mercoledì 20 ottobre 2021

Storia della birra



Molti importanti birrifici europei sono nati come produzione artigianale di abbazie e monasteri
La birra è una delle più antiche bevande prodotte dall'uomo, risalente almeno al V millennio a.C. di cui rimane traccia su fonti scritte dell'Antico Egitto e della Mesopotamia.
La parola italiana birra deriva dal tedesco Bier, un prestito del XVI secolo. Il termine ha rimpiazzato l'antico cervogia, che indicava le birre fatte senza luppolo. Dalla stessa parola tedesca deriva il francese bière. Sono imparentati con Bier l'inglese beer e il neerlandese bier. L'origine della stessa parola germanica (dall'antico alto tedesco bior) è incerta: si pensa che sia un prestito del VI secolo dal latino volgare biber "bibita, bevanda", dal verbo latino bibere, oppure derivi direttamente dal protogermanico *beuwoz-, da *beuwo- "orzo".
In inglese si usa, oltre a beer, un altro termine per indicare la birra: ale. Antiche fonti inglesi fanno distinzione tra le due parole, ma non definiscono cosa si intenda per "birra" durante quel periodo, nonostante sia possibile che si riferisca all'idromele (mead). La forma dell'antico inglese beor è scomparsa subito dopo la conquista normanna dell'Inghilterra (in risposta all'introduzione del luppolo che non sarà ampiamente utilizzato per altri duecento anni), e il termine è rientrato a far parte della lingua inglese solamente secoli dopo, riferendosi esclusivamente alle bevande di malto con luppolo. Fino a quel momento il termine ale si riferì specificamente a birre senza luppolo, nonostante questa non sia più la definizione attuale della parola (indica infatti le birre ad alta fermentazione). Si ritiene che ale derivi direttamente dalla radice indoeuropea *alu-, e sia arrivata alla forma attuale attraverso il termine germanico *aluþ-. La stessa radice è all'origine dello svedese öl e del danese e norvegese øl; da queste è stata prestata alle lingue baltiche (lettone e lituano alus e a quelle baltofinniche (finlandese olut ed estone õlu).
Nei vari dialetti dello spagnolo e del portoghese la bevanda viene chiamata cerveza, cerveja o con un termine analogo a questa forma, che deriva dal latino cervēsia o cer(e)vīsia così come il francese cervoise "birra senza luppolo", da cui cervogia. La forma latina è un probabile relitto mediterraneo preindoeuropeo come cerea o caelia, bevanda fermentata usata nella Spagna romana. Il termine proto-slavo *pivo, letteralmente "bevanda", è la parola per definire la birra nella gran parte delle lingue slave, con piccole variazioni fonetiche presenti tra lingua e lingua. In greco antico – la bevanda non era tradizionale in Grecia – la parola per la birra egiziana era ζῦθος zŷthos (forse da ζύμη zýmē, "lievito"), per quella frigia o trace βρῦτον brŷton; oggi si usa un prestito dall'italiano: μπίρα bíra.

Le prime birre

Poiché quasi tutti i cereali che contengono certi zuccheri possono andare incontro ad una fermentazione spontanea dovuta a lieviti selvaggi presenti nell'aria, è possibile che bevande simili alla birra siano state sviluppate indipendentemente in tutto il mondo poco dopo che una tribù o una cultura presero dimestichezza con i cereali. Test chimici condotti su brocche antiche in ceramica hanno rivelato che la birra è stata prodotta per la prima volta circa 7.000 anni fa sul territorio dell'attuale Iran, e che ciò è stata una delle prime opere note di ingegneria biologica in cui è stato impiegato il processo della fermentazione.
Si pensa che in Mesopotamia la traccia più antica di birra sia una tavoletta sumera di 6.000 anni fa che ritrae persone intente a bere una bevanda con cannucce di paglia da un recipiente comune. Una poesia sumera risalente a 3900 anni fa che onora Ninkasi, la divinità patrona della produzione della birra, contiene la più antica ricetta esistente di birra, descrivendo la produzione di birra a partire dall'orzo per mezzo del pane.
«Ninkasi, tu sei colei che cuoce il bappir nel grande forno,
Che mette in ordine le pile di cereali sbucciati,
Tu sei colei che bagna il malto posto sul terreno...
Tu sei colei che tiene con le due mani il grande dolce mosto di malto...
Ninkasi, tu sei colei che versa la birra filtrata del tino di raccolta,
È [come] l'avanzata impetuosa del Tigri e dell'Eufrate»
(Inno a Ninkasi)
La birra viene citata inoltre nell'Epopea di Gilgamesh, in cui viene servita da bere della birra al selvaggio Enkidu.
La birra divenne fondamentale per tutte le civiltà classiche dell'antico occidente che coltivavano cereali, compreso l'Egitto, a tal punto che nel 1868 James Death ha proposto la teoria nel suo libro The Beer of the Bible secondo cui la manna dal cielo che Dio ha dato agli Ebrei era una birra a base di pane, simile al porridge, chiamata wusa. L'antropologo moderno Alan Eames sostiene che la "birra è stata la forza trainante che ha spinto gruppi nomadi ad una vita sedentaria... È stato questo forte desiderio di avere materiale per produrre birra che ha portato alla coltivazione, ad insediamenti permanenti e all'agricoltura".
Le conoscenze sulla birra vennero tramandate ai Greci: al riguardo Platone avrebbe scritto che "Deve essere stato un uomo saggio a inventare la birra."
Il 26 novembre 1995 è stato ritrovato, in una necropoli della cultura di Golasecca presso Pombia (NO), un bicchiere d'impasto databile intorno al 560 a.C., collocato ritualmente sopra le ceneri nell'urna, con resti di una probabile birra rossa di gradazione medio-alta. Le particolari condizioni di conservazione della tomba hanno consentito per la prima volta, attraverso le analisi condotte sul residuo anidro conservato nel bicchiere collocato nell'urna cineraria, di individuare con buona probabilità la natura di una bevanda presente come offerta funeraria all'interno di una tomba golasecchiana. L'identificazione della sostanza come birra con luppolo comporterebbe la retrodatazione della birra moderna all'età del ferro ad opera delle popolazioni Liguri.
La birra ebbe un'importanza notevole per i primi Romani, ma durante il periodo repubblicano il vino divenne la bevanda alcolica d'elezione; la birra cominciò ad essere considerata una bevanda adatta solamente ai barbari; Tacito scrisse della birra prodotta dalle popolazioni germaniche del tempo con toni dispregiativi. Anche i Traci sono noti per aver consumato birra (brŷton o brŷtos, secondo fonti greche) fatta a partire dalla segale, sin dal V secolo a.C., come scrive Ellanico di Lesbo nelle sue opere.

