sabato 30 marzo 2024

Aurum, l’Oro Liquido d’Abruzzo: Un Tesoro da Scoprire tra Storia, Gusto e Tradizione


Un viaggio tra le origini romanzesche, l’aroma persistente delle arance abruzzesi e una ricetta casalinga per celebrare l’eleganza di un liquore unico nel suo genere

Tra i vicoli acciottolati di Pescara e le fragranze agrumate della costa adriatica si cela un segreto alcolico che profuma di nobiltà e artigianato: l’Aurum. Questo liquore, dal colore caldo e ambrato, è il frutto di un’antica ricetta che unisce la scorza d’arancia a un distillato delicato, il tutto armonizzato da un lungo processo di infusione che restituisce un gusto intenso, rotondo, con una morbidezza che accarezza il palato.

Ma Aurum non è soltanto un prodotto da degustare: è un emblema di eleganza abruzzese, un liquore che ha saputo conquistare il favore dei poeti, dei gastronomi e dei viaggiatori fin dal secolo scorso, e che oggi ritorna al centro dell’attenzione grazie alla sua versatilità in cucina e alla riscoperta della liquoristica artigianale italiana.

L’origine dell’Aurum si intreccia con la cultura e la letteratura. Si narra che l’idea del nome fu suggerita nientemeno che da Gabriele D’Annunzio, pescarese illustre e cultore della bellezza in tutte le sue forme. Il poeta, affascinato dalla tonalità dorata del liquore e dal profumo penetrante delle arance, volle coniare un nome che evocasse tanto la ricchezza (l’oro: “aurum” in latino) quanto la materia prima fondamentale (“aurantium”, arancia dolce). L’accostamento non fu casuale: nella sua poetica, D’Annunzio elevava ogni gesto e ogni sapore a esperienza estetica. Aurum non era solo un liquore, ma un momento, una visione.

La vera nascita commerciale del liquore risale agli anni Venti del Novecento, quando la famiglia Amedei, già nota nel campo della distillazione, decise di formalizzare una vecchia ricetta di famiglia, arricchendola con spezie e alcol di qualità. L’obiettivo era chiaro: creare un prodotto raffinato, elegante, perfetto come digestivo ma anche ideale per accompagnare dessert e conversazioni serali.

Da allora, Aurum ha attraversato il secolo con discrezione ma costanza, diventando presenza fissa nelle case abruzzesi e nei ristoranti del centro Italia. La sua bottiglia dalle linee eleganti, spesso in vetro scuro con etichette dorate, rappresenta ancora oggi un riferimento nel panorama dei liquori mediterranei.

Chi ha la fortuna di assaggiarlo scopre subito una struttura unica: l’arancia è protagonista, ma non invadente. Le note dolci e leggermente amaricanti delle scorze si fondono con leggere sfumature speziate, tra cui si possono cogliere sentori di vaniglia, cannella e miele. L’aroma è persistente ma armonico, mentre la consistenza in bocca risulta vellutata, quasi cremosa. La gradazione, intorno ai 40 gradi, è ben bilanciata: il calore alcolico arriva con gradualità, permettendo agli aromi di svilupparsi appieno.

Aurum si presta benissimo al consumo liscio, leggermente refrigerato, oppure a temperatura ambiente nei mesi invernali. Ma si rivela sorprendente anche nella miscelazione, soprattutto nei cocktail a base di whisky, rum o bitter secchi, cui conferisce una nota agrumata e sofisticata. Nei dessert, è spesso impiegato come bagna per pan di Spagna, nelle creme pasticcere o persino nei semifreddi, dove il suo profumo emerge con discrezione e raffinatezza.

Tra le preparazioni più affascinanti in cui Aurum è protagonista, spicca la “Torta all’Aurum e cioccolato fondente”, un dolce elegante e avvolgente che celebra la ricchezza del liquore abruzzese unendolo al carattere deciso del cacao. Un abbinamento che richiama l’equilibrio tra dolcezza e intensità, tra memoria e innovazione.

Ricetta: Torta al Cioccolato Fondente e Aurum

Ingredienti per uno stampo da 22 cm:

Per l’impasto:

  • 200 g di cioccolato fondente al 70%

  • 150 g di burro

  • 120 g di zucchero semolato

  • 3 uova intere

  • 80 g di farina 00

  • 1 cucchiaino di lievito per dolci

  • Un pizzico di sale

  • 80 ml di Aurum

Per la ganache:

  • 100 g di cioccolato fondente

  • 80 ml di panna fresca

  • 30 ml di Aurum

Preparazione

  1. Preparazione dell’impasto:
    Sciogliere il cioccolato fondente a bagnomaria insieme al burro. Una volta fuso, mescolare bene e lasciar intiepidire. In una ciotola a parte, sbattere le uova con lo zucchero fino a ottenere un composto chiaro e spumoso. Aggiungere il cioccolato fuso, mescolare delicatamente, poi incorporare la farina setacciata con il lievito e il sale. Infine, aggiungere l’Aurum e amalgamare fino a ottenere un impasto omogeneo.

