domenica 6 ottobre 2019

Rivella

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Rivella è una bevanda gassata (soft drink) originaria della Svizzera, creata da Robert Barth nel 1952, è prodotta a partire dal siero di latte bovino e perciò contiene fra i suoi componenti lattosio, acido lattico e sali minerali. Esiste in dieci diverse varietà:
  • Rivella Rossa, la versione originale
  • Rivella Blu, una versione a basso contenuto di calorie dal 1959
  • Rivella Verde, introdotta nel 1999, aromatizzata con estratti di tè verde
  • Rivella Passaia ai frutti della passione dal 1964
  • Rivella alla frutta mista
  • Rivella al succo d'uva
  • Rivella Peach alla pesca
  • Rivella Mango
  • Rivella Rabarbaro
  • Rivella ai fiori di sambuco dal 2019
Il riferimento ad un colore nel nome del prodotto è da considerarsi relativo solo alla confezione (bottiglia), il prodotto in sé stesso presenta una colorazione giallo-paglierino trasparente.
Rivella è molto popolare nel paese di origine, la Svizzera, ma è disponibile anche in alcuni altri stati europei quali i Paesi Bassi, la Germania, il Lussemburgo, l'Austria e nella parte est della Francia. Rivella è stata distribuita per un anno negli Stati Uniti, ma nel 2005 è stata ritirata dal mercato a causa dei bassi volumi di vendita.

Nome
Il nome "Rivella" proviene dalla località del Canton Ticino Riva San Vitale, incrociato con il termine "rivelazione" originariamente proposto dall'ideatore della bevanda.


sabato 5 ottobre 2019

Thandai

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Thandai, o shardai, è una bevanda fredda indiana preparata con un mix di mandorle, semi di finocchio, semi d'anguria, petali di rose, pepe, semi di vetiver, cardamomo, zafferano, latte e zucchero. È nativa dell'India ed è spesso associato con la Maha Shivaratri e l'Holi o l'Holla mahalla. È più comunemente consumato nell'India nordoccidentale. Ci sono varianti del Thandai e le più comune sono il badam (mandorla) thandai e il bhang (cannabis) thandai.

Varianti
Nonostante con thandai ci si riferisca ad una tradizionale bevanda festiva fatta con spezie esotiche e noci, questa versatile bevanda può anche essere preparata in molti modi diversi.

Tipi di Thandai
Nome
Descrizione
Thandai Anche conosciuto come badaam thandai, è una ricetta tradizonale preparata con noci e spezie esotiche.
Rose thandai Questa versione del thandai è fatta con petali ed essenza di rose.
Mango thandai Questa versione del thandai aggiunge purè di mango che la rende una perfetta bevanda rinfrescante estiva.
Badaam kesar thandai Fatta con badaam (mandorle) e kesar (zafferano), questa bevanda è spesso consumata durante le estati calde.
Bhang thandai Questa variante è una bevanda con infuso di cannabis che include il bhang, un preparato della cannabis, e perciò contiene THC ed altri cannabinoidi, casuando un effetto inebriante quando consumata. È spesso usato il latte intero per via del suo contenuto di grassi, insieme alle noci tritate, che aiutano a dissolvere i cannabinoidi solubili nel grasso.


venerdì 4 ottobre 2019

Fuzetea

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Fuzetea, reso graficamente come fuzetea è una linea di tè freddi commercializzati in Italia dalla The Coca-Cola Company a partire dal 2018.

Versioni
A livello mondiale sono disponibili i seguenti gusti che comprendono anche quelli presenti in Italia, ma non viceversa.
    • Pera con una nota di bergamotto;
    • Mela con una nota di lemongrass
    • Special edition Fuzetea Oolong all'Uva e Litchi
    • Special edition Fuzetea Rooibos al mirtillo e Mela con Miele

In Italia, le versioni di Fuzetea sono tre, più due versioni senza zucchero:
  • Limone con una nota di lemongrass;
    • Limone con una nota di lemongrass senza zucchero;
  • Pesca con una nota di rosa;
    • Pesca con una nota di rosa senza zucchero;
  • Tè verde e mango con una nota di camomilla.


giovedì 3 ottobre 2019

Maraschino

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Il maraschino è un liquore d'origine dalmata, dolce e incolore a base di un tipo particolare di ciliegia il Prunus cerasus, anche con il nome di visciolina o amarena), avente un contenuto alcolico del 30% circa, e tradizionalmente commercializzato in tipiche bottiglie impagliate a mano. Il liquore deve il suo nome alle varietà del frutto usato in Dalmazia la marasca (cerasus acidior), dove il maraschino è nato.

