Alcuni barman giapponesi stanno
riportando in auge l’antica arte dei liquori e degli infuse
home-made, alcuni dei quali destinati a farti sentire più bello, a
dormire meglio, o persino a far baldoria senza gli effetti
collaterali del post-sbornia.
"Il Campari veniva colorato con le
cocciniglie, degli insetti, proprio come i rossetti", mi dice,
aggiungendo le conchiglie frantumate al mix. In seguito procede a
shakerare il tutto con forza e, per mio grande sollievo, ha filtralo
la miscela rosso sangue prima di versarla nel mio bicchiere.
"Immaginatelo un po' come un Frappuccino alla fragola di
Starbucks." È amaro ma bilanciato nel gusto, esattamente come
lo volevo io, insetti inclusi. È un po' come tutto quello che Kayama
tira fuori dal suo cilindro. I clienti abituali nemmeno chiedono più
il menù, sanno che tutte le ricette vengono fuori dalla sua
immaginazione e cambiano talmente tanto spesso che stare al passo con
un menù scritto è pressoché impossibile. Nel giro di poche ore ho
potuto ammirarlo rivisitare un Bloody Mary con un'aggiunta verde
lime, unire l'equivalente di un giardino di erbe a una mistura a base
di gin, mischiare una sorta di parente prossimo del Pisco Sour con un
topping a base di frutta caramellata e una simil crème brûlée.
"Hai qualche problema che vorresti
risolvere? Non so, qualcosa legato alla bellezza, alla salute, alla
pelle? Senti gli occhi pesanti o ti senti stressato?" mi chiede
Nanoko Hanamura, conosciuta dai suoi amici con il soprannome di
Nano-chan. Dopo soli dieci minuti passati allo
Yakusyu bar, in realtà, praticamente tutti possono
fregiarsi della qualifica di amici di Nano-chan.
Un po' come tutto ciò che di bello c'è a Tokyo, lo Yakusyu bar è quasi impossibile da trovare se non si sa esattamente dove dover cercare. Persino provvisto di Google Maps e di un amico giapponese ci ho messo secoli a scovarlo, vagando per quel labirinto di graffiti che è il distretto di Sangenjaya, prima di scorgerne la flebile insegna verde fuori dalla porta.
Un po' come tutto ciò che di bello c'è a Tokyo, lo Yakusyu bar è quasi impossibile da trovare se non si sa esattamente dove dover cercare. Persino provvisto di Google Maps e di un amico giapponese ci ho messo secoli a scovarlo, vagando per quel labirinto di graffiti che è il distretto di Sangenjaya, prima di scorgerne la flebile insegna verde fuori dalla porta.
Una volta entrato dentro, mi sono
ritrovato di fronte a quaranta barattoli, piuttosto bizzarri alla
vista, messi in infusione con qualsiasi cosa, dal fiore di sambuco
all'anguilla.
Involontariamente, alla mia vista è
poi anche balzato un grosso recipiente, posizionato in un angolo del
locale, al cui interno c'erano i resti decapitati di una specie
velenosa di serpenti dell'Okinawa. Accortasi della traiettoria del
mio sguardo, Nano-chan mi fa l'occhiolino e dice di non preoccuparmi,
perché "tutto il veleno si trova nella testa. Non arreca danno
se lo bevi. E poi è anche ottimo per gli uomini, durante la notte…
non so se mi spiego."
Dato che non sto cercando di dare una
botta alla mia virilità, decido di optare per un infuso rilassante
alla melissa e acqua tonica. Un banchiere seduto vicino a me guarda
un po' storto il serpente e mi fa sapere che i suoi "problemi
notturni" arrivano sempre dopo aver bevuto.
"Hai mai pensato di portare prima
a casa una ragazza e poi di andare a bere al bar?" Nano-chan
chiede scherzosamente alzando gli occhi al cielo. Nel locale
scoppiano fragorose risate e i bicchieri iniziano a tintinnare. "
Kampai!Hey, benvenuto in Giappone!".
