sabato 21 dicembre 2019

Vores Øl

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Vores Øl (Danese per La Nostra Birra, o in inglese Our Beer) è una birra danese.

Informazioni Generali
Origine
La birra è stata presentata come la prima birra open source. La ricetta è stata pubblicata sotto Licenza Creative Commons (Attribuzione - Condividi allo stesso modo - 2.5). La birra è stata creata dagli studenti dell'IT-University a Copenaghen insieme a Superflex, un collettivo di artisti di Copenaghen, per illustrare come i concetti di open source possano essere applicati anche fuori dal mondo digitale. Gli studenti hanno preparato la birra, la prima serie di 100 litri, intitolata 'versione 1.0', nella caffetteria della scuola, e hanno creato un'etichetta e un sito web per promuoverla; in seguito ne hanno pubblicato la ricetta.

Utilità della ricetta originale
Le reazioni della comunità dei bevitori di birra (homebrewing) sono state quasi immediate e molti hanno criticato la qualità della ricetta, scrivendo nel thread di Slashdot.
I principali reclami riguardavano il fatto che non era stato dichiarato quanta acqua si dovesse utilizzare nella mistura, quale tipo di lievito doveva essere usato, lo stile di birra che sarebbe stato prodotto (se non che sarebbe stata scura ed heavy), se fossero o meno stati aggiunti dei luppoli per l'aroma, quale fosse la temperatura di fermentazione o che sapore avrebbe dovuto avere la birra. In analogia alle linee guida del software open source che il gruppo sta promuovendo implicitamente, molte persone hanno detto che se questa ricetta fosse il codice sorgente, non potrebbe essere compilata.
Rasmus Nielsen, uno dei sviluppatori della birra, ha ammesso che la birra era un mezzo per comunicare un messaggio di "nozioni dogmatiche del copyright e della proprietà intellettuale che stanno dominando la nostra cultura." Ha anche dichiarato che il gruppo non era composto da guru della birra e ha sottinteso che la loro esperienza nella produzione di birra era limitata. In base al tema di fondo della campagna portata avanti dal gruppo, la correzione e lo sviluppo di questa ricetta è attivamente consigliato e Wikipedia, nominata come una delle tecnologie di sviluppo che ha incitato lo sviluppo di Vores Øl , si adatta alla loro visione di avere veramente una ricetta open source.

Ricetta
Ricetta approssimativamente per 85 litri (all'incirca 6% volume alcolico).

Malti
Vengono utilizzati quattro tipi di malto d'orzo:
  • 6 kg malto pilsner.
  • 4 kg malto monaco.
  • 1 kg malto caramellato, tipo crystal.
Il malto viene macinato e messo a 55-60 °C in acqua calda per 1-2 ore.
Il malto viene filtrato e il liquido arriva a contenere circa dieci kg di estratto di malto.

Luppoli e aggiunte
  • 50 g luppoli Hallertauer Hersbrucker o Northern Brewer.
  • 60 g luppoli Tettnang.
  • 300 g Guarana (il guarana può essere solitamente comprato anche nelle erboristerie).
  • 4 kg di zucchero.
L'estratto di malto viene portato ad ebollizione in una grande pentola con i luppoli Hallertauer NB e circa 70 litri d'acqua.
Gli ultimi 10 minuti, bisogna aggiungere il guarana e lo zucchero.
La mistura viene fatta bollire a fuoco lento per circa un'ora, dopodiché si spengono i fornelli e vengono aggiunti i luppoli di Tettnang e si lascia così per 10 minuti. La mistura viene poi filtrata e refrigerata in un contenitore sigillato.

Fermentazione
Il lievito viene aggiunto nella birra e lasciato fermentare a temperatura ambiente per circa 2 settimane.
Quando la birra è completamente fermentata, viene trasferita in bottiglie. Prima vengono aggiunti 4 g di zucchero per litro per il priming.
La birra viene poi lasciata nelle bottiglie a clima fresco per 8-10 giorni in modo che la fermentazione produca anidride carbonica.


venerdì 20 dicembre 2019

Gli astronauti possono bere alcolici nella ISS


Una fatto storico: su Apollo 8 in ritorno sulla Terra dalla Luna, durante una particolare cena di Natale sono state servite delle bottiglie di Brandy in miniatura.
Tuttavia il comandante Frank Borman ha ordinato all'equipaggio di non berle. Il pilota del modulo di comando James Lovell ha venduto tutto all'asta nel 2008.