Storia

La produzione del "rosolio maraschino" ebbe inizio a Zara, nella Dalmazia veneta, fin dal medioevo. La più antica ricetta fino ad oggi pervenuta, risalente al XVI secolo, la si deve ai farmacisti di un monastero domenicano della città.
La prima produzione industriale di maraschino venne avviata nel 1759 da Francesco Drioli (Fabbrica di Maraschino Drioli). Successivamente, nel 1821, il console del Regno di Sardegna a Zara, il patrizio genovese Girolamo Luxardo, aprì l'omonima distilleria, ottenendo otto anni dopo il privilegio imperiale (da cui il nome della Privilegiata Fabbrica Maraschino Excelsior). Nel giro di breve tempo il maraschino di Zara si guadagnò una notevole fama e, grazie all'intraprendenza dei produttori, divenne il primo prodotto dalmata ad essere esportato oltreoceano.
La produzione del maraschino, proseguita in seguito all'annessione della città al Regno d'Italia, venne gravemente compromessa dagli eventi bellici della seconda guerra mondiale: in seguito ai tragici bombardamenti alleati (che distrussero gran parte della città e con essa le storiche distillerie) e alle rappresaglie dei partigiani titini (dei quali rimasero vittime anche gli industriali Pietro e Nicolò Luxardo, quest'ultimo affogato assieme alla moglie), gli imprenditori zaratini cercarono rifugio in altre regioni d'Italia, seguiti dalla stragrande maggioranza dei dalmati italiani che presero la strada dell'esodo in vista della cessione di Zara alla Jugoslavia (1947).
Nella penisola italiana il maraschino trovò tuttavia una patria d'adozione: Giorgio Luxardo dell'omonima industria Luxardo, stabilitosi a Torreglia nei pressi di Padova, già nel 1947 aprì una nuova distilleria ancor oggi in attività, mentre i Drioli ne fondarono una a Mira, vicino a Venezia (chiusa però negli anni Settanta); ripresero l'attività anche i Vlahov, altra storica famiglia di produttori di maraschino, per poi cederla alle distillerie Casoni di Modena, che tuttora producono il liquore. A Zara le autorità jugoslave ricostruirono invece la distilleria Luxardo, riprendendo la produzione di maraschino col medesimo nome finché, in seguito ad un'azione legale, la denominazione di fabbrica mutò il suo nome in "Maraska", che rappresenta tuttora il più diffuso marchio di fabbrica di maraschino croato.

Gastronomia

In cucina il maraschino viene sovente impiegato per la preparazione di dolci oppure per la correzione di macedonie di frutta o di gelati. Si presta inoltre nella preparazione di cocktail (es. Aviation cocktail).

Marchi storici

  • Maraschino Luxardo (1821)
  • Distilleria Romano Vlahov
  • Fabbrica di maraschino Francesco Drioli (1759-1978)
  • Fabbrica Maraschino Stampalia
  • Distilleria Calligarich
  • Distilleria Millicich
  • Distilleria Magazzin
  • Distilleria Stanich

Maraschino di Zara (1759-1943)

