Il
vino bianco
esiste da millenni. Questa bevanda
alcolica ha accompagnato lo sviluppo economico di continenti come
l'Europa, l'America, l'Oceania i cui abitanti sono consumatori di
vino. In Africa e in Asia la cultura vinicola ha avuto un impatto
inferiore dovuto a ragioni climatiche e religiose.
Il vino bianco è un prodotto ottenuto
dalla fermentazione alcolica del mosto di uva a bacca bianca o di uva
a bacca nera con polpa incolore. Durante il processo di vinificazione
viene sottoposto a dei trattamenti specifici per mantenere inalterata
la colorazione gialla trasparente che lo contraddistingue. La varietà
dei vini bianchi è dovuta a tre fattori: la grande diversità dei
vitigni, delle modalità di vinificazione e della quantità di
zucchero residuo presente nel vino.
Il vino bianco è prodotto con uva
proveniente prevalentemente da vitigni di colore verde o giallo che
sono molto numerosi in tutte le zone in cui viene coltivata la vite.
Alcuni vitigni sono molto conosciuti come lo Chardonnay B, il
Sauvignon B o il Riesling B, altri invece sono meno famosi perché
partecipano, assieme ad altri vitigni, all'elaborazione di vini come
il Tokaji, lo Sherry, il Sauternes che sono, appunto, il risultato di
un assemblaggio di diversi vitigni. Il vinificatore può anche
impiegare uve provenienti da vitigni a bacca colorata a condizione di
evitare di colorare il mosto nel momento della separazione della
polpa dal succo. È il caso dello champagne, per la produzione del
quale si utilizzano anche uve provenienti dal vitigno Pinot nero.
Tra i numerosi tipi di vino bianco,
quello secco è il più comune: più o meno aromatico e acidulo, è
prodotto tramite fermentazione totale del mosto, che consiste nella
trasformazione di tutti gli zuccheri in alcol e anidride carbonica.
Invece, per la produzione dei vini dolci, amabili o liquorosi il
vinificatore applica la tecnica della mutizzazione che consiste
nell'interruzione della fermentazione prima che tutti gli zuccheri
dell'uva si trasformino in alcol. Esistono vari metodi per arricchire
il mosto di zucchero: surmaturazione dell'uva ancora in pianta,
appassimento o marciume nobile. Quest'ultimo è un'alterazione
dell'uva causata dalla Botrytis cinerea, che aumenta la
disidratazione dell'uva e la concentrazione degli zuccheri
nell'acino.
Nei vini effervescenti (soprattutto i
vini bianchi), l'effervescenza è dovuta alla presenza nel vino di
anidride carbonica, prodotta nella fase di fermentazione, che sale in
superficie sotto forma di bollicine al momento dell'apertura della
bottiglia creando, inoltre, una delicata spuma.
Reso famoso da scrittori, poeti,
cabarettisti e pittori, il vino bianco è utilizzato come bevanda da
aperitivo, da pasto, da dessert o come bevanda rinfrescante da
consumare tra i pasti. Viene utilizzato anche in cucina per
deglassare il fondo di cottura e per la preparazione di alcune
pietanze grazie alla sua acidità, ai suoi aromi, alla sua tendenza a
rendere tenera la carne. Tuttavia, gli effetti benefici del vino
bianco sul nostro organismo sono minori rispetto a quelli del vino
nero perché contiene meno polifenoli.
La prima traccia di vino risale a circa
7500 anni fa, nell'attuale Iran ma i risultati degli scavi
archeologici non consentono di determinare il momento esatto a
partire dal quale iniziò la produzione del vino bianco. Grazie
all'epigrafia siamo a conoscenza della presenza del vino nel Medio
Oriente: prodotto nelle montagne che fanno da confine tra l'Anatolia
e l'Armenia, venne importato in seguito in Mesopotamia soprattutto a
partire dal terzo millennio a.C. Nelle tavolette di Hattusha sono
iscritti dei termini in lingue diverse che significano “vino”:
wiyana in lingua ittita, geštin in lingua sumera, e karânu in
lingua accadica. Inoltre, si evince dalle iscrizioni che il vino
presso queste popolazioni poteva essere rosso (sas geštin), chiaro
(forse bianco (kù.babbar geštin), buono (dug.ga geštin), mielato
(lal geštin), nuovo (geštin emsa) o inacidito (geštin emsa).
Presso i Greci antichi, il vino era la
cosiddetta “bevanda di Dioniso”. Dioniso era, infatti, il dio
della fertilità, della vegetazione e della vite e, secondo la
mitologia greca, aveva insegnato agli uomini le tecniche di
vinificazione. In suo onore, venivano organizzate le feste
dionisiache durante le quali il vino era il protagonista assoluto.
Alcuni ritrovamenti di frammenti di
boccali di vino, al cui interno sono state rilevate tracce di vino,
fanno risalire il consumo di questa bevanda all'età micenea, verso
la metà del II secolo a.C. Il vino veniva prescritto da Ippocrate a
suoi pazienti nel V secolo a.C. Il fatto che il “vino bianco
vinoso” e il “vino bianco aspro” siano citati tra i rimedi alle
malattie dimostra che già a quell'epoca vi era una diversità nelle
uve e nelle tecniche di produzione del vino bianco.
Le coltivazioni della vite erano
diffuse uniformemente in tutto il mondo greco. Quando i greci
andavano a colonizzare nuove terre avevano l'abitudine di portare con
sé anche tralci di vite da impiantare nelle terre conquistate.
Nell'antica Roma, inizialmente, il vino
era considerato una bevanda di lusso per cui il consumo era riservato
ai ricchi patrizi ed era vietato alle donne in quanto veniva prodotto
in basse quantità. La qualità del vino prodotto era molto inferiore
a quella dei vini greci. La produzione del vino aumentò con la
conquista di nuovi territori a nord e la qualità del prodotto
migliorò applicando le tecniche di viticoltura e di produzione del
vino dei Greci. Furono i militari romani a esportare il vino e a
creare nuove coltivazioni di vite in Italia settentrionale e in
Francia, nella zona di Bordeaux, Borgogna, Loira e Champagne.
Il commercio del vino non riuscì a
sopravvivere alla caduta dell'impero romano d'occidente: la
viticoltura fece marcia indietro. Dal 400 all'800 la viticoltura,
come l'agricoltura, fu in piena decadenza. In molti luoghi
l'abbandono della coltivazione della vite determinò un calo della
produzione e del consumo del vino.
Tuttavia, le conoscenze sulle tecniche
di coltivazione della vite e di vinificazione non andarono perdute:
con l'avvento del Cristianesimo la produzione del vino fu affidata ai
monaci che sfruttavano i terreni dei conventi per la coltivazione
della vite. Il vino era, infatti, un elemento necessario per la
celebrazione della messa e aveva un alto valore simbolico. Durante il
Medioevo i conventi e le abbazie divennero veri e propri centri
vitivinicoli. Tuttavia, per molto tempo, il vino non venne
commercializzato ed esportato perché era difficile da trasportare e
da conservare.
Diversa era la situazione in Europa
settentrionale, dove l'economia vitivinicola era facilitata dalla
presenza di fiumi navigabili lungo i quali erano coltivate le viti.
Ad approfittare della navigabilità furono le popolazioni germaniche
del Reno e del Danubio per esportare la loro produzione. Non a caso,
in Germania e Austria, il Medioevo fu un'epoca di grande sviluppo per
la cultura del vino bianco. In Europa centrale, i vigneti raggiunsero
una superficie di 100.000 ha, tre volte e mezzo quella degli anni '90
del ‘900. A partire dal XIII secolo, i commercianti germanici erano
soliti distinguere tra il vinum hunicum, il vino degli Unni, quello
bevuto dal popolo, e il vinum francium, il vino dei Franchi, quello
bevuto dalla ricca aristocrazia.
Carlo Magno contribuì al progresso
economico del Sacro Romano Impero con il suo capitulare de villis, un
documento non datato emanato per disciplinare le attività rurali,
agricole e commerciali. Fu disciplinato anche il mondo del vino:
s'introdussero nuove regole per la vinificazione come la pulizia dei
vasi vinari e l'introduzione della torchiatura dell'uva per mezzo del
torchio al posto della pigiatura con i piedi.
Una parte del commercio europeo
avveniva per via marittima nella costa atlantica. Gli Inglesi, poi
gli Olandesi e gli Scandinavi erano infatuati dalle coltivazioni
della vite tra Bordeaux e La Rochelle. Mentre nei territori attorno
al porto della Charente venivano prodotti dei modesti vini bianchi
acidi, Bordeaux esportava i vini dell'Haut-Pays provenienti dalla
Garonne. I vini bianchi della Charente diedero vita al cognac mentre
l'alambicco fu introdotto sulle rive della Charente nel XVII secolo.
In quest'epoca, i vini bianchi secchi, che erano stimati dagli
olandesi, venivano prodotti a nord, nei pressi di Nantes,
nell'attuale vigneto del Muscadet e del Gros-plant-du-pays-nantais. I
vigneti della Loira e del sud-ovest beneficiavano della rete
commerciale grazie alla navigabilità della Loira e della Garonna.
Nel bacino mediterraneo, le crociate
arricchirono considerabilmente le Repubbliche rivali di Venezia e di
Genova. Per approvvigionare le truppe dei ricchi signori franchi,
Venezia e Genova si fornivano dei vini greci. Il porto di Monemvasia,
che esportava molto vino bianco, attribuì il nome al vitigno
Malvasia. I crociati scoprirono, inoltre, il vino moscato. Una volta
rientrati in patria, i regnanti e i ricchi aristocratici erano soliti
comprare il vino che avevano acquistato in Oriente. Comprarono,
inoltre, dei ceppi di vite che furono piantati nella
Languedoc-Roussillon e in Spagna. Il commercio di questi vini fu
facilitato della loro elevata gradazione alcolica che garantiva la
conservazione del prodotto nel tragitto verso l'Europa
settentrionale.