giovedì 19 dicembre 2019

Qual è la quantità di alcol che una persona è in grado di sopportare


Dipende dal peso corporeo e dalla disposizione fisica nell'assumere alcolici.
Le bevande alcoliche sono costituite per la maggior parte da acqua, e per la restante parte da alcol etilico (o etanolo); una quota di entità minima è rappresentata da altre sostanze, sia naturalmente presenti che aggiunte: composti aromatici, coloranti, antiossidanti, vitamine, ecc. Acqua a parte, il costituente fondamentale e caratteristico di ogni bevanda alcolica è l’etanolo, sostanza estranea all’organismo e non essenziale, anzi per molti versi tossica. Il corpo umano è per lo più in grado di sopportare l’etanolo senza evidenti danni, a patto che si rimanga entro i limiti di quello che si intende oggi come consumo moderato, vale a dire non più di due-tre Unità Alcoliche (U.A.) al giorno per l’uomo, non più di una-due per la donna e non più di una per gli anziani. Pur non essendo un nutriente, l’etanolo apporta una cospicua quantità di calorie che si sommano
a quelle apportate dagli alimenti e possono quindi contribuire a farci ingrassare. L’etanolo viene assorbito già nelle prime porzioni del tratto gastrointestinale, e in modeste proporzioni persino nella bocca. Alcuni fattori modificano i tempi di assorbimento: la presenza di cibo li rallenta, mentre la presenza di anidride carbonica (soda, spumanti e altre bevande frizzanti) li accelera. Una volta assorbito, l’etanolo entra nel sangue e da lì va in tutti i liquidi corporei; questo tipo di distribuzione è uno dei meccanismi fondamentali della diversa tolleranza all’alcol nei diversi individui, nei diversi sessi e nelle diverse condizioni. Non esistendo possibilità di deposito
per l’alcol nell’organismo, esso deve essere rapidamente metabolizzato. Questa trasformazione dell’etanolo avviene, ad opera di enzimi specifici, a livello gastrico e soprattutto epatico. È importante sottolineare che mentre l’enzima presente nello stomaco metabolizza l’etanolo prima che esso venga assorbito e raggiunga il sangue, e quindi l’intero organismo, gli enzimi presenti nel fegato agiscono soltanto dopo che esso è entrato nell’organismo ed ha avuto quindi modo di esercitare i suoi effetti, tanto più importanti quanto più ne viene assorbito. È evidente che bere alcolici a stomaco pieno è meglio, perché fa sì che l’etanolo sia assorbito più lentamente e che diminuisca la quantità che entra nel circolo sanguigno. La capacità degli enzimi presenti nel fegato di trasformare l’etanolo è limitata: in condizioni normali il fegato è in grado di rimuovere fino a 0,5 U.A. per ogni ora. In questo arco di tempo esso viene quindi parzialmente “distratto” dagli altri suoi normali compiti. In alcuni individui, in alcune razze e nelle donne l’efficienza di questo sistema è molto ridotta: queste persone sono quindi più sensibili all’alcol. Infine, una piccolissima quota di etanolo (2-10%) viene eliminata inalterata attraverso polmoni, urina, sudore ecc.; è proprio sfruttando questo sistema di eliminazione che possono essere effettuati i test non invasivi (palloncino) che permettono di valutare la quota di alcol presente nel sangue (alcolemia). La concentrazione dell’etanolo nel sangue dipende quindi da vari fattori: dalla quota ingerita, dalle modalità di assunzione (a digiuno o a pasto), dalla composizione corporea, dal peso, dal sesso, da fattori genetici, dalla quantità di acqua corporea, dalla capacità individuale di metabolizzare l’alcol, dall’abitudine all’alcol. Le donne, avendo un peso minore, minori quantità di acqua corporea e minore efficienza dei meccanismi di metabolizzazione dell’alcol, sono più vulnerabili ai suoi effetti e, a parità di consumo, presentano un’alcolemia più elevata. Non è comunque possibile prevedere in maniera precisa quanto alcol troveremo nel sangue sulla base di quanto ne abbiamo ingerito. In sostanza, gli inviti alla cautela e alla moderazione sono sempre doverosi quando si parla dell’uso di bevande alcoliche. È giusto però anche ricordare che, a quanto risulta da numerose ricerche, sembra che le persone abituate a un regolare e moderato consumo di bevande a bassa gradazione alcolica (vino e birra) tendano a vivere più a lungo e a presentare una minore incidenza di alcune malattie croniche rispetto a chi non beve o a chi lo fa in maniera eccessiva.