Il maraschino di Zara è il liquore tipico della città di Zara, in Dalmazia, ottenuto dalla distillazione delle marasche, i piccoli frutti asprigni del marasco ( o amarasco-cerasus acidior) che alligna spontaneo in particolari siti della costa dalmata, dai quali il liquore trae il suo particolare profumo.
La sua produzione su scala industriale fu iniziata nel 1759, sotto il dominio della Serenissima, a Zara, da Francesco Drioli, mercante veneto, nel solco di quello spirito imprenditoriale veneziano che nel Veneto seppe trasformare la popolare tradizione della distillazione domestica della grappa, in un'industria raffinata e famosa, con regole e vincoli ben definiti, codificati nell'ambito dell'“Arte dell'acqua di vita”.
Francesco Drioli, perfezionò e sviluppò gli innovativi esperimenti di distillazione delle marasche iniziati dal veneziano Giuseppe Carceniga e fondò nel 1759 l'omonima fabbrica, la Fabbrica di maraschino Francesco Drioli. A fine ‘700 il suo maraschino aveva già raggiunto grande fama ed aveva conquistato i principali i mercati europei, soprattutto quello inglese. Il primo avviso pubblicitario sul Morning Post and Daily Advertiser di Londra, nel quale la ditta Johnson and Justerini informava “the nobility and gentry” di aver “just imported a large quantity of Maraschino from Zara”…of the most exquisite flavour”, risale al 17 giugno 1779 e nel 1804 l'Imperatore d'Austria aveva concesso alla sua fabbrica il titolo di Imperial Regia Privilegiata con diritto all' uso di stemma. Richiesto dai notabili d' Europa, dai governanti e dalle corti sovrane, la fabbrica Francesco Drioli fu fornitrice patentata con diritto all'uso dei rispettivi stemmi delle case regnanti d'Austria, Italia e Inghilterra. Navi da guerra inglesi venivano inviate dalle basi di Corfù e Malta appositamente per prelevare i carichi di maraschino per i regnanti inglesi che nelle persone del Duca di York (il futuro Giorgio V) e del Duca di Edimburgo nel 1887 visitarono la fabbrica accettando “volentieri uno scelto buffet“ nell'abitazione della famiglia Salghetti-Drioli ed acquistando “più casse di Rosolio e parecchi vasi di marasche“ (Il Dalmata, a.XXII,n.77 del 28 settembre 1877). Ma fin dagli inizi il maraschino Drioli fu soggetto a contraffazioni, piaga che perseguitò sempre la fabbrica e che non cessò nemmeno dopo la sua definitiva chiusura (1980), costringendo i proprietari a continue azioni legali. Nicolò Tommaseo commentando nel suo Via Facti, la vasta diffusione del maraschino Drioli in “ Italia” e in “tutte cinque le parti del mondo” scrisse “ in tutte bevuto e in tutte falsificato…”.
Le bottiglie quadrotte, di vetro verdolino, erano fornite dalle vetrerie di Murano. L'adozione della bottiglia impagliata, secondo l'uso veneziano per i lunghi trasporti via mare, che ne rese caratteristica l'immagine nel tempo, risale già ai primi anni dell' 800. Fu dopo il passaggio del Veneto sotto sovranità italiana che Francesco Salghetti-Drioli, di Giuseppe, promosse la costituzione in loco di una “ Fabbrica Vetrami” per la quale fece venire da Murano manodopera specializzata e della quale fu il primo presidente.
La diffusione del maraschino rese internazionale anche il nome di Zara e stimolò il sorgere e l'affermarsi successivo di altre fabbriche, tra le quali la Girolamo Luxardo (1821) e la Romano Vlahov (1861). Tutte queste, nel loro insieme, costituirono “l'industria del maraschino di Zara” della quale Francesco Drioli è il riconosciuto fondatore.
La seconda guerra mondiale, con i bombardamenti di Zara ed il successivo passaggio della città sotto sovranità jugoslava, chiuse un'epoca. I proprietari delle tre più importanti distillerie, Vittorio Salghetti-Drioli, Giorgio Luxardo e Romano Vlahov, rifugiatisi in Italia, ricostruirono nell'immediato dopoguerra le loro attività rispettivamente a Mira, nel Veneziano, a Torreglia nei pressi di Padova e a Bologna. Vittorio, che era riuscito mettere a punto l'attività produttiva già entro il 1946, non ebbe difficoltà a riprendere tutti i tradizionali mercati mondiali, principalmente quelli inglese e di area anglofona, contemperando sapientemente l'antica prestigiosa tradizione della sua fabbrica con il rinnovamento delle metodiche di produzione e di sviluppo richieste dai tempi post-bellici profondamente mutati.
Con Vittorio Salghetti-Drioli, sesto e ultimo erede del ramo dalmata della storica famiglia fondatrice dell' industria del maraschino di Zara , si concluse la sua storia familiare e, nello stesso tempo, la bicentenaria storia della Francesco Drioli, la più antica fabbrica di liquori italiana. Dopo la sua morte, l'azienda fu acquistata dalla Società Europea spa.di Milano, che, dopo breve tempo, ne sospese la produzione e chiuse l' attività lasciando decadere il marchio (1980).
A memoria della storia del “maraschino di Zara“ resta l'importante archivio Salghetti-Drioli che, dalla seconda metà del ‘700 arriva fino al 1943. Di questo, uno spezzone è conservata in famiglia a Vicenza e, dichiarato nel 1991 di “notevole interesse storico” dal Ministero per i Beni e le attività culturali, è stato inventariato dalla prof.ssa G. Bonfiglio-Dosio. Lo spezzone rimasto a Zara, confiscato dopo la guerra con il passaggio di Zara sotto la Jugoslavia, è conservato nell'Archivio di Stato di Zara (Drzavni Arhiv u Zadru) nel Fondo Tvornica F. Drioli ed è stato catalogato dall'archivista Marijan Maroja. L'archivio nel suo insieme documenta non solo la storia della fabbrica e il suo sviluppo nel succedersi delle sette generazioni di imprenditori e il loro non indifferente apporto alla storia di Zara, ma apre un ampio panorama sugli avvenimenti storici che sconvolsero l'area adriatica e che si dipanano dalla caduta della Serenissima Repubblica (1797) fino al passaggio di Zara sotto sovranità jugoslava (1945), attraversando il periodo austriaco, poi francese, quindi ancora austriaco, e infine italiano, offrendo un inedito campo di indagine a storici ed archivisti (11).
Dopo la guerra, a Zara, nella consapevolezza dell'importanza che l'industria del maraschino aveva avuto della storia della città, si volle riprendere l'attività produttiva e i patrimoni confiscati alle storiche fabbriche con tutte le attrezzature ancora agibili furono riuniti in un'unica impresa e costituirono il capitale che permise il sorgere di una nuova fabbrica con sede nell'ex opificio Luxardo denominata “Maraska“, ora Maraska Company Zadar, che continuò la tradizionale attività, ampliandola con la gamma dei liquori di assortimento e di sciroppi, e divenendo, in campo liquoristico, la più importante della Croazia.