  2. Cottura:
    Versare il composto in uno stampo imburrato e infarinato. Cuocere in forno statico preriscaldato a 170°C per circa 30–35 minuti. La torta deve risultare umida all’interno ma ben cotta sui bordi. Sfornare e lasciar raffreddare.

  3. Ganache al cioccolato e Aurum:
    In un pentolino, scaldare la panna fino a sfiorare il bollore. Togliere dal fuoco e aggiungere il cioccolato spezzettato. Mescolare fino a ottenere una crema liscia e lucida. Aggiungere l’Aurum e mescolare nuovamente. Versare la ganache sulla torta raffreddata, lasciando che coli leggermente sui lati.

  4. Decorazione e servizio:
    Decorare con scorze d’arancia candita o granella di nocciole. Servire a temperatura ambiente, magari accompagnata da un piccolo calice di Aurum.

Oggi, in un tempo in cui l’attenzione si sposta spesso verso tendenze passeggere e sapori globalizzati, l’Aurum si impone come un baluardo dell’identità abruzzese. È un liquore che non ha bisogno di reinventarsi: resta fedele alla sua formula originale, pur aprendo la strada a nuovi usi e sperimentazioni.

Dalle botteghe artigiane alle tavole delle feste, il suo profumo rievoca innumerevoli ricordi familiari. Per molti abruzzesi, rappresenta il brindisi della domenica, la chiusura dei pranzi importanti, la bottiglia che si apre solo in occasioni speciali. Ma è anche, sempre più spesso, una scoperta per chi visita la regione e desidera portare con sé un frammento autentico di sapore locale.

Aurum è molto più di una bevanda alcolica: è un racconto in forma liquida. Ogni sorso parla di artigianato, di passione, di una terra che non ha mai smesso di credere nel valore delle proprie radici. E come ogni racconto ben narrato, lascia un retrogusto che invita a tornarci su, a riflettere, a condividere.


venerdì 29 marzo 2024

Il Cerasuolo d’Abruzzo: Tradizione, Terra e Tavola

Viaggio tra i filari, le radici contadine e il gusto autentico del rosato d’Italia

Nel cuore dell’Italia centro-meridionale, tra le colline ventilate che guardano l’Adriatico e le cime silenziose della Majella, nasce un vino che sfida le convenzioni, racchiudendo nella sua veste brillante e nel profumo di ciliegie una storia contadina autentica e una rinascita enologica tutta italiana: il Cerasuolo d’Abruzzo.

Non è un rosé qualunque. Il Cerasuolo ha una personalità decisa, dal colore intenso che vira al rubino chiaro, ben lontano dalle tenui sfumature provenzali. È un vino che affonda le radici nella stessa terra che ha dato i natali al Montepulciano d’Abruzzo, da cui il Cerasuolo deriva direttamente. La differenza è tutta nel tempo: la macerazione sulle bucce dura solo poche ore, quanto basta per regalare al mosto un colore acceso e un profilo aromatico vibrante.

Questo vino ha sempre accompagnato la cucina quotidiana delle famiglie abruzzesi. La sua capacità di coniugare freschezza e struttura lo rende un compagno ideale tanto per i piatti semplici quanto per quelli più elaborati, ed è proprio in questa versatilità che si coglie il suo legame indissolubile con la terra d’origine.

I contadini abruzzesi, già in epoca preunitaria, producevano un vino “chiaro” da bere giovane, destinato al consumo familiare o ai mercati locali. Questo vino non aveva un nome ufficiale, ma si riconosceva dal colore brillante e dall’aroma fruttato. Solo nel 2010 ha ottenuto una sua denominazione autonoma all’interno della DOC “Montepulciano d’Abruzzo”, diventando a tutti gli effetti un vino a sé.

Il termine “Cerasuolo” fa riferimento diretto alla tonalità delle ciliegie mature, che caratterizza tanto il colore quanto il profilo olfattivo del vino. Non è un caso che il nome evochi un frutto: il bouquet del Cerasuolo è dominato da note di marasca, fragoline di bosco, melograno, talvolta arricchite da sentori floreali e lievi speziature.

L’antico metodo prevedeva una vinificazione in botti di rovere, spesso usate anche per il Montepulciano, e un affinamento minimo. Oggi le tecniche si sono affinate: si prediligono acciaio e temperature controllate per esaltare l’espressività del frutto e la vivacità gustativa. Il risultato è un vino che mantiene la memoria del passato ma guarda con decisione alla modernità.

La provincia di Pescara, le colline teatine, i pendii che si affacciano sulla costa o che si inoltrano verso i rilievi interni: qui le vigne trovano un microclima ideale. Le forti escursioni termiche tra giorno e notte, tipiche dell’entroterra abruzzese, contribuiscono allo sviluppo degli aromi nel Montepulciano, che qui viene vendemmiato prima della completa maturazione per mantenere freschezza e acidità.