E' indubbiamente l’effetto positivo più marcato di un moderato uso di bevande alcoliche a bassa gradazione è sulla cardiopatia ischemica (di cui l’infarto del miocardio è molto spesso l’esito terminale). A questo proposito, secondo alcuni studi, le diverse bevande alcoliche sembrano avere effetti diversificati, a parità di alcol ingerito: il vino sembra esercitare un ruolo protettivo maggiore di quello della birra, che a sua volta avrebbe un effetto protettivo superiore a quello degli altri alcolici. Queste proprietà sono state messe in relazione alle sostanze polifenoliche e antiossidanti, presenti soprattutto nel vino e in misura minore nella birra. Tali sostanze sono invece assenti, o comunque meno rappresentate, nei superalcolici. Ecco quindi spiegati, secondo questa ipotesi, i maggiori effetti positivi del vino. Ed è per lo stesso motivo che spesso si ritiene che il vino rosso abbia effetti superiori a quello bianco, anche se non esistono evidenze scientifiche a supporto. Secondo altri studi, invece, il ruolo principale nella protezione dalle malattie cardiovascolari sarebbe da attribuire all’alcol stesso. Ma oltre alla composizione delle varie bevande, bisogna tenere in considerazione anche le modalità con le quali esse vengono consumate. Recenti studi sembrano indicare infatti che il vino, e in misura ridotta la


birra, potrebbero esercitare i loro effetti protettivi anche perché, nel rispetto della tradizione mediterranea, vengono in genere consumati durante i pasti: questo fa sì che oltre al rifornimento di sostanze antiossidanti, si abbiano anche picchi alcolemici più bassi. Quindi, una modica e regolare quantità di vino (o birra) al pasto potrebbe esercitare i propri effetti positivi senza esporre l’organismo ai pericolosi effetti tossici di dosi eccessive di etanolo.
Ciò non toglie che, anche alla luce dell’incessante aumento del sovrappeso e dell’obesità tipico dell’epoca moderna, sia bene ricordare che consumi voluttuari degli ipercalorici come quelli degli alcolici non sembrano comunque opportuni e non vanno incentivati.
È anche opportuno sottolineare ancora che tutto quanto detto sopra vale soltanto per consumi moderati, e che non appena l’assunzione abituale di alcol supera i confini della moderazione, aumentano anche, con grande rapidità, i rischi connessi. In conclusione: chi sta bene, gode di buona salute, non è in sovrappeso e desideri concedersi il piacere del consumo di bevande alcoliche, deve usare l’accortezza di farlo durante i pasti e in misura moderata, tenendo presente il contenuto in alcol e l’apporto calorico delle varie bevande, e attenendosi ai seguenti criteri.
a) La dose quotidiana di alcol che una persona in buona salute può concedersi senza incorrere in gravi danni non può essere stabilita da rigide norme, poiché le variabili individuali sono davvero tante: quella che è considerata una dose moderata per un individuo può essere eccessiva invece per un altro. Un consumo moderato può essere indicato entro il limite di 2-3 U.A. al giorno (pari a circa 2-3 bicchieri di vino) per l’uomo e di 1-2 U.A. per la donna. Tale quantità, da assumersi durante i pasti, deve essere intesa come limite massimo oltre il quale gli effetti negativi cominciano a prevalere su quelli positivi.
b) Nei casi in cui non si consumi solo vino, bisogna imparare a tener conto di tutte le occasioni di ingestione di altre bevande alcoliche che si presentano nel corso della giornata (birra, aperitivi, digestivi e superalcolici nelle varie forme) e calcolare il numero di U.A. introdotte.
c) Bisogna fare in modo che non siano superate le capacità del fegato di metabolizzare l’alcol. Tali capacità, in un uomo di 70 chilogrammi di peso, non superano
i 6 grammi l’ora (i grammi di alcol presenti in 100 ml si ottengono moltiplicando il grado alcolico per 0,8). Ciò vuol dire, ad esempio, che per smaltire l’alcol contenuto in 1 bicchiere di vino (12 grammi di alcol) sono necessarie circa 2 ore. Bere con moderazione, quindi, certamente significa bere poco, ma anche evitare di bere in maniera troppo ravvicinata, così da permettere al nostro organismo di smaltire meglio l’etanolo. Le bevande alcoliche ad alta gradazione (grappa, whisky, vodka, ecc.), che, per caratteristiche e consuetudini, vengono assunte fuori pasto, devono essere considerate con la massima attenzione oppure evitate del tutto, specialmente se a stomaco vuoto. Bisogna anche evitare di consumare bevande alcoliche in maniera concentrata nel fine settimana, abitudine invece diffusa in molti Paesi occidentali.
d) Chi, per vari motivi, non beve vino o birra, non deve cominciare a farlo in virtù dei ricordati effetti protettivi. Le sostanze antiossidanti e comunque protettive in questione si trovano infatti in una grandissima varietà di prodotti ortofrutticoli.
e) Bisogna inoltre usare particolare cautela in certe ben identificate fasi della vita e in certi gruppi di popolazione a rischio. Nell’infanzia e nell’adolescenza occorre evitare del tutto l’uso di bevande alcoliche, sia per una non perfetta capacità di trasformare l’alcol, sia per il fatto che più precoce è il primo contatto con l’alcol, maggiore è il rischio di abuso. Le donne in gravidanza e in allattamento dovrebbero astenersi completamente dal consumo di alcolici, o comunque diminuire drasticamente le dosi (1 U.A. una volta o al massimo due volte la settimana). L’alcol infatti si distribuisce in tutti i fluidi e le secrezioni e quindi arriva al feto, attraversando la barriera placentare, e al bambino, tramite il latte, rischiando di provocare seri danni. Nell’anziano l’efficienza dei sistemi di metabolizzazione dell’etanolo diminuisce in maniera rilevante, e il contenuto totale di acqua corporea è più basso; è perciò consigliabile limitare il consumo di alcolici ad 1 U.A. al giorno. Gli alcolisti in trattamento e gli ex alcolisti devono assolutamente astenersi dal consumo di qualsiasi bevanda alcolica.
f) Estrema attenzione deve essere posta al problema delle interazioni tra alcol e farmaci. Chi segue una qualsiasi terapia farmacologia deve consigliarsi con il proprio medico curante sull’opportunità di bere alcolici. Identica attenzione deve essere rivolta anche ai comuni farmaci da banco, per molti dei quali è da suggerire l’astensione dal consumo concomitante di alcolici.

