venerdì 29 ottobre 2021

Il bartender di origini irlandesi che ama il whiskey ma è soprannominato Gin-Ecologo

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C’è un mito secondo il quale mischiare degli alcolici senza un’intenzione in un bicchiere ti darà comunque un buon drink come risultato. Non è proprio così: l’arte della mixology è molto più intricata di quanto non sembri. Come la cucina, le tecniche sono diverse, gli ingredienti e le mani dei bartender conferiscono da sempre un tocco personale ad ogni miscelazione. Non tutti i cocktail sono shakerati come nei film degli anni ’80, e soprattutto non tutti gli aromi stanno bene fra loro.

Allora, grazie alla collaborazione con Jameson, abbiamo cercato di capire qualcosa in più sull’argomento. Ad aiutarci due grandi bartender che ci hanno dato qualche dritta sulla creazione di drink semplici, e meno semplici, e per sembrare esperti di mixology. Grazie a Marco Ferretti e a Patrick Pistolesi, finalmente faremo buona figura durante le feste casalinghe.

Se a Roma dici Patrick, dici Patrick Pistolesi, lo sanno tutti. Dietro al bancone prepara drink come i baristi di una volta, con calma, con cura.
Così ho camminato sotto la sera illuminata del Colosseo per scambiare due chiacchiere e bere un Manhattan fatto a regola d’arte.
L’Irlanda, la sua Roma, NIO e il nuovo modo di bere che si è inventato, la mixology, le coincidenze, il whiskey e quel soprannome, Gin-ecoloco.

Ciao Patrick. Tutti ti conoscono, tutti vengono a trovarti, ma volevo sapere chi sei, qual è la tua storia?
Patrick: Sono italo-irlandese: mia mamma è di Dublino, mio papà di Roma. È il mio passato che mi ha portato alla fine dietro al banco: i pub irlandesi, la mia cultura è quella.
Ho cominciato da giovane per gioco, prima facevo tutt’altro. Poi per bisogno e perché in generale mi piaceva il mondo del bar, ho cominciato a muovere i primi passi. Essendo cresciuto in Irlanda, avendo passato lì tutte le estati della mia vita, è difficile non avercelo dentro. Da quelle parti si respira alcol ovunque, nel bene e nel male, e quindi era inevitabile che sarebbe stata parte della mia vita. Così un giorno ho deciso di farla fruttare, questa parte della mia vita. È stata non una scelta di business, ma di passione. Appena ho messo i piedi dietro al bancone mi è piaciuto.
Da quel momento ne ho fatte di cose: ho girato nei posti più disparati, dalla discoteca al baretto…

Il discorso della discoteca e dei cocktail l’ho affrontato anche con il tuo collega Marco Ferretti: è imprescindibile?
Certo, perché come ti insegna la discoteca non ti insegna niente e nessuno. Servire mille persone tutte insieme avvelenate, ti sveglia la testa, ti fa capire come servire un bar affollato: è una grande botta di realtà e umiltà.
Quando sono passato dalla plastica al vetro fu una gioia immensa. Tanta gente dice “mi ricordo il mio primo Manhattan”, ma a me solo passare dalla plastica al vetro sembrava Natale. È stata una cosa incredibile.
Quindi dopo, negli anni, sfruttando la mia passione, sono riuscito a fare drink di un certo tipo, a vedere che c’era tantissimo altro, tutto quello che io vedevo dentro i film come Casablanca. Vedere questa figura del barman così…come dico sempre l’aristocratico della working class, mi faceva venire voglia di esserlo io stesso, mi smuoveva dentro.
Avrei voluto anch’io un giorno fare drink a Capi di Stato o a muratori, perché secondo me il bar è il posto meno razzista che ci sia sulla faccia della terra: dalla porta entrano alti, bassi, magri, grassi, gialli, verdi, uomini, donne; e tu devi cercare di soddisfare il gusto di ognuno. Questa è la mia idea. Questo è il bar che ho in mente.

