mercoledì 16 dicembre 2020

I cowboy ordinavano davvero una bottiglia piena di scotch "per se stessi" nel selvaggio West?

Se erano lontani dalle grandi città, potevano farlo. Tuttavia nelle città più piccole e nei posti lontani, non potevano essere sicuri che quello che potevano ordinare fosse effettivamente il vero "whisky".

Come affermato in un articolo su True West Magazine, le famose marche di whisky statunitensi del periodo includevano Thistle Dew, Old Crow, Hermitage, Old Kentucky, Old Reserve, Coronet, Log Cabin No.1, O.K. Cutter, Chicken Cock e Old Forrester. Le importazioni includevano Dewar's Scotch, Jameson Irish Whiskey e Canadian Club Whisky. Si potevano trovare facilmente nelle grandi città come Denver, Virginia City o Tombstone.

Era meno probabile trovare il whisky importato nei saloon rurali o nelle pozze d'acqua. Era più probabile trovare whisky venduto al barile. Un fornitore, Jesse Moore, offriva tre marchi; AA (il loro migliore), B e C. Il primo veniva venduto per $4 al gallone in un barile o mezzo barile. L'ultimo, d'altra parte, costava $ 3al gallone.



Prima dell'atto "Bottled-in-Bond" del 1897, vi erano tutti i tipi di schifezze nei drink. Un proprietario di saloon senza scrupoli annaffiava spesso il suo whisky per estendere la canna, aggiungendo colore, chiaro di luna e ingredienti discutibili per aumentare il "sapore".

Inoltre, era comune per questi tizi lavare le vecchie bottiglie, riempirle con qualunque cosa avessero nella botte e metterle fuori come "alta qualità" anche se si trattava dello stesso whisky di bassa qualità o in putrefazione che tirava fuori dal rubinetto della canna dietro il bancone.

Con il "Bottled-in-Bond" act, il whisky era certificato e veniva prodotto in una distilleria da un distillatore. Veniva invecchiato sotto la supervisione del governo ed era privo di additivi o di whisky di altre fonti. Così si garantiva il pagamento adeguato delle tasse.

Alcuni cowboy evitavano la bottiglia o il bicchierino e ordinavano un highball o bevande miste molto popolari (come Stone Fence, whisky e sidro dolce su ghiaccio). Nell'alta società non si ordinava uno shot.


martedì 15 dicembre 2020

Perché i bar sono così importanti nella vita sociale italiana?

Perché vi si svolge il rito della prima colazione, del caffé, di un pasto veloce.

E il desco, o in genere il mangiare, spuntini degustazioni o desinare che sia, è socializzante da sempre.

In Italia, dove la vita sociale è importantissima, i bar sono molto frequentati da cui l'assunto.



lunedì 14 dicembre 2020

Come si preparava il caffè prima dell'invenzione della moka?

Come si preparava il caffè prima dell'invenzione della moka?

La prima caffettiera di cui si ha conoscenza è la jabena, originaria dell’Etiopia: questa è un bricco di terracotta grezza sormontata da uno stretto collo a camino e un minuscolo beccuccio per versare il caffè. Dobbiamo spostarci fino in Turchia per trovare l’Ibrik, il quale ha ancora oggi la duplice funzione di preparare e servire il caffè. E’ un bollitore dalla base larga e il collo molto stretto che non ha mai riscontrato un grande successo nell’Europa Occidentale. Antenato diretto della caffettiera Europea è il bollitore di Bagdad composta da una brocca in metallo, a becco, con il coperchio e il manico ricurvo.


Di Jabeana ne ho una risalente al periodo Sovietico, proveniente dalla Georgia quando ancora faceva parte dell' Unione Sovietica..


Il metodo utilizzato dal XIV al XVIII secolo per preparare il caffè era quello di bollire i fondi. Il problema di separare i fondi dalla bevanda aguzzò l’ingegno di costruttori di macchine da caffè e caffettiere in tutta Europa.

In Francia nacque il Samovar: si metteva la polvere di caffè in un sacchetto di tela immerso nella caffettiera legato ad un piccolo cordone. La caffettiera era sollevata da terra da tre piedini per lasciare spazio ad un piccolo fornello. I Samovar erano principalmente in ottone peltro o rame, sostituiti, più tardi dalla ceramica. Erano diffusi tra i locali pubblici e le famiglie abbienti.