Come comportarsi:
• Se desideri consumare bevande alcoliche, fallo con moderazione, durante i pasti secondo la tradizione italiana, o in ogni caso immediatamente prima o dopo mangiato.
• Fra tutte le bevande alcoliche, dai la preferenza a quelle a basso tenore alcolico (vino e birra).
• Evita del tutto l’assunzione di alcol durante l’infanzia, l’adolescenza, la gravidanza e l’allattamento, riducila se sei anziano.
• Non consumare bevande alcoliche se devi metterti alla guida di autoveicoli o devi far uso di apparecchiature delicate o pericolose per te o per gli altri, e quindi hai bisogno di conservare intatte attenzione, autocritica e coordinazione motoria.
• Se assumi farmaci (compresi molti farmaci che non richiedono la prescrizione medica), evita o riduci il consumo di alcol, a meno che tu non abbia ottenuto esplicita autorizzazione da parte del medico curante.
• Riduci o elimina l’assunzione di bevande alcoliche se sei in sovrappeso od obeso o se presenti una familiarità per diabete, obesità, ipertrigliceridemia, ecc.

FALSE CREDENZE SULL’ALCOL
1. Non è vero che l’alcol aiuti la digestione; al contrario la rallenta e produce ipersecrezione gastrica con alterato svuotamento dello stomaco.
2. Non è vero che il vino faccia buon sangue; è vero invece che un abuso di alcol può essere responsabile di varie forme di anemia e di un aumento dei grassi presenti nel sangue.
3. Non è vero che le bevande alcoliche dissetino ma, al contrario,disidratano: l’alcol richiede una maggior quantità di acqua per il suo metabolismo, e in più aumenta le perdite di acqua attraverso le urine, in quanto provoca un blocco dell’ormone antidiuretico.
4. Non è del tutto vero che l’alcol ci riscaldi. In realtà la vasodilatazione di cui è responsabile produce soltanto una momentanea e ingannevole sensazione di calore che in breve, però, comporta un ulteriore raffreddamento che, in un ambiente non riscaldato, aumenta il rischio di assideramento.
5. Non è vero che l’alcol aiuti a riprendersi da uno shock: al contrario, provocando vasodilatazione periferica, determina un diminuito afflusso di sangue agli organi interni e soprattutto al cervello.
6. Non è vero che l’alcol dia forza. Essendo un sedativo produce soltanto una diminuzione del senso di affaticamento e di dolore. Inoltre solo una parte delle calorie da alcol possono essere utilizzate per il lavoro muscolare.


martedì 17 dicembre 2019

Horlicks

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Horlicks è una bevanda al gusto di latte e malto d'orzo. Viene prodotta direttamente dalla GlaxoSmithKline in Regno Unito, Sudafrica, Nuova Zelanda, Bangladesh, India, Pakistan e Giamaica, da aziende terze tramite licenza nelle Filippine e Malaysia.

