domenica 12 maggio 2024

Mosè separava le acque e si scolava la birra: storia sacra e profana di una bevanda millenaria

 


Che la birra sia una delle invenzioni più longeve dell’umanità è un dato che ormai nessuno mette in discussione. Ma sorprende scoprire quanto essa sia intrecciata con i testi sacri, con i costumi di popoli antichi e persino con la vita quotidiana dei pontefici. Dal profeta Mosè a Benedetto XVI, passando per Papa Francesco, la birra attraversa i secoli come un filo dorato di malto e luppolo, capace di unire in un’unica narrazione l’epica religiosa e il piacere terreno.

Nell’immaginario collettivo Mosè è il legislatore, il condottiero che separa le acque del Mar Rosso per guidare Israele fuori dalla schiavitù. Ma gli studiosi ricordano che prima di diventare il liberatore del suo popolo, egli fu cresciuto alla corte del faraone, immerso nella cultura egizia. E lì, tra le molte usanze di quel mondo opulento, non poteva non imbattersi nella birra, la bevanda quotidiana della valle del Nilo. Gli egizi la producevano già nel III millennio a.C., ottenendola da pane d’orzo fermentato, ed essa non era soltanto un alimento: rappresentava un dono divino, al punto che veniva offerta anche alle divinità. Non è azzardato, dunque, immaginare che Mosè, educato a quelle abitudini, avesse conosciuto e forse apprezzato il sapore rustico della bevanda fermentata.

La Bibbia, d’altronde, menziona la birra – o meglio, il shekar, termine che indica genericamente le bevande fermentate a base di cereali – in almeno venti passi. Talvolta in senso positivo, come simbolo di festa e abbondanza; altre volte in chiave ammonitrice, a segnalare i pericoli dell’eccesso. Nei Proverbi, ad esempio, si raccomanda che la birra sia data a chi è afflitto dall’amarezza, per dimenticare il dolore. Nelle leggi mosaiche, invece, il consumo è talvolta regolato con severità, segno che la bevanda era ben conosciuta e diffusa nel Vicino Oriente.

Se dunque Mosè poteva avere sorseggiato una coppa di birra egizia, molto più tardi la tradizione cristiana avrebbe recuperato e trasformato quella cultura. Nel Medioevo, i monasteri d’Europa divennero i veri custodi della produzione brassicola. Benedettini e cistercensi perfezionarono le tecniche di fermentazione, introducendo luppolo e metodi di conservazione che fecero della birra non solo un sostentamento per i monaci, ma anche una fonte di reddito per le abbazie. La bevanda, consumata con moderazione, era considerata salutare e persino più sicura dell’acqua, spesso inquinata. In quelle stesse abbazie nacquero molte delle birre che ancora oggi conosciamo, dalle trappiste belghe alle bavaresi.

Non sorprende, dunque, che i Papi abbiano intrattenuto un rapporto diretto con la birra, tanto quanto con il vino. Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, da buon bavarese, non nascose mai la propria predilezione per la birra. Nel 2007, ricevendo una delegazione della sua terra natale, brindò con un boccale di Weissbier, immortalato in fotografie che fecero il giro del mondo. Non si trattava di un vezzo, ma della naturale prosecuzione di una cultura in cui la birra è parte integrante della vita quotidiana e spirituale. Un segnale, forse, di quanto la fede e il piacere della tavola possano convivere senza contraddizioni.

E anche Papa Francesco non si è mai tirato indietro davanti a un bicchiere. Argentino di nascita, gesuita di formazione, ha più volte mostrato simpatia per la cultura popolare che si esprime anche nel cibo e nelle bevande. Durante alcuni incontri informali, non ha disdegnato di condividere una birra con i fedeli, sottolineando con la sua proverbiale ironia come “una pinta ben gustata non allontani da Dio”. In questo, Bergoglio incarna un atteggiamento di apertura che lega la semplicità del gesto alla convivialità cristiana.

Se guardiamo oltre i confini religiosi, la birra ha avuto un ruolo simbolico in molte civiltà. In Mesopotamia, terra d’origine di Abramo, era ritenuta dono della dea Ninkasi, tanto da essere celebrata in inni che ne descrivono la produzione. In Grecia, pur dominata dal vino, circolava tra i popoli periferici. I Romani, invece, la consideravano bevanda “barbara”, diffusa tra Celti e Germani. Ma proprio da quei popoli, secoli dopo, sarebbero arrivate le tradizioni brassicole che avrebbero conquistato l’Europa medievale e moderna.

La continuità tra Mosè, i monasteri e i Papi si traduce in un dato culturale: la birra non è mai stata solo alcol. È stata alimento, moneta di scambio, medicina, simbolo di festa, oggetto di norme religiose. La sua presenza nella Bibbia testimonia quanto fosse radicata nelle società antiche; il suo sviluppo nei conventi mostra come la Chiesa abbia saputo adattare e valorizzare una pratica popolare; l’uso odierno tra i pontefici rivela, infine, una capacità di coniugare tradizione e modernità senza snaturare la dimensione spirituale.

La storia della birra ci dice anche qualcosa di più ampio: la religione, lungi dall’essere un ambito separato dal vivere quotidiano, ha sempre dialogato con i gesti semplici dell’uomo. Che si trattasse del pane, del vino o della birra, il sacro ha attraversato l’esperienza del nutrimento e del piacere. Mosè, nell’immaginario evocativo che lo lega alle corti egizie, potrebbe aver alzato un calice di orzo fermentato; Benedetto XVI, nel cuore del Vaticano, ha sorseggiato la Weiss della sua Baviera; Papa Francesco, figlio delle periferie di Buenos Aires, ha sorriso davanti a una pinta condivisa. In tutti questi episodi, la birra diventa metafora di continuità, di umanità che resiste al tempo.

Oggi, nell’epoca dei consumi globali, la birra è la bevanda alcolica più diffusa al mondo. Dalla Pils ceca alla Guinness irlandese, dalle IPA americane alle artigianali italiane, il suo linguaggio è universale. Ma proprio per questo, il richiamo alle sue radici antiche e bibliche assume un significato particolare: ci ricorda che ciò che beviamo non è soltanto schiuma e orzo, ma la memoria di millenni di storia umana, religiosa e sociale.

Così, tra mito e realtà, possiamo sorridere di fronte all’immagine di Mosè che separa le acque con il bastone in una mano e una brocca di birra nell’altra. Un paradosso giornalistico, certo, ma che racchiude una verità profonda: le grandi vicende della fede e della civiltà si intrecciano sempre con la semplicità dei gesti quotidiani. E la birra, con la sua antica schiuma, resta lì a ricordarcelo, compagna discreta di profeti, monaci e papi.

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