giovedì 6 maggio 2021

Ho visitato tutti i bar dedicati all'assenzio di Berlino in una notte

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Berlino è in fissa con l'assenzio. E allora ho deciso di provare i bar di Berlino che lo servono e andare in fissa anche io.
Ho assaggiato per la prima volta in vita mia dell’assenzio negli anni Novanta. Mi trovavo in un bar sulla costa gallese della città in cui vivevo, dove già da un po’ si vociferava fossero riusciti a importarlo da chissà dove, forse dalla Repubblica Ceca o dall’Ungheria. Nessuno lo sapeva esattamente, ma comunque da qualche parte con le foreste e i calici grossi.
Ce lo siamo bevuto di pomeriggio, ai tavoli. Fuori la spuma delle onde grigiognole s’infrangeva sui ciottoli della spiaggia, mentre dentro le onde verdi dell’assenzio s’increspavano nei nostri cervelli. Ce lo avevano servito puro, non diluito, e noi avevamo immerso i pollici nei bicchieri accendendo un po’ le punte dei polpastrelli.
Barcollavamo, ubriachi come non mai, ignari di cosa avessimo realmente riempito il nostro corpo. Probabilmente di trattava di 'Hill's Absinthe', che di assenzio aveva solo il nome ed era un po’ la versione bohémien del distillato, giunto a noi nel Regno Unito dopo che la nazione lo aveva messo al bando. Grazie alla Wormwood Society ora so di trattasse solo di un liquido verde con il 70% ABV di vodka.
Eravamo solo bambini che giocavano a fare i grandi.
Spero proprio che quel bar, ora, serva l’assenzio nelle giuste modalità. Mi tocca, tuttavia, puntualizzare una cosa, ossia che non fosse colpa loro. La ‘Fata Verde’ era stata messa al bando per quasi tutto il Diciannovesimo secolo, vittima delle paranoie e paure di autorità preoccupate degli effetti collaterali di questo ‘veleno’, che spaziavano dalla depressione alle allucinazioni, la violenza e la pazzia. Tali paranoie si sono radicate talmente bene all’epoca, che tutt’oggi l’assenzio fatica a scrostarsi di dosso i pregiudizi.
Provare per credere: vi basterà menzionare la parola “assenzio” a un qualsiasi amico virtuoso per ricevere reazioni che, se da un lato lasceranno intendere che il desiderio di assaggiare l’assenzio ci sia, dall’altro daranno vita a paure conseguenti di viaggi mentali strani con tanto di orecchie che cascano giù finendo per un qualche campo di grano.
Cose simili, però, non accadranno. E questo perché l’ingrediente attivo dell’assenzio, il tujone, colpisce il corpo con le stesse modalità della caffeina. Quindi, se per caso vi capita d’incappare in allucinazioni, è perché avete bevuto assenzio di bassa qualità (o siete nella fase finale d’alcolismo). Quello che dovreste in realtà provare è uno stato di chiarezza e lucidità mentale avanzato, descrivibile come una sorta di stato d’ebbrezza che, anziché abbassare la percezione dei sensi, li aumenta.
C’è stato un periodo in cui l’assenzio era un vero e proprio fenomeno. Nato in Svizzera nel 1792, il celebre distillato ha presto preso piede in tutta Europa, giungendo infine anche negli Stati Uniti. Si stima che, dal 1910, i francesi ne consumassero 36 milioni di litri l’anno. Molti di questi bicchieri d’assenzio venivano tracannati durante “ L'Heure Verte”, l’ora verde, che iniziava alle 5 del pomeriggio e riuniva gli amanti della Fata Verde nei bar delle città. Van Gogh lo amava, così come ne andavano pazzi Rimbaud, Picasso e Verlaine. Anche Ernest Hemingway ne era un estimatore, e lo aveva descritto come “l'alchimia liquida che addormenta la lingua, infiamma il cervello, scalda lo stomaco e trasforma le idee”. Un piccolo assaggio dell’assenzio può mettere in subbuglio il bevitore, ma i suoi effetti, no.
Tornato in Europa, con l’assenzio ormai legale da 15 anni, speravo fosse un po’ più facile berlo di nuovo.