Pub irlandese e bar italiano: che differenze ci sono?
Come fai a non essere colpito da un pub irlandese quando sei un pischello e osservi un locale affollato con questo barista - che era come un direttore d’orchestra - che conosceva tutti per nome e poteva prendere un uomo di 150 chili ubriaco e sbatterlo fuori dalla porta ed essere allo stesso tempo la persona più gentile del mondo?
Questa figura era tremendamente affascinante. Con tutte quelle bottiglie dietro a fare da sfondo di cui io ignoravo proprio il contenuto era una sensazione mista di rispetto, timore, gioia, fascino.
La cosa più bella è stata quando ho iniziato a capire poco alla volta ognuna di quelle bottiglie, un caleidoscopio che ti si apre davanti, alla Matrix.
Avrò avuto 13 anni quando fissavo le scene nei pub, mio cugino mi ci faceva entrare. Ero piccolo, ma capii dopo qualche tempo cosa mi colpiva dell’irlanda: lo capii quando cominciai a frequentarli qui Italia da diciassettenne. Era molto ghettizzante. A Roma entravi nel pub a Roma e c’erano i ragazzi di 18 anni con quelli di 18 anni, quelli di 30 con quelli di 30. E invece in Irlanda era tutto il contrario. Mio cugino parlava tranquillamente con uno di 75 anni come se fosse totalmente suo pari, senza barriera di età.
È proprio il discorso dell’Irlanda che mi piace di più: il pub è una grande livella, si chiama pub perché è public. È un salotto fuori di casa, dove la gente va per farsi una chiacchiera fuori dalla famiglia, sapere cosa succede in giro, parlare un po' delle cose del mondo.

A me piacciono le storie. Raccontami una storia bizzarra e te ne sarò per sempre grato. Di sicuro ne hai anche tu.
(Ridacchia). Ce l’ho, ed è legata a doppio filo con Jameson.
La mia zia preferita e i miei cugini preferiti, con i quali sono cresciuto vengono da Cork, e hanno una casa proprio a Middleton (nella contea di Cork ndr.). E a Middleton c’è un posto che si chiama “Baby Walk”. Quando eravamo ragazzini stavamo lì e chiedevamo a un signore più grande se ci andasse a prendere le birre, perché in Irlanda si beve tanto, ma sotto la maggiore età non si beve proprio, bisognava chiedere il favore a qualcuno. Insomma avevamo queste birre e ce le bevevamo proprio in questo Baby Walk, il passaggio dei bambini, e giocavamo a pallone.
Dopo tanti anni, il caso ha voluto che lavorando per Jameson - per me motivo di grandissimo orgoglio - mi portarono in distilleria. E la distilleria è proprio dove c’è il Baby Walk: quindi io giocavo a pallone sui cancelli della distilleria, dove ho dato anche il mio primo bacio a una certa Lisa (non lo scrivere perché poi mia moglie si ingelosisce). È il posto dove ho avuto le mie prime avventure da scapestrato, sembra un racconto romantico ma è totalmente vero.
Tant’è che quando andammo la prima volta, scendemmo dal pullman il gruppo di bartender e anche l’ambassador dell’epoca che pensava scherzassi, e tutto il paese venne a salutarmi.

Whiskey o altri distillati?
Senza scherzi, ho aperto il primo gin bar d’Italia, il Gin Corner. E non me ne voglia il whiskey, ma il gin mi ha fatto guadagnare il soprannome che mi tengo stretto di Gin-ecologo.
Sì, principalmente questi due, ma mi piace provare altro, mi piace la tequila ad esempio.