Europa medievale

La birra è stata una delle bibite più diffuse durante il Medioevo: essa veniva consumata giornalmente da tutte le classi sociali nei paesi del nord e dell'est Europa dove la coltivazione della vite era difficoltosa o impossibile. Nel sud Europa, dove invece il vino era la bevanda più diffusa, la birra veniva consumata principalmente dalle classi più basse: ciò accadeva poiché la purezza dell'acqua poteva essere garantita solo di rado, mentre le bevande alcoliche venivano bollite (e quindi pressoché sterilizzate) durante il processo di produzione. Nel nord Europa la birra forniva inoltre una quantità notevole di calorie giornaliere: in Inghilterra e nei Paesi Bassi, il consumo pro-capite era di 275-300 litri (60-66 galloni) all'anno durante il Basso medioevo, periodo in cui la birra veniva servita ad ogni pasto. Sebbene fosse probabilmente una delle bevande più scelte in Europa, la birra veniva etichettata dalla scienza come sostanza poco salubre, principalmente perché gli antichi greci e i medici arabi avevano condotto pochi esperimenti su di essa. Nel 1256 Aldobrandino da Siena descrisse la natura della birra nel modo seguente:
«Comunque con qualsiasi cosa venga prodotta, sia con l'avena, sia con l'orzo o con il frumento, [la birra] fa male alla testa e allo stomaco, causa una cattiva respirazione e rovina i denti, riempie lo stomaco con fumi dannosi, e chiunque la beva insieme al vino diventa ubriaco rapidamente; ma ha la proprietà di facilitare la minzione e rende la pelle bianca e liscia.»
(Aldobrandino da Siena)
L'impiego del luppolo nella birra è stato descritto nell'822 da un abate carolingio; ancora, nel 1067 la badessa Ildegarda di Bingen scriveva:
«Se qualcuno intende fare della birra con l'avena, viene preparata con il luppolo.»
(Ildegarda di Bingen)
La pratica dell'aromatizzazione con il luppolo era nota almeno dal IX secolo, ma fu adottata solo gradualmente a causa di problemi nello stabilire la giusta proporzione dei vari ingredienti. Prima del luppolo veniva utilizzata la gruit, una miscela di varie spezie, che però non aveva le stesse proprietà conservanti del primo: la birra aromatizzata senza luppolo, infatti, veniva bevuta subito dopo la preparazione e non poteva essere esportata; l'unica alternativa era aumentare il contenuto di alcol, ma ciò risultava piuttosto costoso. La birra luppolata fu perfezionata nei comuni della Germania a partire dal XIII secolo: come risultato, poiché questa birra risultò più duratura, si cominciò ad esportarla su vasta scala, anche grazie all'impiego di botti di dimensioni standardizzate. I comuni tedeschi introdussero inoltre una nuova scala di gestione ed un livello di professionalità mai raggiunti prima. In precedenza la birra veniva prodotta da uno o due uomini, durante questo periodo invece la produzione venne gestita da otto-dieci persone: questo modello si diffuse nella Contea d'Olanda nel XIV secolo e in seguito nella Contea delle Fiandre, nel Ducato di Brabante e raggiunse l'Inghilterra alla fine del XV secolo.
Nel XIV secolo in Inghilterra furono introdotte delle leggi per imporre l'uso del luppolo, ed in seguito furono introdotte leggi simili in altri paesi. In Inghilterra queste leggi portarono a sollevazioni di contadini: questi sostenevano che il luppolo rovinasse il sapore della birra. Le rivolte furono comunque represse brutalmente.

La birra nella cultura norrena

La birra, fra le genti del Nord Europa, era considerata una bevanda sacra per i guerrieri: come ogni liquido fermentato, essa ha subito un processo di purificazione e può trasmettere all'uomo le energie della terra nella loro totalità.
Nell'Hávamál, all'inizio del racconto, vi è una vera e propria dissertazione sui metodi dell'ospite e ci sono alcuni versi dedicati alla birra:
(NON)
«[...] vegnest verra
vegra hann velli at
en sé ofdrykkja öls.

Era svá gott,
sem gott kveða
öl alda sonom;
þvíat færa veit
er fleira drekkr,
síns til geðs gumi.

Óminnis hegri heitir
sá er yfir ölðrom þrumir,
hann stelr geði guma;
þess fugls fjöðrom
ek fjötraðr vark
í garði Gunnlaðar.

Ölr ek varð,
varð ofrölvi,
at ins fróða Fjalars;
því er ölðr bazt,
at aptr uf heimtir
hverr sit geð gumi.»
(IT)
«Provvista peggiore
non ci si porta per campi
del bere smodato di birra.

Non è così buona
come buona dicono
la birra per i figli degli uomini.
Poiché poco controllo ha
l'uomo che troppo beve
del suo intelletto.

«Airone dell'oblio» è chiamato
chi indugia in birreria;
rapisce la ragione all'uomo.
Dalle penne di quell'uccello
io stesso venni incatenato
nella fortezza di Gunnlöð.

Ebbro io divenni
ebbro senza misura,
accanto al saggio Fjalarr.
Ché la birra è ottima,
a patto che mantenga
il suo intelletto, l'uomo.»
(Edda poetica - Hávamál - Il discorso di Hárr XI - Traduzione di Dario Giansanti)
La birra, per le sue capacità è considerata un dono prezioso, come si evince da questi versi del Sigrdrífumál:
(NON)
«Bjór færi ek þér,
brynþings apaldr,
magni blandinn
ok megintíri;
fullr er hann ljóða
ok líknstafa,
góðra galdra
ok gamanrúna.»
(IT)
«Ti porgo la birra,
o melo dell'assemblea delle corazze,
mescolata con forza
e grande fama,
colma di canti
e di rune salutari,
di buoni incantesimi
e rune di gioia.»
(Edda poetica - Sigrdrífumál - Traduzione di Gianna Chiesa Isnardi)



Europa all'inizio dell'età moderna

In Europa, la birra rimase un'attività casalinga durante tutto il Medioevo. La fabbrica di birra più antica ancora attiva è il birrificio Weihenstephaner in Baviera gestito da un'abbazia, che ottenne i diritti per produrre birra dalla città limitrofa di Frisinga. A partire dal XIV e XV secolo, la produzione di birra passò gradualmente dall'essere un'attività familiare ad essere un'attività artigianale: i pub e i monasteri cominciarono a produrla in proprio per un consumo di massa.
Nell'Inghilterra del XV secolo, una birra senza luppolo era nota come ale, mentre l'uso di questo trasformava la bevanda in birra. La birra con il luppolo venne importata in Inghilterra dai Paesi Bassi fin dal 1400 a Winchester, e il luppolo stesso cominciò ad essere piantato sull'isola a partire dal 1428. La popolarità del luppolo all'inizio era incerta, la Brewers Company of London arrivò a dichiarare "no hops, herbs, or other like thing be put into any ale or liquore wherof ale shall be made — but only liquor (water), malt, and yeast." ("né luppolo, né erba né altra sostanza deve essere messa nella ale o nella bevanda alcolica in cui deve essere preparata la ale; ma solo acqua, malto e lievito"). Tuttavia, a partire dal XVI secolo, il termine "ale" cominciò a riferirsi a qualsiasi birra forte, e tutte le ale e le birre vennero luppolate.
Nel 1516, Guglielmo IV, Duca di Baviera, approvò la Reinheitsgebot ("requisito di purezza", in tedesco), forse la più antica regolamentazione in uso fino al XX secolo. La Gebot prescriveva che gli ingredienti della birra fossero ristretti ad acqua, orzo e luppolo, con l'aggiunta del lievito dopo la sua scoperta da parte di Louis Pasteur nel 1857. La legge bavarese fu applicata in tutta la Germania subito dopo l'unificazione tedesca nell'Impero tedesco ad opera di Otto von Bismarck nel 1871, e da allora è stata aggiornata per riflettere le tendenze moderne nella produzione della birra. Ad oggi, la Gebot viene considerata un segno di purezza per le birre, sebbene ciò sia dibattuto.
La maggior parte delle birre fino a tempi relativamente recenti erano quelle oggi chiamate ale. Le lager furono prodotte per caso nel XVI secolo dopo che la birra venne conservata in grotte fresche per lunghi periodi di tempo; da allora hanno ampiamente distanziato le ale in termini di volume prodotto.

