La birra artigianale è un prodotto non pastorizzato e generalmente, ma non sempre, non filtrato.
Produzione
I birrifici artigianali utilizzano il
più possibile ingredienti naturali, e, con l'introduzione di
"birrificio agricolo" anche utilizzando orzo e luppolo,
provenienti dal territorio di loro appartenenza.
La birra viene prodotta principalmente
con il malto d'orzo e/o con il malto di frumento (e in alcuni casi
anche con altri cereali maltati), elementi base, ai quali vengono
aggiunti luppolo, lievito ed acqua.
A questo punto la birra è pronta per
essere bevuta ma ha una durata limitata nel tempo. Per aumentarne la
conservazione, nella produzione industriale, il prodotto viene
sottoposto ad alcuni trattamenti come la pastorizzazione ed il
filtraggio. Vengono così inattivati i microrganismi contenuti nel
lievito e filtrata la bevanda, aggiungendo poi degli additivi
conservanti e stabilizzanti. Dopo questo trattamento il prodotto può
essere movimentato e stoccato senza alcun problema.
Le birre prodotte con tecniche
industriali, pertanto, si differenziano sostanzialmente da quelle
artigianali ad un esame organolettico. La presenza di lieviti attivi,
inoltre, rende queste ultime un alimento vivo che si evolve nel
tempo. Se il tipo di birra lo consente, è possibile un
invecchiamento in cantina anche per alcuni anni.
Il fenomeno dei birrifici artigianali,
rinasce negli Stati Uniti ed è una riscoperta che avviene a partire
dagli anni ottanta, la cosiddetta "Renaissance Americana",
dove molti immigrati europei, riescono a mantenere in vita alcuni
vecchi prodotti europei che altrimenti sarebbero andati perduti.
Anche in Europa ed in Italia si sta
affermando questo fenomeno che si ripromette di proporre prodotti
artigianali di elevata qualità.
In Italia
La produzione di un microbirrificio
è limitata (in genere si pone il limite a 5000 hl annui, più di
recente a 10000 hl). A partire dal 2016 la legge definisce come
"birra artigianale" quella prodotta da birrifici
indipendenti (legalmente ed economicamente) che utilizzi impianti di
produzione propri e non produca oltre 200000 ettolitri di birra
all'anno; inoltre la birra non può essere sottoposta a processi di
pastorizzazione e di microfiltrazione.
I produttori di birra artigianale si
possono dividere in due categorie:
- le microbirrerie, che in genere non dispongono di un locale di mescita e la cui produzione è in tutto o in gran parte destinata alla vendita a locali e negozi;
- i brewpub ovvero locali che producono birra per il consumo interno, spesso abbinato ad attività di ristorazione.
- i beer firm ovvero impianti preesistenti che vengono affittati a privati, i quali possono quindi produrre birra artigianalmente ma in quantità non raggiungibili con un normale impianto casalingo.
Il numero di microbirrifici è in
continuo aumento, si stima che nel 2007 fossero operativi almeno 175
microbirrifici; nel 2010 hanno superato le 300 unità arrivando a
coprire circa l'1% della produzione di birra italiana, mentre nel
2014 hanno quasi raggiunto le 1000 unità arrivando a coprire circa
il 3% della produzione di birra italiana. Il trend di crescita non
accenna a diminuire. L'anno di inizio di questo fenomeno (a parte
alcuni tentativi pioneristici, ad esempio a Sorrento e sul Lago di
Garda) è il 1996, quando contemporaneamente, ma senza alcun
collegamento fra loro, aprono diversi birrifici. Dal 2005 vengono
pubblicati una serie di libri volti a una catalogazione per il
crescente fenomeno.
La produzione dei microbirrifici
italiani nel complesso presenta una varietà notevolissima con birre
ispirate ai più diversi stili internazionali. Frequente è anche la
creazione di birre comprendenti ingredienti inusuali sia come materia
fermentabile che come aromatizzazioni, spesso integrando produzioni
locali (ad esempio farro, frutta DOP e IGP). Esempio significativo
l'uso delle castagne, utilizzate in un numero di birre che non trova
riscontri in altre nazioni produttrici, tanto da diventare quasi un
simbolo della birra artigianale italiana.
In forte crescita anche le contaminazioni con il vino, utilizzando sia botti di legno di secondo passaggio, che mosto d'uva con i suoi lieviti autoctoni.
In forte crescita anche le contaminazioni con il vino, utilizzando sia botti di legno di secondo passaggio, che mosto d'uva con i suoi lieviti autoctoni.
L'uso di produzioni locali in certi
casi è esteso anche agli ingredienti tradizionali, con uso di malto
ottenuto da cereali locali, maltazione effettuata in proprio e
esperimenti con la coltivazione del luppolo. Una grande diffusione
sta ottenendo anche il mais, spesso utilizzato dall'industria per
contenere i costi, ma che in ambito artigianale diventa una materia
prima di alto pregio utilizzando varietà antiche come lo "sponcio",
il "pignoletto" o il "marano".
Da qualche anno diversi microbirrifici
italiani hanno cominciato un'attività di esportazione dei loro
prodotti, principalmente sul mercato USA, anche se il mercato europeo
si sta dimostrando molto interessante e attento ai prodotti italiani.
Alcune delle produzioni artigianali italiane hanno ricevuto un ottimo
apprezzamento da parte degli appassionati di birra americani e non,
come documentato dai più importanti siti di rating. La continua
crescita del fenomeno ha portato ad analisi anche economiche come
quella riportata da fermento Birra a cura di Lelio Bottero o la
ricerca congiunta UnionBirrai-Altis che, per la prima volta analizza
in modo statistico microbirrifici e brewpub.
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