Berlino è in fissa con l'assenzio. E
allora ho deciso di provare i bar di Berlino che lo servono e andare
in fissa anche io.
Ho assaggiato per la prima volta in
vita mia dell’assenzio negli anni Novanta. Mi trovavo in un bar
sulla costa gallese della città in cui vivevo, dove già da un po’
si vociferava fossero riusciti a importarlo da chissà dove, forse
dalla Repubblica Ceca o dall’Ungheria. Nessuno lo sapeva
esattamente, ma comunque da qualche parte con le foreste e i calici
grossi.
Ce lo siamo bevuto di pomeriggio, ai
tavoli. Fuori la spuma delle onde grigiognole s’infrangeva sui
ciottoli della spiaggia, mentre dentro le onde verdi dell’assenzio
s’increspavano nei nostri cervelli. Ce lo avevano servito puro, non
diluito, e noi avevamo immerso i pollici nei bicchieri accendendo un
po’ le punte dei polpastrelli.
Barcollavamo, ubriachi come non mai,
ignari di cosa avessimo realmente riempito il nostro corpo.
Probabilmente di trattava di 'Hill's Absinthe', che di assenzio aveva
solo il nome ed era un po’ la versione bohémien del distillato,
giunto a noi nel Regno Unito dopo che la nazione lo aveva messo al
bando. Grazie alla Wormwood Society ora so di trattasse solo di un
liquido verde con il 70% ABV di vodka.
Eravamo solo bambini che giocavano a
fare i grandi.
Spero proprio che quel bar, ora, serva
l’assenzio nelle giuste modalità. Mi tocca, tuttavia,
puntualizzare una cosa, ossia che non fosse colpa loro.
La ‘Fata Verde’ era stata
messa al bando per quasi tutto il Diciannovesimo secolo, vittima
delle paranoie e paure di autorità preoccupate degli effetti
collaterali di questo ‘veleno’, che spaziavano dalla depressione
alle allucinazioni, la violenza e la pazzia. Tali paranoie si sono
radicate talmente bene all’epoca, che tutt’oggi l’assenzio
fatica a scrostarsi di dosso i pregiudizi.
Provare per credere: vi basterà
menzionare la parola “assenzio” a un qualsiasi amico virtuoso per
ricevere reazioni che, se da un lato lasceranno intendere che il
desiderio di assaggiare l’assenzio ci sia, dall’altro daranno
vita a paure conseguenti di viaggi mentali strani con tanto di
orecchie che cascano giù finendo per un qualche campo di grano.
Cose simili, però, non accadranno.
E questo perché l’ingrediente
attivo dell’assenzio, il tujone, colpisce il corpo con le stesse
modalità della caffeina.
Quindi, se per caso vi capita
d’incappare in allucinazioni, è perché avete bevuto assenzio di
bassa qualità (o siete nella fase finale d’alcolismo). Quello che
dovreste in realtà provare è uno stato di chiarezza e lucidità
mentale avanzato,
descrivibile come una sorta di
stato d’ebbrezza che, anziché abbassare la percezione dei sensi,
li aumenta.
C’è stato un periodo in cui
l’assenzio era un vero e proprio fenomeno. Nato in Svizzera nel
1792, il celebre distillato ha presto preso piede in tutta Europa,
giungendo infine anche negli Stati Uniti. Si stima che, dal 1910, i
francesi ne consumassero 36 milioni di litri l’anno. Molti di
questi bicchieri d’assenzio venivano tracannati durante “ L'Heure
Verte”, l’ora verde, che iniziava alle 5 del pomeriggio e riuniva
gli amanti della Fata Verde nei bar delle città. Van Gogh lo amava,
così come ne andavano pazzi Rimbaud, Picasso e Verlaine. Anche
Ernest Hemingway ne era un estimatore, e lo aveva descritto come
“l'alchimia liquida che addormenta la lingua, infiamma il cervello,
scalda lo stomaco e trasforma le idee”. Un piccolo assaggio
dell’assenzio può mettere in subbuglio il bevitore, ma i suoi
effetti, no.
Tornato in Europa, con l’assenzio
ormai legale da 15 anni, speravo fosse un po’ più facile berlo di
nuovo.
La storia che lega il distillato alla
Germania è piuttosto offuscata. Michael Schöll del
Absinth Depot
di Berlino mi ha raccontato che il
proprietario del negozio aveva trovato una “collezione del 1912 di
caricature pornografiche collegate all’assenzio” che, per quanto
ne sappiamo, “sono l’unica prova di assunzione della bevanda
nella Germania dell’epoca,” e ci fanno supporre “l’assenzio
fosse effettivamente disponibile per chiunque fosse disposto a
prenderselo,”
Tuttavia, essendo le caricature legate
alla pornografia e per questo riconducibili a scenari di
prostituzione e degrado, è molto plausibile i berlinesi di quegli
anni potessero recuperare l’assenzio solo nei bassifondi della
città. Stando sempre al proprietario, la Fata Verde “era vista più
come una droga che come una bevanda alcolica.”