Produzione
Al contrario di prodotti simili come Ovomaltina, l'Horlicks non è semplicemente una mistura essiccata di malto d'orzo e latte in polvere.
Durante la prima fase, il malto macinato viene mescolato con farina in acqua calda, in modo tale che gli amidi si convertano in zuccheri. In seguito vengono pian piano aggiunte polveri di derivati del latte. L'acqua viene in seguito rimossa dalla soluzione tramite evaporazione e contemporaneamente i residui vengono solidificati in ambiente sottovuoto, diventando una massa uniforme solida, che viene successivamente sottoposta ad una ultima macinatura.

In Europa
Regno Unito e Irlanda
Regno Unito e Irlanda sono i soli paesi ove tale bevanda viene commercializzata. Grazie ad un ricco contenuto di vitamine che lo rendono simile al tradizionale "bicchiere di latte caldo che concilia il sonno", la sua promozione in questi paesi mira a stimolarne il consumo poco prima delle ore notturne. Lo si può trovare in versione originale (da prepararsi con latte caldo), Light (da prepararsi con acqua calda) o al gusto di Caramello. Negli ultimi anni, la GSK ha mosso il target di mercato su un pubblico più giovane, promuovendone l'immagine anche in alcuni locali notturni Londinesi.

Nel mondo
Hong Kong
A Hong Kong, Horlicks è conosciuto più come una normale bevanda da bar piuttosto che un aiuto per il sonno. Viene consumato sia caldo che freddo e talvolta dolcificato con zucchero. La sua diffusione ebbe origine grazie alla presenza Britannica in questa città.

India
L'India è indubbiamente il più grande mercato dell'Horlicks nel mondo; la sua etichetta in questo paese è quella del "Principale nutrimento per la Famiglia". Alcune recenti variazioni del prodotto sono state sviluppate specificamente per il mercato Indiano: note sono le varianti appositamente concepite per bambini (in età pre-scolare) e mamme in periodo di allattamento.
Accanto a tali varianti, sono state introdotte negli anni anche versioni del prodotto tradizionale aromatizzate alla vaniglia, cioccolato, miele e cardamomo. Accanto alla bevanda, si possono trovare anche i biscotti Horlicks e le barrette energetiche.

Sud-est Asiatico
I paesi come Filippine e Malaysia, vi si può trovare Horlicks originale e al gusto di cioccolato venduto in sotto forma di merendina.

Un aiuto per il sonno
Spesso viene sostenuto che le bevande calde al malto d'orzo conciliano il sonno, ma tali teorie non trovano alcun riscontro medico. Esse si possono considerare come un aiuto ad un sonno più sano, poiché le vitamine ivi contenute si rivelano un ottimo aiuto per l'organismo durante le ore del digiuno notturno.



lunedì 16 dicembre 2019

In questo bar di Olbia si beve una vodka al pane carasau

Risultati immagini per Allo Spirits Boutique Emilio crea e mixa ingredienti sardi per creare alcolici che non hanno niente da invidiare alle ricette antiche. E una delle cose più particolari è la vodka al pane carasau. Sono nata e vivo in Sardegna e di conterranei che lasciano l’isola ne ho visti tanti. Meno comune (ma non per questo improbabile) è trovare chi la Sardegna la sceglie, attratto non solo dalla sua bellezza, ma anche dalla possibilità di creare un progetto imprenditoriale forte e identitario. È la storia di Emilio Rocchino, bartender e mixologist campano che, nel 2006, arriva in Sardegna e rimane aggrappato alla terra, nel vero senso della parola. Vado a trovarlo un sabato sera di metà autunno. Lo Spirits Boutique è in una via defilata del centro di Olbia, di quelle in cui passi solo se sai cosa stai cercando. Da quel che noto appena entro nel locale, le persone sapevano benissimo cosa avrebbero trovato: sono solo le 21.00 di sabato sera, peraltro non in un periodo di grande affluenza turistica, e il locale è pieno. Ci accoglie Claudio, che affianca Emilio in sala, e ci fa accomodare sugli sgabelli davanti al bancone: che sia un bar o un ristorante, se posso vedere le mosse di chi c’è al di là del banco mi sento una donna felice. L’atmosfera dello Spirits Boutique è accogliente e un po' retrò, e fa il paio con i baffi arricciati e il doppiopetto di Emilio che, con fare elegante e composto, si avvicina per salutarci. Le mensole sono colme di fascinose bottiglie provenienti da tutto il mondo, frutto della sua ricerca. Mentre prepara un po’ di cocktail racconta del suo progetto, Macchia, la linea di Vermouth e distillati che ha ideato dopo 9 anni di studio e ricerca. Emilio lavora in questo settore sin da giovanissimo, ma è anche appassionato di botanica e storia. Anni fa si divideva lavorativamente tra Londra e Milano mentre le estati le trascorreva in Sardegna. Un giorno, per amore della terra (e non solo), decide di stabilirsi definitivamente nell’isola, e ovviamente si lascia ammaliare dall’immensità di specie botaniche d