Asia

Sono state ritrovate tracce preistoriche che mostrano che la produzione di birra è iniziata intorno al 5.400 a.C. ad opera dei Sumeri (che erano insediati nell'Iraq del sud). Alcune recenti scoperte archeologiche mostrano anche che i paesani cinesi producevano bevande alcoliche già dal 7.000 a.C. Comunque, questi sforzi preistorici per produrre la birra erano su piccola scala (se non individuale) non certo su scala dell'odierna industria birraia. La prima birreria asiatica venne registrata nel 1855 (sebbene fosse stata fondata precedentemente) da Edward Dyer a Kasauli nelle Montagne Himalayane in India, sotto il nome di Dyer Breweries. L'azienda esiste ancora ed è chiamata Mohan Meakin Brewery, ed oggi comprende un grande gruppo di imprese.

La Rivoluzione Industriale

A seguito di importanti miglioramenti nell'efficienza del motore a vapore nel 1765, l'industrializzazione della birra divenne realtà. Ulteriori innovazioni nel processo di produzione della birra si ebbero con l'introduzione del termometro nel 1760 e del densimetro nel 1770, strumenti che permisero ai birrai di aumentare l'efficienza.
Prima della fine del XVIII secolo, il malto veniva essiccato principalmente su fiamme provenienti dal legno, dalla carbonella o dalla paglia, e dopo il 1600 dal carbone coke.
In generale, nessuno di questi malti era abbastanza protetto dal fumo provocato dal processo di essiccamento, e di conseguenza le prime birre avevano un retrogusto "fumoso" nel loro sapore; le prove indicano che i venditori di malto e i produttori di birra cercarono costantemente di minimizzare la fumosità delle birre prodotte.
Scrittori dell'epoca descrivono il sapore caratteristico derivato da malti essiccati con legna e il disgusto quasi universale che questo causava. Le birre e le ale fumose del West Country erano famose per essere imbevibili ad eccezione che per la gente del posto e per i disperati:
(EN)
«In most parts of the West, their malt is so stenched with the Smoak of the Wood, with which 'tis dryed, that no Stranger can endure it, though the inhabitants, who are familiarized to it, can swallow it as the Hollanders do their thick Black Beer Brewed with Buck Wheat.»
(IT)
«Nella maggior parte dell'Ovest, il loro malto è così puzzolente di Fumo di Legno, con cui questo viene essiccato, che nessuno Straniero può sopportarlo, sebbene gli abitanti, che hanno familiarità con questo, possono mandarlo giù poiché gli Olandesi producono la loro densa Birra Nera con il Grano Saraceno.»
("Directions for Brewing Malt Liquors" (1700))
Il malto essiccato con legna aveva un sapore orribile, ma alcuni birrai di Londra una volta lo usavano perché era economico e dopo averlo fatto invecchiare in una birra molto luppolata il suo sapore "fumoso" si notava a malapena.
Tuttavia il malto brown essiccato con paglia preferito a Londra era il meno ricercato: questa è la ragione principale per cui veniva valutato più della varietà essiccata a legna. In un libro del 1830 circa, c'è un capitolo su cosa può andare male durante il maltaggio. Il malto fumoso veniva considerato un serio errore:
(EN)
«The third error consists in the drying of malt. They are apt to be tainted by the smoke, through the carelessness, covetousness, or unskilfulness of the maker. Every care ought to be taken to guard against this accident as one of the most prejudicial that can befall malt drinks.»
(IT)
«Il terzo errore si ha durante l'essiccamento del malto. Questo è soggetto ad essere contaminato dal fumo, a causa dell'incuria, dell'avidità o dell'incapacità del fabbricante. Deve essere presa ogni precauzione per evitare questo incidente, che è uno dei più pregiudizievoli che può accadere alle bevande maltate»
("Town and Country Brewery Book")
Il densimetro trasformò il modo di produrre la birra: prima della sua introduzione le birre erano fabbricate da un malto singolo: braunbier da malto tostato (brown), birre amber da malto amber, pale beer da malto pale. Con l'utilizzo del densimetro i birrai poterono calcolare la produzione a partire da malti differenti e osservarono che il malto pale, sebbene fosse più costoso, forniva più materiale fermentabile rispetto a malti più economici: ad esempio il malto brown (usato per la birra Porter) fruttava 54 libbre (circa 24,5 kg) di estratto ogni quarto, mentre il malto pale forniva 80 libbre (circa 36 kg). Una volta venuti a conoscenza di ciò i produttori di birra cominciarono ad usare prevalentemente malto pale per tutte le birre con l'aggiunta di piccole quantità di malto molto colorato per raggiungere il colore corretto per le birre più scure.
L'invenzione del tostacaffè nel 1817 ad opera di Daniel Wheeler permise la creazione di malti molto scuri e tostati, contribuendo al sapore delle birre porter e stout: il suo sviluppo venne stimolato da una legge britannica del 1816 che proibiva l'uso per la birra di qualsiasi ingrediente che non fosse malto e luppolo. I fabbricanti di porter, utilizzando un malto macinato prevalentemente pale ebbero urgente bisogno di un colorante legale: il malto prodotto dalla macchina di Wheeler fu la soluzione.
La scoperta di Louis Pasteur del ruolo del lievito nella fermentazione nel 1857 fornì ai produttori di birra metodi per prevenire l'inacidimento della birra ad opera di sgraditi microrganismi.

La birra nei tempi moderni

Nel XIX secolo, fra le prime produzioni di birra in Italia si ricordano: la Wührer di Brescia, la Pasqui di Forlì, la Peroni di Vigevano, poi di Roma; la Moretti di Udine.
Negli Stati Uniti, prima del proibizionismo esistevano migliaia di fabbriche di birra, la gran parte delle quali produceva birre forti, di stampo europeo. A partire dal 1920, molte di queste fabbriche fallirono, anche se alcune avevano cominciato a produrre bevande analcoliche o ad intraprendere altre attività. Le birre di contrabbando vennero spesso annacquate per aumentare i profitti, dando così inizio al trend, ancora oggi in atto, che vuole che gli Statunitensi preferiscano le birre più leggere. In seguito il consolidamento delle fabbriche di birra e l'applicazione di alcuni standard per il controllo di qualità industriale condussero alla produzione e alla distribuzione di massa di imponenti quantità di lager leggere. Le fabbriche di birra più piccole, comprese le microbirrerie, i produttori artigianali e gli import, servirono il segmento del mercato americano a cui piaceva le birre più pesanti.
In molte nazioni i birrifici che iniziarono la propria attività su scala domestica guidate da immigrati tedeschi, o in genere europei, si trasformarono in grandi compagnie, passando spesso di mano con più attenzione ai profitti che alle tradizioni di qualità, dando così luogo ad una degradazione del prodotto finale. Ad ogni modo spesso queste compagnie hanno provato a continuare sul solco delle tradizioni di eccellenza mentre crescevano enormemente.
Nel 1953 il neozelandese Morton W. Coutts sviluppò la tecnica della fermentazione continua. Coutts brevettò il suo processo che prevedeva che la birra scorresse in taniche sigillate, fermentando sotto pressione, e non venendo mai a contatto con l'atmosfera, anche quando veniva imbottigliata: questo procedimento viene usato dalla Guinness.
Oggi l'industria birraria è un business di proporzioni globali, composto da alcune industrie multinazionali e da molte migliaia di produttori più piccoli che vanno dai brewpub ai birrifici regionali. I progressi nella refrigerazione, nella spedizione internazionale e transcontinentale, nella distribuzione e nel commercio hanno dato vita ad un mercato internazionale in cui il consumatore può scegliere letteralmente tra centinaia di vari tipi di birra locale, regionale, nazionale ed estera.