Siamo solo a mercoledì notte ma,
siccome ognuno di questi elisir possiede (pare) proprietà
terapeutiche, abbiamo convenuto che uno o due shot in più non ci
avrebbero fatto poi così male.
Conosciuti come yakushu, questi
infusi home-made sono recentemente tornati alla ribalta
soprattutto fra le generazioni più
giovani, proprio grazie alle loro presunte funzioni curative che
aiutano a debellare l'insonnia, a purificare la pelle, o a
incrementare i livelli d'energia.
In città è possibile trovare una
dozzina di locali simili allo Yakusyu. In ognuno di questi bar, che
spaziano da luoghi in cui si rivende clandestinamente l'alcol a pub
peculiarmente strani, si sorseggiano liquori fatti in casa.
Nell'ultima categoria spicca il
Bonji Bar, un hookah bar
nascosto vicino alla stazione di Asausa, dove i liquori vengono
infusi con semi di cannabis, funghi allucinogeni, scorpioni, corna di
cervo o peni, tartarughe, cobra reali e lamprede. Alcuni di questi
sono importati mentre altri, come la tequila con infuso di peyote,
sono creazioni del proprietario. Sebbene vanti le
leggi anti-droga più dure del
mondo, come il Cannabis Control Act del 1948, a nessuno qui
sembra importare. Per il sollievo di alcuni avventori e il dispiacere
di altri, alcuni di questi liquori, come quello alle foglie di coca,
sono privi di affetti narcotizzanti.
Ugualmente lisergico ma in un qualche
modo più salutista, è invece il Gatosano, un locale che si
trova al secondo piano di un negozio situato a pochi passi dalle
gothic lolita e dai fighetti: Harajuku Takeshita Street.
Dopo le cinque del pomeriggio, questo
bar/gastronomia di cibi salutisti e color arcobaleno inizia a offrire
shot di circa quaranta tipo diversi di yakushu, ognuno dei quali è
stato miscelato personalmente al fine di aiutare qualsiasi festaiolo
a far baldoria o ad accusarne gli effetti con meno fatica.
Quando sono arrivato al bar nel tardo
pomeriggio, il proprietario, Dj Tanaka, era fuori a fare un giro, ma
il suo barista era più che felice di aiutarmi a scegliere il liquore
migliore dall'enorme menù diviso per proprietà curative.Per una
notte in città, se voglio digerire tutto il ramen che ho mangiato,
potrei iniziare con delle foglie di stevia o di guava, per passare
poi a del guarana pre-festa e finire la serata con una valeriana,
camomilla o lavanda. Forse i liquori più utili sono quelli di fine
party, infusi con curcuma o finocchio, che pari plachino qualsiasi
post-sbornia ancora prima che inizi.
Per quanto possa sembrare allettante,
non ho mai la possibilità di testate la loro efficacia.
Per prenotare un incontro con il
barista meno ortodosso di Tokyo, sono dovuto andare fino a Shinjuku,
dove Hiroyasu Kayama offre bevute create ad hoc, spiriti rarissimi e,
più nello specifico, qualsiasi cosa gli vada di servire al suo
Bar Ben Fiddich. Offre
dalle trenta alla quaranta varietà di yakushu ad ogni ora, molte
delle quali infuse con estratti vegetali provenienti dalla tenuta
agricola di famiglia a Chichibu, nella prefettura di Saitama.
Dato che siamo a Tokyo, l'unica cosa a
indicarci che il bar esista è un misero pezzo di nastro vicino
all'ascensore sul quale è stato scritto, a caratteri minuscoli, dove
poterlo trovare. Fuori il sole splende ma, una volta arrivato alla
meta (uno spazio illuminato a candele e ubicato al nono piano del
palazzo), mi sembra quasi sia notte fonda. Kayama è lì, dietro al
bancone, con un completo color crema e i capelli ingellati
all'indietro. Dietro di lui ci sono mensole piene zeppe di bottiglie,
alcune delle quali sigillate con la cera per proteggerne il contento.
Muovendomi a gesti, chiedo cosa ci sia dentro.