Samovar anche di questo ne ho uno.


Nella metà del 1800, forse stanchi di bersi i fondi del caffè ottenuto per infusione, furono inventate le vacuum. La vacuum è costituita da 2 contenitori, uno inferiore che contiene l’acqua, e una parte superiore che contiene la polvere di caffè. Questo particolare attrezzo viene alimentato tramite una fiamma ad alcool: essendo un sistema chiuso, crea al proprio interno una depressione: l’acqua in ebollizzione sale nel contenitore superiore, solubilizza le sostanze presenti nella polvere, con la a solubilizzazione diminuisce la tensione di vapore, per cui dallo stato gassosso dell’acqua in evaporazione si passa al liquido, questo precipita verso il basso, e viene filtrato da un tappo in sughero, ritornando nel contenitore inferiore. Il caffè ottenuto con questo metodo conserva maggioremente l’aroma fruttato del caffè, donando sentori vegetali e fornendo una minore quantità di sostanze amare.

Nel 1819 il parigino Morize sviluppò una versione rovesciabile di caffettiera; l’invenzione francese ebbe un grande successo in Italia che la perfezionò con la nascita della “napoletana”, di latta o stagno, povera nella finitura ma di grande efficacia per lo scopo. Queste tipologie divennero le più popolari per preparare il caffè.


Caffettiera "Napoletana", ancora in uso ed in vendita su Amazon.


Nel 1933 ad opera di Alfonso Bialetti nasce la moka, come la conosciamo al giorno d’oggi, il metodo più utilizzato in tutta Italia per la preparazione del caffè in casa.


Risale, invece, al 1884 il primo brevetto di una macchina per caffè espresso ad opera di Angelo Moribondo. Il merito di aver industrializzato la macchina per caffè espresso è pero' da attribuire a Luigi Bezzera che nel 1901 ottenne il primo dei suoi brevetti. Anche se il vero pioniere fu Desiderio Pavoni che intuì la grande potenzialità dell’espresso e ne sviluppò la commercializzazione nei locali pubblici.



domenica 13 dicembre 2020

Perché la gente si ubriaca?

"Il vino è spia dell'amore.

Ci diceva Nico di non amare

Ma lo tradirono i molti bicchieri

Abbassò la testa e pianse

Nemmeno la corona di viole

Gli rimase stretta sul capo."

(Asclepiade, III sec. d.C.)



sabato 12 dicembre 2020

Quando si è diffuso il caffè espresso nei bar?

Quando si è diffuso il caffè espresso nei bar?



Rispondo soltanto per quanto riguarda l'Italia.

Oggi in Italia ci sono circa 150.000 bar che servono, tutti i giorni, 175 tazzine di caffè ciascuno, contando solo l’espresso semplice. Numeri da capogiro che rendono l’idea della passione che coltiviamo, quotidianamente, per questa bevanda calda ed energetica.

Ma se l’origine del caffè è altrove, tra l’Etiopia, la Turchia e l’Austria, quando è stato aperto il primo bar in Italia?

Vediamo, allora, una curiosa carrellata di invenzioni e prime volte tutte italiane del caffè, non tanto delle vere e proprie esclusive quanto alcune vicende del passato più o meno lontano che possono renderci fieri.

Avanguardia da questo punto di vista fu Venezia. Infatti, proprio sotto i portici di piazza San Marco, sotto le arcate della Procuratie, fu aperta nel 1683 la prima “bottega del caffè”. Sebbene alcuni anticipino la data al 1640 oppure addirittura al 1615, il merito dell’inaugurazione e introduzione in Italia di un’abitudine che si sarebbe diffusa a tal punto è del medico botanico Prospero Alfino.



Si racconta che, dopo un lungo soggiorno in Egitto, Alfino fece conoscere ai veneziani questa bevanda “di colore nero e di sapore simile alla cicoria” che proponeva come medicinale.




Da Venezia a Torino, Genova, Milano, Firenze o Roma il passaggio è stato quasi naturale e le “botteghe del caffè” si sono ampiamente diffuse mutando, decennio dopo decennio, forma e scopo. Infatti, l’affermazione del “bar” in Italia è con i caffè Settecenteschi, luoghi di confronto e scambio degli intellettuali dell’epoca.