La storia che lega il distillato alla Germania è piuttosto offuscata. Michael Schöll del Absinth Depot di Berlino mi ha raccontato che il proprietario del negozio aveva trovato una “collezione del 1912 di caricature pornografiche collegate all’assenzio” che, per quanto ne sappiamo, “sono l’unica prova di assunzione della bevanda nella Germania dell’epoca,” e ci fanno supporre “l’assenzio fosse effettivamente disponibile per chiunque fosse disposto a prenderselo,”
Tuttavia, essendo le caricature legate alla pornografia e per questo riconducibili a scenari di prostituzione e degrado, è molto plausibile i berlinesi di quegli anni potessero recuperare l’assenzio solo nei bassifondi della città. Stando sempre al proprietario, la Fata Verde “era vista più come una droga che come una bevanda alcolica.”
Per quanto riguarda il presente, Berlino consta ora di 4 bar dedicati all’assenzio. Esatto, quattro. E io non penso siano abbastanza, dato che a Berlino vivono 3,5 milioni di persone. Comunque sia, ho pensato bene di visitarli tutti e 4 in una sola notte, per capire se sia effettivamente possibile incoraggiare la nascita di un quinto bar (ovviamente se però non impazzisco prima).
Il mio amico Ernests (lo so che vi verrà da leggere “Ernest” come Ernest Hemingway, ma il mio amico si chiama proprio Ernests, come il tennista lituano), mi ha accompagnato. Ernests, che odia l’assenzio, ha deciso di farmi compagnia e di prendersi cura di me (anche se per l’ultima parte non posso dire sia stato il massimo). Ernests ha persino bevuto del distillato.
Il nostro viaggio inizia all’Absinth Depot, a Scheunenviertel, un vecchio distretto a luci rosse berlinese. Qui trovate più di 100 varietà d’assenzio diverse, con tanto di bottiglie esposte su degli scaffali altissimi che arrivano fino al soffitto. I muri sono tappezzati da moniti propagandistici che ti ricorderanno che “andrà tutto bene,” mentre al bancone troverete cucchiaini d’argento in vendita (quelli che servono per lo zucchero), e fontane d’acqua per la louche.
Qui bevo un classico, il Lemercier Amer, prodotto da una famiglia in una distilleria del sudest della Francia dal 1811. Sulla bottiglia viene descritto come “squisitamente dolce, leggero e rinfrescante. Al suo interno troverete aromi all’anice, genepì, anice stellate e liquirizia. Alcuni amanti della bevanda notano anche tracce di coriandolo, angelica, cardamomo e menta. 72% alcol, 30-35 mg tujone.”
Io personalmente percepisco un po’ tutti gli aromi, e mi ritrovo felice con il liquido opalescente fra le mani. Il mio cervello inizia a “scaldarsi,” ed Ernests riconosce le note dei Flying Burrito Brothers in sottofondo. Capisco si senta a disagio. Il suo assenzio, e non specificherò quale sia, sa di menta (lo ha scelto perché non gradisce molto il retrogusto dell’anice). Insomma, potremmo proprio dire sappia un po’ di Listerine, e che a ogni sorso lo faccia contorcere in modo teatrale. Per non far sì che Michael s’accorga delle facce del mio amico, mi piazzo esattamente davanti fra i due, ma comunque non riesco a impedire che un cliente appena entrato, che per giunta parla in una lingua a noi incomprensibile, lo noti. Il cliente se ne va poco dopo, rifiutandosi di pagare oggetti che ha puntato per tutta la permanenza al bar, indirizzando l’attenzione di Ernests verso una borsa incustodita lasciata al bancone. “Potrebbe essere una bomba,” mi dice.
“Non ti preoccupare, mica è un aeroporto,” cerco di tranquillizzarlo. Ci rigiriamo per cercala, e la borsa è sparita.
Dall’Absinth Depot prendiamo la metro fino al Druide in Prenzlauer Berg. Nonostante le diverse esperienze degustative, sia io che Ernests ci sentiamo un pochino su di giri. Camminiamo a un metro da terra e guardiamo al mondo di sbieco, eppur consci di tutto, con i nostri cervelli che se la ridacchiano con saggezza e compassione per i nostri compagni di viaggio. Sorridiamo mentre il treno della metro catapulta i nostri corpi per la città, attraversando il buio urbano, sferragliando fra le luci.
Saltato il crocevia metropolitano, arriviamo al bar. E cosa ci troviamo? L’orrore. C’è chiasso e i tavoli sono pieni di gente che raglia. Forse turisti da zaino in spalla. Qualche anno fa sarei anche stato uno di loro, ma ora sono vecchio, mi sono bevuto un dizionario d’alcolici intero e, francamente, mi disgustano.
Qui è dove la gente si ritrova per ubriacarsi, per sfasciarsi con l’assenzio, ignara dei benefici di questa bevanda. Basta guardare la lista dei 10 distillati più forti che vendono. Sembra di stare al tavolo con una dannata squadra di football.