L’Irlanda è la metà romantica della tua vita mi sembra di aver capito, Roma quella reale.
Ho avuto la grande fortuna di aver potuto lavorare tanto. Sono sempre riuscito a portare la mia visione nei cocktail bar dove sono stato e hanno avuto sempre tanto successo, a tutti i livelli. Forse perché ero al posto giusto al momento giusto, non mi voglio prendere tutti i meriti.
Da tre anni ormai sono alla guida del banco del Caffè Propaganda, che è stata sinceramente una rivelazione. Come bancone, come presentazione: è dove mi sono potuto esprimere più che mai con una livella: dal più umile al più sofisticato dei clienti.
Il discorso di Roma è di sacrificio, perché si sacrifica la vita privata: all’inizio è divertente quando hai accesso alla notte, alle feste. Appena diventi più grande è un po' più difficile, stancante. La clientela romana è radicata ai vecchi stili, ma si sta aprendo molto con tutta quella rivoluzione che sta succedendo nel mondo del cibo, del vino e anche e della miscelazione. Siamo verso la direzione giusta.

Quindi anche tu pensi che Roma ormai sia a un livello alto dal punto di vista della mixology?
Penso che sia al livello più alto. Mi sento di nominare il Jerry Thomas, Freni e Frizioni, il Club Derrier, anche se è più giovane. Sono tutte realtà che hanno portato a una qualità altissima. Il Jerry ha preso una situazione confusa e ci ha unito tutti.

E adesso sei pilastro di un nuovo progetto, NIO, che davvero rivoluziona il bere e stai anche per aprire il tuo locale, giusto?
NIO sta per “Needs Ice Only”. È una start-up dove io faccio questi drinkprêt-à-boire veloci da gestire e che sono gli stessi che poi faccio al locale, quindi non hanno conservanti, non hanno niente. È un’idea sviluppata da Luca Quagliano, Alessandro Palmerin, me e Massimo Palmieri.
Funziona che semplicemente devi agitare la busta, strappare l’etichetta e versarlo in un bicchiere pieno di ghiaccio. Così puoi goderti un ottimo Boulevardier mentre ti leggi un libro.
Il locale verrà aperto verso fine aprile, inizio maggio e sarà un posto per tutti. Ma lo vedrai, non ti anticipo altro.
Grazie Patrick, grazie delle storie e del Manhattan che mi ha steso.



giovedì 28 ottobre 2021

Vores Øl

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Ricetta approssimativamente per 85 litri (all'incirca 6% volume alcolico).

Malti

Vengono utilizzati quattro tipi di malto d'orzo:
  • 6 kg malto pilsner
  • 4 kg malto monaco
  • 1 kg malto caramellato, tipo crystal
Il malto viene macinato e messo a 55-60 °C in acqua calda per 1-2 ore.
Il malto viene filtrato e il liquido arriva a contenere circa dieci kg di estratto di malto.

Luppoli e aggiunte

  • 50 g luppoli Hallertauer Hersbrucker o Northern Brewer
  • 60 g luppoli Tettnang
  • 300 g Guarana (il guarana può essere solitamente comprato anche nelle erboristerie).
  • 4 kg di zucchero
l'estratto di malto viene portato ad ebollizione in una grande pentola con i luppoli Hallertauer NB e circa 70 litri d'acqua.
Gli ultimi 10 minuti, bisogna aggiungere il guarana e lo zucchero.
La mistura viene fatta bollire a fuoco lento per circa un'ora, dopodiché si spengono i fornelli e vengono aggiunti i luppoli di Tettnang e si lascia così per 10 minuti. La mistura viene poi filtrata e refrigerata in un contenitore sigillato.

Fermentazione

Il lievito viene aggiunto nella birra e lasciato fermentare a temperatura ambiente per circa 2 settimane.
Quando la birra è completamente fermentata, viene trasferita in bottiglie. Prima vengono aggiunti 4 g di zucchero per litro per il priming.
La birra viene poi lasciata nelle bottiglie a clima fresco per 8-10 giorni in modo che la fermentazione produca anidride carbonica.

mercoledì 27 ottobre 2021

5 curiosità sulla Coca-Cola?