Venezia detiene, infatti, anche un altro prezioso ed esclusivo primato collegato al caffè. Risalgono in particolare al 1716 i primi esempi di pubblicità del prodotto: i primi estimatori avevano la necessità di spiegare ai concittadini le qualità della bevanda esportata dall’estero.



Scontrino di un bar a Venezia, non il Florian per dovere di cronaca.

Una pubblicità di successo, si potrebbe dire, dato che nel 1763 nella sola città lagunare c’erano ben 218 locali che vendevano il caffè.

Se è vero che il “bar” non è stato inventato in Italia, come testimonia anche l’etimologia anglosassone del termine, ci sono alcune scoperte legate al caffè che parlano la lingua di Dante. Prima tra tutte quella della macchinetta del caffè che ha addirittura più di un padre.

Il primo brevetto fu registrato nel 1884 con il titolo “Nuovi apparecchi a vapore per la confenzione economica ed istantanea del caffè in bevanda. Sistema A. Moriondo”. L’inventore era, appunto, il torinese Angelo Moriondo che presentò il suo prototipo all’Esposizione Universale di Torino dello stesso anno, ma non trasformò mai l’idea in un vero e proprio prodotto industriale e commercializzabile.

Cosa che fece, invece, il milanese Luigi Bezzera con il suo prototipo del 1901. Il brevetto è passato, in seguito, nelle mani di Desiderio Pavoni che produceva macchine del caffè in serie, una al giorno, nella sua piccola ditta specializzata fino al momento in cui vennero effettivamente inventati anche degli strumenti automatici più tecnologici per la produzione.

E il “genio” italiano segna anche questo passaggio, opera della Gaggia S.p.A. L’azienda milanese realizzò nel 1948 la prima macchina da caffè con il funzionamento a leva, un’innovazione riservata a lungo solamente a bar e locali. Solo dal 1977, infatti, la produzione venne estesa anche alle macchine da caffè per uso domestico.


Gli inventori della Moka

Moka, invece, fa rima indiscutibilmente con Bialetti. E non è un caso, dal momento che proprio Alfonso Bialetti, nel 1933, ha inventato questa particolare “macchina” per preparare il caffè. Da allora il successo è stato tale per cui sono stati realizzati più di 105 milioni di esemplari e oggi è esposta nella collezione permanente del Triennale Design Museum di Milano e addirittura al MoMA di New York.


Trieste, Città del Caffè: lo sapevi?

Ancor più sorprendente è scoprire che l’Italia è anche l’unico paese al mondo che ha insignito una città del titolo di “Città del caffè”. Si tratta, in particolare, di Trieste, che si è meritata questo epiteto per via dei ricchi scambi commerciali del porto, della concentrazione di imprese che si occupano della produzione e della torrefazione, dell’identificazione della città con la bevanda.

Nel 1999 è stata fondata anche l’Università del Caffè (a Napoli, ma presto trasferita a Trieste): un centro che ha l’obiettivo di diffondere i saperi e la cultura del caffè, preservandone tradizione e qualità. Oggi il progetto di Ernesto Illy ha 25 sedi nel mondo, dalla Corea del Sud all’Egitto, e continua ad occuparsi di divulgazione e formazione, tutto a tema caffè, naturalmente.


ISSpresso, il caffè nello spazio

Che gli italiani non sappiano proprio fare a meno del caffè è un dato di fatto, ciò che può sorprenderci è che questa necessità ha anche stimolato l’ingegno. Un incentivo tale per cui, nel 2015, l’azienda Argotec, insieme a Lavazza e in partnership con l’Agenzia Spaziale Italiana ha inventato ISSpresso.

Di cosa si tratta? Una macchina del caffè espresso a capsule capace di funzionare perfettamente in condizioni di microgravità come, per esempio, la Stazione Spaziale Internazionale. Prima del suo genere, per sapere se il risultato è comparabile con un espresso “terrestre” bisogna chiedere all’astronauta Samantha Cristoforetti che, durante la sua missione, ha avuto l’opportunità di provarlo.


La sveglia che fa il caffè? Potrebbe essere realtà

Si chiama “The Barisieur”, è una sveglia che prepara il caffè, e non è un prodotto di fantasia, ma l’invenzione del designer Joshua Renouf. Non si tratta di un frutto della creatività italiana, ma potrebbe davvero rivoluzionare il nostro modo di vivere: infatti, si tratta di una normalissima sveglia digitale con annessa una caffettiera, oppure una teiera, che viene caricata la sera prima di dormire e si attiva automaticamente al risveglio.

