mercoledì 14 ottobre 2020

Frullatore

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Il frullatore è un utensile da cucina utilizzato per tritare, mescolare o emulsionare del cibo. Si compone, nella versione "classica", di una base contenente un motore elettrico (da appoggiare sul piano di lavoro), e di un recipiente verticale dotato di coperchio (detto "bicchiere") dove vengono inseriti gli ingredienti.
Il motore, generalmente dotato di più velocità di rotazione, aziona una lama metallica sagomata "a croce", posta alla base del bicchiere, la cui rapidissima rotazione permette di sminuzzare e mescolare gli ingredienti (ad esempio per produrre sfarinati di frutta a guscio oppure frullati di frutta o verdura), ovvero di emulsionarli, per produrre creme e salse "a freddo" (ad esempio la maionese). Versioni più recenti di frullatore presentano i componenti invertiti: il recipiente in posizione inferiore e il motore incorporato nel coperchio superiore, che aziona tramite un braccetto verticale la lama, posta comunque al fondo del recipiente. Vengono commercialmente chiamati "tritatutto", ma svolgono le stesse funzioni dell'utensile classico e hanno il vantaggio di essere più facili da svuotare e pulire, e inoltre consentono di cambiare la lama tra varie tipologie in dotazione.
L'inventore effettivo del frullatore (inizialmente noto come "vibratore") fu Stephen J. Poplawski.

martedì 13 ottobre 2020

Cicchetto




Il cicchetto, conosciuto anche col termine inglese shot, è un tipo di bicchiere. È un bicchiere molto piccolo e compatto atto a contenere solo distillati o liquori senza aggiunta di altro. La capacità in volume (comunque variabile) è approssimativamente da 35-50 ml. Viene tipicamente utilizzato per bere distillati, o comunque alcolici di medio-alta gradazione, a glò, alla goccia, o meglio, 'alla calata', ossia tutto d'un fiato.
In Italia, il cicchetto viene usato da oltre 200 anni, ed è molto popolare in locande per l'assaggio della grappa. Il bicchiere con vetro spesso nacque negli Stati Uniti durante il Proibizionismo, mentre la definizione Shot glass o Shotglass apparve negli anni quaranta. Il jigger o pony è il nome per un contenitore di metallo utilizzato per misurare o bere una quantità standard di liquore. Le distillerie americane hanno distribuito i bicchieri più sottili per il whisky con delle pubblicità, tra l'inizio del XIX secolo e l'inizio del proibizionismo. Sono decorati con molte immagini divertenti al punto di diventare oggetti da collezionismo.

Formati

Stati Uniti d'America
Negli Stati Uniti d'America, le misure dello shot glass sono:
  • Singolo shot glass ― 1.5 oz. ≈ 45 mL
  • Doppio shot glass ― 2.0 oz. ≈ 60 mL

Regno Unito
Nel Regno Unito, le misure sono invece:
  • Singolo ― 30 mL
  • Doppio ― 60 mL

Finlandia
In Finlandia, nei ristoranti che servono alcolici è permesso servire per ogni cliente un cicchetto di massimo 40 ml, vi è una legge che vieta di servire doppi.
  • 20 mL
  • 40 mL


Germania
In Germania, shot glass è tradotto in tedesco con diversi termini: Schnapsglas, Pinchen, Stamperl ossia più piccolo.
  • Singolo ― 20 mL
  • Doppio ― 40 mL

Slovacchia
In Slovacchia, le misure del cicchetto sono:
  • Piccolo ― 20 o 25 mL
  • Singolo ― 40 o 50 mL (più comune Pol deci (letteralmente Metà decilitro))
  • Doppio ― 80 o 100 mL