Sono numerosi i produttori che hanno investito nella valorizzazione del Cerasuolo, elevandolo da “vino da osteria” a protagonista delle tavole più raffinate. Tra questi, si distinguono aziende come Valentini, con un approccio artigianale quasi mistico, e Tiberio, che abbina rigore tecnico e rispetto per il terroir. Ma il vero patrimonio del Cerasuolo è la rete diffusa di piccole cantine a conduzione familiare che mantengono vivo lo spirito agricolo del vino.

Il Cerasuolo è un vino gastronomico per eccellenza. Si abbina perfettamente ai piatti della tradizione abruzzese, come il brodetto di pesce, le scrippelle ‘mbusse o gli arrosticini di castrato. La sua struttura gli consente di reggere anche preparazioni saporite, mentre l’acidità bilancia pietanze grasse o speziate.

Ma se c’è una preparazione che sposa l’anima del Cerasuolo, è la “pasta alla mugnaia con ragù bianco d’agnello”. Si tratta di un piatto rustico e raffinato insieme, radicato nella cucina della Val Fino, dove la farina e l’acqua si trasformano in una sfoglia lunga e spessa, da condire con un ragù che esalta la carne senza coprirla con sughi invadenti.

Ricetta: Pasta alla Mugnaia con Ragù Bianco d’Agnello

Ingredienti per 4 persone:

Per la pasta:

  • 400 g di farina di semola rimacinata

  • 200 ml di acqua tiepida

  • Un pizzico di sale

Per il ragù:

  • 400 g di polpa d’agnello disossata, tagliata a coltello

  • 1 cipolla bianca

  • 1 carota

  • 1 costa di sedano

  • 1 rametto di rosmarino

  • 1 foglia d’alloro

  • Vino bianco secco q.b.

  • Olio extravergine d’oliva

  • Sale e pepe nero macinato fresco

Preparazione

  1. Impasto:
    In una spianatoia, formare una fontana con la farina e aggiungere gradualmente l’acqua, incorporando con una forchetta. Impastare energicamente per almeno 10 minuti fino a ottenere un composto liscio ed elastico. Lasciar riposare coperto per 30 minuti.

  2. Formatura:
    Dividere l’impasto in 4 parti. Con i palmi, allungare ogni pezzo in un unico spaghetto spesso, di circa mezzo centimetro di diametro. Arrotolare su sé stesso per creare le spirali tipiche della mugnaia.

  3. Ragù:
    In un tegame largo, rosolare la cipolla tritata finemente con sedano e carota in olio EVO. Aggiungere l’agnello, farlo dorare bene su tutti i lati, sfumare con vino bianco e aggiungere il rosmarino e l’alloro. Cuocere lentamente a fuoco basso per circa 45 minuti, aggiungendo un po’ di acqua se necessario. Regolare di sale e pepe.

  4. Cottura della pasta:
    Cuocere la mugnaia in abbondante acqua salata per circa 4–5 minuti. Scolare e saltare nel tegame con il ragù, amalgamando bene.

  5. Servizio:
    Impiattare con un filo d’olio a crudo e, per chi gradisce, una grattugiata leggera di pecorino stagionato.

Versare un calice di Cerasuolo d’Abruzzo mentre si gusta la pasta alla mugnaia non è solo un gesto conviviale: è un rito. È un modo per onorare la continuità tra ciò che siamo stati e ciò che possiamo diventare, attraverso una bottiglia che racchiude storia, tecnica, dedizione e territorio.

In un’epoca in cui il vino rosato ha spesso assunto connotazioni da aperitivo estivo o da proposta leggera per palati distratti, il Cerasuolo impone un altro paradigma. È un vino che parla, che racconta il tempo, che resiste all’omologazione e che, per chi lo sa ascoltare, dice molto di più di quanto ci si aspetti.

Se la cucina italiana è un racconto di identità, allora il Cerasuolo è la sua voce in dialetto: diretta, profonda, sincera. Un invito alla riscoperta.


giovedì 28 marzo 2024

Special Gilmet: Il Rito Liquido del Sud che Rinfresca e Racconta

Ci sono bevande che nascono per caso e altre che sembrano scritte nel DNA di un luogo. Il Special Gilmet, fresco come una brezza d’estate e pungente quanto basta per imprimersi nella memoria, appartiene a questa seconda categoria. Non si tratta di un prodotto industriale, ma di una preparazione artigianale tramandata oralmente nei circoli marinari della costa calabrese, tra un tramonto sulle banchine e una risata sotto il pergolato.

Il nome, “Gilmet”, pare derivi da una storpiatura fonetica di “gin-mint”, a sottolineare due dei protagonisti essenziali di questa bevanda: il distillato botanico per eccellenza e la menta fresca, onnipresente nei cortili assolati delle case di campagna e nei giardini affacciati sul mare. Ma col tempo, il Special Gilmet ha acquisito una sua identità ben distinta, lontana dai cocktail da manuale e più vicina a una sorta di elisir della convivialità mediterranea.