Nel 1453, l'Impero Ottomano conquistò
Costantinopoli e la situazione dei Veneziani e dei Genovesi entrò in
crisi; il commercio del vino tra il Mediterraneo orientale e l'Europa
settentrionale diminuì fortemente. In questo momento, la Spagna,
terminata la reconquista, rimpiazzò il vino del mediterraneo con il
suo presso i consumatori inglesi e olandesi. Il porto di Sanlucar de
Barrameda cominciò a esportare vino bianco in grandi quantità,
l'antenato dell'attuale Sherry, che fece furore in Inghilterra. Il
commercio con l'Inghilterra durò anche nel momento peggiore delle
relazioni diplomatiche tra i due Paesi (come nel momento
dell'episodio dell'Invincibile Armata nel 1588). Il commercio con
l'Inghilterra era assicurato dai corsari che rubavano ciò che non
potevano comprare. Tra 40 e 60.000 barrique da 500 l venivano
esportate annualmente in Inghilterra e Paesi Bassi.
A partire dal XVI secolo, furono
piantati i primi vigneti europei in America: in Messico, dove vi
erano già delle coltivazioni indigene, Perù, Bolivia, Argentina e
Cile. Tuttavia, questi vigneti non erano destinati alla produzione di
vino perché l'uva era troppo acida. Servivano a produrre l'acachul,
una bevanda addolcita da frutta e miele.
La piccola glaciazione ghiacciò le
viticolture settentrionali. La vite sparì nella Germania
settentrionale e a Baden, l'altitudine massima della coltivazione
della vite scese di 220 m. Hans-Jürgen Otto segnalò che “ovunque
il vigneto soffrì e diminuì la sua superficie”. La vite sparì
anche in Inghilterra. I vitigni meno precoci erano quelli bianchi.
Anche se le uve non erano abbastanza mature, veniva prodotto un vino
asprigno ancora bevibile, mentre le uve rosse non conferivano al vino
abbastanza colore e i tannini verdi lo rendevano amaro.
L'interruzione della fermentazione a causa del freddo favorì la
scoperta della presa di spuma dello Champagne.
L'arricchimento di una parte della
popolazione creò un'infatuazione per i vini rari. Questo fenomeno,
già all'origine del commercio dello Sherry in Inghilterra, si
riprodusse in Europa centrale. La scoperta dei benefici del marciume
nobile sull'uva bianca risale al periodo verso il 1650 in Ungheria
per la produzione del Tokaji. Hugh Johnson dichiarò che “il Tokay
di tre secoli fa era il migliore vino del mondo, ereditiere di una
tradizione viticola molto antica”. Elaborato con un'uva la cui
maturità è dovuta a un segreto, questo vino sviluppò le sue
qualità grazie ad un'elevazione che restò per molto tempo segreta
nelle cantine sotterranee del vigneto. Apprezzato dalla Casa degli
Asburgo, il Tokaji conobbe in seguito un commercio florido. Ci volle
molto tempo prima di iniziare a imitarlo perché l'utilizzo del
marciume nobile restò un segreto. Solo 120 anni dopo la modalità di
vendemmia tardiva fu sperimentata nelle rive scoscese del Reno.
L'utilizzo del marciume nobile fu attestato a Sauternes nel 1836,
allo Château Tour Blanche.
Altre regioni scoprirono il segreto
della loro ricchezza. Si situa nell'epoca moderna la nascita della
produzione dello Champagne. Fu un monaco francese, dom Pérignon
(1638-1715), nell'anno 1668, nell'Abbazia di Hautvillers nei pressi
di Reims, a produrre il primo vino bianco spumante a partire da uve
nere. Si deve a lui la messa a punto della tecnica della doppia
fermentazione dello Champagne: egli aveva constatato che i vini
bianchi, soprattutto quelli prodotti con le uve Pinot, avevano
tendenza a rifermentare in primavera con il ritorno dei primi caldi.
Perciò, ebbe l'idea di far rifermentare il vino in bottiglia e in
cantine interrate, per renderlo frizzante e mantenerlo giovane.
La moda di bere vino bianco secco
iniziò a Parigi nel XVIII secolo: per evitare il dazio, i Parigini
presero l'abitudine di consumare il vino presso i produttori, fuori
dalle mura della città. I cabaret aprono le loro porte nelle rive
dei fiumi e diventarono delle guinguette (balere): per questo motivo,
il vino consumato in questo luogo prese il nome di “guinguet”.
Lo Champagne è stato creato nel XVIII
secolo, anche se la sua fama mondiale iniziò un secolo prima. I
regnanti europei lo introdussero nelle loro corti, anche se la sua
produzione - veniva necessariamente condizionato in bottiglia - aveva
costi elevati. Hugh Johnson attribuì un ruolo diplomatico importante
allo Champagne: Talleyrand l'avrebbe offerto alla tavola dei
negoziatori del Congresso di Vienna utilizzandolo per rilassare i
loro interlocutori durante le discussioni. L'occupazione delle truppe
russe della Champagne fece conoscere questo vino effervescente
all'aristocrazia russa. Il vedovo Clicquot consegnò il suo vino agli
occupanti dicendo “oggi lo bevono, domani pagheranno...”.
Il progresso dell'industria del vetro
(grazie al carbone, ovviamente) permise di democratizzare l'uso della
bottiglia. La produzione del vino effervescente aumentò
considerabilmente e conquistò il continente americano. La tecnica
della produzione s'industrializzò e altre regioni presero
ispirazione senza che la reputazione dello Champagne risultasse
compromessa. Lo slancio commerciale dello Champagne è un prodotto
delle rivoluzione industriale che lo rese un vino anche alla portata
della classe media.
Il periodo del XIX secolo che
precedette l'arrivo della fillossera fu una vera età d'oro della
viticoltura. La rivoluzione industriale arricchì la borghesia, che
era cliente dei migliori vini, e l'esodo rurale verso le fabbriche
creò un vasto mercato per i vini di produzione di massa. Esemplare
per la produzione dei vini bianchi fu la viticoltura in Germania. Con
la tecnica della vendemmia tardiva i vini poco zuccherati
acquistarono equilibrio nonostante la loro viva acidità. Nel 1872 fu
creato l'Istituto di enologia a Geisenheim.
Nel corso del XX secolo, la
coltivazione della vite nei Paesi in cui era precedentemente
sconosciuta fu in pieno sviluppo. L'unico ostacolo era la temperatura
troppo elevata durante la fermentazione. L'uso di contenitori più
grandi creava problemi alla fermentazione perché i lieviti
producevano un calore che non veniva espulso: al di là di 35 °C, i
microrganismi iniziavano a soffrire e la fermentazione rallentava e
poi si bloccava, cosicché, dopo il raffreddamento del vino, era
necessaria una nuova inoculazione per far ripartire la fermentazione
(senza parlare degli effetti nefasti sugli aromi del vino e il
rischio di spunto lattico). In California, in questo periodo furono
messe a punto delle ricerche per tenere sotto controllo la
temperatura del mosto in fase di fermentazione. Esse rivoluzionarono
il tipo di vino bianco prodotto tanto che i vini europei, elevati
secondo una modalità che rovina il sapore fruttato del vino, erano
agli antipodi di questi vini molto fruttati e caratterizzati da una
vivacità rinfrescante. Nel corso degli anni 60 e 90 del Novecento i
metodi di vinificazione americani raggiunsero anche l'Europa e i
materiali per la refrigerazione sono usati oggi in tutte le regioni
produttrici di vino bianco.
Molti Paesi viticoli producono vino
bianco. Solitamente, i vigneti destinati alla produzione del vino
bianco secco sono localizzati nelle zone a nord o nelle altitudini.
Infatti, l'uva bianca ha bisogno di un clima meno caldo per maturare
rispetto all'uva nera. La mancanza di maturità dei tannini non pone
nessun problema in quanto i tannini non vengono estratti durante la
fase di pressatura. La vivacità del vino bianco è dovuta
all'acidità delle uve che vengono raccolte appositamente un po'
prima della maturazione.
In Europa, il vigneto tedesco produce
in maggioranza uve a bacca bianca (61% della produzione nel 2001)
così come il vigneto svizzero (50% della superficie coltivata) e il
vigneto lussemburghese (93% della superficie coltivata produce uve a
bacca bianca e grigia). In Francia, la metà a nord del Paese produce
prevalentemente vini bianchi (Alsace, Jura, Champagne, Vallée de
Loire). In Spagna, paradossalmente, i vigneti producono in prevalenza
uve a bacca bianca in zone dal clima caldo e il 50% sono localizzati
in Castille-La Manche. La Catalogna produce molte uve a bacca bianca
su una superficie di 45 000 ettari (il totale della superficie
coltivata è 65 600 ettari) destinate alla produzione di un vino
spumante, il cava.
Il continente americano produce vini
bianchi e vini rossi anche in territori dal clima ostile e
sfavorevole come le Montagne Rocciose e il Canada, dove vengono
prodotti dei vini eccezionali con la tecnica dell'Eiswein. Il Canada
è, infatti, il primo produttore mondiale di Eiswein.
Anche le zone più calde della Francia
meridionale producono vino bianco ma in piccole quantità. Si tratta
spesso di vini dolci o liquorosi, vin doux naturel, o vini “vinosi”.
È questo il caso dei vigneti della zona mediterranea (Moscato,
Madeira, Marsala, ecc.).
Secondo Claude e Lydia Bourguignon, i
vini rossi sono adatti a terreni situati su rocce calcaree, mentre i
migliori vini bianchi vengono prodotti su terreni situati su rocce
metamorfiche (Alsace, Moselle, Anjou) o vulcaniche (Tokaji di
Ungheria o Slovacchia). Questi agronomi microbiologi affermano anche
che le terre emerse del nostro pianeta sono costituite per il 90% da
rocce metamorfiche, 7% da rocce sedimentarie (prevalentemente
calcaree) e 3% da rocce vulcaniche.
Per di più, alcuni vini bianchi
eccellenti sono prodotti anche su sottosuoli calcarei: la base
gessosa del vigneto dello Champagne o il calcare marnoso siliceo del
Chassagne-montrachet fungono da scrigno per alcuni dei vini più
importanti del mondo.