Sud Africa
In Sudafrica esiste una definizione governativa ufficiale:
  • Shot ― 20 mL

lunedì 12 ottobre 2020

Cucchiaio da bar

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Il cucchiaio da bar (bar spoon in inglese) è un tipo di cucchiaio utilizzato nella preparazione di cocktail. È dotato di un manico molto lungo sia per facilitare l'agitazione degli ingredienti nel mixing glass, sia per essere inserito in barattoli per l'estrazione di guarniture da aggiungere al drink (olive, ciliegine ecc.). Il centro del manico è spesso attorcigliato a spirale per facilitare l'agitazione tramite rotazione del cucchiaio stesso (l'agitazione per rotazione è un metodo di preparazione di alcuni cocktail). In taluni casi le estremità possono variare in base all'uso, ne esistono di diversi tipi: con il pestello per schiacciare frutta o altro, con la forchettina per prendere fette di limone o arancia, oppure a volte con un tipo di pestello più leggero per schiacciare ma solo delicatamente la frutta.

domenica 11 ottobre 2020

Dove si trova la birreria più vecchia d'Europa?

 


L'abbazia di Weihenstephan, dove sorge il più antico birrificio al mondo, in una cartina di metà 1800

La produzione di birra è ormai diffusissima nel mondo, e con l'esplosione delle artigianali assistiamo ogni anno alla nascita di nuove realtà. Tutto è però cominciato in Europa centinaia di anni fa, e ancora oggi alcuni birrifici testimoniano la capacità di superare la prova del tempo. Eccoli, dal più 'recente' al più 'antico'.


SMITHWICK – IRLANDA
È il birrificio più antico d'Irlanda, attivo sin dal 1710 e orgoglio della città di Kilkenny. La loro strong ale è l'asso nella manica per rivaleggiare con l'altro grande birrificio irlandese, Guinness, più giovane di soli 49 anni.


THREE TUNS – INGHILTERRA
È un birrificio molto piccolo, fondato nel 1642 e capace di produrre solo modiche quantità di birra (presente in sei varietà). Si vanta di essere stato il primo in Inghilterra a ottenere una licenza legale. Si trova nella contea dello Shropshire.


GROLSCH – PAESI BASSI
Produce birra sin dal 1615 ed è famoso soprattutto per la sua lager, sia per la qualità del prodotto sia per la bottiglia che lo contiene, con tappo richiudibile. Per visitare Grolsch bisogna raggiungere Groenlo, località situata nel sud-est dei Paesi Bassi, nella provincia della Gheldria.


STIEGL – AUSTRIA
Sorge a Salisburgo, è attivo sin dal 1492 e nella seconda metà del Settecento ha prodotto la birra scura preferita da Wolfgang Amadeus Mozart. Oggi è famosa soprattutto per le edizioni limitate che ogni anno lancia sul mercato.


HUBERTUS – AUSTRIA
Il nome deriva da Sant'Umberto, vescovo di Maastricht e poi di Liegi, e lo stemma del birrificio riporta la testa di un cervo con la croce cristiana tra le corna: è un riferimento all'apparizione che ebbe Umberto e che interpretò come un invito a concentrarsi meno sui piaceri terreni (la caccia in particolare) e dedicarsi ai doveri che il suo ruolo imponeva. Attivo sin dal 1454, ha nella pils il suo cavallo di battaglia.


BOLTEN – GERMANIA
Si trova a Korschenbroich, città della Renania Settentrionale-Vestfalia, e produce sin dal 1266 una caratteristica altbier, cioè una scura ad alta fermentazione.


WELTENBURG – GERMANIA
L'abbazia di Weltenburg è vicina di casa dell'abbazia Weihenstephan e di fatto le contende il primato di birrificio più antico del mondo: conti alla mano, però, a Weltenburg iniziarono la produzione 10 anni più tardi, un distacco minimo che però conta per il podio. Possono invece vantare il primato della dunkel lager, la birra scura più vecchia del mondo, ancora oggi prodotta ad altissimi livelli.