La sveglia può essere dotata anche di un piccolo frigo che conserva il latte per chi preferisce il macchiato freddo, e un cassettino per custodire le zollette di zucchero. Non ci resta che programmarla e goderci un piacevole sonno ristoratore, consapevoli che saremo svegliati dal nostro aroma preferito.

Dalla nascita del primo bar in Italia al primo caffè nello spazio ne è stata fatta di strada: sono tante le invenzioni e le innovazioni che hanno cambiato il nostro modo di goderci il caffè, portandolo sempre più vicino a casa, o a qualsiasi luogo dove possiamo sentirne il bisogno. Per questo Co.ind, azienda specializzata nella produzione di caffè, ha diversificato la sua offerta proponendo caffè in grani, in cialde, in capsule e macinato: così nessuno resta senza il suo espresso al bar oppure a letto.


venerdì 11 dicembre 2020

Amaro Ramazzotti

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L'Amaro Ramazzotti è un amaro italiano. Il marchio appartiene alla Pernod Ricard Italia, filiale italiana del gruppo multinazionale francese Pernod Ricard. Apprezzato e conosciuto in tutto il mondo, ha conquistato la leadership del mercato tedesco, diventando il primo brand della categoria amari importato in Germania.

Storia

L'Amaro Ramazzotti venne prodotto per la prima volta a Milano nel 1815. Nacque come "Amaro Felsina Ramazzotti" da una ricetta segreta di Ausano Ramazzotti (Bologna, 1791 – Milano, 1866) un farmacista bolognese trasferitosi a Milano agli inizi del XIX secolo. Fu il primo aperitivo a non avere il vino come base. Nel 1848 Ramazzotti aprì un bar in Via Canonica, 86 vicino al Teatro alla Scala, dove si iniziò a servire l'Amaro Ramazzotti.
Nel 1994 lo stabilimento di Lainate fu chiuso e la produzione spostata negli stabilimenti di Canelli, in provincia di Asti.

Caratteristiche

L'amaro viene ricavato dalla macerazione di almeno 33 varietà tra erbe, spezie e radici. Il metodo di preparazione rispetta con costanza la ricetta originale del 1815, tuttora segreta. Tra gli ingredienti principali le scorze di arance di Sicilia, l'anice stellato, il cardamomo ed i chiodi di garofano, che vengono ridotti in polvere e miscelati con zucchero caramellato ed alcool. Presenta una gradazione alcolica del 30% nella versione classica e del 32% nella variante Ramazzotti Menta.
Nel 2010 Amaro Ramazzotti ha avviato un progetto equo-solidale in Kerala per l'acquisto di erbe e spezie al fine di sostenere i piccoli produttori locali e promuovere un modello alimentare rispettoso dell'ambiente, delle tradizioni e delle identità culturali.
L'acquisto delle materie prime avviene attraverso la PDS Organic Spices – unità di produzione organica della ONG Peermade Development Society - garantendo loro, al contempo, un programma di formazione agraria, commerciale e finanziaria. Un progetto sviluppato insieme a due organizzazioni riconosciute a livello internazionale: l'ONG Planet Finance, attiva in 80 paesi con progetti di micro-finanza e l'impresa federale tedesca GIZ.
Nel 2012 è stato dichiarato kosher.

Degustazione

L'amaro è principalmente consumato liscio o con ghiaccio, come digestivo dopo pasto. Può essere degustato anche come aperitivo, con acqua gassata ed una fetta di limone.
Inoltre, alcuni cocktail utilizzano il prodotto come base:
  • il RamaTonic, è un long drink con amaro Ramazzotti ed acqua tonica
  • il 1815, in onore dell'anno di nascita dell'azienda, miscelato con ginger ale e servito con una fetta di limone ed una di arancio
  • l'High Tea in Milan prevede l'uso dell'amaro, insieme a Lucano, Cynar, succo di limone ed acqua tonica
  • il Friar Minor lo vede mescolato con bourbon, succo d'arancia e club soda
  • il Torino Milano To/Mi Variante del più celebre Milano Torino, ideato da Mattia Pastori presso il Bamboo Bar Armani Hotel Milano lo vede miscelato con vermouth rosso ed uno spruzzo di seltz, e finito con una scorza di pompelmo rosa.
Secondo una tradizione tedesca, dopo mezza birra è d'obbligo consumare un bicchiere di amaro, per favorire la digestione del resto della birra.


