Il sakè o sake
(dal giapponese 酒,
"bevanda alcolica") è una bevanda alcolica tipicamente
giapponese ottenuta da un processo di fermentazione che coinvolge
riso, acqua e spore koji. Per questo motivo viene anche chiamato
"vino di riso". Non è classificabile tra i distillati né
tra i liquori, e costituisce una categoria a parte.
Il vino di riso conosciuto in Occidente
come "sakè" è di un tipo particolare chiamato nihonshu
(日本酒
"alcol giapponese") in giapponese. In Giappone, la
parola sake significa semplicemente bevanda alcolica, e a seconda
della regione può assumere vari significati specifici. Nel Kyūshū
meridionale, sake si riferisce di solito a una bevanda distillata, lo
shochu di patate (芋焼酎
imojōchū). Lo shōchū è un distillato fatto con la canna
da zucchero. Sake è un termine che può essere usato anche per
un'altra bevanda distillata di Okinawa, l'awamori (泡盛),
letteralmente "cupola trasparente", o kusu, "vecchia
bevanda". Queste altre forme di sakè sono distillate a partire
da un riso a chicco lungo e da kurokoji (黒麹
kurokōji), "koji nero".
La storia del sakè non è ben
documentata e ci sono molteplici teorie su come possa essere stato
inventato. Un'ipotesi sostiene che la pratica della fermentazione del
riso abbia avuto origine in Cina, lungo il Chang Jiang, attorno al
quinto millennio a.C., e sia stata successivamente esportata in
Giappone. Un'altra ipotesi fa risalire la fermentazione del sake al
Giappone del terzo secolo, con l'avvento della coltivazione del riso
in umido. La combinazione di acqua e riso avrebbe portato a muffa e
fermentazione. Il primo sake venne chiamato kuchikami no sake
(口噛みの酒),
o "saké masticato in bocca", ed era fatto con il riso di
un intero villaggio, castagne, miglio, ghiande, e preparato sputando
il miscuglio in un tino.
Gli enzimi della saliva permisero agli
amidi di saccarificare (convertendosi in zucchero). In seguito a
questo dolce miscuglio si aggiunse grano appena cotto e così poté
fermentarsi in modo naturale. Presumibilmente il miglior sake
prodotto in questo modo derivava da giovani ragazze vergini. Si
annota per l'uso della masticazione che un comportamento analogo, per
introdurre enzimi atti alla trasformazione del prodotto per lo stesso
scopo, (anche in questo caso fatto da ragazze, o da vecchie), e usato
da millenni per produrre la chicha (bevanda alcolica derivata dal
mais) in Brasile, Bolivia, Perù ed Ecuador. È probabile che questa
prima forma di sake avesse un basso contenuto alcolico e venisse
consumata come porridge. Questo metodo è stato adottato anche dai
nativi americani; vedi il cauim, e il pulque. Il vino di miglio
cinese, xǐao mǐ jǐu (小米酒),
prodotto allo stesso modo, è nominato in alcune iscrizioni del XIV
secolo, essendo stato offerto agli dei in rituali religiosi.
Più tardi, approssimativamente
dall'VIII secolo, il vino di riso, mǐ jǐu (米酒),
divenne popolare in Cina con una formula quasi identica a quella del
più tardo sake giapponese. Secoli dopo, la masticatura divenne
inutile con la scoperta del koji-kin (麹菌
Aspergillus oryzae?), una muffa i cui enzimi convertono
l'amido presente nel riso in zucchero, che è anche usato per fare
amazake, miso, nattō e salsa di soia. Il riso innestato con koji-kin
è chiamato kome-koji (米麹),
o riso di malto. Una miscela di lievito, o shubo (酒母?),
è quindi aggiunta per convertire gli zuccheri in etanolo. Questo
sviluppo può aumentare di molto il tasso di alcol del sake (18%-25%
per vol.); come l'amido è convertito in zucchero dal koji, gli
zuccheri sono convertiti in alcol a partire dal lievito in un
processo istantaneo. Il koji-kin è stato scoperto più probabilmente
per caso. Le spore di koji e il lievito che fluttua nell'aria
finirono in una densa mistura di riso e acqua rimasta fuori.