Per quanto riguarda il presente,
Berlino consta ora di 4 bar dedicati all’assenzio.
Esatto, quattro. E io non penso
siano abbastanza, dato che a Berlino vivono 3,5 milioni di persone.
Comunque sia,
ho pensato bene di visitarli
tutti e 4 in una sola notte, per capire se sia effettivamente
possibile incoraggiare la nascita di un quinto bar (ovviamente se
però non impazzisco prima).
Il mio amico Ernests (lo so che vi
verrà da leggere “Ernest” come Ernest Hemingway, ma il mio amico
si chiama proprio Ernests, come il tennista lituano), mi ha
accompagnato. Ernests, che odia l’assenzio, ha deciso di farmi
compagnia e di prendersi cura di me (anche se per l’ultima parte
non posso dire sia stato il massimo). Ernests ha persino bevuto del
distillato.
Il nostro viaggio inizia all’Absinth
Depot, a Scheunenviertel, un vecchio distretto a luci rosse
berlinese. Qui trovate più di 100 varietà d’assenzio diverse,
con tanto di bottiglie esposte su degli scaffali altissimi che
arrivano fino al soffitto. I muri sono tappezzati da moniti
propagandistici che ti ricorderanno che “andrà tutto bene,”
mentre al bancone troverete cucchiaini d’argento in vendita (quelli
che servono per lo zucchero), e fontane d’acqua per la louche.
Qui bevo un classico, il Lemercier
Amer, prodotto da una famiglia in una distilleria del sudest della
Francia dal 1811. Sulla bottiglia viene descritto come “squisitamente
dolce, leggero e rinfrescante. Al suo interno troverete aromi
all’anice, genepì, anice stellate e liquirizia. Alcuni amanti
della bevanda notano anche tracce di coriandolo, angelica, cardamomo
e menta. 72% alcol, 30-35 mg tujone.”
Io personalmente percepisco un po’
tutti gli aromi, e mi ritrovo felice con il liquido opalescente fra
le mani. Il mio cervello inizia a “scaldarsi,” ed Ernests
riconosce le note dei Flying Burrito Brothers in sottofondo. Capisco
si senta a disagio.
Il suo assenzio, e non
specificherò quale sia, sa di menta
(lo ha scelto perché non gradisce
molto il retrogusto dell’anice). Insomma, potremmo proprio dire
sappia un po’ di Listerine, e che a ogni sorso lo faccia contorcere
in modo teatrale. Per non far sì che Michael s’accorga delle facce
del mio amico, mi piazzo esattamente davanti fra i due, ma comunque
non riesco a impedire che un cliente appena entrato, che per giunta
parla in una lingua a noi incomprensibile, lo noti. Il cliente se ne
va poco dopo, rifiutandosi di pagare oggetti che ha puntato per tutta
la permanenza al bar, indirizzando l’attenzione di Ernests verso
una borsa incustodita lasciata al bancone. “Potrebbe essere una
bomba,” mi dice.
“Non ti preoccupare, mica è un
aeroporto,” cerco di tranquillizzarlo. Ci rigiriamo per cercala, e
la borsa è sparita.
Dall’Absinth Depot prendiamo la metro
fino al
Druide
in Prenzlauer Berg. Nonostante le
diverse esperienze degustative, sia io che Ernests ci sentiamo un
pochino su di giri. Camminiamo a un metro da terra e guardiamo al
mondo di sbieco, eppur consci di tutto, con i nostri cervelli che se
la ridacchiano con saggezza e compassione per i nostri compagni di
viaggio. Sorridiamo mentre il treno della metro catapulta i nostri
corpi per la città, attraversando il buio urbano, sferragliando fra
le luci.
Saltato il crocevia metropolitano,
arriviamo al bar. E cosa ci troviamo? L’orrore.
C’è chiasso e i tavoli sono
pieni di gente che raglia. Forse turisti da zaino in spalla. Qualche
anno fa sarei anche stato uno di loro, ma ora sono vecchio, mi sono
bevuto un dizionario d’alcolici intero e, francamente, mi
disgustano.
Qui è dove la gente si ritrova per
ubriacarsi, per sfasciarsi con l’assenzio, ignara dei benefici di
questa bevanda.
Basta guardare la lista dei 10
distillati più forti che vendono. Sembra di stare al tavolo con una
dannata squadra di football.