Percentuale di vino bianco consumato
nei Paesi in cui gli abitanti ne bevono più di 7 litri l'anno
Paese
|
Proporzione di vino bianco consumato (Fonti)
|
Media Mondiale
|
40,60%
|
Australia
|
60,00%
|
Repubblica ceca
|
60,00%
|
Nuova Zelanda
|
56,00%
|
Lussemburgo
|
53,00%
|
Finlandia
|
50,00%
|
Regno Unito
|
47,00%
|
Austria
|
46,90%
|
Irlanda
|
44,00%
|
Stati Uniti
|
40,00%
|
Germania
|
39,80%
|
Argentina
|
39,00%
|
Italia
|
37,00%
|
Svezia
|
36,00%
|
Canada
|
35,10%
|
Svizzera
|
31,00%
|
Paesi-Bassi
|
30,00%
|
Russia
|
30,00%
|
Belgio
|
28,40%
|
Spagna
|
28,00%
|
Danimarca
|
27,00%
|
Norvegia
|
25,10%
|
Cile
|
25,00%
|
Portogallo
|
25,00%
|
Francia
|
21,00%
|
L'Italia è il Paese al mondo con la
maggiore varietà di vitigni coltivati in tutte le regioni da nord a
sud. I principali vitigni a bacca bianca sono:
Albana: coltivato in
Emilia-Romagna da cui si ottengono vini secchi, amabili e dolci;
Ansonica: coltivato in Sicilia ma
anche in Toscana;
Arneis: coltivato in Piemonte e
conosciuto anche come Nebbiolo Bianco;
Bellone: diffuso in Lazio;
Bianco d'Alessano: coltivato nel
Salento;
Biancolella: originario della
Corsica ma diffuso anche nelle isole campane;
Blanc de Morgex: autoctono della
Valle d'Aosta, immune alla fillossera e resistente al freddo;
Bosco: vitigno coltivato nella
zona delle Cinque Terre;
Carricante: originario della
Sicilia;
Cataratto: originario della
Sicilia, dà origine al Marsala, all'Alcamo e all'Etna bianco;
Chardonnay: vitigno originario
della zona francese di Bordeaux ma coltivato anche in tutta Italia;
Coda di Volpe: vitigno campano;
Cortese: di origine piemontese ma
diffuso anche nell'Oltrepò pavese;
Erbaluce: vitigno piemontese;
Favorita: vitigno piemontese,
usato per la produzione di vino da tavola;
Forastera: vitigno introdotto nel
XIX secolo nell'Isola di Ischia;
Garganega: molto diffuso nel
veronese, utilizzato per la produzione del Soave e del Recioto di
Soave;
Greganico: diffuso in Sicilia;
Grechetto: molto diffuso in Italia
centrale;
Greco: diffuso in Campania;
Grillo: assai diffuso a Marsala,
in Sicilia;
Malvasia: diffusissimo in tutta
Italia, ne esiste una varietà a bacca rossa, in Trentino;
Moscato: originario della Grecia
ma diffuso in tutta Italia;
Müller Thurgau: è un incrocio
tra il Sylvaner e il Riesling Renano, diffuso nel nord Italia;
Nasco: uno dei vitigni più
antichi della Sardegna;
Nosiola: antico vitigno autoctono
del Trentino;
Picolit: diffuso in Friuli;
Pigato: antico vitigno ligure;
Pignoletto: coltivato sui colli
bolognesi;
Pinot Bianco: originario della
Francia, molto diffuso soprattutto in Italia settentrionale;
Pinot grigio: originario della
zona francese di Bordeaux;
Prosecco: coltivato in Veneto, è
alla base di vini spumanti e fermi;
Ribolla Gialla: vitigno friulano;
Riesling: vitigno proveniente
dalla Valle del Reno in Germania;
Sauvignon: vitigno coltivato in
tutto il mondo, originario dalla zona di Bordeaux in Francia;
Sylvaner: originario dell'Austria,
diffuso soprattutto in Alto Adige e Friuli;
Tocai friulano: vitigno del
Friuli,
Torbato: di origine spagnola,
coltivato in Sardegna;
Traminer aromatico: coltivato
soprattutto nel nord Italia;
Trebbiano: viene coltivato in
molte parti d'Italia;
Verdicchio: autoctono delle
Marche;
Verduzzo friulano: autoctono del
Friuli Venezia Giulia;
Vermentino: originario della
Spagna ma coltivato in Liguria, Sardegna e Toscana;
Vespaiola: coltivato in provincia
di Vicenza;
Zibibbo: di origine araba,
coltivato sull'Isola di Pantelleria, è alla base di ottimi vini
passiti.
Costituenti dell'uva e del mosto
Il raspo, o graspo, è la struttura
erbacea che sostiene gli acini dell'uva. È costituito da circa 80 %
d'acqua e circa 3 % di minerali solubili di cui la metà di potassio,
e da polifenoli. Questi ultimi, principalmente tannini, sono
responsabili del sapore amaro e della sensazione di astringenza, o
appunto tannicità. Nel processo di produzione del vino bianco, il
raspo non è di nessuna utilità: i tannini non sono graditi ed è
probabile che l'acqua che contiene diluisca il vino. Per questo,
tramite le tecniche di diraspatura o di pressatura il raspo viene
tolto dalla parte restante della vendemmia.
L'acino dell'uva è costituito dalla
buccia, dalla polpa e dai vinaccioli. Questi ultimi sono duri e
rappresentano il 2-5% del peso dell'acino, contengono 25-45% di
acqua, 34-36% di glucidi, 13-20% di materia grassa (l'olio di
vinaccioli), 4-6% di tannini, 4-6,5% di proteine, 2-4% di minerali e
1% di acidi grassi. Il loro apporto al vino bianco è nullo perché
vengono eliminati nella fase di pressatura; inoltre, la pressione
esercitata non permette di estrarne nessuna sostanza utile. La buccia
rappresenta il 6-12% del peso dell'uva. È ricoperta in superficie
dalla pruina, uno strato ceroso che dona all'uva una colorazione
opaca e che contiene i lieviti necessari per la fermentazione
alcolica. La buccia dell'uva contiene anche, negli strati più
interni, i “precursori d'aroma”, dei composti volatili che
diventeranno gli aromi del vino al momento della fermentazione. La
buccia dell'uva rossa contiene anche gli antociani, coloranti dalle
tonalità che vanno dal rosso vivo al rosso violaceo. Per la
vinificazione in bianco utilizzando uve dalla buccia rossa, è
consigliabile evitare di macerare l'uva e di pressare troppo la
vendemmia per non dissolvere gli antociani nel succo d'uva. La buccia
contiene molta cellulosa, pectine insolubili, proteine e acidi
organici (acido citrico, malico e tartarico). La buccia delle uve del
Sauvignon bianco ha un pH di circa 4,15 e contiene anche tra 2 e 3 %
di tannini. La polpa dell'uva è la parte più importante perché
alla minima pressione fuoriesce il succo che diventerà mosto e, in
seguito, vino. In essa sono contenuti meno precursori d'aroma
rispetto alla buccia. La polpa rappresenta tra il 75 e l'85 % del
peso dell'acino. È costituita da cellule poligonali di grandi
dimensioni che hanno una parete cellulare molto sottile. Essa
contiene:
acqua: è la sostanza principale
della polpa e ne determina la sua succosità;
zuccheri fermentescibili: zuccheri
che si trasformano in alcol e anidride carbonica durante la
fermentazione. Essi sono presenti in quantità variabile nel vino,
generalmente tra 200 e 300 grammi per litro: ad esempio, i vini
secchi ne contengono 170-230 grammi mentre i vini liquorosi ne
contengono in quantità maggiore;
acidi organici: sono
principalmente l'acido malico e l'acido tartarico;
minerali;
vitamine.
Nella vinificazione in bianco, il mosto
è semplicemente il succo d'uva, ottenuto tramite la pigiatura degli
acini, che, successivamente, fermenterà in vino.
Gli zuccheri sono elementi essenziali
per la produzione del vino. Essi sono presenti per natura nel succo
contenuto negli acini, oppure, in casi specifici, possono venire
aggiunti artificialmente al mosto in fermentazione alcolica per
aumentare la gradazione alcolica del vino applicando la tecnica
enologica dello zuccheraggio. Questo procedimento è proibito in
Italia.
Gli zuccheri sono dei glucidi prodotti
dalla fotosintesi clorofilliana. Il saccarosio, prodotto dalle
foglie, circola nella pianta e, quando l'uva è matura, si trova
decomposto negli acini in glucosio e fruttosio in quantità pressoché
equivalente. Questi ultimi hanno un ruolo importante durante la fase
di fermentazione alcolica in quanto vengono trasformati in alcol dai
lieviti in condizioni anaerobiche. Per constatare la fine della
fermentazione è possibile utilizzare uno spettro infrarosso,
applicare un metodo enzimatico o effettuare la determinazione degli
zuccheri nel vino applicando il metodo di Fehling (glucosio e
fruttosio sono zuccheri riducenti che reagiscono a contatto con una
soluzione cupro-alcalina). Tuttavia, non tutti gli zuccheri presenti
nell'uva sono coinvolti nel processo della fermentazione alcolica.
Sono i cosiddetti zuccheri infermentescibili (arabinosio e xilosio)
che, non trasformandosi in alcol e in anidride carbonica durante la
fase della fermentazione alcolica, conferiscono al vino una certa
dolcezza, la quale equilibra la nota piccante dell'acidità e il
grado alcolico38. Solitamente, la quantità di questi zuccheri si
aggira tra 0.5 e 1,7 g/l.
Gli acidi organici contenuti nella
polpa dell'uva sono essenzialmente l'acido malico e l'acido
tartarico. L'acido tartarico, prodotto dalle foglie, è presente nel
vino in quantità pari a 5/7 g/l. L'acido malico è presente nell'uva
non matura e il suo tasso diminuisce con la maturazione dell'uva. Al
momento della vendemmia il suo tenore oscilla tra 2 e 7 g/l. In
realtà, la quantità di acido malico dipende da molti fattori: il
tipo di vitigno, il terroir, il clima (uve coltivate in regioni dal
clima caldo hanno tassi minori di acido malico in quanto la
degradazione dello stesso è accelerata).
Nella polpa esistono molti altri acidi
ma in quantità minore: l'acido citrico, ascorbico, α
chetoglutarico, fumarico, galatturonico, cumarico. La loro quantità
variabile fa variare il pH del mosto.
Il mosto del vino bianco è solitamente
più acido del mosto del vino rosso semplicemente perché l'uva
utilizzata è meno matura.