Non è raro che venga offerto come aperitivo in quelle taverne a pochi metri dal porto, servito in bicchieri bassi e spessi, talvolta con una scorzetta di limone calabrese immersa nel ghiaccio. La sua preparazione non segue dogmi, ma riti. Ogni famiglia, ogni bar storico, ogni anziano appassionato di mixologia improvvisata, custodisce la “propria” versione. C’è chi lo ama più dolce, chi preferisce accentuarne l’amaro, chi aggiunge una punta di anice per un finale aromatico più persistente. Ma tutti concordano su un punto: il Special Gilmet è molto più di una bevanda. È un gesto, un momento, una pausa dal tempo.

Per avvicinarsi alla preparazione tradizionale del Special Gilmet, è bene partire da una versione codificata, pur lasciando spazio alla personalizzazione.

Per un bicchiere (doppia dose):

  • 50 ml di gin secco (meglio se artigianale, con botaniche mediterranee)

  • 20 ml di vermouth bianco secco

  • 10 ml di liquore alla menta naturale

  • 1 cucchiaino di zucchero di canna grezzo

  • succo fresco di mezzo lime

  • 1 rametto di menta calabrese (oppure menta romana, se più facilmente reperibile)

  • scorza di limone bio

  • ghiaccio a cubetti (abbondante)

Strumenti:

  • shaker in acciaio

  • muddler (pestello da cocktail)

  • jigger (misurino)

  • bicchiere old fashioned

  • strainer (colino da cocktail)

Preparazione passo per passo

1. L’infusione aromatica:
Nel fondo dello shaker, pestare delicatamente il rametto di menta con lo zucchero di canna e il succo di lime. L’obiettivo non è distruggere le foglie, ma liberare gli oli essenziali senza renderle amare. Questo passaggio è fondamentale: crea la base aromatica che farà da spina dorsale al drink.

2. L’unione degli spiriti:
Aggiungere il gin, il vermouth e il liquore alla menta. Riempire lo shaker con ghiaccio e agitare vigorosamente per almeno 15 secondi. Il movimento deve essere fluido ma deciso, come a voler “svegliare” gli aromi e farli danzare tra loro.

3. Il servizio:
Filtrare con lo strainer in un bicchiere old fashioned precedentemente raffreddato. Aggiungere due cubetti di ghiaccio nuovi, una scorza di limone leggermente pressata sopra il bicchiere per rilasciare gli oli, e – se si desidera – una fogliolina di menta come guarnizione.

4. Il momento del sorso:
Il Special Gilmet va assaporato lentamente, come si fa con le chiacchiere d’estate. È un sorso fresco e profondo, capace di sorprendere anche i palati più esperti grazie alla complessità dei suoi contrasti: la dolcezza del vermouth e della menta si sposa con la secchezza del gin e l’acidità vivace del lime, mentre la scorza di limone regala un finale elegante, quasi balsamico.

Secondo alcune testimonianze raccolte negli anni '70 da un etnografo francese che esplorava le coste calabresi in cerca di pratiche alimentari arcaiche, il Special Gilmet sarebbe stato originariamente preparato con un distillato locale di ginepro prodotto nei conventi montani, miscelato con infusi di menta raccolta nei boschi e limoni conservati sotto sale. Col tempo, le influenze britanniche (e le bottiglie di gin importate dai porti di Napoli e Palermo) hanno modificato la base alcolica, rendendo il cocktail più cosmopolita ma senza intaccarne lo spirito rurale.

In alcune famiglie del cosentino, ancora oggi, viene preparato nelle feste patronali e servito con un piattino di fichi freschi o mandorle tostate. Nelle versioni più moderne, si trovano anche varianti con l’aggiunta di cetriolo fresco, basilico o addirittura qualche goccia di acqua di fiori d’arancio, per un tocco floreale che riequilibra la parte erbacea.

Il Special Gilmet si presta perfettamente come aperitivo, specie in abbinamento a stuzzichini freschi e dal profilo salino. Ottimo con:

  • acciughe marinate al limone

  • olive nere cotte al forno

  • crostini con crema di capperi e pomodori secchi

  • formaggi freschi a pasta molle con miele d’eucalipto

Può anche diventare il drink ideale per un brunch estivo, servito con una fetta di torta salata alle erbe spontanee e un’insalata di farro con agrumi e menta.

Il Special Gilmet è un piccolo grande segreto della tradizione liquida del sud Italia. È una bevanda che incarna l’arte di vivere lentamente, valorizzando ciò che la natura offre e quello che il tempo insegna. Prepararlo non è solo un esercizio di mixologia, ma un modo per rievocare storie, profumi e atmosfere. È l’aperitivo perfetto per chi cerca autenticità e bellezza in un solo bicchiere.



mercoledì 27 marzo 2024

Armagnac: L’Anima Liquida della Guascogna tra Storia, Alambicchi e Tradizione

Ci sono distillati che conquistano il mondo con la forza del marketing, e altri che seducono con il mistero della discrezione. L’Armagnac appartiene alla seconda categoria. Fratello più antico del cognac, ma spesso meno celebrato, questo distillato francese è un raffinato ambasciatore della Guascogna, regione fiera e rurale nel cuore sud-occidentale della Francia.