mercoledì 2 ottobre 2019

Ladyboy

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Il Ladyboy è un cocktail alcolico riconosciuto ufficialmente dalla International Bartenders Association ("IBA"), sotto la categoria Special Cocktail di cui è unico membro, fino al 24 novembre 2011, da quella data il ladyboy è stato eliminato dalla nuova codificazione dei cocktails da parte dell'IBA

Ingredienti
  • 3.5 cl di crema di whiskey
  • 3.5 cl di Brandy
Preparazione
Si prepara versando baileys e brandy in un tumbler basso (Old fashioned) con ghiaccio, mescolando delicatamente. Infine guarnire con un bastoncino di cannella e cospargere con noce moscata grattugiata.

Storia
Questo cocktail è stato creato da un reporter fotografico, Phil Coburn che lavora per la sede di Londra del Sunday Mirror. Una notte nel 2003, Phil e i suoi colleghi erano in una stanza di albergo in Giordania pronti ad andare in Iraq. Per attenuare la noia, Phil ideò questo cocktail (definito da lui stesso "terribile"), convincendo anche il barman dell'hotel Intercontinental di Amman che fosse un vero cocktail. Nel gennaio 2010 in Afghanistan, Phil e il suo reporter, subirono un duro attentato terroristico dove Phil, anche se sopravvissuto, perse entrambe le gambe all'altezza del ginocchio.
L'International Bartenders Association ha voluto citare il cocktail di Phil, aggiungendolo in una nuova categoria, gli "Special Cocktail", dove al momento figura solo.