La vitamina C, o acido ascorbico, è
presente nell'uva e nel mosto in quantità pari a 50 mg/l. La sua
funzione è di proteggere il mosto dai fenomeni di ossidazione. In
presenza di ossigeno si verifica una reazione: producendo acqua
ossigenata, la vitamina c priva gli enzimi, presenti nel mosto,
dell'ossigeno che, altrimenti, rischierebbero di ossidare il vino. In
Italia, l'aggiunta di vitamina c al mosto e nella fase finale di
condizionamento è legale fino a 12 g/hl. Invece, in Francia
l'aggiunta di vitamina c è autorizzata dal 1962 fino al limite di 15
g/hl. Inizialmente era utilizzata solo nella fase finale della
vinificazione, nel momento del condizionamento, per stabilizzare il
vino ma dalla fine del 2000, si tentò di individuare le modalità di
aggiunta di vitamina c nella vendemmia fresca o nel mosto.
La vitamina B1, o tiamina, è presente
nell'uva in quantità pari a 0.2/0,5 mg/l. È un elemento necessario
per il buono sviluppo dei lieviti che sono fondamentali per la buona
riuscita della fermentazione alcolica. La quantità di vitamina B1
presente naturalmente nel mosto prodotto con uva sana è sufficiente
perché l'attività dei lieviti possa dare i suoi frutti. L'aggiunta
di vitamina B1 si rende necessaria per facilitare la fermentazione in
due casi: o in caso di vendemmia alterata dal marciume grigio, o in
presenza di mosto chiaro e a bassa temperatura. La legislazione
italiana, come la legislazione francese, ne limita l'aggiunta fino
allo 0,6 milligrammi per litro.
Le sostanze minerali contenute nel
mosto sono principalmente sodio, calcio, potassio e magnesio. Il
calcio e il potassio si uniscono con l'acido tartarico formando
rispettivamente il tartrato neutro di calcio e il bitartrato di
potassio che, dopo aver raggiunto la massima solubilità possibile,
si depositano nel fondo del tino contribuendo a disacidificare il
mosto. I vini prodotti nelle zone meridionali sono solitamente poco
acidi. L'assenza di acidità è ritenuta dagli esperti un difetto del
vino.
Il vino bianco è elaborato a partire
da uve bianche o da uve nere a polpa bianca (infatti, l'uva nera a
polpa nera, chiamata uva tintoria, colerebbe il succo). Una volta
effettuata la vendemmia, le uve vengono pigiate in modo tale da
recuperarne il succo, chiamato mosto, che viene trasportato nella
vasca da fermentazione per farlo fermentare.
La maturità dell'uva raccolta varia a
seconda del tipo di vino che si vuol produrre. Per produrre alcuni
tipi di vino bianco dolce, liquoroso o vin doux naturel è necessario
vendemmiare l'uva in fase di surmaturazione per favorire la
concentrazione degli zuccheri nella polpa. Infatti, con il progredire
della maturazione, la quantità di zucchero nella polpa aumenta e la
quantità di acidi diminuisce. Per produrre un vino bianco secco, si
vendemmia generalmente 8 giorni in anticipo rispetto alla fase della
giusta maturità dell'uva. Per determinare questo momento si fa
riferimento alla maturità tecnologica dell'uva che coincide con il
periodo in cui il rapporto tra acidi e zuccheri è ottimale. Se non
si tenesse conto della maturità tecnologica per la produzione di un
vino bianco secco, si produrrebbe un vino poco acido, privo di
vivacità, troppo alcolico e gli aromi sarebbero meno freschi e meno
vivi.
Il tipo di vendemmia cambia in base al
vino che si vuole produrre:
per la produzione di vini bianchi
secchi la raccolta tradizionale a mano dei grappoli interi sta
scomparendo a favore dell'impiego della vendemmiatrice. La
meccanizzazione della vendemmia è un'ottima scelta a livello
economico, ma non sempre a livello qualitativo;
per alcuni vini liquorosi, la
vendemmia in più fasi richiede la raccolta manuale e una formazione
ad hoc dei vendemmiatori affinché raccolgano solo i grappoli o
addirittura solo gli acini che abbiano raggiunto la maturità
ottimale o che siano stati colpiti da marciume nobile (è la
cosiddetta selezione degli acini nobili);
per produrre vini effervescenti di
qualità è raccomandata la vendemmia manuale. Quest'ultima è
assolutamente necessaria anche per produrre vini bianchi a partire
da uve a buccia colorata.
Dopo la raccolta è necessario
trasferire l'uva rapidamente dalla vigna alla cantina sia per
proteggerla dall'ossigeno che per evitare di schiacciarla durante il
trasporto. Se la durata del trasporto dal vigneto alla cantina è
lunga, la vendemmiata può essere refrigerata e mantenuta al riparo
dall'ossigeno tramite l'impiego di azoto o di neve carbonica.
I trattamenti prima della fermentazione
La prima tappa del trattamento delle
uve arrivate in cantina consiste nel separare la massa necessaria per
la vinificazione dagli scarti. Da quest'operazione fondamentale
dipende in gran parte la qualità futura del vino. Per questo motivo,
i grappoli vengono solitamente pigiati e diraspati. La tecnica della
pigiatura consiste nello schiacciare, molto delicatamente, gli acini
liberando così il succo e la polpa (questa pratica non viene
applicata al vino bianco prodotto con uve nere perché lo scoppio
prematuro degli acini colorerebbe il mosto). Invece, tramite la
diraspatura, il raspo, l'insieme dei peduncoli del grappo, viene
separato dagli acini per evitare che conferisca al vino un gusto
erbaceo durante la pressatura. Se si usano uve a bacca colorata,
viene praticata la tecnica della sgrondatura, cioè l'eliminazione
delle bucce per poter conservare per tutta la durata della
vinificazione il colore giallo trasparente della polpa.
La macerazione delle bucce avviene
quindi solo in presenza di uve bianche. Di norma, in questa fase di
macerazione pre-fermentativa, la temperatura viene tenuta sotto
controllo per ritardare la partenza della fermentazione, il che
migliora l'estrazione degli aromi varietali presenti principalmente
nella buccia. Diminuiscono, inoltre, l'acidità, il tasso di colloidi
(molecole di grandi dimensioni simili alle pectine) e l'attitudine
all'invecchiamento. Questa tecnica di macerazione esige una pigiatura
soffice, una diraspatura moderata e una solfitazione che protegga il
mosto dall'ossidazione. La sua durata (generalmente da 5 a 18 ore a
18 °C) dipende dal vitigno, dalla temperatura di macerazione, dalla
maturità dell'uva e dalla qualità del terreno.
Le uve pigiate e diraspate vengono in
seguito pressate. Il tipo di pressa utilizzato condiziona in parte la
qualità del vino. Dagli anni '80, le presse pneumatiche hanno
migliorato il lavoro operando a riparo dall'aria e permettendo di
pilotare finemente la pressione per estrarre il succo senza che l'uva
si depositi nel fondo. Il succo ottenuto in seguito allo
schiacciamento degli acini e prima della pressatura viene chiamato
“vino fiore”. Il mosto pressato è il succo ottenuto in seguito
alla pressatura che è ricco di aromi, colloidi e polifenoli. Esso
concentra le qualità o i difetti dell'uva: può essere
caratterizzato dall'odore di funghi dell'uva alterata o dagli aromi
vegetali di un'uva vendemmiata precocemente. Per produrre un vino di
qualità, prima della pressatura è consigliabile evitare di
manipolare l'uva in quanto questo favorirebbe la formazione del
cappello, una massa schiumosa di residui solidi (colloidi, resti di
buccia o di polpa, terra) che galleggia in superficie, che
complicherebbe le fasi successive della vinificazione.
La defecazione è un'operazione che
consiste nella chiarificazione del mosto tramite l'eliminazione del
cappello. Vi sono vari tipi di defecazione:
La defecazione statica;
La defecazione dinamica.
La defecazione statica prevede, dopo la
pressatura, il riposo del mosto nel tino a riparo dall'aria di modo
tale che le particelle in sospensione si depositino nel fondo
spontaneamente. Quest'operazione è facilitata dall'aggiunta di
enzimi pectolitici. Questi ultimi sono proteine che agiscono sulla
pectina presente nel mosto, un polisaccaride che svolge un'azione
strutturale rendendo le operazioni di defecazione molto difficoltose.
Gli enzimi, rompendo le lunghe catene carbonate della pectina
accelerano le precipitazioni dei residui. Questo tipo di defecazione
richiede il raffreddamento del mosto per evitare che con l'aumento
della temperatura inizi la fermentazione: le bolle di diossido di
carbonio rimetterebbero in sospensione i residui del mosto impedendo
così il loro deposito. Una volta chiarificato, il mosto viene
decantato e messo a fermentare.
La defecazione dinamica è praticata
con l'apporto di diverse tecniche fra cui la centrifugazione, la
flottazione e la filtrazione. La centrifugazione è praticata con
l'ausilio della centrifuga che accelera la separazione del mosto dal
cappello. Questa macchina elimina il cappello più grossolano ma non
permette al mosto di raggiungere un alto livello di limpidità. La
flottazione, invece, prevede l'introduzione di un gas nel fondo del
tino che crea delle bolle che porta le particelle del cappello in
superficie dove vengono rimosse da un raschiatore. La filtrazione con
un filtro rotativo sotto vuoto è una tecnica lenta ma efficace che è
spesso usata per estrarre il mosto limpido dal cappello che esce
dalla centrifuga.
Per accelerare la defecazione, oltre
all'enzimaggio, è possibile effettuare il collaggio, un trattamento
che prevede l'introduzione nei mosti e nei vini di una proteina detta
“colla” che precipita verso il basso trascinando con sé le
fecce. Per esempio, la bentonite, come una zavorra, fissa i colloidi
e accelera la velocità di sedimentazione. La gelatina floccula anche
i tannini rimasti in sospensione precedentemente estratti dalla
pressa che avrebbero un effetto negativo sul vino perché sono
associati all'amarezza. Il polivinilpolipirrolidone o PVPP permette
di fissare i polifenoli e di eliminarli. I polifenoli sono
responsabili dell'imbrunimento del vino e la loro eliminazione lo
rende più stabile.