Allo Spirits Boutique Emilio crea e mixa ingredienti sardi per creare alcolici che non hanno niente da invidiare alle ricette antiche. E una delle cose più particolari è la vodka al pane carasau.
Sono nata e vivo in Sardegna e di conterranei che lasciano l’isola ne ho visti tanti. Meno comune (ma non per questo improbabile) è trovare chi la Sardegna la sceglie, attratto non solo dalla sua bellezza, ma anche dalla possibilità di creare un progetto imprenditoriale forte e identitario. È la storia di Emilio Rocchino, bartender e mixologist campano che, nel 2006, arriva in Sardegna e rimane aggrappato alla terra, nel vero senso della parola.
Vado a trovarlo un sabato sera di metà autunno. Lo Spirits Boutique è in una via defilata del centro di Olbia, di quelle in cui passi solo se sai cosa stai cercando. Da quel che noto appena entro nel locale, le persone sapevano benissimo cosa avrebbero trovato: sono solo le 21.00 di sabato sera, peraltro non in un periodo di grande affluenza turistica, e il locale è pieno. Ci accoglie Claudio, che affianca Emilio in sala, e ci fa accomodare sugli sgabelli davanti al bancone: che sia un bar o un ristorante, se posso vedere le mosse di chi c’è al di là del banco mi sento una donna felice.
L’atmosfera dello Spirits Boutique è accogliente e un po' retrò, e fa il paio con i baffi arricciati e il doppiopetto di Emilio che, con fare elegante e composto, si avvicina per salutarci. Le mensole sono colme di fascinose bottiglie provenienti da tutto il mondo, frutto della sua ricerca. Mentre prepara un po’ di cocktail racconta del suo progetto, Macchia, la linea di Vermouth e distillati che ha ideato dopo 9 anni di studio e ricerca.
Emilio lavora in questo settore sin da giovanissimo, ma è anche appassionato di botanica e storia. Anni fa si divideva lavorativamente tra Londra e Milano mentre le estati le trascorreva in Sardegna. Un giorno, per amore della terra (e non solo), decide di stabilirsi definitivamente nell’isola, e ovviamente si lascia ammaliare dall’immensità di specie botaniche della Macchia Mediterranea. È il 2015 quando esce il suo primo prodotto: il Vermouth Rosso, seguito dal Bianco e dal Dry.
Cos’hanno in comune i tre Vermouth? I vini utilizzati sono 100% sardi: il Rosso è vinificato con Moscato di Sardegna doc, il Bianco con Vermentino di Gallura docg e il Dry con Vernaccia di Oristano doc, ottenuta tramite l’affinamento in botti scolme, che consentono la formazione del lievito Flor, come per lo Sherry.
Emilio mi ricorda che il Vermouth nasce a Torino nel 1786, proprio durante il regno sardo piemontese, e alcuni indicano il moscato sardo come vino base. Fino a pochissimo tempo fa, era lui stesso a fare foraging, cercando le botaniche tra i boschi del monte Limbara. “Ma esattamente quali sono queste botaniche?” gli chiedo. “Spezie, radici e fiori: le aggiungo all'alcol sotto forma di tinture madri, che non sono altro che il risultato finale delle infusioni idroalcoliche. Ci sono voluti anni di sperimentazioni per ottenere il Vermouth mediterraneo ispirato alla Sardegna. Nel Rosso, ad esempio, il protagonista è il mirto." Che mi fa subito assaggiare. Il Bianco è delicato, raffinato, con una tendenza dolce. Il Rosso è carattere e corpo. Il Dry è freschezza pura.