Mitologia

  • Il poema epico finlandese Kalevala, raccolto in forma scritta nel XIX secolo ma basato su tradizioni orali di molti secoli addietro, dedica più righe all'origine e alla produzione di birra che all'origine dell'umanità.
  • La canzone da pub britannica "Beer, Beer, Beer" attribuisce l'invenzione della birra al fantomatico Charlie Mopps, ma la storia ci racconta che solo molto avanti nella storia britannica della birra, questa conteneva luppolo:
(EN)
«A long time ago, way back in history
When all there was to drink was nothin' but cups of tea,
Along came a man by the name of Charlie Mopps
And he invented the wonderful drink, and he made it out of hops.
...»
(IT)
«Molto tempo fa, indietro nella storia
Quando tutto quello che c'era da bere erano solo tazze di tè,
Arrivò un uomo chiamato Charlie Mopps
Ed egli inventò la meravigliosa bevanda, e la fece con il luppolo.
...»
(Estratto di testo da "Beer, Beer, Beer")
  • Al mitico re fiammingo Gambrinus (da Jan Primus), talvolta viene attribuita l'invenzione della birra.
  • Secondo una leggenda ceca, il dio Radigost, dio dell'ospitalità, inventò la birra.
  • Ninkasi era la dea padrona della produzione della birra al tempo degli antichi Sumeri.
In alcune parti dell'Africa la preparazione e il consumo collettivo di birra sono importanti fattori di coesione sociale; per esempio i Nande del Congo la considerano il ritorno degli avi sotto forma di cibo; tra i Kaguru della Tanzania la birra assume un'importanza pari alla danza nei riti di passaggio.

martedì 19 ottobre 2021

Birra nel Regno Unito

Risultati immagini per Birra nel Regno Unito


La birra britannica maggiormente consumata è di tipo ale, una birra ad alta fermentazione, diversamente dalla stragrande maggioranza degli altri paesi in cui il mercato è dominato dalle lager, a bassa fermentazione, che hanno soppiantato le ale e avuto maggior successo.
In Inghilterra, Irlanda e Scozia si preferisce inoltre conservare e distribuire al dettaglio la birra in fusti, piuttosto che in bottiglia: in questo modo la birra continua la sua maturazione nelle cantine dei pub in attesa di essere servita, anziché terminare nei birrifici.

Birra inglese

La birra inglese ha una lunga storia e tradizioni particolari, distinte da quelle degli altri paesi produttori di birra.

La "birra calda"

Uno stereotipo comune sugli inglesi (e in generale sugli abitanti delle Isole Britanniche) riguarda la loro passione per la "birra calda". In realtà, la birra inglese è solitamente servita a temperatura di cantina (10-14 °C), di solito accuratamente monitorata in un pub moderno: tuttavia la temperatura può subire fluttuazioni durante le stagioni.
Gli appassionati bevitori di birre britanniche sostengono che a queste temperature si possono così percepire sapori più fugaci rispetto a birre di altre nazioni, che servite a queste temperature avrebbero un sapore troppo forte, quasi "stridente". Il sapore delle birre troppo forti (tipicamente quelle prodotte nello Yorkshire), è spesso mitigato dal metodo di spillatura: esse sono infatti spillate tramite una pompa a mano in cui è innestato un apparecchio per insufflare aria nella birra, in modo da ossidarla leggermente ed alleggerirne il sapore.

Burton upon Trent

Per secoli, la città di Burton upon Trent è stata associata all'industria birraria per merito della qualità dell'acqua della zona, prelevata da pozzi, non dal vicino fiume Trent. I territori della città e della campagna circostante sono protetti dai trattamenti chimici proprio per preservare la qualità dell'acqua.
Nella città risiedono attualmente cinque birrifici e anche il Bass Museum of Brewing produce una propria birra.
Lo sviluppo dei collegamenti ferroviari fino a Liverpool ha consentito ai birrifici di esportare le proprie birre in tutto l'Impero britannico. Il naufragio di una nave cargo che trasportava India Pale Ale (una ale particolare, destinata alle colonie indiane e studiata in modo da preservarsi durante il lungo viaggio in mare), con conseguente scarico dei barili di birra fuori bordo, contribuì paradossalmente alla diffusione sul mercato domestico di questo stile di birra e diede il via ad un lento processo di trasformazione delle birre inglesi.
Precedentemente infatti, gli inglesi avevano bevuto quasi principalmente stout e porter - birre scure caratterizzate dall'impiego di orzo affumicato - ma le bitter (uno sviluppo delle pale ale) cominciava a diffondersi. Questo stile di birra, molto luppolata e leggera, era più semplice da conservarsi e trasportarsi, e favorì lo sviluppo di grossi birrifici che si specializzavano in queste birre.
Il birrificio Burton divenne leader in questo mercato: produceva un quarto della birra venduta nel Regno Unito. Nonostante fossero presenti oltre 30 birrifici nel 1880, un processo di fusioni e incorporazioni portò il risultato che sole tre grosse industrie sopravvissero nel 1980: Bass, Ind Coopes e Marston's. Solo la Burton Bridge brewery resta oggi indipendente.
La fama delle "Burton ale" crebbe in Inghilterra e diede origine al detto "gone for a Burton" (letteralmente: "è andato a prendere una Burton") col significato di morire; in particolar modo durante la Seconda guerra mondiale era un eufemismo per dire che un soldato che mancava all'adunata era semplicemente andato a farsi una birra.
Il legame tra la città e l'industria birraria è celebrato da una statua di Burton Cooper, che si trova nel centro commerciale cittadino.

Lager inglesi

Nonostante la birra inglese "tradizionale" sia una ale, più della metà del mercato inglese attuale è appannaggio delle lager (dette talvolta Pale Lager che equivale al termine tedesco helles). Queste birre, dal colore chiaro e a bassa fermentazione, iniziarono a guadagnarsi popolarità in Inghilterra sul finire del XX secolo.
La Carling, una lager prodotta dal colosso americano-canadese Molson Coors Brewing Company è la birra in cima alle classifiche di vendita ed è prevalentemente prodotta a Burton upon Trent. Al secondo posto troviamo ancora una lager, la Foster's prodotta da Scottish & Newcastle, il gruppo inglese più grande, con tre birrifici (Manchester, Reading e Tadcaster).
Altre lager popolari in Inghilterra sono la Kronenbourg (anch'essa appartenente a Scottish & Newcastle) e la Stella Artois (della belga InBev, prodotta per il mercato inglese in Galles).