Non sempre il cappello viene
demonizzato e quindi eliminato. Per alcuni tipi di vino, esso viene
utilizzato per incrementare il contenuto dei precursori aromatici di
natura tiolica nel mosto (frutto della passione, agrumi..) che sono
naturalmente poco solubili nel mosto. Infatti, con la tecnica della
stabulazione liquida a freddo, il vinificatore rimette in sospensione
il cappello per un po' di giorni e poi procede alla defecazione
classica. Questa tecnica è utilizzata per la lavorazione di uve
provenienti dai vitigni Sauvignon e Colombard. Si può ottenere un
vino bianco ugualmente ricco di mercaptani applicando la tecnica
della “macerazione del cappello”: il cappello separato dal mosto
con la defecazione statica viene assemblato in un tino refrigerato e
lavorato per un po' di giorni, viene poi filtrato e fermentato.
Le cinque fasi della vinificazione del
Muscadet:
Prima fase: acini dell’uva.
Seconda fase: succo dell’uva.
Terza fase: succo filtrato, non
defecato.
Quarta fase: succo filtrato e
defecato.
Quinta fase: cappello che sarà
filtrato.
Dopo aver subito la defecazione, il
mosto viene messo nei tini di fermentazione.
Ci sono vari tipi di tini di
fermentazione che variano in base ai materiali con cui sono costruiti
(legno di quercia, cemento rivestito di resina epossidica, acciaio
smaltato o inossidabile o rivestito di resina epossidica). Per i tini
di grandi dimensioni è necessario mantenere sotto controllo la
temperatura che dev'essere generalmente attorno ai 18 °C).
La maggior parte degli elementi
aromatici (acetato d'etile e esteri etilici degli acidi grassi) è
sintetizzata dai lieviti in fase della fermentazione del succo
limpido al di sotto dei 18 °C). Ciononostante, la limpidità e la
bassa temperatura contribuiscono a rallentare il processo della
fermentazione. Il ricorso all'inoculazione con dei lieviti
selezionati, cioè l'inseminazione di un mosto o di un vino con una
coltura a base di lieviti, diventa allora necessario in condizioni
difficili di lavoro.
Viceversa, alcuni produttori che
coltivano le loro vigne con il metodo biologico o biodinamico
conservano il cappello nel vino perché è qualità ed è privo di
qualsiasi sostanza chimica di sintesi che possa nuocere ai lieviti.
Il corretto metabolismo dei lieviti è garantito dalla torbidezza del
mosto e di conseguenza la vinificazione in tini di piccole dimensioni
o in barrique non richiede un controllo del freddo.
Generalmente, la fermentazione inizia
spontaneamente sotto l'azione dei lieviti presenti naturalmente
nell'uva. Il vinificatore può anche scegliere di utilizzare un
lievito secco attivo disponibile in commercio che può essere utile
per esprimere le caratteristiche di un vitigno o di una tecnica di
vinificazione particolare. Per un vino bianco secco, la fermentazione
prosegue fino all'esaurimento degli zuccheri. Il vino viene allora
decantato per eliminare nuovamente le fecce rimaste. Al momento della
fermentazione in barrique, la temperatura supera spesso i 20 °C, se
non i 25 °C).
Dopo la fase di fermentazione alcolica,
il vino può subire la fermentazione malolattica, una seconda
fermentazione che disacidifica il vino per opera di alcuni batteri
che trasformano l'acido malico, che contiene due gruppi carbossilici,
in acido lattico, che ne contiene invece solo uno. Quest'operazione,
che diminuisce la pungente acidità del vino, non è sempre gradita.
Infatti, nelle zone meridionali, l'acidità contribuisce alla qualità
del vino conferendogli una vivacità che rinfresca gli aromi del
vino. I vini bianchi dolci non subiscono la fermentazione malolattica
perché lo sviluppo dei batteri lattici nel vino porta alla
degradazione degli zuccheri e all'aumento dell'acidità.
Quest'alterazione prende il nome di spunto lattico o agrodolce).
Nella vinificazione dei vini bianchi
dolci viene praticata la tecnica della utizzazione che permette di
bloccare l'attività fermentativa dei microrganismi presenti nel
mosto per conservare una parte dello zucchero. Ci sono varie modalità
di arresto della fermentazione: aggiunta di anidride solforosa
(sterilizzazione del vino), congelamento (anestesia dei lieviti),
filtrazione sterilizzante (cattura dei lieviti con un filtro a maglia
fine)). Un regola empirica applicata per determinare il momento in
cui praticare la mutizzazione e che permette di ottenere un buon
equilibrio tra alcol e zucchero residuo consiste nel lasciare la
stessa quantità di gradi potenziali e di gradi ottenuti sotto il 10%
volN. Per i vini liquorosi più zuccherati la fermentazione si
arresta spontaneamente per eccesso di zuccheri e di alcol. Per quanto
riguarda il vin doux naturel, l'arresto della fermentazione è
causato dall'aggiunta di alcol vinilico.
Si sta mettendo a punto una
vinificazione “riduttrice” o “tecnologica”. Molto alla moda
in Australia e in Nuova Zelanda, questa tecnica mira a produrre dei
vini bianchi molto aromatici. È una tecnica fruttuosa sui vitigni
Sauvignon B, Colombard B e Riesling B, meno invece sul Chardonnay B
che consiste nel limitare i fenomeni ossidativi del mosto o del vino
in tutti gli stadi della vinificazione: l'uso di gas inerti come
l'anidride carbonica isola l'uva dall'ossigeno presente nell'aria e
il freddo inibisce parzialmente l'azione degli enzimi ossidativi del
mosto (la tirosinasi, enzima naturale dell'uva, e la laccasi, enzima
molto attivo nell'ossidazione che è presente nel marciume grigio.
Quest'ultimo può essere eliminato nella fase di selezione dell'uva).
Un'altra tecnica che permette di conservare un vino bianco pallido,
protetto dall'ingiallimento, consiste nel limitare fortemente la
quantità di polifenoli nel vino riducendo il tempo tra la raccolta e
la pressatura.
Preparazione del vino prima del condizionamento
Tutti i vini, dopo la fermentazione,
necessitano di trattamenti costanti prima di essere pronti al
consumo. È la cosiddetta elevazione che avviene prima
dell'imbottigliamento.
L'elevazione può avvenire nei tini,
come per il Muscadet, in barrique, come per lo Chardonnay, e per i
vini borgognoni o in bottiglia, come per lo Champagne.
L'elevazione nei tini dura il tempo
necessario per sottoporre il vino alla chiarificazione e per la
preparazione al condizionamento (imbottigliamento in bottiglia o in
Bag-in-box). Sui vini bianchi è possibile praticare una tecnica di
elevazione, nota anche come bâtonnage, che consiste nello
scuotimento del vino al fine di rimettere in sospensionele fecce
fini. I lieviti morti che costituiscono le fecce fini si decompongono
donando al vino volume e rotondità. Questa tecnica dev'essere ben
padroneggiata, altrimenti il vino rischia di avere un gusto da
ridotto.
L'elevazione in barrique avviene nello
stesso luogo in cui il mosto subisce la fermentazione. La barrique
svolge un doppio ruolo: aromatizza il vino conferendogli un profumo
da pane grigliato, di burro, di vaniglia e apporta una quantità
molto piccola e regolare di ossigeno che passa attraverso la parete
in legno. L'ossigeno contribuisce a polimerizzare i composti del vino
rendendolo meno aggressivo e più equilibrato.
L'assemblaggio consiste nel mescolare
vini diversi per ottenere la cuvée finale desiderata. Si può
eseguire un assemblaggio di vitigni (è il caso dei vini di Bordeaux
o dei vini della Languedoc-Roussillon) o un assemblaggio di annate o
di cuvée (è il caso dello Champagne).
L'assemblaggio può essere puramente
quantitativo, nel caso in cui si assemblino diverse cuvée per
ottenere il volume desiderato, oppure può essere qualitativo. In
quest'ultimo caso il degustatore o una squadra di degustatori
(cantiniere, enologo proprietario del vitigno) determinano la
quantità di ciascun vino da assemblare nella cuvée finale per
ottenere un vino di ottima qualità.
La chiarificazione consiste nel
ritirare gli elementi non solubili in sospensione nella soluzione
idroalcolica che costituisce il vino. La chiarificazione avviene dopo
che le particelle si sono depositate nel fondo del recipiente
vinario. Questa operazione può essere accelerata con l'utilizzo di
colle enologiche che si fissano sulle particelle insolubili presenti
nel vino per trasportarle nel fondo.
Per la chiarificazione del vino bianco
si utilizzano l'acido tannico o gallotannico (C76H52O46), la caseina,
la gelatina o l'ittiocolla.
La stabilizzazione mira a conservare la
solubilità degli elementi disciolti nel vino durante il periodo di
conservazione in bottiglia. La maggior parte dei componenti del vino
si trova disciolta nel vino. Alcuni però, come l'acido tartarico,
possono ridiventare insolubili durante la conservazione del vino o
nel corso dell'invecchiamento: l'acido tartarico assieme al potassio
forma un sale, il bitartrato di potassio che si presenta sotto forma
di piccoli cristalli nel fondo della bottiglia. Si tratta di un
fenomeno naturale che alcuni produttori cercano di evitare perché i
rivenditori e i consumatori inesperti lo considerano come un difetto
del vino. La cristallizzazione dell'acido tartarico è provocata o
accelerata dallo stoccaggio al freddo perché la diminuzione della
temperatura diminuisce la sua solubilità.