Il famoso brand della bevanda analcolica è ormai riconosciuto in tutto il mondo, vediamo 5 curiosità su di esso:



  1. Coca Cola’ è una delle parole più conosciute al mondo, seconda solo ad ‘ok’.

  2. Babbo Natale come ce lo immaginiamo oggi è stato inventato dalla Coca Cola che nel 1931 mostrò nei suoi spot pubblicitari un uomo sovrappeso, dalla lunga barba bianca e sempre vestito rosso.

  3. Il nome Coca Cola deriva dai due ingredienti principali che la compongono: Coca, come l’omonima pianta esentata dalle sue sostanza tossiche; Cola, come una noce che nasce in America.

  4. La Coca Cola è l’84° potenza economica del mondo.

  5. Il 3,1 % della popolazione beve Coca Cola ogni giorno. Parliamo di 1,7 miliardi di bottiglie di Coca Cola.


martedì 26 ottobre 2021

OpenCola

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OpenCola è una specie di cola unica in quanto le istruzioni per prepararla sono liberamente consultabili ed eventualmente modificabili. Chiunque può crearsi la bevanda, e tutti possono modificare o regolare la giusta quantità degli ingredienti, e possono inoltre regolare i loro cambiamenti basandosi sulla GNU General Public License.
Nata inizialmente come mezzo per trasmettere il significato e l'importanza del software open source, la bevanda iniziò ad avere un discreto successo - tanto da far vendere più di 150.000 lattine. L'azienda della OpenCola, situata a Toronto, è diventata famosa più per la sua bevanda, che per il software prodotto. Laird Brown, il responsabile marketing, ha affermato che il successo è scaturito da una graduale sfiducia nelle multinazionali e dalla possibilità di sapere cosa si stia veramente bevendo. Purtroppo però l'industria della OpenCola ha successivamente attuato un nuovo piano strategico preferendo non pubblicare più sul proprio sito informazioni riguardo la prima bibita open source.
L'azienda è poi fallita e ad oggi nessuno produce una bevanda con tale ricetta.



Ricetta

Ingredienti per l'essenza

  • 3,5 mL di olio d'arancia
  • 1 mL di olio di limone
  • 1 mL di olio di noce moscata
  • 1,25 mL di olio di cassia
  • 0,25 mL di olio di coriandolo
  • 0,25 mL di olio di neroli
  • 2,75 mL di olio di lime
  • 0,25 mL di olio di lavanda
  • 10 g di gomma arabica
  • 3 mL di acqua

Ingredienti per lo sciroppo

  • 10 mL di essenza (sopra indicata)
  • 17,5 mL di acido citrico al 75% o acido fosforico al 75%
  • 2,28 L di acqua
  • 2,36 kg di zucchero bianco granulare
  • 2,5 mL di caffeina (opzionale)
  • 30 mL di colorante caramello

Preparazione dell'essenza

  1. Miscelate gli oli in un recipiente ad esempio una tazza.
  2. Aggiungete la gomma arabica e mescolateli con un cucchiaio.
  3. Aggiungete l'acqua e amalgamate il composto con molta cura.
In alternativa potete utilizzare anche un mixer e frullare il tutto per 5 minuti. La miscela può essere tenuta in frigo in un contenitore sigillato oppure a temperatura ambiente.