Birra irlandese

Il panorama della birra irlandese è dominato dalle stout, in particolare dalla Guinness.
L'arte birraria in Irlanda ha una lunga tradizione, e all'inizio del XIX secolo si contavano oltre duecento birrifici nel paese, 55 dei quali solo a Dublino. Col passare del tempo molti però chiusero i battenti e, ad oggi, ne restano solo una dozzina.
Storicamente l'Irlanda produce birre ale, senza l'impiego di luppolo, in quanto questa pianta non cresceva sull'isola. Ancora nel tardo XVIII secolo non veniva usato, quando praticamente tutti gli altri paesi l'avevano adottato come ingrediente per preservare il gusto delle loro birre.
Nel 1700 la maggior parte della birra in commercio in Irlanda era importata, dall'Inghilterra o dalla Scozia; ma nel 1756 Arthur Guinness costruì un piccolo birrificio, che nel 1759 trasferì a Dublino. La birra prodotta era inizialmente una bitter, salvo poi cambiare in una porter, ispirandosi allo stile londinese. Diversamente dalle birre di Londra usò orzo affumicato non maltato, per evitare di pagare alcune tasse (che erano applicate invece all'orzo maltato), creando una birra più amara e secca. All'inizio del XX secolo Guinness divenne il più grande mastro birraio del mondo, esportando lo "stile irlandese" in molte nazioni.
Nell'Irlanda del Nord è molto popolare invece la Harp Lager.

Birra scozzese

In Scozia si produce birra da circa 5000 anni. La tradizione celtica di utilizzare erbe amare nella produzione rimase più a lungo che nel resto dell'Europa. Le due principali città scozzesi, Glasgow e Edimburgo, hanno storicamente ospitato i principali birrifici del paese. Edimburgo in particolare divenne centro di esportazione di birra scozzese in tutto il mondo. Dalla fine del XX secolo tuttavia molti microbirrifici si sono diffusi in tutto il paese.
Nonostante una diffusa convinzione voglia che nelle birre scozzesi sia impiegato meno luppolo che in Inghilterra, tutte le tracce storiche dicono che gli Scoti importavano luppolo dall'estero e lo impiegavano assiduamente.

Scotch ale

Nonostante il mercato delle strong ale abbia iniziato il declino dalla fine del XIX secolo, l'importatore belga John Martin negli anni venti incoraggiò sia i birrifici inglesi che quelli scozzesi a produrre birre forti per i suoi clienti in Belgio. John Martin introdusse i nomi Bulldog ale, Christmas ale e Scotch ale. Nonostante la John Martin's Scotch Ale sia oggi prodotta in Belgio, si considerano le scotch ale appartenenti a uno stile di strong ale unico scozzese.

Ale scozzesi

Mentre le birre prodotte in Scozia sono talvolta etichettate come "Scottish ale" alla stessa maniera in cui le birre della Cornovaglia sono dette "Cornish ale" e le birre del Kent sono dette "Kentish ale", non c'è prova del fatto che queste birre siano in qualche modo differenti da quelle prodotte in altre parti della Gran Bretagna.

Birra gallese

La storia della birra del Galles è simile a quella delle birre della Gran Bretagna. Il Galles, come il resto della Bretagna, fu colpito dall'influenza del proibizionismo, e vi furono costruite molte industrie pesanti come quelle connesse alle miniere di carbone nel Galles meridionale. Questo fatto ha dato l'impressione che tutte le birre del Galles siano molto leggere. In ogni caso, come per le birre inglesi, la percentuale di contenuto alcoolico può variare molto.
Recentemente, investimenti della Welsh Development Agency hanno contribuito alla realizzazione di un grande numero di birrifici nel Galles.

Stili di birra britannici

  • Barley wine: birre forti (8-10% vol.), a volte sciroppose o caramellate, piuttosto luppolate ma con l'amaro bilanciato dalla dolcezza del malto.
  • Bitter: ambrate o dorate, di gradazione piuttosto bassa (3,5% vol.) e con un amaro abbastanza pronunciato.
  • Brown ale: ambrate o marroni, dal sapore di caramello o cioccolato, spesso di nocciola.
  • India Pale Ale: birra ad alta fermentazione ideata per l'esportazione nelle colonie inglesi, molto amara.
  • Irish red ale: della famiglia delle pale ale, ma dal colore rosso-ambrato dovuto all'orzo affumicato.
  • Mild ale: più leggere delle bitter, piuttosto scure, tendenti al dolce, delicate ma saporite nonostante la bassa gradazione.
  • Old ale: solitamente ambrate o scure, più dolci, dalla forte gradazione alcolica (fino a 10% vol.)
  • Porter: birra ad alta fermentazione molto scura, meno amara delle "figlie" stout.
  • Scotch ale: birra ad alta fermentazione, originaria di Edimburgo ma molto popolare in Belgio e USA.
  • Stout: birra ad alta fermentazione, dal colore quasi nero e una tostatura molto marcata; amaro intenso e gradazione bassa.

lunedì 18 ottobre 2021

Homebrewing

Risultati immagini per Homebrewing


Il termine homebrewing solitamente si riferisce alla birrificazione domestica o casalinga, ossia all'arte di produrre la birra in casa. Data la non banalità dell'operazione, solitamente si fa ricorso ad appositi kit reperibili in commercio, che contengono tutta l'attrezzatura necessaria. A questa occorre solamente aggiungere gli ingredienti principali, quali malto, luppolo, zucchero e acqua.
La possibilità di produrre birra in casa per usi personali è sancita dall'art. 34, co. 3, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, che testualmente afferma: "È esente da accisa la birra prodotta da un privato e consumata dallo stesso produttore, dai suoi famigliari e dai suoi ospiti, a condizione che non formi oggetto di alcuna attività di vendita".

Attrezzatura

L'attrezzatura necessaria per iniziare la produzione casalinga di birra può essere acquistata separatamente ma viene venduta anche in kit. Normalmente i kit si compongono dell'attrezzatura base che consiste di:
  • un fermentatore, ossia un contenitore generalmente in plastica alimentare, in genere è da 28 o 32 litri, in cui avverrà il processo di fermentazione. Il fermentatore è dotato di un rubinetto nella parte bassa (utile per estrarne il prodotto), di un coperchio forato sulla parte superiore e spesso di un termometro adesivo a cristalli liquidi (per tenere sotto controllo la temperatura di fermentazione). Un fermentatore da 28 litri può essere usato per produrre non più di 25 litri di birra;
  • il gorgogliatore che, posto in cima al fermentatore, ha lo scopo di permettere ai gas che si sviluppano durante la fermentazione di uscire, senza lasciare entrare aria esterna che potrebbe veicolare batteri nocivi per la fermentazione;
  • il densimetro, utile per rilevare la fine della fermentazione e per il calcolo del grado alcoolico raggiunto;
  • la tappatrice, che può essere di vari tipi e che si usa per la chiusura delle bottiglie;
  • il metabisolfito di potassio, utile per sanificare l'attrezzatura;
  • un mestolo lungo di plastica, con l'estremità forata, ideale per ossigenare bene il mosto mescolandolo con forza.

Il procedimento

Esistono diversi tipi di procedure per la produzione di birra in casa che variano a seconda dei materiali di partenza e sono, in ordine di complessità:
  • Kit: si utilizzano dei kit presenti in commercio già pronti. Sono composti da una lattina di estratto di malto già luppolato ed una bustina di lievito secco.
  • E+G, ovvero estratto+grani: si utilizza estratto di malto non luppolato, luppolo, e quantità relativamente piccole di grani speciali, cioè tipi di grani che hanno non tanto la funzione di costituire materiale fermentabile quanto quella di contribuire a sapore e colore della birra. A differenza dei kit, si può variare molto il tipo e la quantità di malto e luppolo o il tipo di lievito e quindi ottenere ricette personalizzate.
  • AG, ovvero all grain: è il procedimento completo, l'estratto di malto dell'E+G viene completamente sostituito da malto in grani.