Per stabilizzare questo vino ci sono
vari rimedi:
raffreddare il vino a una
temperatura negativa prossima a quella di congelamento per più
settimane di modo che il sale precipiti e che quindi, si possano
eliminare i cristalli, prima del condizionamento in bottiglia o in
bag-in-box, tramite la tecnica della filtrazione. Tuttavia, si
tratta di un'operazione costosa in energia di refrigerazione e può
modificare negativamente le qualità organolettiche del vino;
introdurre nel vino acido
metatartarico, un polimero dell'acido tartarico, anche se le
modalità di azione di questo acido sono sconosciute. Si pensa che
l'acido metartarico impedisca ai cristalli microscopici di
ingrandirsi ma si tratta di un effetto che dura poco, tra i sei e i
diciotto mesi, perché il calore rischia di idrolizzare i cristalli;
l'elettrodialisi: la corrente
elettrica che scorre tra due placche attira gli ioni del vino
eliminandoli. Questo rimedio non agisce solo sull'acido tartarico ma
anche sul potassio e sul calcio, che è respponsabile della
formazione del bitartrato insolubile;
l'elevazione sur lies. La
constatazione di una migliore stabilità tartarica dei vini bianchi
elevati con questa tecnica portò a fare delle ricerche in
quest'ambito. La mannoproteina, una proteina proveniente
dall'idrolizzato dei lieviti, permetterebbe ai sali di conservare la
loro solubilità. L'aggiunta di questo elemento ottenuto
industrialmente permette quindi di raggiungere una stabilizzazione
di buona qualità. Inoltre, questo rimedio meno costoso in energia e
attrezzatura per la refrigerazione non modifica la percezione
aromatica del vino. Eppure, gli studiosi dell'Istituto Cooperativo
del Vino nella Languedoc-Roussillon non sono convinti dell'efficacia
di questo rimedio;
Un ultimo rimedio per la
stabilizzazione del vino nella prevenzione della precipitazione
tartarica consiste nell'aggiungere gomma di cellulosa o
carbossimetilcellulosa. Questo additivo è stato introdotto nel
settore enologico con il Regolamento (CE) N. 606/2009.
Alcuni produttori che vendono la loro
produzione al consumatore sono soliti spiegare la cristallizzazione
dei sali ai loro clienti che, una volta informati, servono il vino
acquistato cercando di trattenere i cristalli nel fondo della
bottiglia.
La stabilizzazione si rende necessaria
in presenza di proteine instabili che rischiano di creare un difetto
visivo nel vino chiamato casse proteica. In questo caso, si rende
necessario l'uso della bentonite per far precipitare le proteine
instabili che vengono poi eliminate con la decantazione e la
filtrazione. Tuttavia, le proteine possono anche reagire con l'acido
metartarico aggiunto al vino per prevenire le precipitazioni
tartariche: il vino perde la sua brillantezza e diventa opalescente
come il siero del latte. Alcuni vitigni, come il moscato, sono
naturalmente più ricchi di proteine ma la quantità di proteine
presenti nel vino varia anche in funzione dell'annata e del livello
di maturità dell'uva raccolta.
Alcuni vini bianchi tendono a diventare
rosé. Il vino bianco dal colore leggermente rosé assume le
sembianze di un vino “macchiato” cioè sembrerebbe contaminato
dalla presenza degli antociani dei vini rossi. Il fenomeno, invece, è
dovuto alla presenza di un polifenolo incolore che diventa rosa a
causa dell'ossidazione. Per prevenire e curare questo fenomeno, il
vino viene trattato con un collaggio a base di
polivinilpolipirrolidone che permette di eliminare il sostrato di
ossidazione. I vitigni particolarmente sensibili a questo tipo di
problema sono il Sauvignon B, il Viognier, il Grenache B, ecc.
L'SO2, nota anche come anidride
solforosa o diossido di zolfo, è utilizzata in tutte le operazioni
enologiche, dalla raccolta al condizionamento. Protegge i vini
dall'ossidazione, dall'azione enzimatica ossidante ad opera di enzimi
che ossidano i polifenoli del vino, dall'azione delle popolazioni
microbiche, i lieviti e i batteri. Esercita quindi un effetto
antisettico sul vino.
Le dosi massime ammesse tengono conto
del tenore di zuccheri nel vino. Le attuali normative fissano per
l'Italia i limiti massimi a 160 mg/l per i vini rossi e 210 per i
bianchi, 400 per i vini dolci. Alcuni disciplinari biologici, invece,
propongono le soglie di 60 mg/l per i vini rossi, 80 per i bianchi,
120 per i vini dolci, anche se la quantità consigliata è inferiore
ai 20 mg/l. Invece, in Francia, la dose di SO2 è limitata a 150 mg/l
per i vini IGP, 185 per i vini effervescenti, 200 per i vini dolci
naturali e per i vini bianchi secchi, 300 per i vini liquorosi e 250
per i vini bianchi il cui tasso di zucchero è superiore s 5 g/l
(vini amabili).
Filtrazione e condizionamento
Prima di essere venduto ai clienti, il
vino viene filtrato, se necessario, poi condizionato. La filtrazione
consiste nel far passare il vino attraverso un elemento filtrante
destinato a trattenere le particelle fini che si trovano in
superficie nel vino. Tra i metodi di filtrazione applicati citiamo la
filtrazione a placche, a farina fossile (chiamata anche Kieselguhr),
a cartoni e la filtrazione tangenziale (il flusso del fluido da
filtrare scorre tangenzialmente rispetto alla superficie del filtro).
Il condizionamento è l'operazione
destinata a trasferire il vino in un contenitore per essere
commercializzato. Per molto tempo, il cliente era solito recarsi dal
vinaio a riempire le proprie brocche o bottiglie con il vino che si
trovava all'interno delle botti. L'introduzione nel mercato della
bottiglia di vetro ha rivoluzionato il mondo del vino: l'assenza del
travasamento e quindi l'assenza di contatto del vino con l'ossigeno
ha apportato un netto miglioramento della qualità del prodotto.
Oltre alla bottiglia di vetro esistono anche altri contenitori: il
Tetra Brik, la bottiglia di polietilene tereftalato o PET, la
lattina, il cubitainer o il Bag-In-Box. La loro qualità risiede
nell'inerzia chimica e nella loro ermeticità.
Le bottiglie di vino hanno forme e
spessori diversi. La forma più emblematica è quella della bottiglia
di vino effervescente che, a causa della pressione esercitata dai gas
presenti nel vino, viene fabbricata con un vetro spesso. Molti paesi
hanno adottato per i vini bianchi una bottiglia più affusolata
rispetto a quella usata per i vini rossi. Le bottiglie portano il
nome del luogo di provenienza:
La varietà del colore del vino bianco
rispecchia la varietà dei tipi di vino bianco. Ai vini bianchi viene
associato comunemente il colore giallo, anche se sono tante le
sfumature di colore che gli vengono attribuite sulla base dell'esame
visivo.
Alla fine del XX secolo non erano
ancora stati individuati gli elementi responsabili del colore del
vino. Per molto tempo, si pensò che i flavoni determinassero il
colore del vino ma, essendo presenti nel vino in quantità ridotte,
la ricerca si spostò su altre direzioni. Una tesi di Biau nel 1995
sostenne che è la presenza di polisaccaridi, proteine, acidi
fenolici che attribuisce ad ogni vino la sua colorazione. Max
Léglise, un enologo francese, precisò che “si utilizzerà il
termine oro se l'aspetto è molto brillante e ricco di riflessi,
definendolo anche attraverso le sfumature che caratterizzano questo
metallo (…). Qualora, anche se limpido, il vino non irradia
riflessi, lo si definirà giallo ”.
Nella scala dei colori, il vino bianco
può essere definito quasi incolore. Un vino bianco giovane ha
solitamente una tonalità verdastra pallida o giallo pallida. Il suo
colore ingiallisce e diventa più scuro con il passare del tempo e
durante l'elevazione fino a diventare oro, ramato e infine ambrato.
Uno dei vini più scuri al mondo è ottenuto con un vitigno bianco,
il pedro ximenez . Anche il tasso di zucchero fa evolvere il colore
dei vini verso tonalità più sostenute come anche i tipi di vitigno:
un Sauvignon bianco bordolese o un Muscadet hanno una tonalità
verdastra mentre uno Chardonnay o un Traminer vinificati allo stesso
modo sono di colore giallo.
Gli aromi del vino bianco coprono quasi
tutta la ruota degli aromi del vino. Per descrivere gli aromi del
vino ci si basa sulle caratteristiche olfattive presenti nel
bicchiere. Le sostanze "odorose" sono di varia natura, la
loro classificazione viene fatta per associazione con odori naturali
già noti. Il vino bianco emana di solito aromi fruttati, floreali e
minerali, ma non solo.
Gli aromi fruttati comprendono gli
agrumi (limone e pompelmo), i frutti bianchi (mela, mela cotogna,
pesca, albicocca), la frutta secca (noce, nocciola) e i frutti
esotici (ananas, mango, litchi). Naturalmente, gli aromi fruttati
includono anche la frutta cotta (composte, marmellata, frutta
candita).
Gli aromi floreali comprendono i fiori
d'acacia, la lonicera, la verbena, la violetta, ecc.
Gli aromi minerali includono la pietra
focaia, il silice, la selce. Questi aromi sono tipici del Chardonnay
B e del Sauvignon B mentre il Riesling B alsaziano invecchiato
richiama sentori di petrolio.
Altri aromi sprigionati dal vino bianco
si formano durante la fase dell'invecchiamento. L'elevazione in
barrique apporta sentori di vaniglia, burro, brioche, pane grigliato,
caramello. La lunga elevazione del vino giallo o dello Sherry
sprigiona degli aromi di noci fresche, di mandorla o di nocciola.
Addirittura, alcuni aromi che si pensa
siano caratteristici solo dei vini rossi sono emanati dai vini
bianchi; è il caso di certi champagne vinificati a partire da uve a
bacca nera che ricordano i frutti rossi (fragola, lampone, mirtillo,
ribes, ecc.). Gusto
In bocca, il vino bianco possiede un
equilibrio gustativo diverso dal vino rosso perché è povero di
tannini. L'equilibrio non si fonda solo sul rapporto tra alcol e
acidità, come nei vini rossi, ma vi è anche un'altra componente nel
vino bianco: lo zucchero. Infatti, per i vini bianchi amabili e
liquorosi lo zucchero è ciò che permette di equilibrare l'alcol e
l'acidità.
L'elevazione in barrique apporta una
nota legnosa al vino: i tannini della quercia lo rendono un vino
strutturato. È preferibile invecchiare alcuni grand cru di Sauternes
(per esempio lo Château d'Yquem) in barrique nuove, cioè mai state
usate precedentemente.