martedì 1 ottobre 2019

Il bar di Bologna che fa cocktail a scarto zero

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Scarto a Bologna è nato per combattere lo spreco nella mixology, ma ora il locale di via della Braina è diventato molto, molto di più.
Fino a qualche anno fa le tendenze nel mondo della ristorazione avevano a che fare con sifoni, azoto, elio. La sperimentazione era fine a se stessa, la creatività volta solo a stupire. Ma the times they are a changin’ e se il resto del mondo riscopre di avere una coscienza ambientale, o quantomeno ci prova, le istanze etiche arrivano anche nel mondo della gastronomia.
E anche bere (bene) diventa un atto consapevole.
Si lavora sulle fermentazioni, sulle essiccazioni, su qualsiasi tecnica che permetta di prolungare la ‘vita’ dei prodotti
La storia di Scarto comincia a Zurigo. Quattro anni Carsten Steinacker lavorava nel proprio studio di architettura ma come hobby faceva il barman. “Sentivo che il lavoro della mixology mancava di contenuto,” racconta Carsten in italiano quasi perfetto, con accento solo vagamente nordico, intervallato qua e là da inflessioni bolognesi. Un anno fa sapeva dire solo 'Ciao' ma si sa, la mancanza di conoscenza dell’inglese degli italiani spinge ad arrangiarsi. “Una sera eravamo quattro amici al bar, come si dice, con un bel po’ di birrette. E io ho buttato lì: ‘Perché non facciamo qualcosa contro lo spreco?’. La professione della mixology è piena di sprechi. Buttavamo via cinque litri di limone ogni settimana! Uno di noi, Stefano, ha proposto la sua città, Bologna: nessuno la conosceva. Ci siamo andati e ci è piaciuta subito”. Seguono mesi di negoziazione con il Comune per trovare una sede alla neonata Associazione Scarto. Arrivano in questo ex monastero in via della Braina, in pieno centro storico, senza acqua né elettricità. È inizio 2018. Iniziano a lavorarci.
Se all'estero la filosofia del zero waste applicata alla mixology esiste già, in Italia è il primo esperimento di questo genere che peraltro nasce in una città, Bologna, già capostipite nella lotta allo spreco con l'esperimento dei Last Minute Market.
Ad avviare il locale c’è la nostra amica Victoria Small, conosciuta da Carsten al Wood*Ing Bar di Milano, dove Valeria Mosca applicava le ricerche del suo Wood*Ing Lab al bere miscelato. Dopo i primi tre mesi di avviamento è lei a consigliare il nome di Alessio Ghiringhelli e Laura Angelina, conosciuti proprio a un corso sul foraging. Il trio di Scarto è al completo.
È così la sua etica di bar a spreco zero: si lavora sulle fermentazioni, sulle essiccazioni, su qualsiasi tecnica che permetta di prolungare la ‘vita’ dei prodotti e utilizzarne parti normalmente neglette.
"Vogliamo che la gente si diverta: bere bene, chiacchierare. Solo dopo spieghiamo. Non vogliamo vendere il bar con l’idea verde."
L’anno scorso ho frequentato Scarto a cavallo dell’apertura. Poi non ci sono andata per un anno, nonostante si trovi nel mio quartiere, perché è così, a volte i luoghi più vicini a te sono quelli che dimentichi, i tuoi amici frequentano altri locali, eccetera. Li seguivo sui social. Vedevo i loro corsi in cui insegnavano a fare il kombucha, il kimchi o la ginger beer. Vedevo cocktail accattivanti. E alla fine questo settembre mi sono detta: è decisamente il momento di tornarci.
Intanto sorseggio Par*fume, un gin tonic dove al posto della tonica c’è un vino autoprodotto di ribes
Cos’è cambiato, in un anno? Prima di tutto l’ambiente. Le tre stanze sono adesso arredate con arredi di legno fatti a mano. C’è un vero e proprio bancone. C’è una linea di liquori autoprodotti: infuso all’abete rosso, umeshu con prugne locali, nocino. “Abbiamo preso le misure, capito cosa possiamo e non possiamo fare. L’idea è sempre quella: sprecare il meno possibile e usare metodi di conservazione per preparare i cocktail. Ma sono cambiati i prodotti,” spiega Carsten. “Ora abbiamo un rapporto più stretto con i fornitori locali. Inoltre ci hanno lasciato sette metri quadri di orto dietro al nostro cortile dove coltiviamo fragole, pomodori, aglio e cipolla. A un paio di chilometri ci sono i colli, dove è pieno di piante aromatiche da raccogliere.” Intanto io sorseggio un Par*fume, un gin tonic dove al posto della tonica c’è un vino autoprodotto di ribes; in menu è segnato come fragola, ma quello l’hanno finito. A comandare sono le stagioni e non il cliente.
Producono molti "vini di frutta", dove il frutto viene macerato intero dentro l’acqua, per poi aggiungere scorza di limone, zucchero e lieviti da champagne che "mangiano meglio gli zuccheri, in modo che il risultato finale sia secco, con un grado alcolico medio e una bolla fine, intorno ai 7 gradi," mi spiega Laura. Provo il vino di banana: buonissimo, e sorprendentemente poco dolce.
“Il nostro sistema di per sé non genera sprechi, contribuendo a un’economia circolare del territorio: non correggiamo un meccanismo che non va, ne abbiamo creato uno che funziona senza scarti."
Un amico di fianco a me beve un gin tonic con vino di cetriolo: un esperimento con scarti dell'ortaggio che è sorprendentemente ben riuscito. Un altro beve un Negroni con un bitter di bacche di alloro. Ci sono i cocktail tradizionali, ma rivisitati e un piccolo menu che cambia ogni giorno, anzi, ogni ora, scherzano. Siamo in pratica ancora in estate quindi no, niente arance né limoni, che comunque cercano sempre di evitare. L’idea di base è: usare prima l’ingrediente fresco e poi quello conservato.
Ma questo te lo dicono solo te lo chiedi. “Vogliamo che la gente si diverta: bere bene, chiacchierare. Solo dopo spieghiamo. Non vogliamo vendere il bar con l’idea verde," dice Carsten. "Altrimenti facciamo un lavoro limitato, arrivando solo a gente del settore. Io nel mio locale vorrei la vecchietta che abita qui di fianco così come Green Peace. Vorremmo arrivare a stampare un libro, che spieghi la nostra filosofia, da dare ai nostri clienti che hanno tempo e voglia di leggerlo."