Tra un sospiro di disapprovazione e l’altro, sia io che Ernests ordiniamo il numero 1 della top 10, un assenzio francese chiamato Madoror che presenta un 66% d’alcol e 35 mg di tujone. Ancor prima che io possa farci qualsiasi cosa, il barista immerge dei cubetti di zucchero nel mio drink, al quale poi dà fuoco. Ammetto che la fiammella blu che si crea è decisamente carina ma, interiormente, non posso fare a meno contorcermi e piangere dal dolore. Beviamo il tutto alla goccia (che non è il modo corretto di assaporare l’assenzio), e voliamo verso l’uscita. Mentre cerco di destreggiarmi tra la folla frastornante, una voce riecheggia sopra le altre. “Io adoro la scienza, cavolo, non farmi nemmeno incominciare!”
Sono inoltre sconvolto dagli ululati tipici emessi dagli studenti poco prima di vomitare. Ripeto, non possiamo che volare via. Yahweh, salvaci tu da questa plebaglia!

Il Lauschangriff è a un giro di tram (sul quale sembra di essere una lontra fatta di bruchi), da P. Berg a Friedrichschain, e appena arriviamo sprofondiamo nelle sue sedie lussureggianti. Ordiniamo dell’assenzio, capendo subito si tratti di un bar che, di solito, non ne vende. Così ammiriamo il cranio calvo del barista mentre il suddetto si arrampica per una scala alla ricerca di una bottiglia impolverata adagiata sulla mensola più in alto. Scende giù. Ce ne versa un bicchiere enorme e fine lì. Chiediamo dell’acqua e ci porta due grossi bicchieri ciascuno. Confusi, versiamo l’assenzio nei bicchieri d’acqua, sorseggiando i fumi della Fata Verde che, in questo caso, è 77,7% d’assenzio della Sassonia. È terribile.
I muri del bar sono rossi, cremisi, e su di uno sono dipinti degl’occhi raggianti, gialli, assieme a un paio di narici. Chiedo al barman se si tratti, effettivamente, di un bar dell’assenzio, e lui mi risponde di no. “L’indirizzo è lo stesso ma lo trovate nella porta affianco. Ora è chiuso comunque.”
Ah, fantastico. Il fatto ora è questo: il bicchiere non si berrà da solo, quindi dobbiamo comportarci come faremmo con qualsiasi altro drink, bevendolo. Con voce tremolante, Neil Young canta nei nostri cervelli 'Hey Hey, My My,' e noi iniziamo a parlare a fatica. Gli argomenti da trattare ci sarebbero anche, ma faticano a formarsi e a uscire dalla bocca, soprattutto per via della lingua, che ormai si è ingrossata. Ok, ora biascichiamo proprio.
Uno di noi due se ne esce fuori con un consiglio: “il dentifricio può alleviare il dolore.”
Certo, c’è della verità in questa frase. Così come ce n’è in altre, ma nessuna ci renderà la vita più facile. Così, mentre affondiamo nel dolce oblio delle lingue balbettanti, dalle casse arrivano alle nostre orecchie i Rage Against the Machine. La loro musica è decisamente più arrabbiata delle ali di fata che sbattono leggiadre dentro di noi, quindi capiamo sia il caso di levare le tende. Prendiamo l’U5 e, sebbene a questo punto le nostre menti siano un po’ su di un altro pianeta, i nostri piedi sono ben saldi su questo, e ci permettono di ammirare le pareti della stazione che sfrecciano via. Ancora una volta, sentiamo del calore propagarsi al pensiero delle macchine costruite dall’uomo, nonché a quello di tutti gli sforzi che compiamo nel nome di ciò che è giusto o sbagliato.
Davanti a noi c’è una ragazza. La sua faccia è calma, tranquilla, poi all’improvviso il volto inizia ad accartocciarsi come se stesse per starnutire, solo che invece vomita. Corriamo verso un altro vagone, ma anche lì troviamo del vomito. Il treno finalmente giunge alla nostra stazione ed Ernest non fa in tempo a catapultarsi sulla porta per aprila che subito si ritrova a tirare indietro la mano. Sulla maniglia era appiccicato del porridge disgustoso.
Finalmente allo Zyankali a Kreuzberg, lascio che il mio ordine lo prenda uno stregone con il camice da laboratorio, i capelli lunghi e i baffi attorcigliati alla Dalì. Il menù giallo acceso contiene sia cocktail all’assenzio (fra cui annoveriamo un “Pericolo alla Sobrietà” e l’Hapsburg, l’assenzio più forte al mondo), sia una selezione di shot psichedelici all’agwa, alla cannabis, al liquore di mandragola o al paan. Allo Zyankali troverete anche due tipi d’assenzio fatto a mano, di cui uno stagionato in botti di sherry.