La fermentazione risultante creò un
porridge di sake non diverso dal kuchikami no sake ma senza il
problema della masticatura di un intero villaggio. Probabilmente
questo porridge non aveva il miglior sapore ma l'ebbrezza era
sufficiente per far sì che la gente continuasse a interessarsi a
produrne. Un po' di questa miscela sarebbe stata mantenuta come punto
di partenza per il gruppo seguente. È da notare che l'azione
congiunta di una muffa (Aspergillus) e di un Saccaromicete specifico
per il riso, (probabilmente Saccaromices orizae) produce una rapida
trasformazione degli amidi in zuccheri e quindi questi in alcool, lo
stesso non accade con le fermentazioni comuni, ad esempio quelle
sostenute da Saccaromices cerevisiae (birra, vino), dove la
trasformazione da amidi in zuccheri quando necessaria, non ottenuta
da muffe, è difficoltosa e dove la gradazioni alcoliche massime
possibili (senza distillazione) sono più limitate, ad esempio per il
vino d'uva la gradazione alcolica massima possibile è circa 15% per
vol.
Nel VII secolo a.C. esperimenti e
tecniche venute dalla Cina diedero origine a un sake di maggior
qualità. Col tempo il sake divenne sufficientemente popolare che al
palazzo imperiale di Kyōto (poi capitale del Giappone) fu istituito
un organismo per la sua preparazione. Questo ebbe come conseguenza la
nascita dei birrai di sake a tempo pieno, e questi artigiani aprirono
la via per molti sviluppi nella tecnica. Fu appunto durante l'era
Heian (794-1185) che vennero aggiunte tre nuove fasi al processo di
fermentazione (una tecnica per aumentare ancora il livello di alcol e
ridurre le possibilità di inasprimento), esempio delle migliorie
apportate in questo periodo. Nei successivi 500 anni la qualità e le
tecniche usate nella produzione del sake migliorarono costantemente.
Divenne usanza la preparazione di una miscela di partenza o "moto"
per coltivare il maggior numero possibile di cellule di lievito prima
della fabbricazione.
I birrai avevano anche la capacità di
isolare il koji per la prima volta, e perciò seppero controllare con
coerenza la saccarificazione (conversione dell'amido in zucchero) del
riso. Attraverso osservazioni, esperimenti ed errori, si sviluppò
anche una forma di pastorizzazione. Partite di sake che iniziarono a
inasprirsi a causa di batteri durante i mesi estivi furono versate
dalle loro botti in serbatoi e riscaldate. Comunque, il risultante
sake pastorizzato sarebbe poi tornato nelle botti infettate dai
batteri. Di qui il sake avrebbe assunto un sapore più acido, e
quando fosse arrivato l'autunno sarebbe stato pessimo. Le ragioni per
le quali avvenisse la pastorizzazione e come si potesse migliorare la
qualità non sarebbero state comprese finché Louis Pasteur non
avesse fatto la sua scoperta circa 500 anni più tardi.
Durante la Restaurazione Meiji furono
scritte delle leggi che permisero a chiunque avesse capacità
economica e conoscenze pratiche di mettere su e dirigere una fabbrica
di sake. Nacquero così in un solo anno circa 30.000 fabbriche in
tutto il Paese. Ad ogni modo, col passare degli anni il governo
impose sempre più tasse sull'industria del sake e lentamente il
numero delle fabbriche si ridusse a 8.000. La maggior parte delle
fabbriche che si svilupparono e sopravvissero a questo periodo
appartenevano a ricchi proprietari terrieri. I latifondisti che
possedevano raccolti di riso avrebbero avuto ancora del riso a fine
stagione e, piuttosto che lasciare che queste scorte di riso
rimanessero inutilizzate, le avrebbero trasportate alle loro
fabbriche. La fabbrica di famiglia con maggiore successo fra queste è
attiva ancora oggi.
Nel Novecento la tecnologia di
produzione del sake fece passi da gigante. Nel 1904 il governo aprì
l'istituto per la ricerca nella produzione del sake, e nel 1907 si
tenne il primo concorso di degustazione di sake. Furono isolate
specifiche varietà di lieviti selezionate per le loro proprietà e
arrivarono serbatoi in acciaio ricoperti di smalto. Il governo iniziò
ad acclamare l'uso di serbatoi smaltati perché facili da pulire, di
durata eterna, e privi di problemi batterici (il governò considerò
le botti in legno "anti-igieniche" a causa dei potenziali
batteri viventi dentro al legno). Sebbene tutto ciò sia vero, il
governo pretese anche più tasse dai produttori perché il legno
delle botti succhiava una quantità significativa di sake (attorno al
3%) che avrebbe dovuto essere tassata. Questa fu la fine dell'era
delle botti di sake in legno, e il loro uso scomparve totalmente.