Osservo le etichette, un intreccio di simboli e iconografie con uno stile vintage. “Le ha disegnate per me Gabriele Antelmi, il tattoo artist del Gatto Matto de La Maddalena. È sempre stato il mio tatuatore, oltre che amico, e per gioco gli ho chiesto di fare qualche prova grafica per le etichette. Pensa che si è studiato per un mese e mezzo il Vermouth e la sua storia, così da capire cosa fosse e riprodurne lo stile.” Tra i disegni spiccano la fenice, il simbolo del regno sardo piemontese, un ramoscello di mirto e, al centro, il viso stilizzato di Emilio, inconfondibile, con i suoi baffi arricciati.
A me, con tutto questo parlare, comincia a venire sete. Sfoglio il menu, che è un mix di grandi classici e rivisitazioni. L’occhio mi cade sulla pappa al pomodoro. Guardo Emilio: “Davvero?”, gli chiedo. “È un Bloody Mary rivisitato, fatto con la vodka al pane carasau Macchia”, mi dice. Ok è il mio, voglio proprio quello, che già mi riporta al mio passato da studentessa universitaria a Firenze con più di una sbronza tra Santo Spirito e San Frediano. Mentre Emilio fa qualche acrobazia dietro il banco, mi racconta di quella volta che ha pensato di mettere in infusione nella vodka il pane carasau integrale tostato, prodotto da un panificio del nord Sardegna. “Volevo un prodotto con un forte richiamo alla Sardegna e dove il gusto del carasau fosse ben definito. L’ho tostato per esaltarne il sapore. Ecco il risultato!”.
Mi porge un bicchiere di vodka liscia. Il profumo mi pizzica le narici, ma è in bocca che sembra di essere di fronte a un pane appena sfornato. La tostatura si sente tutta, fragrante, avvolgente, quasi corposa. Scopro qui che la vodka liscia può essere buonissima.
Ma ecco che arriva la mia Pappa al Pomodoro, il cui profumo è inconfondibile: se fosse una degustazione alla cieca, giurerei che è proprio lei e che mi trovo in Toscana. Anche la presentazione se la gioca benissimo: il prodotto è in una ciotola in stile orientale poggiata su un’ardesia di forma quadrata, accanto a una cialda di parmigiano e una foglia di basilico. Afferro la ciotola con due mani e assaggio. Il gusto agrodolce e speziato è un impatto forte ma azzeccato; anche la vodka al pane carasau è ben percepibile, ma l’alcol si sente solo nel finale, lasciando spazio a tutti gli elementi del cocktail.
Nel frattempo arriva anche un Ameristrano, ovvero un Americano preparato con Vermouth rosso e bitter Macchia (il quarto prodotto di Emilio, a base di corbezzolo, elicriso, carciofo, semi di finocchio, pompia e zafferano). Anche questo è ottimo.Spicca il sentore agrumato, seguito da quella speziato: si percepisce la nota amarognola del bitter e del pompelmo rosa, ma il gusto è perfettamente equilibrato e fresco. È amore puro.
I prezzi si aggirano intorno ai 12€: ottimi, considerando che paghi anche l'atmosfera ultra-amichevole, in cui Emilio passa tra i tavoli a chiacchierare con i suoi ospiti come un amico di vecchia data e grande cultura.
Vorrei assaggiare un altro cocktail, ma mi sento già abbastanza in forma e ancora non ho provato il suo Gin Selvaggio Macchia, a base di bacche di ginepro coccolone. Il nome è degno delle storie più dolci e amorevoli, ma la tenerezza non c’entra nulla: è una varietà presente nella macchia mediterranea e, oltre al ginepro, il gin Macchia contiene altre botaniche, fra cui la pompia, l’agrume sardo a cui Emilio dona nuova vita, non relegandola più a solo frutto candito come nella tradizione, ma mettendola in infusione. Mi immolo per la causa (sai che fatica) e assaggio anche il gin liscio. Al profumo sembra di essere in un bosco, il gusto è straordinario.
Mi sono fatta un giro in questo cocktail bar e mi sembra di essermi bevuta quasi tutta la Sardegna. Dovrò tornare per scolarmi il resto prestissimo.