Procedimento da kit

  • Si lavano tutti gli elementi del kit, e si sanificano (solitamente con acqua e candeggina, con una soluzione di metabisolfito di potassio o sodio carbonato perossidrato).
  • Si inseriscono nel fermentatore l'estratto di malto e una certa quantità di zucchero fermentabile (zucchero, malto secco, miele, etc.), ottenuta mediante una tabella in dotazione col kit, che determinerà, insieme alla quantità di malto, la gradazione alcoolica finale della birra.
  • Si aggiunge una certa quantità di acqua calda, mescolando il tutto fino a quando si amalgama.
  • Si riempie il fermentatore con altra acqua, questa volta a temperatura ambiente, continuando a mescolare.
  • Si effettua la prima misura di densità del mosto (OG, densità iniziale), tramite il densimetro.
  • Si aggiunge il lievito (la temperatura del mosto deve essere preferibilmente compresa tra i 20 ed i 28 °C, se si usa un lievito ad alta fermentazione).
  • Si chiude il fermentatore posizionando il gorgogliatore sul tappo, con un certo volume d'acqua (è consigliabile usare un distillato anziché l'acqua, in modo che si è sicuri non si infetti e nel caso entri per sbaglio nel fermentatore non danneggi il mosto), e si lascia fermentare per 7-10 giorni ad una temperatura il più possibile costante, compresa tra i 19 ed i 25 °C.
  • Dopo 7-10 giorni, si misura nuovamente la densità del liquido (mosto), finché non si ottengono due misurazioni identiche con un intervallo di 48 ore.
  • A questo punto è possibile imbottigliare, ossia trasferire il liquido in bottiglie sterilizzate, nelle quali avverrà un ulteriore processo di fermentazione. È necessario aggiungere ad esse una piccola quantità di zucchero che, trasformandosi in anidride carbonica, renderà la bibita frizzante (carbonazione o priming).
  • Si lasciano riposare le bottiglie, per due settimane a una temperatura di almeno 20 °C, e successivamente ad una più bassa per un'ulteriore settimana.
  • Da circa 2-3 settimane dopo l'imbottigliamento, la birra è pronta per la degustazione. Comunque, a seconda dello stile, dell'OG e del grado alcolico, migliorerà ulteriormente con l'invecchiamento fino a 6 mesi e oltre.

Procedimento E+G

A differenza del procedimento da kit in cui l'estratto di malto è già luppolato e quindi pronto, nel metodo con estratto più grani bisogna preparare il mosto da mettere poi nel fermentatore. Si procede quindi, dopo la sanificazione di tutta l'attrezzatura come per i kit, come segue:
  • In una pentola precedentemente lavata (non occorre sanificare, in quanto si dovrà far bollire il mosto per diverso tempo) si pone un volume d'acqua pari ad almeno il 30% del volume di birra da produrre, quindi per 23 litri finali di birra almeno 8 litri di acqua.
  • Si porta l'acqua a 70 °C circa e, cercando di mantenere la temperatura costante, si aggiungono i grani preventivamente rotti (e non tritati) e si lasciano in infusione per almeno mezz'ora, in un apposito sacco filtrante (grain bag o sacco dei grani).
  • Si estrae il sacco dei grani, si strizza bene, e lo si immerge in un piccolo volume di acqua calda in modo da recuperare un po' di mosto. Infine si uniscono le due parti di acqua, si aggiunge l'estratto di malto e si porta tutto ad ebollizione.
  • La bollitura del mosto deve durare circa 60 minuti. Durante l'ebollizione, ai tempi prestabiliti dalla ricetta si aggiunge il luppolo nell'apposito sacco filtrante (hop bag o sacco del luppolo). In genere vi sono due aggiunte di luppolo, una a 60 minuti dalla fine che contribuirà principalmente all'amaro della birra, e una a 5-10 minuti dalla fine della bollitura che darà alla birra l'aroma di luppolo.
  • Terminata la bollitura si mette il mosto a raffreddare o con un'apposita serpentina (wort chiller), o immergendo la pentola in una vasca o nel lavandino pieno di acqua fredda. Il mosto deve essere raffreddato il più velocemente possibile per prevenire infezioni.
  • Una volta raffreddato il mosto si mette tutto nel fermentatore, si porta a volume con acqua fredda e si procede come per i kit.

Procedimento AG

È il procedimento completo. Consente un miglior controllo del processo poiché non impiega estratti, bensì materie prime con malto in grani e luppolo.
  • I grani, di tipo e in quantità che dipendono dal tipo di birra da produrre, vengono macinati in un mulino casalingo e miscelati con acqua (da 2 a circa 3 litri per kg).
  • Il mosto è sottoposto a riscaldamento con pianerottoli a diverse temperature (solitamente intorno ai 50°) e diversi tempi di attesa che consentono l'azione di trasformazione degli amidi in zuccheri.
  • La temperatura viene poi elevata a seconda del tipo di birra da produrre: basse temperature, intorno ai 60-65 gradi, favoriscono l'azione delle beta-amilasi che producono maltosio, il fondamentale substrato della fermentazione; temperature più alte, 67-73 gradi, favoriscono le alfa-amilasi che producono destrine non fermentabili che contribuiscono alla dolcezza e alla corposità della birra. Si lascia tutto in infusione mantenendo costante la temperatura per il tempo indicato.
  • Si controlla, con un test che sfrutta la capacità della tintura di iodio di colorarli, che gli amidi del malto si siano completamente trasformati in zuccheri.
  • Si filtrano i residui dei grani (trebbie).
  • Si effettua la bollitura del mosto come nel caso della E+G.

domenica 17 ottobre 2021

Birra cruda

Risultati immagini per Birra cruda


Gergalmente si intende per birra cruda quella birra che, durante il processo di lavorazione, non viene sottoposta né a pastorizzazione né ad aggiunta di conservanti.

Descrizione

Durante la produzione della birra industriale è consuetudine, onde garantire alla bevanda una buona conservazione e assicurarsi delle sue caratteristiche igieniche, sottoporla a pastorizzazione dopo la fermentazione secondaria e prima della filtratura e dell'imbottigliamento; la pastorizzazione avviene portando la birra a una temperatura di 60 °C per circa 20 minuti, al fine di sterilizzarla da alcuni microorganismi potenzialmente nocivi, anche se il processo, eliminando alcuni lieviti, rende necessario aggiungere anidride carbonica alla birra in un secondo momento. Inoltre la pastorizzazione consente di rendere uniformi profumi e sapori della birra. Tuttavia la pastorizzazione causa la denaturazione di alcuni elementi nutritivi della birra, che, insieme ai lieviti vivi, hanno effetti salutari per l'organismo umano.
Il procedimento senza pastorizzazione, invece, è utilizzato quando la birra non ha una grossa distribuzione industriale; in tale caso, fino alla consumazione, essa va tenuta a basse temperature, condizione necessaria per conservarla a lungo in assenza di pastorizzazione.
La birra cruda è quasi sempre artigianale, prodotta cioè artigianalmente in micro-impianti privi di automazioni elettromeccaniche e di strumentazioni sofisticate, dove contano soltanto l'attenzione e la pratica manuale dell'operatore (impianti riconducibili, quindi, nei loro termini essenziali, al sistema in uso fin nei secoli passati: sala cottura, sala di fermentazione, sala di maturazione). I birrifici artigianali producono la birra tradizionalmente, vale a dire applicando le metodiche di fabbricazione come erano in uso prima che l'industria introducesse tutta una serie di misure tecnologiche finalizzate a standardizzare il prodotto finale, producendo una birra dal gusto e dalle caratteristiche omogenee (oltre che costanti in tutti i lotti di produzione), ottenendo una birra mediamente apprezzabile da ogni tipologia di consumatore, la birra cruda, in effetti, modifica il proprio sapore e le proprie proprietà organolettiche anche solo con il passare del tempo.
La birra cruda è anche, generalmente, birra integrale, non microfiltrata. La mancata sottoposizione al trattamento termico e alla microfiltrazione lascia la birra integralmente ricca di lieviti e sostanze in sospensione. Non vi è aggiunta di alcun conservante e non vengono utilizzati altri procedimenti (ad esempio la stabilizzazione in polivinilpolipirrolidone) che comportino degradazione o impoverimento del prodotto.