IL COCKTAIL CON ACQUA DI KOJI.
Arrivano altri cocktail. Il Cir*cularity è fatto con un infuso di mosto, Trebbiano e Mulsum. Strepitoso. Poi l’Aci*dity con whisky, shrub di prugne, vino giovane francese: la polvere di ibisco sul bordo del bicchiere lo rende pericolosamente facile da bere. Chiudiamo con un cocktail fuori carta a base di sake, umeshu, acqua di scarto del koji (anche le ceramiche, bellissime, sono "a km 0": vengono dallo splendido negozio Bifranci).
I prezzi oscillano tra i 7 e gli 11 euro, come in un qualsiasi cocktail bar di livello medio-alto in città, ma tutti i liquori hanno quasi la metà dello zucchero normale - e i cocktail hanno nettamente meno alcol. Diciamo che è molto difficile uscire senza berne due o tre, anche per l'abilità di Laura e Alessio nel capire e assecondare i gusti. C’è poi una bella offerta non alcolica, con in testa i kombucha - in questo momento al caffè o alle more di gelso - che sono l’unico loro prodotto a fermentazione spontanea, visto che normalmente le tengono molto controllate. Su ogni scaffale ci sono barattoli colorati, misteriosi contenitori di cose che fermentano. E poi c’è una cucina dove ora, dopo un anno di panini e taglieri, c’è un vero e proprio cuoco.
Gian Maria Fano era primo di tutto un cliente che faceva chiusura da Scarto tutte le sere. Aveva lavorato, tra gli altri posti, al Kadeau di Copenaghen e a Tokyo. In nessun ristorante italiano trovava qualcuno che condividesse la sua "etica ed estetica”. Qui li ha trovati. Per ora può solo preparare piatti freddi (ma i permessi per una vera e propria cucina sono in arrivo): piccoli e deliziosi snack come rape, prugne marinate nel kombucha (resti dello shrub), ibisco e polvere di lievito. "Con la fermentazione in Italia siamo in una zona grigia: si può fare ma nessuno ti dice come," spiega Gian Maria. "Non c’è una legislazione, non c’è un protocollo definito. In realtà basta seguire le linee guida dell’igiene. Il problema più grave è fare qualcosa che faccia schifo,” riassume ridendo. Assaggiamo anche i cetrioli con maionese alle nespole salate: la presenza del miso li rende una bomba di umami.
"Il lavoro sullo scarto non è morto," conclude Carsten. "Ma a questo abbiamo aggiunto il metodo intelligente di un sistema autonomo che non genera sprechi, contribuendo a un’economia circolare. Ad esempio, con il contadino da cui facciamo le verdure, riusciamo a fare piani annuali di coltivazione. Non correggiamo un meccanismo che non va, ne abbiamo creato uno che funziona senza scarti; non andiamo a riparare buchi, ma li preveniamo”. Un cocktail bar inserito nel territorio, insomma, sostenibile proprio perché in connessione con i produttori e non una sperimentazione fine a se stessa.
Attenti: non chiedete mai una cannuccia di plastica.

Paradise

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Il Paradise è un all day cocktail a base di gin e apricot brandy e succo d'arancia. Trattasi di un cocktail ufficiale IBA.

Composizione
  • 3,5 cl di gin
  • 2 cl di brandy all'albicocca (apricot brandy)
  • 1,5 cl di succo d'arancia
Preparazione
Riempire una coppetta da cocktail con del ghiaccio per raffreddarla. Riempire di ghiaccio uno shaker, togliervi l'acqua in eccesso, poi aggiungervi 3,5 cl di gin, 2 cl di brandy all'albicocca e 1,5 cl di succo d'arancia fresco ed agitare bene. Filtrare il contenuto dello shaker nella coppetta da cocktail svuotata del ghiaccio. Servire senza cannuccia.


 
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