WEIHENSTEPHAN – GERMANIA
Il birrificio si trova all'interno dell'abbazia di Weihenstephan, in Baviera, e secondo alcuni documenti potrebbe aver cominciato a produrre birra nell'anno 768. Sicuramente lo fa dal 1040 e questo ne fa il più antico birrificio al mondo. La specialità è la hefeweizen, cioè la birra di frumento in versione non filtrata, bionda e torbida con il lievito in sospensione.


sabato 10 ottobre 2020

Stirrer

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Stirrer è un termine inglese il cui significato è fondamentalmente quello di "agitatore", sia pure con diverse applicazioni (tanto a persone quanto a oggetti) e sfumature. Nella lingua italiana, esistendo già vocaboli come "agitatore", "sobillatore", "provocatore" e simili riferiti alle persone, il suo impiego si è limitato agli oggetti e la parola non risulta ancora registrata dai dizionari proprio perché di uso poco comune e riservata ad ambiti specializzati. Essenzialmente lo stirrer indica un bastoncino per mescolare liquidi ("agitare", appunto) e rientra nella terminologia specifica o professionale di baristi e affini e in quella dei laboratori chimici. Con significato analogo ("rimescolatore"), ma applicato a prodotti di forma e natura ben diverse, si usa anche in campo siderurgico.

Lo stirrer per cocktail

Il cocktail stirrer, o anche drink stirrer, ma più spesso semplicemente stirrer, è uno strumento usato dal barista per preparare i cocktail e altre bevande. Consiste in una bacchetta in acciaio o in materie plastiche con l'estremità terminante a bulbo o in una palettina, con funzione simile ad un lungo cucchiaio (il cucchiaio da bar, per l'esattezza). Serve soprattutto per miscelare le bevande e il ghiaccio all'interno del mixing glass evitando di mescolarli direttamente con lo "scuotimento" dello shaker, operazione che può provocare la perdita dei loro aromi. Ne esistono di vari tipi, lunghezze e materiali, compresi alcuni ideati da designer di fama (come quelli in acciaio lucidato a specchio realizzati da Ettore Sottsass per un'originale utensileria della Alessi). Talvolta vengono inseriti nei bicchieri degli avventori; in tal caso non servono solo per mescolarne il contenuto, ma assumono anche una valenza estetica (quando non addirittura pubblicitaria).
Con il diffondersi dei distributori automatici di caffè, tè, latte ed altre bevande calde nei luoghi pubblici, negli uffici e ora anche a livello famigliare, il termine stirrer ha cominciato ad essere impiegato anche in Italia per indicare le palette monouso, solitamente in plastica ma talvolta anche in legno, con cui mescolare lo zucchero o altri dolcificanti in tali bevande.

Lo stirrer da laboratorio

Gli stirrer da laboratorio, talora detti anche "di precisione", sono invece realizzati in vetro e PTFE (PoliTetraFluoroEtilene); vengono utilizzati per miscelare o impedire la coagulazione di liquidi, cristalli, sospensioni solide e reagenti di varia natura presenti nei vasi e contenitori (relativamente lunghi e stretti) dei laboratori chimici e, se muniti di apposite scale graduate, per controllarne la temperatura (o altre caratteristiche). La moderna tecnologia elettronica tende comunque ad inglobare gli stirrer "scientifici" in apparecchiature decisamente più complesse nel funzionamento come nell'aspetto in confronto alle originarie e semplicissime asticelle di vetro, molto simili per altro alle loro omologhe dei bar. Oggi si parla quindi di macchinari come il digital stirrer, l'electronic stirrer o, fra i più noti, il magnetic stirrer, forse altrettanto conosciuto in Italia con il nome di agitatore magnetico.