sabato 16 ottobre 2021

Birra artigianale

Risultati immagini per Birra artigianale



La birra artigianale è un prodotto non pastorizzato e generalmente, ma non sempre, non filtrato.



Produzione

I birrifici artigianali utilizzano il più possibile ingredienti naturali, e, con l'introduzione di "birrificio agricolo" anche utilizzando orzo e luppolo, provenienti dal territorio di loro appartenenza.
La birra viene prodotta principalmente con il malto d'orzo e/o con il malto di frumento (e in alcuni casi anche con altri cereali maltati), elementi base, ai quali vengono aggiunti luppolo, lievito ed acqua.
A questo punto la birra è pronta per essere bevuta ma ha una durata limitata nel tempo. Per aumentarne la conservazione, nella produzione industriale, il prodotto viene sottoposto ad alcuni trattamenti come la pastorizzazione ed il filtraggio. Vengono così inattivati i microrganismi contenuti nel lievito e filtrata la bevanda, aggiungendo poi degli additivi conservanti e stabilizzanti. Dopo questo trattamento il prodotto può essere movimentato e stoccato senza alcun problema.
Le birre prodotte con tecniche industriali, pertanto, si differenziano sostanzialmente da quelle artigianali ad un esame organolettico. La presenza di lieviti attivi, inoltre, rende queste ultime un alimento vivo che si evolve nel tempo. Se il tipo di birra lo consente, è possibile un invecchiamento in cantina anche per alcuni anni.
Il fenomeno dei birrifici artigianali, rinasce negli Stati Uniti ed è una riscoperta che avviene a partire dagli anni ottanta, la cosiddetta "Renaissance Americana", dove molti immigrati europei, riescono a mantenere in vita alcuni vecchi prodotti europei che altrimenti sarebbero andati perduti.
Anche in Europa ed in Italia si sta affermando questo fenomeno che si ripromette di proporre prodotti artigianali di elevata qualità.

In Italia

La produzione di un microbirrificio è limitata (in genere si pone il limite a 5000 hl annui, più di recente a 10000 hl). A partire dal 2016 la legge definisce come "birra artigianale" quella prodotta da birrifici indipendenti (legalmente ed economicamente) che utilizzi impianti di produzione propri e non produca oltre 200000 ettolitri di birra all'anno; inoltre la birra non può essere sottoposta a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione.
I produttori di birra artigianale si possono dividere in due categorie:
  • le microbirrerie, che in genere non dispongono di un locale di mescita e la cui produzione è in tutto o in gran parte destinata alla vendita a locali e negozi;
  • i brewpub ovvero locali che producono birra per il consumo interno, spesso abbinato ad attività di ristorazione.
  • i beer firm ovvero impianti preesistenti che vengono affittati a privati, i quali possono quindi produrre birra artigianalmente ma in quantità non raggiungibili con un normale impianto casalingo.
Il numero di microbirrifici è in continuo aumento, si stima che nel 2007 fossero operativi almeno 175 microbirrifici; nel 2010 hanno superato le 300 unità arrivando a coprire circa l'1% della produzione di birra italiana, mentre nel 2014 hanno quasi raggiunto le 1000 unità arrivando a coprire circa il 3% della produzione di birra italiana. Il trend di crescita non accenna a diminuire. L'anno di inizio di questo fenomeno (a parte alcuni tentativi pioneristici, ad esempio a Sorrento e sul Lago di Garda) è il 1996, quando contemporaneamente, ma senza alcun collegamento fra loro, aprono diversi birrifici. Dal 2005 vengono pubblicati una serie di libri volti a una catalogazione per il crescente fenomeno.
La produzione dei microbirrifici italiani nel complesso presenta una varietà notevolissima con birre ispirate ai più diversi stili internazionali. Frequente è anche la creazione di birre comprendenti ingredienti inusuali sia come materia fermentabile che come aromatizzazioni, spesso integrando produzioni locali (ad esempio farro, frutta DOP e IGP). Esempio significativo l'uso delle castagne, utilizzate in un numero di birre che non trova riscontri in altre nazioni produttrici, tanto da diventare quasi un simbolo della birra artigianale italiana.
In forte crescita anche le contaminazioni con il vino, utilizzando sia botti di legno di secondo passaggio, che mosto d'uva con i suoi lieviti autoctoni.
L'uso di produzioni locali in certi casi è esteso anche agli ingredienti tradizionali, con uso di malto ottenuto da cereali locali, maltazione effettuata in proprio e esperimenti con la coltivazione del luppolo. Una grande diffusione sta ottenendo anche il mais, spesso utilizzato dall'industria per contenere i costi, ma che in ambito artigianale diventa una materia prima di alto pregio utilizzando varietà antiche come lo "sponcio", il "pignoletto" o il "marano".
Da qualche anno diversi microbirrifici italiani hanno cominciato un'attività di esportazione dei loro prodotti, principalmente sul mercato USA, anche se il mercato europeo si sta dimostrando molto interessante e attento ai prodotti italiani. Alcune delle produzioni artigianali italiane hanno ricevuto un ottimo apprezzamento da parte degli appassionati di birra americani e non, come documentato dai più importanti siti di rating. La continua crescita del fenomeno ha portato ad analisi anche economiche come quella riportata da fermento Birra a cura di Lelio Bottero o la ricerca congiunta UnionBirrai-Altis che, per la prima volta analizza in modo statistico microbirrifici e brewpub.

venerdì 15 ottobre 2021

Kölschglas



Il Kölschglas (chiamato anche Kölner Stange) è un bicchiere cilindrico alto circa 15 cm e con un diametro di circa 5 cm tradizionalmente utilizzato per la birra Kölsch.
Il bicchiere ha una capacità di 0,2 l, le dimensioni ridotte sono dovute alla scarsa stabilità della schiuma di questo tipo di birra che versata in bicchieri di diametro maggiore sparirebbe rapidamente.



