domenica 19 maggio 2024

Armenia, la culla del vino che il mondo continua a ignorare


Che l’Armenia sia una delle regioni vinicole più antiche al mondo è un fatto storico: nelle grotte di Areni-1, nel sud del Paese, gli archeologi hanno trovato tracce di una cantina risalente a oltre 6.000 anni fa. Eppure, nonostante questo patrimonio millenario, l’Armenia rimane una delle aree vinicole più sottovalutate e meno conosciute al di fuori dei suoi confini.

La ragione principale è economica. Dopo decenni di dominazione sovietica, durante i quali la produzione locale era orientata più alla quantità che alla qualità, il settore vinicolo armeno si è trovato privo di investimenti seri e di una rete di distribuzione internazionale. A differenza di paesi come Italia, Francia o Spagna, che hanno costruito nei secoli un brand riconoscibile e una macchina di marketing globale, l’Armenia è rimasta isolata e poco competitiva sul mercato mondiale.

Un altro fattore è culturale. I consumatori occidentali sono abituati a scegliere vini provenienti da regioni già consacrate: Bordeaux e Borgogna in Francia, Toscana e Piemonte in Italia, Rioja in Spagna. E quando si parla di “nuovo mondo”, il pensiero corre subito a California, Australia, Sudafrica o Cile, nazioni che hanno saputo promuoversi con strategie aggressive e moderne. L’Armenia, al contrario, non ha ancora imposto un’immagine chiara del proprio vino, che pure possiede caratteristiche distintive: vitigni autoctoni come l’Areni Noir, coltivato sulle pendici del Caucaso a 1.200 metri di altitudine, danno origine a rossi complessi e longevi, capaci di rivaleggiare con i migliori Pinot Noir.

C’è poi un dettaglio poco noto: l’Armenia non è solo terra di vino, ma anche patria di un brandy eccellente. Il “Cognac armeno”, come veniva chiamato nell’epoca sovietica, era così apprezzato che Winston Churchill ne riceveva casse intere da Stalin durante la Seconda Guerra Mondiale. Eppure, oggi, questo prodotto resta confinato a una nicchia e in gran parte sconosciuto al pubblico europeo.

Il paradosso, dunque, è evidente: una regione che custodisce le radici stesse della viticoltura mondiale non riesce a trovare spazio nell’immaginario collettivo del vino contemporaneo. Mancano capitali, strategie di promozione e una narrazione moderna capace di trasformare l’antica tradizione armena in un marchio riconosciuto a livello globale.

Eppure, chi ha avuto l’occasione di assaggiare un calice di Areni o un bicchiere di brandy armeno sa che il Paese possiede un tesoro che aspetta solo di essere riscoperto. La vera domanda non è se l’Armenia produrrà mai vini all’altezza dei grandi classici, ma quando il mondo smetterà di ignorarli.



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