questi, per non rischiare di rimanere senza vino,
facendo ricorso alle sue migliori risorse ed alla sua creatività,
riusciva a bere per tutto l'anno un vino forse migliore di quello del
padrone.
Caratteristiche
Colore: dal granata al rubino
Profumo: caratteristico fruttato
Sapore: dolce gradevole
Grado alcolico: 14%
Proprietà
La Facoltà di Agraria dell'Università
degli Studi di Teramo ha pubblicato su una rivista scientifica
nordamericana i risultati dello studio condotto dal professore Dino
Mastrocola riguardo all'alto potere antiossidante di questo vino
dovuto alla caramellizzazione degli zuccheri durante la
pastorizzazione del mosto.
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