domenica 15 dicembre 2019

Kefir

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Il kefir o chefir è una bevanda ricca di fermenti lattici ottenuta dalla fermentazione del latte. Contiene circa lo 0,8% di acido lattico, ha un gusto fresco. Originario del Caucaso, è tuttora molto popolare nell'ex Unione Sovietica. A seconda delle diverse modalità di fermentazione il kefir può avere un piccolo contenuto di CO2 e di alcol dovuti entrambi ai processi fermentativi dei lieviti. La parola Kefir deriva dal turco keyif che significa delizia. Il chefir tradizionale viene preparato utilizzando latte fresco (di pecora, capra o vacca) e i fermenti o granuli di chefir, formati da un polisaccaride chiamato kefiran che ospita colonie di batteri in prevalenza mesofili e lieviti in associazione simbiotica.
I fermenti del kefir di latte non sono adattabili per fermentare gli zuccheri contenuti in altre sospensioni liquide, come le bevande di soia e riso o soluzioni di acqua e zucchero, mentre sono adatti a fermentare questo tipo di soluzioni i kefir d'acqua.

Storia
Secondo la leggenda, Maometto avrebbe donato i primi grani di kefir agli avi dei montanari del Caucaso, che per questa ragione lo chiamarono “miglio del profeta”.
In realtà è difficile stabilire in che modo si sia ottenuta la miscela di microorganismi che compone i granuli di kefir. L'uso di consumare latte fermentato è estremamente antico, ve ne sono testimonianze nel Libro della Genesi, ma non risultano fonti che parlino esplicitamente del kefir. Una testimonianza di una bevanda simile si ha ne Il Milione di Marco Polo che afferma di aver incontrato durante il suo viaggio verso la Cina popolazioni caucasiche che consumavano Chemmisi, una bevanda originata dalla fermentazione di latte di giumenta, dal leggero tasso alcolico.
Recenti studi hanno dimostrato che è possibile ottenere i kefiran (grani di kefir) inoculando con la flora batterica dello stomaco di capra il latte contenuto in un otre di cuoio e sostituendo giornalmente metà del latte con latte fresco; dopo una decina di settimane si sono formati granuli di kefir.
Il kefir veniva preparato con il latte di vacca, pecora o capra. Tradizionalmente si metteva in otri di pelle e lo si rimpiazzava con latte fresco per cui la fermentazione avveniva continuamente.
Secondo la tradizione il kefir si usa per curare le enteriti e, a volte, la tubercolosi.
In epoca moderna fu il Premio Nobel per la medicina Il'ja Il'ič Mečnikov ad interessarsi al kefir e a studiarne i ceppi batterici, convinto che fosse uno dei motivi della longevità delle popolazioni caucasiche grazie alla presenza di acido lattico che terrebbe a bada la proliferazione batterica nell'intestino.

Preparazione
La preparazione del kefir necessita dell'inoculazione del latte con i fermenti omonimi, un'associazione di batteri e di lieviti residenti in strutture costituite da un polisaccaride, il kefiran, prodotto dai batteri stessi. I microorganismi si moltiplicheranno nel latte portando a compimento il processo fermentativo.
Nella fermentazione intervengono diverse specie di lieviti e di fermenti lattici. Si tratta di una fermentazione prevalentemente lattica, ma in parte anche alcolica (presenza di lieviti che trasformano lo zucchero in alcool e in anidride carbonica).
Nella preparazione domestica tradizionale i granuli vengono recuperati e riutilizzati per le successive fermentazioni.
Si aggiungono i fermenti al latte (deve essere freddo o a temperatura ambiente, comunque non eccessivamente caldo) e si lascia fermentare da 24 a 48 ore a circa 20 °C mescolandolo di tanto in tanto (Si può usare il latte fresco pastorizzato o il latte a lunga conservazione). Il kefir ottenuto nella produzione domestica può avere una leggera gradazione alcolica (fino ad 1 grado) mentre alcuni prodotti industriali non presentano questa caratteristica grazie a specifici metodi produttivi.
Se non viene consumato subito, il kefir deve essere messo in frigorifero, dove si conserva senza problemi per oltre una settimana: nel caso si lasci fermentare oltre diventa troppo acido e prende un gusto piccante.

Benefici per la salute
Il Kefir manifesta numerose qualità, grazie all'attività dei batteri probiotici:
  • Contribuisce a promuovere la formazione di anticorpi.
  • Riequilibra il microbiota.


sabato 14 dicembre 2019

Latte evaporato

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Il latte evaporato, noto in alcuni paesi come latte condensato non zuccherato, è un prodotto lattiero-caseario in scatola da conservare a temperatura ambiente e composto da latte fresco che è stato privato da circa il 60% di acqua. Si differenzia dal latte condensato zuccherato che invece contiene dello zucchero. Il latte condensato zuccherato richiede una lavorazione meno complessa in quanto lo zucchero aggiunto inibisce la crescita batterica. Il processo di produzione prevede l'evaporazione del 60% dell'acqua dal latte, seguita da una fase di omogeneizzazione, una di inscatolamento e infine una di sterilizzazione a caldo.
Il latte evaporato occupa metà del volume del suo equivalente nutrizionale nel latte fresco. Quando il prodotto liquido viene miscelato con una quantità proporzionata di acqua (150%), il latte evaporato diventa l'equivalente approssimativo del latte fresco. Ciò rende i tempi di conservazione del latte evaporato molto lunghi e che dipendono dal suo contenuto di grassi e zuccheri. Ciò rese il latte evaporato molto popolare prima della diffusione della refrigerazione come sostituto sicuro e affidabile del latte fresco deperibile, in quanto poteva essere spedito facilmente in luoghi privi dei mezzi per produrre o conservare il latte in sicurezza.


 
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