Da quando esistono i contenitori in
vetro, sono stati creati anche bicchieri specializzati per ogni tipo
di vino. Esistono, infatti, numerosi bicchieri specifici da vino
bianco in molte regioni produttrici di vino. Il vetro dev'essere
perfettamente trasparente e incolore se si vuole apprezzare
correttamente il colore del vino. Tuttavia, i designer e i
fabbricanti di stoviglie hanno creato dei bicchieri da vino bianco
aventi il piede verde o blu. Questi colori esaltano il colore del
vino e donano un colore artificiale alla nuance, la linea di riflesso
che marca la separazione tra il vino e il bicchiere.
I vini effervescenti vengono serviti in
bicchieri particolari: la flûte e la coppa. La flûte viene usata
soprattutto nelle degustazioni: la sua forma concentra gli aromi
verso il naso del degustatore e la sua altezza permette di apprezzare
la finezza delle bolle che salgono in superficie. L'utilizzo della
coppa nelle degustazioni è sconsigliato per la sua forma troppo
svasata. Infatti, non riuscendo a conservare l'orlo di spuma, i gas e
gli aromi si disperdono troppo velocemente. Una leggenda narra che la
forma di questo bicchiere è stata ispirata alla forma del seno della
Marchesa di Pompadour che visse in un'epoca in cui i vini erano in
maggioranza più dolci e meno aromatici. Dagli anni '30, e con
l'abitudine di bere vini effervescenti più secchi, è entrata in
voga la flûte.
Oltre a questi tipi di bicchiere, una
squadra di degustatori, tra i quali Jules Chauvet dell'INAO francese,
l'Istituto Nazionale dell'Origine e della Qualità, ha creato nel
1970 il verre INAO o bicchiere ISO. Si tratta di un bicchiere
progettato per sublimare gli aromi del vino per poterlo valutare
correttamente. Le pareti sono molto sottili e le sue dimensioni sono
calcolate. Questo bicchiere, semplice ma elegante, può essere
utilizzato anche per servire i vini a tavola.
Il vino bianco secco è un vino quasi
privo di zucchero: il tasso di zucchero è generalmente inferiore a 4
g/l. È un vino difficile da elaborare perché l'equilibro del vino
risiede solo su due parametri: l'acidità e l'alcol. È il vino
bianco classico al quale si riferisce il consumatore quando parla di
un vino bianco senza nessun'altra precisazione.
Prima degli anni 50 la vinificazione
europea tradizionale dei vini bianchi secchi aveva luogo in piccoli
recipienti dove la temperatura non era abbastanza alta da provocare
la fermentazione; attraverso questa modalità di vinificazione si
producevano vini strutturati e rotondi ma poco aromatici. Uno di
questi vini è lo Chardonnay. In California e in Australia, il
bisogno di raffreddare la vendemmia e il vino in corso di
fermentazione ha spinto i vinificatori ad equipaggiare le loro
cantine con un'attrezzatura adeguata: gruppo di freddo (centrale di
refrigerazione), circuito del liquido refrigerante e vasche
termoregolate da una serpentina posizionata all'interno della parete
della vasca (serpentina saldata a forma di piccola placca a scambio
termico elevato) o da piastre scambiatrici di calore. Questa modalità
di vinificazione è arrivata in Europa nello stesso momento
dell'arrivo delle nuove tecniche di trattamento del mosto
(defecazione più potente, uso di lieviti selezionati, aggiunta di
colle e di enzimi, pratica della macerazione della buccia).
Nel gergo vinicolo l'insieme di queste
pratiche produce un “vino tecnologico”. Si tratta di un vino
profumato, vivace, e che non ha bisogno di invecchiare. I tipi di
vini bianchi europei prodotti con il metodo “all'antica” si sono
adattati molto alle nuove modalità di vinificazione. Fu il vitigno
Sauvignon B ad aver beneficiato per primo di queste nuove tecniche
evitando l'assemblaggio con il Sémillon B, la produzione del quale,
di conseguenza è in netto calo da una trentina d'anni. In Borgogna,
le nuove tecniche devono fare i conti col fenomeno di ossidazione
prematura.
La foto sottostante, che paragona i
colori dei due Chenin B, illustra la differenza visiva tra un vino
sud africano “tecnologico” (lo Stellenbosch a sinistra) e un vino
francese della Val de Loire “classico” (il Savennières a
destra).
Dai vini bianchi dolci ai vini bianchi liquorosi
Tra i vini dolci, esiste una grande
varietà, dal vino leggermente dolce al vino liquoroso di consistenza
sciropposa.
Nella produzione dei vini dolci, la
fermentazione viene bloccata prematuramente per impedire che lo
zucchero, presente naturalmente nell'uva, si trasformi in alcol.
Tuttavia, la tecnica dello zuccheraggio, che consiste nell'aggiunta
di una certa quantità di saccarosio nei mosti che risultano poveri
di zucchero, ha modificato le tecniche vinicole di alcune regioni.
Esistono numerose tecniche di concentrazione dello zucchero:
L'“appassimento su pianta” o
“vendemmia tardiva” consiste nel lasciare maturare al sole l'uva
sulla vigna. Una volta raggiunta la maturazione dell'uva, lo
zucchero non si accumula più ma l'acqua evapora, diminuendo il
rendimento e facendo alzare il tasso di zucchero. È il metodo più
antico e più comune;
La “torsione del raspo”: il
vignaiolo impedisce alla linfa di raggiungere il grappolo, che di
conseguenza, si appassisce più velocemente;
L'”incisione anulare del
tralcio”, più lunga da praticare, consiste nel togliere un anello
di corteccia sul tralcio posto al di sotto del grappolo di modo che
la linfa vitale si concentri nell'uva e la linfa grezza continui ad
alimentare la parte sottostante del tralcio;
Un altro metodo rapido ed
efficiente consiste nel rompere una parte del capo a frutto di modo
che l'uva a monte si appassisca mentre l'uva a valle evolva
naturalmente. L'assemblaggio dei due tipi di uva in vasca o nella
pressa migliora il risultato finale;
L'“appassimento fuori pianta”
viene eseguito prima della pressatura. L'uva viene posta in locali
appositi e appesa su ganci oppure viene stesa nei graticci per
permettere all'acqua contenuta negli acini di evaporare. Questo
metodo viene utilizzato per la produzione del vino passito;
Il marciume nobile è
un'alterazione dell'uva causata dalla Botrytis cinerea, che aumenta
la disidratazione e la concentrazione degli zuccheri nell'acino. In
particolare, questo fungo crea delle perforazioni microscopiche
nella buccia dell'uva causando l'evaporazione dell'acqua ma
consentendo di conservare tutte le altre sostanze. Inoltre, alcune
reazioni chimiche che avvengono all'interno dell'acino durante la
formazione del marciume nobile generano vini dotati di profumi e
aromi particolari;
Il “congelamento dell'uva” e
la sua pressatura a freddo permettono di pressare solo la parte
liquida dell'acino. I pezzettini di acqua congelata restano nella
pressa e solo il succo zuccherino scorre. Questa è la tecnica di
vinificazione dell'Eiswein. La crioestrazione è una tecnica recente
ideata per riprodurre il fenomeno nelle regioni dal clima mite:
l'uva viene congelata artificialmente prima della pressatura. Il
metodo permette di essere indipendenti dal clima e di lavorare senza
attendere le gelate evitando quindi di perdere il raccolto per
motivi climatici e di evitare l'attacco dei passeri affamati.
Tuttavia, i tempi corti di maturazione non conferiscono al vino
l'aromaticità che si otterrebbe con il metodo naturale di
congelamento.
Il vino effervescente o vino spumante
è, nella maggioranza dei casi, un vino bianco che contiene anidride
carbonica, chiamata anche diossido di carbonio. In corso di
fermentazione tutti i vini sono effervescenti; infatti, durante la
fermentazione alcolica di tutti i vini, i lieviti producono anidride
carbonica. In molti casi, il gas prodotto dalla fermentazione
evapora: non si produrrà più un vino effervescente ma un vino
fermo. Le tecniche di vinificazione dei vini spumanti mirano quindi a
conservare disciolta nel vino l'anidride carbonica, responsabile
dell'effervescenza e delle bollicine:
Il “metodo tradizionale” che
un tempo era chiamato “metodo champenois” consiste nel produrre
il vino bianco o rosé applicando le tecniche di vinificazione dei
vini fermi. In seguito, al vino viene aggiunta la liqueur de tirage,
una miscela di zucchero e di lieviti che viene aggiunta alla cuvée
dei vini-base per far ripartire la seconda fermentazione in
bottiglia, detta anche presa di spuma. Il vino viene in seguito
sboccato e poi addizionato con la liqueur de dosage, un liquido più
o meno zuccherato con il quale l'azienda vinicola dà allo spumante
l'impronta stilistica desiderata: brut, demi sec, doux;
Il “metodo rurale” o “metodo
artigianale” prevede l'arresto della fermentazione provocato dal
freddo (un tempo era l'inverno che bloccava la fermentazione) di
modo tale che lo zucchero residuo finisca di fermentare in
bottiglia, producendo gas disciolto. È il metodo creato dai
produttori di Gaillac e di Blanquette de Limoux;
Il “metodo a trasferimento”
riprende il metodo tradizionale: dopo la presa di spuma, le
bottiglie vengono sboccate e il vino viene assemblato in autoclave
sotto pressione. Viene poi filtrato e imbottigliato nuovamente;
Il “metodo Dioise ancestrale”:
dopo la presa di spuma che avviene anche nel metodo rurale, il vino
viene filtrato in un'autoclave come nel metodo a trasferimento;
Il “metodo Martinotti-Charmat”:
la seconda fermentazione si verifica in autoclave: il vino viene
filtrato e poi imbottigliato sotto pressione;
La “spumantizzazione in
continuo” o “metodo russo”: il vino passa da un'autoclave
all'altra, dove i lieviti sono fissati su trucioli di quercia. Dopo
la filtrazione, il vino viene imbottigliato sotto pressione;
Il “metodo della
gassificazione”: al vino di base viene aggiunto del liqueur de
dosage e de diossido di carbonio alimentare. Il vino viene poi
imbottigliato sotto pressione. Si tratta del metodo di vinificazione
degli spumanti aromatizzati.