Con un passato che affonda le radici nel Medioevo, l’Armagnac è una bevanda densa di memoria. Si presenta con una tessitura profonda, aromi complessi e una personalità forgiata dal tempo e dal legno. A differenza di molti spiriti moderni, non cerca di compiacere subito: si svela lentamente, come i paesaggi ondulati tra i Pirenei e i vigneti del Gers.

Questo post è pensato per chi vuole andare oltre le mode, per chi cerca autenticità e profondità nel bicchiere. Esploreremo le origini dell’Armagnac, il suo metodo di produzione unico, le sue caratteristiche sensoriali e, infine, una ricetta tradizionale per impiegarlo in cucina. Un viaggio tra aromi di prugna secca, legno tostato e terra antica.

Il primo documento scritto che cita l’Armagnac risale al 1310, quando un vescovo locale, Vital Dufour, elenca i “benefici della vita” in un trattato che menziona una bevanda distillata capace di “preservare la giovinezza, risvegliare l’intelligenza e curare le malattie”.

È l’inizio di una lunga e affascinante avventura. L’Armagnac nasce dall’incontro tra il vino prodotto nei territori della Guascogna e le tecniche di distillazione introdotte dagli arabi nel bacino del Mediterraneo. Già nel XIV secolo, si ottenevano spiriti a base di uva destinati principalmente a usi medicinali. Solo più tardi, nel XV e XVI secolo, la bevanda inizia a diffondersi come piacere della tavola.

A differenza del cognac, che si afferma come prodotto industriale per l’esportazione, l’Armagnac rimane per secoli un distillato “di campagna”, prodotto in piccole quantità, spesso in modo itinerante, grazie ai famosi alambicchi ambulanti che percorrono i villaggi durante la stagione della distillazione. Ancora oggi, molte aziende familiari seguono questo metodo artigianale.

Il territorio dell’Armagnac si divide in tre sottozone ufficiali:

  • Bas-Armagnac, la più rinomata, con terreni sabbiosi e distillati eleganti e fruttati;

  • Armagnac-Ténarèze, più argillosa, dove si producono distillati robusti e strutturati;

  • Haut-Armagnac, la più vasta ma meno coltivata, con produzione limitata e selezionata.

Queste aree non rappresentano solo denominazioni geografiche: riflettono microclimi, tradizioni, e approcci differenti alla viticoltura e alla distillazione. Il vitigno più utilizzato è l’Ugni Blanc, seguito da Baco 22A, Folle Blanche e Colombard, ognuno con un profilo aromatico distinto.

A rendere l’Armagnac un distillato d’eccezione è il suo metodo di distillazione. A differenza del cognac, che viene distillato due volte in alambicchi a ripasso, l’Armagnac si ottiene quasi sempre tramite una distillazione singola continua in un alambicco di rame appositamente progettato (l’alambicco armagnacais).

Questo tipo di distillazione, più delicato e a bassa temperatura, permette di preservare una gamma molto ampia di componenti aromatici: frutta matura, spezie dolci, fiori secchi. L’Armagnac esce dall’alambicco con un tenore alcolico inferiore rispetto ad altri distillati, intorno ai 52-60 gradi, e conserva quindi una maggiore impronta del vino originario.

Segue l’invecchiamento, sempre in botti di rovere (solitamente locale, della foresta di Monlezun). Il legno gioca un ruolo fondamentale, conferendo al distillato struttura, complessità e quella tonalità ambrata che vira verso il rame con il passare degli anni.

Un Armagnac giovane può esprimere note di frutta fresca, mela, pera, fiori bianchi. Dopo pochi anni, compaiono la prugna secca, l’uva passa, la vaniglia e i primi sentori legnosi. Gli invecchiamenti lunghi (oltre i 20 anni) sviluppano aromi più profondi: cera d’api, tabacco, cuoio, cacao, tè nero.

In bocca, l’Armagnac si distingue per un attacco deciso ma equilibrato, una progressione avvolgente e un finale lungo, spesso segnato da note speziate. Non esistono due Armagnac identici: ogni produttore, ogni annata, ogni bottiglia racconta una storia diversa.

L’Armagnac si apprezza a temperatura ambiente, servito in bicchieri a tulipano che concentrano gli aromi. Evitare i balloon troppo larghi, che disperdono i profumi.

Si consiglia di degustarlo dopo cena, da solo, o in abbinamento a cioccolato fondente, frutta secca o formaggi stagionati. Alcuni intenditori lo preferiscono leggermente intiepidito, tenendo il bicchiere tra le mani per sprigionarne le sfumature.

Negli ultimi anni, alcuni mixologist hanno riscoperto l’Armagnac anche in miscelazione, utilizzandolo come base nobile per reinterpretare grandi classici come il Sazerac o il Sidecar.


Ricetta: Filetto di anatra all’Armagnac e prugne

Un classico della cucina guascone, perfetto per esaltare l’aromaticità del distillato in un piatto conviviale.

Ingredienti per 4 persone:

  • 2 petti d’anatra (circa 600 g)

  • 150 g di prugne secche denocciolate

  • 150 ml di Armagnac

  • 1 bicchiere di fondo bruno (o brodo di carne)

  • 2 cucchiai di miele di castagno

  • 1 rametto di timo fresco

  • Sale e pepe nero q.b.