Il bar è splendente e decorato con maschere antigas. Mi giro un attimo ed Ernests è sparito. Ordino l’assenzio di Marylin Manson, il Mansinthe, che vanta un satanico 66,6%, e rimango imbambolato a guardare la fontana d’acqua che gocciola piano nel calice. Sul muro si formano delle ombre, e il locale si riempie di musica jazz.
Marylin Manson aveva dichiarato di aver scritto 'The Golden Age of Grotesque' in 12 ore, tra un bicchiere e l’altro di Fata Verde. È come se sentissi il testo della canzone mentre bevo quella che è la sua creazione alcolica; “Hellzapoppin, apri la tua terza narice…”
E così faccio, prendo un bel respiro, chiudo gli occhi e sento una voce diversa che però non sta cantando. “Ti voglio raccontare dei corsetti delle prostitute tedesche.”
“Mi piace,” rispondo, aprendo anche gli occhi. Ernests è tornato ed è seduto davanti a me su di una barella di pelle nera, con la sua espressione sorniona illuminata dai segnali gialli dei crash-test appesi al muro.
Si avvicina col fare di uno che sa un grosso segreto. “Devi investigare un po’ sulla faccenda di Marilyn Manson e la rimozione delle costole per l’autoerotismo, per la l’auto-fellatio.” La mia testa crolla in avanti e non per provare le pratiche di Manson, bensì perché mi sento favolosamente ebbro.
Sono un uomo solitario, e il piattino a forma di rene con dentro i popcorn asciuga la mia mente. Alzo lo sguardo. Ernests è sparito. Faccio un giro per il bar tenendo le mani congiunte dietro col fare da vero detective.
Le pareti qui sono decorate con poster d’astronomia, chimica, tavole periodiche e illustrazioni anatomiche e mediche, che includono persino consigli su come far passare il mal di testa. A una, quella illuminata da una luce viola, sono appese piante di pomodoro. Le guardo assorto finché una mano fantasma appare dal nulla e mi riporta il drink che avevo lasciato chissà dove. In un armadietto sulle scale ci sono mensole piene di piccoli teschi. Forse teschi d’uccelli. Inizio a chiedermi se anche i pennuti soffrano di mal di testa, e in caso come lo trattino. Forse con una bacca specifica? O un verme? Come hanno fatto a prendere così tanti teschi, dove sono i corpi? Macinati nei drink? Hanno rimosso loro delle costole per la fellatio? Sono come noi? Come Marilyn?
Dopo il Mansinthe è la volta di un assenzio fatto in casa. Non c’è però nessuno con cui parlare e manca ancora un bar alla lista, quindi decido di muovere il sedere dall’altra parte della città.
Al Lauschangriff, finalmente, posso ordinare il Capricieuse. È aromatico e presenta un tasso alcolico del 72%. È uno dei 17 assenzi presenti nel menu, che include anche cocktail come il Bloody Absinthe Brain.
Nonostante io sia bello pieno degli effetti vitalizzanti del tujone, mi sento stanco. E la stanchezza che percepisco non è come quella data dalla birra, dal whisky o dal vino. Si tratta piuttosto di una leggera stanchezza, di un formicolio che il mio corpo sente; la mente è libera, irraggiungibile, come dopo un festival a base di droga. Lascio che i suoi fumi abbiano la meglio.
Trovo una spada lunga, ricurva e metallica, che scopro essere una sedia. Ma non mi ci siedo. Decido di adagiarmi su qualcos’altro. Gli interni del bar sono rossi e scuri, un po’ lussuosi, di pelle. Sembra di stare all’interno delle Tube di Falloppio ma senza le pareti ricoperte di ciglia.
Un uomo mi passa davanti e cerca di battermi il cinque, che io provo anche a ricambiare finendo però a sfiorare a malapena il palmo della sua mano. Ma a lui non importa.
C’è un cane, beve da una ciotola all’angolo. Ad un tavolo, invece, due uomini in camice parlano di scacchi. Alla finestra, vicino a un uomo piccino con la barba che si sta preparando una sigaretta, ne è seduto un altro intendo a mangiare del sushi. Lo osservo mentre si spazzola ogni boccone. Così, mentre lui prende un gamberetto in tempura, lo addenta, e chiude le labbra, io osservo la coda dell’animale passare da una guancia all’altra dell’uomo, sparendo.



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