I maggiori produttori mondiali di vino
effervescente nel 2010
Paesi
|
Milioni di ettolitri (Fonte)
|
Francia
|
4,8
|
Italia
|
2,9
|
Germania
|
2,5
|
Russia
|
2,25
|
Cile
|
1,9
|
Spagna
|
1,6
|
USA
|
1,3
|
Reso celebre dallo Champagne,
utilizzato per battezzare le grandi navi nel momento
dell'inaugurazione, prodotto in quasi tutti i Paesi produttori di
vino, il vino effervescente è associato agli eventi festivi e
commemorativi. Questo lato eccezionale del vino effervescente si
rispecchia nella fattezza della bottiglia: innanzitutto, la pressione
del gas esige una bottiglia più pesante; poi, il tappo a forma di
fungo è imprigionato all'interno di una gabbietta metallica; infine,
la parte alta della bottiglia è ricoperta da un involucro
metallizzato, dorato o argentato.
Un vino muté è un vino ottenuto con
l'aggiunta di alcol in fase di fermentazione.
In questa categoria rientrano tre tipi
di prodotti vinicoli, a seconda del momento in cui avviene la
mutizzazione:
Le mistelle, o vini liquorosi,
sono dei vini prodotti con mosto non fermentato che subiscono il
processo della mutizzazione. Anche se molti stentano a definirlo
vino a causa della mancanza di fermentazione, si tratta di un
prodotto alcolico, la cui materia prima di base è l'uva. Il Pineau
de Charentes, il Floc de Gascogne o il Macvin dello Jura sono tre
mistelle francesi AOC (DOC secondo la normativa italiana);
I vin doux naturel sono vini in
cui la fermentazione viene bloccata precocemente. L'alcol aggiunto
permette di conservare lo zucchero dell'uva, garanzia di dolcezza
nel momento della degustazione. La maggior parte dei vini Moscato
fanno parte di questa categoria (Moscato di Beaumes-de-Venise,
Moscato di Rivesaltes, Moscato di Mireval, Moscato Catalano, Moscato
d'Asti, etc.), così come il Porto bianco o il Madeira;
I vini muté secchi sono dei vini
senza zucchero ottenuti con il blocco della fermentazione ai quali
viene aggiunto dell'alcol per aumentarne il grado alcolico.
L'invecchiamento più lungo aumenta i tempi di conservazione. Fanno
parte di questa tipologia lo Sherry o alcuni Porto bianchi secchi.
Per degustare un vino è necessario
servirlo a una giusta temperatura di servizio. Il vino dev'essere
fresco ma non ghiacciato. Tra 8 e 9 °C, la freschezza accentua la
vivacità delle bollicine di un vino effervescente e attenua la
dolcezza di un vino amabile o liquoroso. Invece, un vino secco
aromatico dev'essere servito tra 0 e 12 °C per stimolarne la
vivacità e donare freschezza agli aromi.
Infine, la temperatura di servizio dei
vini bianchi dev'essere tra 12 e 14 °C per far sì che i degustatori
percepiscano gli aromi e la struttura del vino.
Abbinamenti vino bianco-cibo
I vini e i piatti s'influenzano l'un
l'altro. Per esempio, i piatti leggermente dolci o salati attenuano
l'acidità del vino bianco e il vino accentua il salato dei cibi e
alleggerisce i piatti grassi. Il vino dolce accompagna i piatti dolci
e salati attenuando la pesantezza dello zucchero.
Durante l'aperitivo, il vino secco
profumato o il vino effervescente si sposa con gli stuzzichini.
Secondo gli specialisti della degustazione, f1, lo zucchero o l'alcol
e la vivacità fruttata di alcuni vini hanno un effetto saturante e
stimolante sulle papille gustative.
A tavola, i vini molto secchi,
leggermente minerali, sono raccomandati con le ostriche e i frutti di
mare perché la loro acidità tende far a risaltare la salinità dei
molluschi. Con i crostacei, il pesce e le carni bianche bollite è
indicato un vino bianco profumato. Per quanto riguarda le pietanze
accompagnate da una salsa, il vino bianco controbilancia la
pesantezza dei grassi. Se la salsa è ben equilibrata da un
ingrediente vivo (succo di limone o mostarda), è consigliato un vino
amabile o secco elevato in barrique, quindi un vino più ricco e
consistente. I vini dolci, amabili o liquorosi accompagnano bene i
piatti esotici alle spezie dolci (tajine, piatti alla cannella, alla
vaniglia, ecc.). I vini bianchi liquorosi sono raccomandati, invece,
con il foie gras. La diversità dei vini effervescenti fa sì che
questi vini possano accompagnare qualsiasi tipi di pietanza. Infatti,
possono essere consumati dall'inizio alla fine dei pasti.
I gastronomi preferiscono generalmente
il vino bianco al vino rosso per accompagnare i formaggi, visto che
la sua acidità si sposa bene con la materia grassa dei latticini. I
vini secchi dagli aromi minerali come il Sauvignon o alcuni
Chardonnay rivelano il gusto latteo dei formaggi caprini. I vini
aromatici come il Gewurztraminer e alcuni vini effervescenti si
abbinano al gusto potente dei formaggi a pasta molle e a crosta
lavata (Maroilles, époisses, Munster, etc.). I vini bianchi secchi
neutri (Castilla la Manche, Trebbiano) si abbinano bene ai formaggi
grassi di pecora e un po' piccanti (Manchego e Pecorino romano). I
formaggi a pasta pressata cotta richiedono un vino grasso con note
legnose. Ne è un esempio l'abbinamento tra il formaggio Comté e il
vino giallo di Jura. I vini liquorosi sono consigliati con i formaggi
erborinati come il Bleus, il Roquefort e il Gorgonzola. In questo
caso, la muffa del formaggio (Penicillium roqueforti) e quella del
vino (marciume nobile) creano un'accoppiata armoniosa.
Il vino bianco è anche un vino da
dessert. Tutti i tipi di vino sono permessi anche se quelli amabili e
liquorosi sono i più indicati. I vini profumati (Gewurztraminer,
Moscato) effervescenti o amabili si abbinano bene con i dessert alla
frutta (macedonia, torta). I liquorosi e gli effervescenti sopportano
la ricchezza dei dessert a base di crema o di burro. Le crème brûlée
o il caramello possono essere consumati con un vino dolce e vivo come
il Jurançon o un vino da vendemmia tardiva. Il cioccolato richiede
un vino potente, ad esempio un vino dolce naturale ambrato.
Più di tutti gli altri vini, il vino
bianco può essere consumato tra i pasti. Quest'abitudine
anglosassone e germanica richiede un vino amabile o un vino secco e
fruttato.
Vino bianco come ingrediente dei piatti
Il vino bianco viene utilizzato
regolarmente in cucina: è un valido alleato per sgrassare i cibi
grassi grazie alla sua acidità che, inoltre, rende più delicati e
teneri la carne e il pesce. In alcuni piatti, il vino bianco si può
sostituire con il limone o, in assenza di quest'ultimo, con
l'agresto, una conserva liquida densa a base di mosto d'uva, dal
sapore acidulo. Dalla fermentazione del mosto si ottiene l'aceto,
anch'esso usato spesso in cucina per conferire una nota agrodolce ai
cibi.
Come mezzo per equilibrare i grassi, il
vino bianco viene usato nella preparazione delle salse, come la salsa
ravigote, la salsa bernese, la salsa marinara, ecc. Il vino bianco
serve anche per deglassare il fondo di cottura: utilizzando un vino
dolce, si creerà una salsa agrodolce sia dolce che salata. Nella
fonduta al formaggio, la vivacità del vino bianco si equilibra con
il grasso del formaggio. Inoltre, la freschezza del vino come bevanda
da tavolo si oppone al calore della fonduta.
Nelle marinature, il vino ha il potere
di rendere più tenere le fibre. A volte, permette anche di evitare
la cottura di pietanze come il carpaccio di tonno all'italiana.
Il vino bianco è anche utilizzato come
liquido in cui immergere i cibi nelle cotture lente. In questo tipo
di piatto, il vino ha la funzione di ammorbidire la carne e di
equilibrare il grasso del sugo. Per questo motivo, viene utilizzato
nella preparazione dei crauti, della baeckoffe, del risotto, delle
salse per carni bianche come l'ossobuco, la bistecca di vitello, il
pollo, il coniglio e gli affettati.
Una regola ammessa dai gastronomi è di
servire a tavola lo stesso vino che è stato utilizzato nella
preparazione delle pietanze.
A causa della breve macerazione, il
vino bianco contiene pochissimi tannini e quindi pochissimi
antiossidanti che, invece, rendono il vino rosso molto interessante
dal punto di vista medico. Tuttavia, una squadra di medici di
Montpellier hanno creato un vino bianco arricchito di polifenoli che
oggi è destinato all'importazione verso l'Europa del nord, una
regione che consuma il vino bianco in grandi quantità.
L'anidride solforosa, un additivo
comunemente utilizzato nel vino, non è nociva se presente in basse
piccole quantità ma i suoi effetti sono temuti dagli asmatici perché
questo gas può provocare un attacco d'asma. L'insorgenza di altri
disturbi come problemi respiratori, emicrania, e sensazione di calore
nello stomaco possono essere sintomi di un'intolleranza. È molto
rara una reazione dovuta alla mancanza di solfito ossido reduttasi,
un enzima che degrada l'anidride solforosa. Sono in corso degli studi
che mirano a verificare se alcuni sintomi attribuiti alla presenza di
anidride solforosa non possano essere causati da altre molecole
presenti nel vino. Il vino bianco è una bevanda acida il cui pH
varia da 2,8 a 3,6: si tratta di un'acidità aggressiva che può
rovinare lo smalto dentale.
Inoltre il vino contiene alcol,
espresso in gradi o in percentuale, che è responsabile della cirrosi
epatica. Questa malattia può insorgere a partire da un consumo di
alcol di 20 g al giorno negli uomini e 40 g nelle femmine. Tuttavia,
studi condotti in California hanno dimostrato che il consumo
quotidiano di vino in piccole dosi non è dannoso per il fegato, anzi
riduce il rischio di malattie cardiovascolari. Nel 2010 sono stati
condotti degli studi per determinare quali componenti del vino sono
responsabili di questo effetto benefico.