Comunicazione

Tra i valori veicolati dal brand, è molto forte il legame con la città di Milano, elemento presente in tutte le campagne pubblicitarie.
Tra queste, sicuramente la più famosa è quella che riprende il celebre slogan "Milano da Bere", coniato da Marco Mignani, utilizzato per lo spot tv del 1987.
Nel 2013 il sito viene aggiornato, in preparazione al prossimo 200º anniversario.
Tra il 1920 e il 1950, la comunicazione è avvenuta attraverso locandine. A partire dal 1972, la comunicazione si è trasferita anche in televisione con i primi caroselli.
  • 1972 - Carosello con Jerry Lewis
  • 1974 - Carosello con Loretta Goggi
  • 1987 - Milano da bere
  • 1992 - Piacere da bere
  • 1994 - Giovane amaro
  • 1999 - L'amaro positivo
Nel 1995, Amaro Ramazzotti insieme alle distillerie Branca e Montenegro, chiede ed ottiene una censura sullo spot tv delle Ferrovie dello Stato con testimonial Adriano Celentano. Motivo della disputa: un comportamento lesivo nei confronti dei produttori di amaro, dovuto ad un capostazione-figurante che sputa un amaro "perché è amaro".

Riconoscimenti

Negli anni ha ricevuto diversi riconoscimenti:
  • 2009 entra a far parte della "Top 10 Best Growing Brands"
  • 2013 ottiene l'ISW Spirit Brand e la medaglia Gran Oro nella categoria herbal liquors
  • 2014 ha ricevuto il marchio "Sapore dell'anno"

giovedì 10 dicembre 2020

Suze

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Suze è un amaro a base di genziane gialle di colore dorato, prodotto in Francia dalla distilleria Rousseau a Maisons-Alfort. È un marchio depositato di proprietà del gruppo Pernod Ricard.

Caratteristiche

  • Miscuglio di infusi e di grappa di genziana (di cui 50% di radici selvagge), e di estratti di piante aromatiche macerate, e completato con molti estratti di piante aromatiche.
  • Colore giallo oro.
  • Grado d'alcool: 15° (Svizzera 20°)
  • Zucchero: 200 gr/litro

Storia

  • Nel 1795, creazione della distilleria Rousseau, Laurens e Moureaux a Maisons-Alfort
  • Nel 1885, il distillatore Fernand Moureaux desidera fare un aperitivo senza usare del vino, e così gli viene l'idea di distillare radici di genziane.
  • Nel 1889, viene creata la marca Suze con la sua bottiglia famosa. All'epoca è un alcool forte (32% di alcool con 80 gr di zucchero/litro)
  • Nel 1912, Picasso fa un collage « Verre et bouteille de Suze » (vetro e bottiglia di Suze).
  • Nel 1945, cambia contenuto di alcool al 16% con 200 gr zucchero/litro
  • Nel 1965, la distilleria viene acquistata dal gruppo Pernod-Ricard
  • Nel 1992, Suze crea bottiglie vendute in un numero limitato:
    • 1992, Suze Picasso
    • 1995, Suze Racines
    • 1996, La bouteille du siècle (la bottiglia del secolo)
    • 1997, Fille de gentiane (ragazza di genziana)
    • 1998, Saga Suze
  • 2001, edizione limitata di Jean-Charles de Castelbajac
  • 2002, edizione limitata di Christian Lacroix
  • 2003, vetro per Suze dell'architetto Jean Nouvel
  • 2003, edizione limitata di Christian Lacroix
  • 2004, edizione limitata di Sonia Rykiel
  • 2005, edizione limitata di Paco Rabanne
  • 2006, edizione limitata di Thierry Mugler
  • 2007, edizione limitata di Gaspard Yurkievich

Origini del nome

L'origine del nome non è definita; potrebbe derivare dal nome Suzanne Gaspard, cognata dell'inventore, o dal nome di un corso d'acqua in Svizzera, Suze.
 
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