Preparazione dello sciroppo

  1. Aggiungete a 8 millilitri di essenza i 17,5 millilitri di acido citrico, poi l'acqua e infine lo zucchero.
  2. Se preferite potete aggiungere la caffeina facendo attenzione a scioglierla molto bene.
  3. Aggiungete poi i 30 mL di caramello.
  4. Per finire la vostra OpenCola dovete calcolare per ogni parte di sciroppo 5 parti di acqua gassata.
  5. La OpenCola è pronta!
In Italia era stato avviato un progetto omonimo per una bevanda tonica a base di sambuco. Attualmente il progetto risulta fermato e cancellato.
Recentemente è stato avviato il progetto italiano Open Drink fra i cui obiettivi c'è quello di riscrivere e migliorare la ricetta della OpenCola.



lunedì 25 ottobre 2021

Alexander

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Ingredienti

  • 1/3 brandy o cognac
  • 1/3 crema di cacao scura
  • 1/3 panna da montare
  • noce moscata o cacao
  • ghiaccio
Mix
Shaker

Bicchiere
Coppetta da cocktail

Note
La noce moscata va grattugiata sopra, alla fine.
La panna va agitata nello shaker insieme al resto degli ingredienti.
La coppetta deve essere ben fredda.

Quando
after dinner



domenica 24 ottobre 2021

Crème de cassis

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Crème de cassis è la denominazione ufficiale di un liquore rosso, dolce, ricavato dal ribes nero, detto anche Crema di cassis o Cassis de Dijon o Crème de cassis de Dijon). È una specialità della Borgogna, tuttavia questo liquore si produce anche in altre città della Francia, così come nel Lussemburgo e nel Québec.
Il ribes viene raccolto e messo in infusione in alcol e sciroppo di zucchero, ma vi sono diverse ricette, tanto nella produzione industriale quanto quella casalinga.
La versione moderna della bevanda apparve per la prima volta in Borgogna nel 1841, soppiantando il "ratafià de cassis".
La produzione annuale è di circa 16 milioni di litri e viene consumata soprattutto in Francia. La sua esportazione diede adito alla famosa sentenza Cassis de Dijon, importante per il diritto commerciale europeo.
La Crème de Cassis a sua volta è l'ingrediente principale del Kir, un cocktail che si beve come aperitivo.
Trova spazio anche nel cocktail Russian Spring Punch, nella classificazione IBA.
(2,5cl Vodka, 2,5cl Succo di limone fresco , 1,5cl Crème de Cassis, 1cl Sciroppo di Zucchero, top Prosecco)
Crema di papaia: il liquore è anche una componente fondamentale per guarnire il famoso dessert Brasiliano





sabato 23 ottobre 2021

Americano

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L'Americano è un cocktail italiano che, a dispetto del nome,
fa uso esclusivamente di prodotti italiani: bitter Campari, Vermouth rosso e seltz. È un cocktail ufficiale della IBA.

Composizione

Ricetta

  • 3 cl di bitter
  • 3 cl di vermut rosso
  • Una spruzzata di soda

Preparazione

L'Americano si prepara con la tecnica build (costruzione direttamente nel bicchiere) e si serve di un bicchiere Old Fashioned. Si versa dunque nel bicchiere colmo di ghiaccio Vermouth rosso e Bitter, dopodiché si va a completare con la Soda la quale va miscelata leggermente utilizzando lo stirrer oppure la semplice cannuccia. Alla fine si strizza e si mette all'interno del cocktail una scorzetta di limone e una fettina d'arancia come decorazione.
Come molti cocktail, la sua origine è ignota ma vi sono diversi racconti che accompagnano la sua storia. Il più antico cita l'Americano nel 1860, ideato presso il Gaspare Campari's bar a Milano. Un altro racconto lo fa risalire agli anni trenta, dando anche una spiegazione al perché del nome che non rispecchia la natura del cocktail e dei suoi ingredienti; i quali sono, di fatto, tutti tipicamente italiani: il Campari è di Milano, il Vermut è di Torino; milanese è anche la Soda. Il cocktail quindi sarebbe stato chiamato così in onore di Primo Carnera, un pugile italiano molto attivo negli Stati Uniti, e per questo detto appunto "l'Americano".
L'Americano diventa, negli anni un cocktail di successo, raggiungendo una certa fama anche grazie ad alcuni omaggi cinematografici. Il cocktail italiano è considerato anche il "padre" del Negroni.

 
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