Tra un sospiro di disapprovazione e
l’altro, sia io che Ernests ordiniamo il numero 1 della top 10, un
assenzio francese chiamato Madoror che presenta un 66% d’alcol e 35
mg di tujone. Ancor prima che io possa farci qualsiasi cosa, il
barista immerge dei cubetti di zucchero nel mio drink, al quale poi
dà fuoco. Ammetto che la fiammella blu che si crea è decisamente
carina ma, interiormente, non posso fare a meno
contorcermi e piangere dal
dolore. Beviamo il tutto alla goccia (che non è il modo
corretto di assaporare l’assenzio), e voliamo verso l’uscita.
Mentre cerco di destreggiarmi tra la folla frastornante, una voce
riecheggia sopra le altre. “Io adoro la scienza, cavolo, non farmi
nemmeno incominciare!”
Sono inoltre sconvolto dagli ululati
tipici emessi dagli studenti poco prima di vomitare. Ripeto, non
possiamo che volare via. Yahweh, salvaci tu da questa plebaglia!
Il
Lauschangriff
è a un giro di tram (sul quale
sembra di essere una lontra fatta di bruchi), da P. Berg a
Friedrichschain, e appena arriviamo sprofondiamo nelle sue sedie
lussureggianti. Ordiniamo dell’assenzio, capendo subito si tratti
di un bar che, di solito, non ne vende. Così ammiriamo il cranio
calvo del barista mentre il suddetto si arrampica per una scala alla
ricerca di una bottiglia impolverata adagiata sulla mensola più in
alto. Scende giù. Ce ne versa un bicchiere enorme e fine lì.
Chiediamo dell’acqua e ci porta due grossi bicchieri ciascuno.
Confusi, versiamo l’assenzio nei bicchieri d’acqua, sorseggiando
i fumi della Fata Verde che, in questo caso, è 77,7% d’assenzio
della Sassonia. È terribile.
I muri del bar sono rossi, cremisi, e
su di uno sono dipinti degl’occhi raggianti, gialli, assieme a un
paio di narici.
Chiedo al barman se si tratti,
effettivamente, di un bar dell’assenzio, e lui mi risponde di no.
“L’indirizzo è lo stesso ma
lo trovate nella porta affianco. Ora è chiuso comunque.”
Ah, fantastico. Il fatto ora è questo:
il bicchiere non si berrà da solo, quindi dobbiamo comportarci come
faremmo con qualsiasi altro drink, bevendolo. Con voce tremolante,
Neil Young canta nei nostri cervelli 'Hey Hey, My My,' e noi iniziamo
a parlare a fatica. Gli argomenti da trattare ci sarebbero anche, ma
faticano a formarsi e a uscire dalla bocca, soprattutto per via della
lingua, che ormai si è ingrossata. Ok, ora biascichiamo proprio.
Uno di noi due se ne esce fuori con un
consiglio: “il dentifricio può alleviare il dolore.”
Certo, c’è della verità in questa
frase. Così come ce n’è in altre, ma nessuna ci renderà la vita
più facile. Così, mentre affondiamo nel dolce oblio delle lingue
balbettanti, dalle casse arrivano alle nostre orecchie i Rage Against
the Machine. La loro musica è decisamente più arrabbiata delle ali
di fata che sbattono leggiadre dentro di noi, quindi capiamo sia il
caso di levare le tende. Prendiamo l’U5 e, sebbene a questo punto
le nostre menti siano un po’ su di un altro pianeta, i nostri piedi
sono ben saldi su questo, e ci permettono di ammirare le pareti della
stazione che sfrecciano via. Ancora una volta, sentiamo del calore
propagarsi al pensiero delle macchine costruite dall’uomo, nonché
a quello di tutti gli sforzi che compiamo nel nome di ciò che è
giusto o sbagliato.
Davanti a noi c’è una ragazza. La
sua faccia è calma, tranquilla, poi all’improvviso il volto inizia
ad accartocciarsi come se stesse per starnutire, solo che invece
vomita. Corriamo verso un altro vagone, ma anche lì troviamo del
vomito. Il treno finalmente giunge alla nostra stazione ed Ernest non
fa in tempo a catapultarsi sulla porta per aprila che subito si
ritrova a tirare indietro la mano. Sulla maniglia era appiccicato del
porridge disgustoso.
Finalmente allo
Zyankali
a Kreuzberg, lascio che il mio
ordine lo prenda uno stregone con il camice da laboratorio, i capelli
lunghi e i baffi attorcigliati alla Dalì.
Il menù giallo acceso contiene
sia cocktail all’assenzio (fra cui annoveriamo un “Pericolo alla
Sobrietà” e l’Hapsburg, l’assenzio più forte al mondo), sia
una selezione di shot psichedelici
all’agwa, alla cannabis, al liquore
di mandragola o al paan. Allo Zyankali troverete anche due tipi
d’assenzio fatto a mano, di cui uno stagionato in botti di sherry.