Preparazione:

  1. Marinatura:
    Metti le prugne in ammollo con metà dell’Armagnac per almeno 1 ora.

  2. Cottura della carne:
    Incidi la pelle dei petti d’anatra con un coltello affilato, senza intaccare la carne. Scalda una padella senza grassi e cuoci i petti dalla parte della pelle per 6-7 minuti, fino a doratura. Gira e cuoci altri 3-4 minuti. Tieni in caldo.

  3. Salsa:
    Nella stessa padella, sfuma con l’Armagnac restante. Aggiungi il miele, le prugne con il liquido della marinatura, il fondo bruno e il timo. Lascia ridurre fino a ottenere una salsa lucida e profumata. Regola di sale e pepe.

  4. Servizio:
    Affetta i petti d’anatra, disponili nei piatti e nappali con la salsa. Accompagna con patate arrosto o purè di sedano rapa.

Oltre al classico abbinamento con la carne — in particolare con l’anatra, il fagiano, il coniglio o i fegatini — l’Armagnac rivela la sua versatilità anche in preparazioni dolci. Non è raro trovarlo nelle cucine della Guascogna come ingrediente per crêpes flambées, sablés al burro salato, oppure per aromatizzare creme e ganache al cioccolato fondente.

Un dessert tradizionale che ne esalta l’intensità è la tarte aux pruneaux à l’Armagnac, dove le prugne secche vengono fatte rinvenire nel distillato e poi adagiate su una crema frangipane profumata, in un abbraccio tra morbidezza, acidità e calore.

In pasticceria, l’Armagnac è meno aggressivo rispetto ad altri spiriti ad alta gradazione: il suo profilo rotondo e fruttato si presta bene a impasti lievitati, mousse, semifreddi e riduzioni per crostate rustiche. Persino alcune gelaterie artigianali francesi ne propongono una versione “adulta” come gusto estivo, accostandolo a fichi caramellati o noci Périgord.

Uno degli aspetti più affascinanti dell’Armagnac è la sua intima relazione con il tempo. È una bevanda che non ammette scorciatoie: ogni fase, dalla vendemmia all’invecchiamento, richiede pazienza e dedizione. Ci sono botti di Armagnac che riposano per decenni prima di essere imbottigliate, custodendo in silenzio la storia di una famiglia, di un'annata, di una stagione climatica unica.

Molti produttori propongono le cosiddette "vintage", ovvero bottiglie millesimate che riportano sull’etichetta l’anno esatto della distillazione. Acquistare un Armagnac millesimato è come possedere un piccolo pezzo di tempo liquido: si presta a regali commemorativi, celebrazioni importanti, o semplicemente alla costruzione di una propria memoria gustativa.

In un'epoca segnata dal consumo veloce e dalla disponibilità immediata, l’Armagnac rappresenta l’opposto: un invito alla riflessione, all’ascolto del silenzio, alla consapevolezza di ciò che scorre, dentro e fuori dal bicchiere.

Negli ultimi anni, l’Armagnac sta vivendo una rinascita, seppur silenziosa. Giovani produttori, enologi appassionati e distillatori indipendenti stanno ridando nuova linfa a questo distillato con approcci sostenibili, micro-produzioni biologiche, e una maggiore attenzione all’espressività territoriale.

I sommelier lo riscoprono come digestivo nobile, i bartender lo reinterpretano nei cocktail d’autore, e persino i collezionisti iniziano a valorizzarlo per la sua rarità e autenticità. Non si tratta solo di una riscoperta commerciale, ma di una vera e propria riconsacrazione culturale.

Molti château, piccoli e medi, aprono oggi le porte ai visitatori curiosi: degustazioni guidate tra le botti, passeggiate tra i filari, cene a tema dove ogni portata è pensata per valorizzare una tipologia di Armagnac. Un turismo lento e consapevole che coinvolge i sensi e la mente.

In un mondo in cui tutto tende alla semplificazione, cosa succede se scegliamo un liquido complesso, nato in silenzio e maturato nel legno per anni, talvolta per decenni?

L’Armagnac non cerca approvazione. Non è stato creato per affascinare al primo sorso, né per brillare nei riflettori. È una bevanda che chiede ascolto, attenzione, tempo. Ma chi sa concedergli il giusto spazio, scoprirà un universo profondo, intimo, antico.

Allora, forse, la vera domanda è: siamo ancora capaci di attendere?

martedì 26 marzo 2024

Cuore di Settembre: Il Cocktail che Racconta la Fine dell’Estate

C’è un momento dell’anno in cui il sole inizia a smorzare la sua ferocia, la luce si fa più dorata e le giornate si accorciano senza fretta. Le notti diventano più fresche, e i mercati si riempiono dei frutti più maturi: fichi dolcissimi, susine compatte, uva croccante e le prime mele appena colte. È in questa stagione sospesa che nasce il Cuore di Settembre, un cocktail che celebra la transizione, la malinconia luminosa della fine dell’estate.