Lo stirrer elettromagnetico

Utilizzato nell'industria siderurgica, lo stirrer (o "rimescolatore") elettromagnetico è una macchina elettrica congegnata in modo da produrre un campo magnetico rotante con relativo flusso interno all'acciaio fuso, le cui particolari caratteristiche provocano un raffreddamento diffuso e, di conseguenza, una maggiore omogeneità di solidificazione del metallo durante tutto il processo di colata continua. L'acciaio così ottenuto è meno soggetto alle classiche imperfezioni di forma, superficiali o interne che riducono o compromettono le prestazioni metallurgiche del prodotto finale e la sua successiva lavorabilità.


venerdì 9 ottobre 2020

Jigger

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Il jigger è un misurino per cocktail utilizzato negli Stati Uniti come dose standard di servizio nella preparazione dei cocktail. Un jigger equivale a 1,5 oncia liquida ovvero a circa 44 ml. Generalmente è realizzato in acciaio inox.Ne esistono in svariate misure sempre doppie dato che,quasi sempre i jigger hanno una forma a doppio imbuto,quindi troveremo jigger da 1/2 - 1 oz ,3/4 - 1.1/4 oz ,1 - 2 oz

giovedì 8 ottobre 2020

Questi barman giapponesi per i loro liquori usano serpenti, funghi e insetti

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Alcuni barman giapponesi stanno riportando in auge l’antica arte dei liquori e degli infuse home-made, alcuni dei quali destinati a farti sentire più bello, a dormire meglio, o persino a far baldoria senza gli effetti collaterali del post-sbornia.
"Il Campari veniva colorato con le cocciniglie, degli insetti, proprio come i rossetti", mi dice, aggiungendo le conchiglie frantumate al mix. In seguito procede a shakerare il tutto con forza e, per mio grande sollievo, ha filtralo la miscela rosso sangue prima di versarla nel mio bicchiere. "Immaginatelo un po' come un Frappuccino alla fragola di Starbucks." È amaro ma bilanciato nel gusto, esattamente come lo volevo io, insetti inclusi. È un po' come tutto quello che Kayama tira fuori dal suo cilindro. I clienti abituali nemmeno chiedono più il menù, sanno che tutte le ricette vengono fuori dalla sua immaginazione e cambiano talmente tanto spesso che stare al passo con un menù scritto è pressoché impossibile. Nel giro di poche ore ho potuto ammirarlo rivisitare un Bloody Mary con un'aggiunta verde lime, unire l'equivalente di un giardino di erbe a una mistura a base di gin, mischiare una sorta di parente prossimo del Pisco Sour con un topping a base di frutta caramellata e una simil crème brûlée.
"Hai qualche problema che vorresti risolvere? Non so, qualcosa legato alla bellezza, alla salute, alla pelle? Senti gli occhi pesanti o ti senti stressato?" mi chiede Nanoko Hanamura, conosciuta dai suoi amici con il soprannome di Nano-chan. Dopo soli dieci minuti passati allo Yakusyu bar, in realtà, praticamente tutti possono fregiarsi della qualifica di amici di Nano-chan.
Un po' come tutto ciò che di bello c'è a Tokyo, lo Yakusyu bar è quasi impossibile da trovare se non si sa esattamente dove dover cercare. Persino provvisto di Google Maps e di un amico giapponese ci ho messo secoli a scovarlo, vagando per quel labirinto di graffiti che è il distretto di Sangenjaya, prima di scorgerne la flebile insegna verde fuori dalla porta.
Una volta entrato dentro, mi sono ritrovato di fronte a quaranta barattoli, piuttosto bizzarri alla vista, messi in infusione con qualsiasi cosa, dal fiore di sambuco all'anguilla.
Involontariamente, alla mia vista è poi anche balzato un grosso recipiente, posizionato in un angolo del locale, al cui interno c'erano i resti decapitati di una specie velenosa di serpenti dell'Okinawa. Accortasi della traiettoria del mio sguardo, Nano-chan mi fa l'occhiolino e dice di non preoccuparmi, perché "tutto il veleno si trova nella testa. Non arreca danno se lo bevi. E poi è anche ottimo per gli uomini, durante la notte… non so se mi spiego."