Il bar è splendente e decorato con
maschere antigas. Mi giro un attimo ed Ernests è sparito.
Ordino l’assenzio di Marylin
Manson, il Mansinthe, che vanta un satanico 66,6%, e rimango
imbambolato a guardare la fontana d’acqua che gocciola piano nel
calice. Sul muro si formano delle ombre, e il locale si riempie di
musica jazz.
Marylin Manson aveva dichiarato di aver
scritto 'The Golden Age of Grotesque' in 12 ore, tra un bicchiere e
l’altro di Fata Verde. È come se sentissi il testo della canzone
mentre bevo quella che è la sua creazione alcolica; “Hellzapoppin,
apri la tua terza narice…”
E così faccio, prendo un bel respiro,
chiudo gli occhi e sento una voce diversa che però non sta cantando.
“Ti voglio raccontare dei corsetti delle prostitute tedesche.”
“Mi piace,” rispondo, aprendo anche
gli occhi. Ernests è tornato ed è seduto davanti a me su di una
barella di pelle nera, con la sua espressione sorniona illuminata dai
segnali gialli dei crash-test appesi al muro.
Si avvicina col fare di uno che sa un
grosso segreto. “Devi investigare un po’ sulla faccenda di
Marilyn Manson e la rimozione delle costole per l’autoerotismo, per
la l’auto-fellatio.” La mia testa crolla in avanti e non per
provare le pratiche di Manson, bensì perché mi sento favolosamente
ebbro.
Sono un uomo solitario, e il piattino a
forma di rene con dentro i popcorn asciuga la mia mente. Alzo lo
sguardo. Ernests è sparito. Faccio un giro per il bar tenendo le
mani congiunte dietro col fare da vero detective.
Le pareti qui sono decorate con poster
d’astronomia, chimica, tavole periodiche e illustrazioni anatomiche
e mediche, che includono persino consigli su come far passare il mal
di testa. A una, quella illuminata da una luce viola, sono appese
piante di pomodoro. Le guardo assorto finché una mano fantasma
appare dal nulla e mi riporta il drink che avevo lasciato chissà
dove. In un armadietto sulle scale ci sono mensole piene di piccoli
teschi. Forse teschi d’uccelli.
Inizio a chiedermi se anche i
pennuti soffrano di mal di testa, e in caso come lo trattino.
Forse con una bacca specifica? O
un verme? Come hanno fatto a prendere così tanti teschi, dove sono i
corpi? Macinati nei drink? Hanno rimosso loro delle costole per la
fellatio? Sono come noi? Come Marilyn?
Dopo il Mansinthe è la volta di un
assenzio fatto in casa. Non c’è però nessuno con cui parlare e
manca ancora un bar alla lista, quindi decido di muovere il sedere
dall’altra parte della città.
Al Lauschangriff, finalmente, posso
ordinare il Capricieuse.
È aromatico e presenta un tasso
alcolico del 72%. È uno dei 17 assenzi presenti nel menu, che
include anche cocktail come il Bloody Absinthe Brain.
Nonostante io sia bello pieno degli
effetti vitalizzanti del tujone, mi sento stanco. E la stanchezza che
percepisco non è come quella data dalla birra, dal whisky o dal
vino. Si tratta piuttosto di una leggera stanchezza, di un formicolio
che il mio corpo sente; la mente è libera, irraggiungibile, come
dopo un festival a base di droga. Lascio che i suoi fumi abbiano la
meglio.
Trovo una spada lunga, ricurva e
metallica, che scopro essere una sedia. Ma non mi ci siedo. Decido di
adagiarmi su qualcos’altro. Gli interni del bar sono rossi e scuri,
un po’ lussuosi, di pelle. Sembra di stare all’interno delle Tube
di Falloppio ma senza le pareti ricoperte di ciglia.
Un uomo mi passa davanti e cerca di
battermi il cinque, che io provo anche a ricambiare finendo però a
sfiorare a malapena il palmo della sua mano. Ma a lui non importa.
C’è un cane, beve da una ciotola
all’angolo. Ad un tavolo, invece, due uomini in camice parlano di
scacchi. Alla finestra, vicino a un uomo piccino con la barba che si
sta preparando una sigaretta, ne è seduto un altro intendo a
mangiare del sushi. Lo osservo mentre si spazzola ogni boccone. Così,
mentre lui prende un gamberetto in tempura, lo addenta, e chiude le
labbra, io osservo la coda dell’animale passare da una guancia
all’altra dell’uomo, sparendo.
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