Durante la guerra russo-giapponese del 1904-1905 il governo bandì la
produzione di sake in casa, che non era soggetta ad alcuna tassa, per
far aumentare ancora di più le entrate fiscali dovute al sake, che
in quel periodo costituivano già un sorprendente 30%.
Questa fu la fine del cosiddetto
"doboroku" (sake fatto in casa): questa legge rimane
infatti ancora oggi malgrado le vendite di sake costituiscano
attualmente solo il 2% delle entrate del governo. Quando scoppiò la
seconda guerra mondiale l'industria del sake subì un pesante colpo
dopo che il governo pose un freno all'uso del riso per la produzione
di alcolici. La maggior parte del riso cresciuto in questo periodo
venne usato per le fatiche di guerra e questo, in unione con molti
altri problemi, fu il destino di migliaia di aziende in tutto il
Giappone. In precedenza era stato scoperto che piccole dosi di alcol
potevano essere aggiunte al sake per migliorarne l'aroma e la
struttura. Dal decreto del governo, alcol puro e glucosio venivano
aggiunti a piccole quantità di miscela di riso, aumentando la resa
di quattro volte tanto. Il 95% del sake di oggi è prodotto usando
questo tecnica, rimasta dagli anni della guerra. C'erano anche alcune
fabbriche capaci di produrre sake senza riso. Naturalmente, in questo
periodo ne risentì molto la qualità.
Dopo la guerra le fabbriche di sake
iniziarono a riformarsi poco alla volta, e la qualità del sake
crebbe gradualmente. Ad ogni modo cominciarono a essere sempre più
popolari in Giappone la birra, il vino e i superalcolici, e negli
anni 1960 per la prima volta il consumo di birra superò quello di
sake. Il consumo di sake continuò a diminuire, ma in contrasto la
qualità migliorò notevolmente. Oggi la qualità del sake è al suo
apogeo, e questo alcolico è diventato effettivamente una bevanda
mondiale con la nascita di alcune fabbriche nel Sud-Est asiatico, in
Sud America, Nord America, Cina e Australia. Inoltre sempre più
aziende stanno tornando ai vecchi metodi di produzione. Mentre il
resto del mondo sta forse bevendo sempre più sake, e la qualità è
aumentata, ci sono delle difficoltà per l'industria del sake. In
Giappone la vendita di sake sta ancora scendendo e non è sicuro che
l'esportazione del sake in altri Paesi possa salvare le aziende
giapponesi. Infatti attualmente ci sono circa 1500 aziende in
Giappone, laddove nel 1988 ce n'erano circa 2500.
Occorre procurarsi una tokkuri (una
bottiglietta per sakè), versarvi dentro il sakè e coprirla con una
pellicola, per non disperderne l'aroma. Immergere in una pentola con
l'acqua preriscaldata (ma appena tiepida), lasciarla a fuoco lento
per circa 4-5 min. in maniera che raggiunga la temperatura di 35-40°.
Occorre fare attenzione che la temperatura non superi i 50°,
altrimenti l'aroma e il gusto ne risultano alterati, mentre si scalda
afferrare il tokkuri per il collo e agitare in maniera che si
riscaldi uniformemente e non solo dal basso. Va notato che le
varieta' di sake di alta qualità (Ginjo, Daiginjo) vengono viceversa
servite fredde per non alterarne i delicati aromi fruttati e
floreali. Il riscaldamento deve essere dunque tendenzialmente
riservato solo ai prodotti di qualità inferiore.
Esistono due principali tipi di sake:
il futsuu-shu (普通酒) ovvero
il "sake normale" e il tokutei meishoshu (特定名称酒),
il "sake per occasioni speciali".
Il futsuu-shu non possiede i requisiti
per alcun livello di sake di designazione speciale. È l'equivalente
del nostro vino da tavola e rappresenta oltre il 75% di tutto il sake
prodotto. D'altra parte il tokutei meishoshu o "sake per
occasioni speciali" è contraddistinto dalla certificazione di
raffinamento (macinatura) del riso ovvero della purezza (restrizione
nell'aggiungere alcool distillato). Raffinare il riso è importante
in quanto la parte interna dei chicchi contiene l'amido (ciò che
fermenta) mentre la parte esterna contiene oli e proteine, che
tendono a lasciare aromi strani o spiacevoli nel prodotto finito.
Raffinare il riso rimuove la parte esterna del chicco, lasciando
solamente il cuore d'amido.