Il termine ratafià, denominato
localmente anche ratafia o rataffia, indica qualsiasi
tipo di liquore composto da un infuso a base di succhi di frutta e
alcool. Esistono diverse tradizioni locali, principalmente in Italia,
Spagna, Francia e la Svizzera.
Il ratafià piemontese viene prodotto
su tutto l'arco alpino dov'è bevanda tradizionale (conosciuta e
prodotta anche sul versante francese delle Alpi). Storica è la
produzione ad Andorno Micca, paese della provincia di Biella, dove
già nel 1600 il ratafià veniva prodotto nel monastero di Santa
Maria della Sala. Successivamente la lavorazione divenne
caratteristica di alcune famiglie del paese, che dal 1880 è sede
della storica fabbrica "Cav. Giovanni Rapa". Storica è
anche la produzione del Ratafia prodotto nell'Antica Distilleria
Alpina Bordiga in Cuneo dal 1888.
In Abruzzo e Molise, la ratafià è un
liquore diffuso in tutta la regione a base di amarene e di vino rosso
ottenuto da uve del vitigno Montepulciano. È tradizionalmente
prodotta ponendo, in proporzioni variabili secondo la ricetta locale,
amarene mature intere o snocciolate e zucchero dentro recipienti di
vetro esposti al sole per circa 30 giorni, al fine di favorire la
fermentazione. Al prodotto così ottenuto si aggiunge poi il vino
rosso, lasciando macerare e agitando periodicamente il tutto per
almeno altri 30 giorni, ma si può arrivare anche a 5-6 mesi. Il
prodotto è poi filtrato e imbottigliato. In alcuni casi dopo la
filtrazione si aggiunge dell'alcool per aumentarne la gradazione. In
Ciociaria, nella zona vicina alla dorsale appenninica, e quindi
all'Abruzzo, viene aggiunta anche qualche goccia di caffè insieme
alla cannella ed alla vaniglia. È un liquore dal gusto dolce e
piacevole, con una gradazione alcolica variabile secondo la tecnica
di produzione: da 7-14% vol. a 20-22% vol. con l'aggiunta di alcool.
Il colore è rosso più o meno intenso e ha l'odore caratteristico di
amarene e frutti di bosco. È normalmente consumato giovane, per
apprezzarne la maggiore freschezza degli aromi. La preparazione e
l'uso della Ratafia rientrano nella secolare tradizione contadina
tramandata di generazione in generazione. Come riferisce Alessio de
Berardinis in "Ricordi sulla maniera di manifatturare vini e
liquori" (Teramo 1868) "il nome... gli fu dato da quell'uso
che anticamente avevano gli ambasciatori delle potenze belligeranti
quando trattavano della pace ad una lieta mensa, di bere questo
liquore e di pronunciare quelle semplici parole latine Pax rata
fiat!" A parte queste ipotesi, forse pittoresche e fantasiose,
il liquore era usato, più prosaicamente, per sancire gli accordi
commerciali o la stipula di atti notarili e legali al termine delle
trattative.
Il ratafià è stato uno dei liquori
principi del Settecento e dell'Ottocento. Inoltre nel Lazio a Nettuno
la rattafia è una vera e propria tradizione quanto il Cacchione DOC
tipico vino nettunese.
Si producono bevande simili in altri
paesi europei, in particolare in Spagna, Francia e la Svizzera.
Il ratafià catalano è quasi la
bevanda nazionale al nord della Catalogna.
Da alcuni il termine è fatto risalire
a tafià, un'acquavite delle Antille ricavata dalla canna da
zucchero, ma è più verosimile la spiegazione popolare
paretimologica che lo fa derivare dal latino rata fiat (da cui
i termini italiano "ratificato" e francese "ratifié"),
col significato approssimativo di "si decida",
evidentemente allusivo alla bevuta di questo liquore come suggello di
un contratto verbale, atto sostitutivo della più comune stretta di
mano.
In piemontese "rata fià"
significa "gratta fiato".
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