"Ti piace l'assenzio?" mi
chiede Kayama mentre i suoi occhi si illuminano. Ancor prima che io
possa rispondere, tira giù varie bottiglie di fata verde e le
posiziona sul bancone. "Io colleziono assenzio. Guarda. Questa
bottiglia è del 1890. Questa del 1910, mentre questa è la più
vecchia, del 1870. Il sapore è ottimo proprio perché si tratta di
annate vecchie. Ecco, qui ci sono accenni di cioccolato. Quindi sì,
insomma, penso proprio tu possa dire mi piaccia l'assenzio."
Mi basta anche solo annusarli per
sentire la mia testa girare, ma sono troppo timido per chiederne un
assaggio. Per la fortuna di quelli che non si possono permettere un
sorso di questi eccezionali elisir, Kayama produce i propri. Anice,
finocchio, radice di angelica, menta, melissa, issopo e persino
quello stesso estratto di assenzio che è rimasto nella lista nera
della Food and Drug Administration (FDA) fino al 2007: tutto finisce
nella sua pozione alcolica al 62%. "Mio padre è un contadino,
quindi torno spesso nella mia città natia per cercare ingredienti.
Li faccio crescere e poi essiccare. Ho un alambicco con capacità di
20 litri, pieno di questo," mi dice, mostrandomi la bottiglia.
Non è il suo unico pezzo forte, però.
Quando gli chiedo qualcosa con Campari, lui lascia perdere le
bottiglie sulle mensole e procede verso dei barattoli. Ne tira fuori
sedici. Senza dire una parola, tira fuori pestello e mortaio e inizia
a frantumare precise quantità di erbe e spezie. Sebbene io ne
riconosca in buona parte, c'è un contenitore di insetti essiccati
che mi lascia un attimo perplesso.
"Il Campari veniva colorato con le
cocciniglie, degli insetti, proprio come i rossetti", mi dice,
aggiungendo le conchiglie frantumate al mix. In seguito procede a
shakerare il tutto con forza e, per mio grande sollievo, ha filtralo
la miscela rosso sangue prima di versarla nel mio bicchiere.
"Immaginatelo un po' come un
Frappuccino alla fragola di
Starbucks".
È amaro ma bilanciato nel gusto,
esattamente come lo volevo io, insetti inclusi. È un po' come tutto
quello che Kayama tira fuori dal suo cilindro. I clienti abituali
nemmeno chiedono più il menù, sanno che tutte le ricette vengono
fuori dalla sua immaginazione e cambiano talmente tanto spesso che
stare al passo con un menù scritto è pressoché impossibile. Nel
giro di poche ore ho potuto ammirarlo rivisitare un Bloody Mary con
un'aggiunta verde lime, unire l'equivalente di un giardino di erbe a
una mistura a base di gin, mischiare una sorta di parente prossimo
del Pisco Sour con un topping a base di frutta caramellata e una
simil crème brûlée.
"Ecco un cocktail giapponese
speciale," risponde Kayama a chiunque gli chiede cosa stia
bevendo. "Non ha un nome". Per Kayama il fremito dato da
tutta questa alchimia è da ritrovarsi nella sfida di creare qualcosa
di unico piuttosto che nel focalizzarsi sui possibili effetti
curativi dei cocktail.
"Anche prima di aprire questo bar
il mio hobby era distillare. Questi sono i miei spiriti distillati,
fatti in casa," mi dice facendo cenno alla parete dietro di lui.
"Prima, forse, venivano usati come medicina."
Se si possano o meno qualificare come
tali, lui non ce lo può dire. Per lui creare yakushu significa unire
arte, scienza e ossessione in parti eguali, in quella che si potrebbe
ritenere come una naturale estensione dell'arte del barman. Così,
mentre mi trascino fuori nel tentativo di prendere l'ultimo treno,
non mi sento né più magro, né più giovane o figo. L'unica cosa
che sento è la consapevolezza di aver bevuto qualcosa di
dannatamente buono.
0 commenti:
Posta un commento