Il Cuore di Settembre non è solo un drink: è una dedica liquida a chi ama l’equilibrio tra dolcezza e acidità, tra sole e ombra, tra il desiderio di trattenere l’estate e l’accettazione serena dell’autunno imminente. La sua ricetta, raffinata ma profondamente sensoriale, nasce da un’intuizione di barman italiani che, affascinati dai colori e dai profumi della frutta tardiva, hanno voluto creare qualcosa che si beva con lentezza, magari su un terrazzo, mentre il cielo si tinge di rame.

Il Cuore di Settembre compare per la prima volta tra le proposte di un piccolo cocktail bar affacciato sul lago di Como, “La Pigna d’Oro”, noto per la sua attenzione ai prodotti locali e stagionali. Era il 2016, e il barista di allora, Matteo Riolo, cercava un modo per celebrare la chiusura della stagione estiva con un drink che non fosse né troppo estivo né già invernale.

Trovò ispirazione nella composta che la nonna gli preparava ogni settembre: fichi, uva fragola, un po’ di limone e una punta di grappa. Da lì nacque un equilibrio di ingredienti che è diventato la firma del cocktail: il profumo profondo del fico, la freschezza acidula del limone, la rotondità di un distillato aromatico, e un tocco finale erbaceo che richiama le erbe spontanee che cominciano a spuntare sui pendii ombrosi.

Il nome venne da sé, suggerito da una cliente affezionata: “Sa di qualcosa che finisce e comincia insieme. Sa di settembre”.

Ingredienti e strumenti

Per un bicchiere:

  • 45 ml di grappa aromatica (meglio se di moscato o malvasia)

  • 25 ml di succo di fichi freschi (filtrato)

  • 20 ml di succo di limone fresco

  • 15 ml di sciroppo di miele e rosmarino (ricetta sotto)

  • 2 gocce di tintura di lavanda (facoltativa)

  • ghiaccio tritato q.b.

  • fetta di fico fresco e rametto di rosmarino per guarnire

Per lo sciroppo al miele e rosmarino:

  • 100 ml di acqua

  • 100 g di miele d’acacia

  • 1 rametto di rosmarino fresco

Portare a ebollizione acqua e rosmarino, spegnere e lasciare in infusione per 5 minuti. Filtrare e sciogliervi il miele. Lasciar raffreddare completamente prima dell’uso. Si conserva in frigo per una settimana.

Preparazione

1. Estrarre il succo:
Per ottenere il succo di fichi, è preferibile utilizzare frutti ben maturi. Sbucciarli, frullarli brevemente e filtrare il succo attraverso una garza o un colino a maglia fine. Il risultato sarà un liquido denso, profumato, dal colore rosato.

2. Miscelazione:
Riempire lo shaker con ghiaccio. Aggiungere la grappa, il succo di fichi, il succo di limone e lo sciroppo al miele e rosmarino. Se si vuole arricchire il bouquet aromatico, aggiungere ora le gocce di lavanda.

3. Agitare e servire:
Shakerare energicamente per 15-20 secondi, poi versare in un bicchiere lowball precedentemente raffreddato, colmando con ghiaccio tritato. Guarnire con una fetta di fico sul bordo del bicchiere e un piccolo rametto di rosmarino.

Al primo impatto, il Cuore di Settembre colpisce per la sua intensità olfattiva: il fico rilascia note mielate, mentre il rosmarino regala una freschezza verde, quasi boschiva. La grappa, spesso temuta per il suo carattere vigoroso, qui si ammorbidisce in una struttura rotonda e persistente. Il limone alleggerisce l’insieme e dona equilibrio, evitando che la dolcezza prenda il sopravvento. Il retrogusto è lungo, con richiami floreali e una piacevole secchezza che invita a un secondo sorso.

Il Cuore di Settembre è un cocktail che può sorprendere anche in abbinamento gastronomico. Funziona splendidamente con:

  • formaggi erborinati, come un gorgonzola dolce o una robiola stagionata

  • crostini con lardo e miele di castagno

  • tartare di tonno con sesamo e agrumi

  • carpaccio di funghi porcini con scaglie di parmigiano

Grazie alla sua complessità, riesce ad accompagnare antipasti autunnali e a contrastare piatti con tendenza grassa o sapidità spiccata.

In un panorama sempre più saturo di drink fotocopia, il Cuore di Settembre rappresenta una ventata di autenticità. Non solo per la scelta degli ingredienti, ma per la filosofia che lo ispira: stagionalità, artigianalità, senso del luogo. È un cocktail che si racconta mentre lo si prepara, che coinvolge i sensi in maniera completa, e che invita alla calma e alla contemplazione.

Non è un drink da sorseggiare in fretta: ogni sorso merita attenzione, ogni dettaglio — dal profumo del rosmarino alla consistenza del fico — è pensato per lasciare un’impressione profonda. È una bevanda che celebra il tempo e la natura, che sa parlare di un momento preciso dell’anno con precisione poetica.





domenica 24 marzo 2024

Americando – Il cocktail che racconta l’Italia vista dal bancone di un diner

Lontano dai cliché e vicino al cuore, Americando è più di un drink: è un ponte liquido tra l’eleganza italiana e l’irriverenza americana, tra l’amaro delle tradizioni e la dolcezza cinematografica degli anni ’50. Un cocktail creato per sorprendere, ma anche per raccontare.