Dato che non sto cercando di dare una botta alla mia virilità, decido di optare per un infuso rilassante alla melissa e acqua tonica. Un banchiere seduto vicino a me guarda un po' storto il serpente e mi fa sapere che i suoi "problemi notturni" arrivano sempre dopo aver bevuto.
"Hai mai pensato di portare prima a casa una ragazza e poi di andare a bere al bar?" Nano-chan chiede scherzosamente alzando gli occhi al cielo. Nel locale scoppiano fragorose risate e i bicchieri iniziano a tintinnare. " Kampai!Hey, benvenuto in Giappone!".
Siamo solo a mercoledì notte ma, siccome ognuno di questi elisir possiede (pare) proprietà terapeutiche, abbiamo convenuto che uno o due shot in più non ci avrebbero fatto poi così male. Conosciuti come yakushu, questi infusi home-made sono recentemente tornati alla ribalta soprattutto fra le generazioni più giovani, proprio grazie alle loro presunte funzioni curative che aiutano a debellare l'insonnia, a purificare la pelle, o a incrementare i livelli d'energia.
In città è possibile trovare una dozzina di locali simili allo Yakusyu. In ognuno di questi bar, che spaziano da luoghi in cui si rivende clandestinamente l'alcol a pub peculiarmente strani, si sorseggiano liquori fatti in casa.
Nell'ultima categoria spicca il Bonji Bar, un hookah bar nascosto vicino alla stazione di Asausa, dove i liquori vengono infusi con semi di cannabis, funghi allucinogeni, scorpioni, corna di cervo o peni, tartarughe, cobra reali e lamprede. Alcuni di questi sono importati mentre altri, come la tequila con infuso di peyote, sono creazioni del proprietario. Sebbene vanti le leggi anti-droga più dure del mondo, come il Cannabis Control Act del 1948, a nessuno qui sembra importare. Per il sollievo di alcuni avventori e il dispiacere di altri, alcuni di questi liquori, come quello alle foglie di coca, sono privi di affetti narcotizzanti.
Ugualmente lisergico ma in un qualche modo più salutista, è invece il Gatosano, un locale che si trova al secondo piano di un negozio situato a pochi passi dalle gothic lolita e dai fighetti: Harajuku Takeshita Street.
Dopo le cinque del pomeriggio, questo bar/gastronomia di cibi salutisti e color arcobaleno inizia a offrire shot di circa quaranta tipo diversi di yakushu, ognuno dei quali è stato miscelato personalmente al fine di aiutare qualsiasi festaiolo a far baldoria o ad accusarne gli effetti con meno fatica.
Quando sono arrivato al bar nel tardo pomeriggio, il proprietario, Dj Tanaka, era fuori a fare un giro, ma il suo barista era più che felice di aiutarmi a scegliere il liquore migliore dall'enorme menù diviso per proprietà curative.Per una notte in città, se voglio digerire tutto il ramen che ho mangiato, potrei iniziare con delle foglie di stevia o di guava, per passare poi a del guarana pre-festa e finire la serata con una valeriana, camomilla o lavanda. Forse i liquori più utili sono quelli di fine party, infusi con curcuma o finocchio, che pari plachino qualsiasi post-sbornia ancora prima che inizi.
Per quanto possa sembrare allettante, non ho mai la possibilità di testate la loro efficacia.
Per prenotare un incontro con il barista meno ortodosso di Tokyo, sono dovuto andare fino a Shinjuku, dove Hiroyasu Kayama offre bevute create ad hoc, spiriti rarissimi e, più nello specifico, qualsiasi cosa gli vada di servire al suo Bar Ben Fiddich. Offre dalle trenta alla quaranta varietà di yakushu ad ogni ora, molte delle quali infuse con estratti vegetali provenienti dalla tenuta agricola di famiglia a Chichibu, nella prefettura di Saitama.
Dato che siamo a Tokyo, l'unica cosa a indicarci che il bar esista è un misero pezzo di nastro vicino all'ascensore sul quale è stato scritto, a caratteri minuscoli, dove poterlo trovare. Fuori il sole splende ma, una volta arrivato alla meta (uno spazio illuminato a candele e ubicato al nono piano del palazzo), mi sembra quasi sia notte fonda. Kayama è lì, dietro al bancone, con un completo color crema e i capelli ingellati all'indietro. Dietro di lui ci sono mensole piene zeppe di bottiglie, alcune delle quali sigillate con la cera per proteggerne il contento. Muovendomi a gesti, chiedo cosa ci sia dentro.