giovedì 14 ottobre 2021

Aromi del vino

Risultati immagini per Aromi del vino


Gli aromi del vino sono molto vari e numerosi. Sono classificati secondo la loro origine, secondo la loro affinità chimica o per associazione con odori naturali già noti.
La buccia dell'uva contiene molti composti organici di cui solo una piccola parte è costituita dagli aromi primari. Essi si percepiscono nel momento in cui si sgranocchia un acino d'uva. Il moscato è il vitigno aromatico per eccellenza: secondo Pierre Galet esso offre un tessuto di più di centocinquanta aromi. La buccia dell'uva contiene anche i precursori d'aroma, dei composti organici che emanano gli aromi del vino dopo la fermentazione alcolica. Essi sono in genere:
  • i terpeni: sono tipici dei vitigni Moscato, Malvasia e Bracchetto;
  • i tioli volatili: sono le molecole responsabili di una grande varietà di note e sfumature aromatiche (gemma di cassis, bosso, pompelmo, frutto della passione, ecc.) tipiche del vino Sauvignon bianco, dove sono state identificate per la prima volta, ma sono presenti, anche se in minor concentrazione, in molti altri vini quali il Gewurtztraminer, il Riesling, il Pinot grigio, ecc. Non essendo odorose, queste molecole non sono presenti come tali nei mosti, ma sono presenti sotto forma di precursori d'aroma che, grazie all'idrolisi ad opera dei lieviti, vengono trasformati nei tioli aromatici corrispondenti. E', infatti, durante la fermentazione alcolica che si sviluppa l'aromaticità;
  • le metossipirazine: sono le molecole responsabili delle tipiche note erbacee e di peperone verde del vino Cabernet sauvignon, Merlot e talvolta Sauvignon.
Gli aromi secondari o fermentativi si sviluppano durante la fase di fermentazione alcolica ad opera dei lieviti e batteri a partire dagli amminoacidi e dagli zuccheri presenti nel mosto. Durante i processi fermentativi si formano essenzialmente gli alcoli superiori (alcool amilico, isobutanolo, propanolo da cui si formano gli aromi detti alcolici, spirituali, amilici o l'aroma della frangipane e l'alcol 2-feniletilico da cui si forma l'aroma di rosa) e gli esteri (acetati degli alcoli superiori all'aroma di banana ed esteri etilici degli acidi grassi agli aromi di pera, ananas, pesca e frutti rossi). I processi fermentativi formano anche altri metaboliti, composti chimici prodotti dalla fermentazione, che possono avere un impatto indiretto sulla percezione del gusto del vino. Essi sono:
  • il glutatione che con il suo ruolo antiossidante preserva gli aromi volatili;
  • le mannoproteine presenti nella parete esterna dei lieviti che interagiscono con i tannini;
  • il glicerolo e gli acidi organici (acido acetico, ossalacetico, succinico).
Gli aromi fermentativi sono tipici del vino novello. L'aroma fermentativo per eccellenza è l'aroma amilico che emana profumi di caramella inglese e di banana. Più fattori influenzano la produzione di questi aromi: il ceppo e il tipo di lieviti, la temperatura di fermentazione (se elevata, favorisce la formazione di alcoli superiori, se bassa la formazione di esteri), la composizione azotata del mosto e la torbidezza e l'ossigenazione del mosto che favoriscono la formazione degli esteri etilici degli acidi grassi. I lieviti della flora naturale del vino non sono solo il Saccharomyces cerevisiae ma anche i lieviti non Saccharomyces. Questi ultimi modificano il profilo aromatico e gustativo del vino e sono:
  • Schizosaccharomyces pombe: disacidifica il vino assimilando l'acido malico del mosto;
  • Candida stellata: alcuni ceppi producono il doppio di glicerolo del Saccharomyces cerevisiae;
  • Torulaspora delbrueckii: producono esteri fermentativi fruttati diversi da quelli prodotti dal Saccharomyces cerevisiae;
  • Kluyveromyces thermotolerans: acidifica il vino producendo un acido lattico più dolce dell'acido malico;
  • Pichia kluyverri: rafforza l'idrolisi dei precursori d'aroma;
  • Hanseniaspora osmophila: alcuni ceppi producono alcol 2-feniletilico in quantità dieci volte maggiore rispetto al Saccharomyces cerevisiae;
  • Kloeckera corticis.
I ceppi naturali dei lieviti Schizosaccharomyces pombe, Kluyveromyces thermotolerans, Torulaspora delbrueckii possono essere utilizzati per inseminare il mosto a diversi stadi della fermentazione (inoculazione in sequenza, co-inoculazione precoce o tardiva) per modificare il profilo del vino.
Gli aromi terziari sono prodotti durante l'invecchiamento del vino e sono dovuti a processi di ossidazione (che producono composti dello zolfo e acetali) e al rilascio nel vino di alcuni composti chimici (ellegitannini del legno di quercia e lattoni) da parte del legno. Uno dei processi chimici più studiati che avviene durante l'elevazione del vino in barrique è la micro-ossidazione.

Aromi fruttati

  • Frutta a polpa verde: kiwi, limone, melone verde, uva spina;
  • Frutta a polpa bianca: mela, pera, pesca sanguinella, mela cotogna;
  • Frutti rossi: fragola, lampone, ribes rosso, ciliegia;
  • Frutti neri: mora, mirtillo, ribes nero;
  • Frutta a polpa gialla: pesca, albicocca, pesca nettarina, pesca noce, prugna;
  • Frutta esotica: ananas, mango, frutto della passione, fico, dattero, litchi;
  • Agrumi: limone, arancia, pompelmo, scorza di arancia, buccia, buccia candita;
  • Frutta secca: mandorla, noce, nocciola, uva secca, fico secco, pistacchio, prugna cotta.
Evoluzione del frutto: fresco > in composta > cotto > in marmellata > candito > secco.

Aromi floreali

  • Fiori: rosa, peonia, caprifoglio, acacia, rosa canina, violaciocca, violetta, geranio, ginestra, giacinto, reseda;
  • Tisane: verbena, camomilla, tiglio, biancospino, arancio;
  • Derivati: miele, cera.

Aromi legnosi

Gli aromi legnosi sono detti anche balsamici.
  • Legno di barrique: quercia francese, quercia americana, cedro, vaniglia;
  • Legno empireumatico (torrefazione): affumicato, caffè, cacao, caramello, catrame, pane grigliato o tostato.

Aromi speziati

  • Spezie dolci: cannella, vaniglia, cardamomo, liquirizia;
  • Spezie salate: pepe, peperone, chiodi di garofano, noce moscata.

Aromi vegetali

  • Verdure: peperone, porro, aglio, cavolo, carciofo, piselli, fagiolini, lattuga;
  • Secchi: fieno, paglia, tè;
  • Verdi: erba tagliata, eucalipto, edera, clorofilla, ribes nero, bosso;
  • Sottobosco: humus, champignon, felce, foglie cadute, terra umida.

Aromi minerali

  • Rocce: pietra focaia, silice, sasso, argilla, idrocarburo;
  • Metalli: rame, ferro, alluminio.
Dall'anno 2000, nel linguaggio enologico si è verificata una forte espansione dei termini derivanti dal mondo minerale. Gli aromi minerali hanno solamente un potere suggestivo e affascinante perché il tenore di minerali nel vino è così basso da risultare impercepibile. La mineralità del vino non dipende dal suolo ma probabilmente da molecole che si formano nel corso della fermentazione alcolica: gli esteri e i tioli.
  • Sauvignon bianco: gemma, bosso, limone verde, silice, e anche di pipì di gatto se non è abbastanza maturo;
  • Riesling: succo di limone, mela verde, minerale, petrolio dopo 3-5 anni dalla produzione.



 
Wordpress Theme by wpthemescreator .
Converted To Blogger Template by Anshul .