Con una base che richiama il classico Americano, questo twist moderno aggiunge una nota affumicata e un tocco speziato, giocando su contrasti perfettamente bilanciati. Americando è l’aperitivo di chi ama l’eclettismo, la contaminazione e i racconti con un finale inaspettato.

Ingredienti

  • 3 cl Vermouth rosso italiano (meglio se con note botaniche marcate)

  • 3 cl bitter artigianale (tipo Campari o simile, ma con corpo)

  • 1 cl Rye whiskey affumicato

  • 1 cl succo di pompelmo rosa fresco

  • 1 spruzzo di soda ghiacciata

  • Scorza d’arancia per guarnire

  • Cubetti di ghiaccio o blocco unico

Preparazione

  1. Riempite un bicchiere old fashioned con cubetti di ghiaccio o un blocco di ghiaccio singolo per una diluizione più controllata.

  2. Versate nell’ordine: il vermouth rosso, il bitter e il rye whiskey affumicato.

  3. Aggiungete il succo di pompelmo rosa fresco, filtrato per evitare polpa.

  4. Completate con uno spruzzo di soda, giusto quanto basta per allungare il drink senza spegnerne l’intensità.

  5. Mescolate delicatamente con uno stirrer o un bar spoon per amalgamare gli aromi senza perdere gas né temperatura.

  6. Rifinite con una scorza d’arancia espressa sul drink, passata sul bordo del bicchiere e lasciata come guarnizione.

Americando entra morbido, con il dolce-amaro familiare del vermouth e del bitter, poi sorprende con il carattere deciso e affumicato del rye whiskey. Il pompelmo rosa pulisce il palato, prepara al sorso successivo e alleggerisce la struttura. La soda regala quella vivacità che tiene il cocktail vivo, dinamico.

Il risultato è un drink elegante e moderno, che si beve con facilità ma rivela sfumature sempre nuove. Un aperitivo per chi ha nostalgia del bancone, ma lo vuole con stile italiano e spirito da frontiera.

Perfetto per un pre-serata che sa di jazz e neon, Americando si adatta bene anche al dopocena, grazie alla sua capacità di restare memorabile senza essere invadente. È il cocktail che ordineresti in un film di Tarantino, servito da un bartender con tatuaggi vintage e sguardo ironico.

Un sorso di America, ma scritto in italiano.




sabato 23 marzo 2024

Cocktail Hugo Supreme – Eleganza frizzante con un tocco piccante

L’Hugo è nato come alternativa alpina allo Spritz, ma in questa rivisitazione chiamata Hugo Supreme, si veste di lusso e carattere: il classico bouquet floreale si fonde con l’effervescenza dello Champagne e un’imprevista punta di peperoncino. Un cocktail sofisticato, aromatico, dal gusto bilanciato tra freschezza, dolcezza e una lieve scossa finale.

Ingredienti

  • 10 cl Champagne Pommery

  • 3 cl Holler Sambo Roner (liquore ai fiori di sambuco)

  • 1 cl succo di lime fresco

  • Top di soda

  • 1 rametto di menta fresca

  • 1 fettina di lime

  • ½ peperoncino fresco (senza semi)

  • Cubetti di ghiaccio

Preparazione

  1. In un calice ampio da vino (o da cocktail), versate prima il liquore di sambuco e il succo di lime.

  2. Aggiungete lo Champagne, versandolo lentamente per non disperdere le bollicine.

  3. Completate con un tocco di soda, solo quanto basta per dare respiro al cocktail senza coprirne il gusto.

  4. Aggiungete alcuni cubetti di ghiaccio e un rametto di menta, che rilascerà al naso il suo profumo erbaceo.

  5. Inumidite i bordi del calice con una fettina di lime, poi lasciatela cadere delicatamente nel bicchiere.

  6. Mescolate molto delicatamente con uno stirrer o un cucchiaino lungo.

  7. Per concludere, inserite mezzo peperoncino fresco privato dei semi: darà una nota speziata decisa ma non invadente, lasciando in bocca un finale sorprendente e persistente.

L’Hugo Supreme si distingue per l’equilibrio tra dolcezza floreale, acidità e spezie. Lo Champagne, rispetto al classico Prosecco dell’Hugo originale, dona struttura e finezza. Il peperoncino, insolito ma calibrato, è il colpo di scena che trasforma un aperitivo in una firma d’autore.

Perfetto per un aperitivo elegante, ma anche come apertura di una cena fusion o durante una serata estiva tra amici, il Supreme racconta una storia: quella di un classico reinventato senza perdere la sua anima.

Servitelo in calici trasparenti, con foglie di menta ben visibili e ghiaccio lucente: ogni dettaglio deve esprimere cura e audacia.



 
Wordpress Theme by wpthemescreator .
Converted To Blogger Template by Anshul .