"Ti piace l'assenzio?" mi chiede Kayama mentre i suoi occhi si illuminano. Ancor prima che io possa rispondere, tira giù varie bottiglie di fata verde e le posiziona sul bancone. "Io colleziono assenzio. Guarda. Questa bottiglia è del 1890. Questa del 1910, mentre questa è la più vecchia, del 1870. Il sapore è ottimo proprio perché si tratta di annate vecchie. Ecco, qui ci sono accenni di cioccolato. Quindi sì, insomma, penso proprio tu possa dire mi piaccia l'assenzio."
Mi basta anche solo annusarli per sentire la mia testa girare, ma sono troppo timido per chiederne un assaggio. Per la fortuna di quelli che non si possono permettere un sorso di questi eccezionali elisir, Kayama produce i propri. Anice, finocchio, radice di angelica, menta, melissa, issopo e persino quello stesso estratto di assenzio che è rimasto nella lista nera della Food and Drug Administration (FDA) fino al 2007: tutto finisce nella sua pozione alcolica al 62%. "Mio padre è un contadino, quindi torno spesso nella mia città natia per cercare ingredienti. Li faccio crescere e poi essiccare. Ho un alambicco con capacità di 20 litri, pieno di questo," mi dice, mostrandomi la bottiglia.
Non è il suo unico pezzo forte, però. Quando gli chiedo qualcosa con Campari, lui lascia perdere le bottiglie sulle mensole e procede verso dei barattoli. Ne tira fuori sedici. Senza dire una parola, tira fuori pestello e mortaio e inizia a frantumare precise quantità di erbe e spezie. Sebbene io ne riconosca in buona parte, c'è un contenitore di insetti essiccati che mi lascia un attimo perplesso.
"Il Campari veniva colorato con le cocciniglie, degli insetti, proprio come i rossetti", mi dice, aggiungendo le conchiglie frantumate al mix. In seguito procede a shakerare il tutto con forza e, per mio grande sollievo, ha filtralo la miscela rosso sangue prima di versarla nel mio bicchiere. "Immaginatelo un po' come un Frappuccino alla fragola di Starbucks".
È amaro ma bilanciato nel gusto, esattamente come lo volevo io, insetti inclusi. È un po' come tutto quello che Kayama tira fuori dal suo cilindro. I clienti abituali nemmeno chiedono più il menù, sanno che tutte le ricette vengono fuori dalla sua immaginazione e cambiano talmente tanto spesso che stare al passo con un menù scritto è pressoché impossibile. Nel giro di poche ore ho potuto ammirarlo rivisitare un Bloody Mary con un'aggiunta verde lime, unire l'equivalente di un giardino di erbe a una mistura a base di gin, mischiare una sorta di parente prossimo del Pisco Sour con un topping a base di frutta caramellata e una simil crème brûlée.
"Ecco un cocktail giapponese speciale," risponde Kayama a chiunque gli chiede cosa stia bevendo. "Non ha un nome". Per Kayama il fremito dato da tutta questa alchimia è da ritrovarsi nella sfida di creare qualcosa di unico piuttosto che nel focalizzarsi sui possibili effetti curativi dei cocktail.
"Anche prima di aprire questo bar il mio hobby era distillare. Questi sono i miei spiriti distillati, fatti in casa," mi dice facendo cenno alla parete dietro di lui. "Prima, forse, venivano usati come medicina."
Se si possano o meno qualificare come tali, lui non ce lo può dire. Per lui creare yakushu significa unire arte, scienza e ossessione in parti eguali, in quella che si potrebbe ritenere come una naturale estensione dell'arte del barman. Così, mentre mi trascino fuori nel tentativo di prendere l'ultimo treno, non mi sento né più magro, né più giovane o figo. L'unica cosa che sento è la consapevolezza di aver bevuto qualcosa di dannatamente buono.


 
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