venerdì 2 ottobre 2020

Cosa succederebbe se si bevesse Coca-Cola ogni giorno per 20 anni?

Forse non vi sorprenderà sapere che non sarebbe bello - e non sarebbero solo i vostri denti a soffrire.

Dopo una settimana, staresti già accumulando chili - e invecchieresti rapidamente - e dopo qualche anno, se ci provassi davvero, gli effetti potrebbero essere così brutti che andresti all'ospedale.

ASAP Science ha raccolto dati da studi di università, tra cui Yale, per arrivare al punto, spaventoso e completo, su ciò che una seria abitudine alla cocaina (o l'uso pesante di qualsiasi altro tipo di bevanda analcolica) ti farà realmente.

ASAP Science dice: "Dopo una settimana di sostituzione degli otto bicchieri d'acqua da voi consigliati con la cola, avreste consumato circa 5432 calorie in più".



I ricercatori di Yale hanno scoperto che quando le persone consumano bevande analcoliche, consumano anche più calorie, soprattutto perché le persone non tengono conto accuratamente delle calorie aggiunte nelle loro bevande.

E passare alla dieta non aiuta.

ASAP Science dice: "Gli esperimenti hanno scoperto che il gusto dolce, sia che si tratti di dolcificante reale o artificiale, aumenta il nostro appetito". Molti bevitori di bevande dietetiche pensano: "Sto bevendo una bevanda dietetica, mangio patatine fritte grandi con il mio pasto".

"Le bevande analcoliche possono anche farci invecchiare". I telomeri sono dei tappi protettivi alle estremità dei nostri cromosomi che si accorciano nel tempo, e si scopre che il loro tasso di accorciamento è quasi lo stesso in una persona che beve 600 ml di soda in un giorno.

E se si bevessero 2 litri di bibite al giorno? Beh, una donna ha fatto proprio questo per 16 anni di fila, fino a quando è stata ricoverata in ospedale a 31 anni.

Senza una storia familiare di problemi cardiaci, soffriva di aritmia e svenimenti, e gli esami l'hanno trovata carente di potassio, poiché sia il fruttosio che la caffeina possono portare alla perdita di potassio, attraverso le urine e la diarrea.


giovedì 1 ottobre 2020

Maître

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Per maître s'intende un semplice maestro o un maestro d'arte, un insegnante o il proprietario di un'attività predisposta all'ospitalità ed alla ricezione di clienti. Come appellativo è molto utilizzato nelle arti, nelle professioni e nell'insegnamento. Nei paesi francofoni esistono dei titoli di studio ed onorifici cui corrisponde l'appellativo di maître. Questo appellativo significa, nella più semplice traduzione italiana, "maestro" con un senso di "dominio-dominanza" ma anche con il significato di "responsabile" dei servigi offerti dalla "Casa" che ospita. Al femminile il nome diviene maîtresse, di cui si parlerà nel paragrafo legato all'antropologia sociale.

Nella ristorazione tradizionale

Nell'ambito della ristorazione il maître (più propriamente detto maître d'hôtel, anche se non necessariamente), opera presso una struttura alberghiera o comunque ricettiva; nel caso di ristoranti o di sala pranzo per alberghi esiste il maître di sala è il responsabile della ricezione, del ricevimento, dell'accoglienza, colui cioè che avendo provveduto all'organizzazione e all'aspetto generale, accoglie i clienti e sovrintende al personale di servizio, la cosiddetta brigata di sala, fissando i compiti dei vari addetti. Al maître ci si rivolge per richieste particolari, per lamentele o complimenti relativi al servizio, mentre la tavola viene approntata e servita dagli altri collaboratori; è suo, fra gli altri, il compito di gestire i rapporti tra cucina e sala, ordinazioni di fiori e complementi per gli arredi della/e sala/e, istruire la brigata di cucina per eventi o feste particolari, gestire clienti particolari o abituali ed organizzare il restante personale a sua disposizione. È infine colui che, finalizzato agli interessi del/i titolare/i o dell'azienda, cura il piacere e la soddisfazione del cliente, dal suo arrivo (guardaroba-auto in garage ecc.) alla sua uscita (conto, soddisfazione, assicurarsi che il cliente si sia trovato ben accolto dal suo staff).
In certi esercizi il maître corrisponde al padrone titolare dell'esercizio. In genere non interferisce con i compiti di cucina il cui capo indiscusso è lo chef. Con quest'ultimo stabilisce il menu del giorno o della stagione riferendo necessità eventualmente avvertite dai clienti in sala, comunque è anche suo compito la conclusione o il suggerimento di alcune voci nel menù.
Nei locali più tradizionali o raffinati veste un abbigliamento che si differenzia dal personale di servizio, in genere una giacca nera tipo smoking comunque mai vistosa, e con i toni dell'ambiente.
Esistono 3 tipi di maître e il più alto in grado è il maître d'hotel. Non necessariamente però, in un esercizio ristorativo e/o alberghiero, si trovano tutte e 3 le figure:
  • Maître d'hotel (o semplicemente maître): imposta e dirige il servizio, prende le ordinazioni e mantiene continuamente il rapporto con i clienti accertandosi che tutto stia procedendo per il meglio. Deve inoltre possedere una buona cultura generale ed un'ottima padronanza delle lingue straniere. È a stretto contatto con il direttore, con il food and beverage manager (detto F&B), con il sommelier - con il quale si consulta per l'abbinamento dei vini - e con lo chef con cui collabora anche per la compilazione dei menù.
  • Maître de salle: nel caso di un ristorante la figura di maître d'hotel è più propriamente detta maître de salle; tuttavia il maître de salle lo si trova anche in albergo e lì dirige la sala ristorante nel caso in quel momento non ci sia il maître d'hotel o nel caso in cui la sala sia molto grande.
  • Maître de rang: il quale affianca lo chef de rang che si occupa di una sezione della sala ristorante (chiamata rango) molto importante; è tuttavia una figura molto rara, per il fatto che i ranghi importanti non sono poi molti.

Nel settore giuridico

  • Maître è l'appellativo usato in Francia per i professionisti del settore giuridico, ossia avvocati e notai.






Nel settore della sicurezza

  • Maître chien è un istruttore cinofilo destinato a compiti di sicurezza sia pubblica che privata;
  • Maître nageur è il bagnino di salvataggio;
  • Maestro d'armi è l'istruttore di armi.

In antropologia sociale

L'utilizzo al femminile maîtresse ha vari significati (alcuni dei quali sono la trasposizione dell'appellativo al maschile, come ad esempio nel senso "proprietaria di"), tra cui:
  • amante o, con riferimento a determinati periodi storici, "favorita" o "amante titolare" ad esempio nel caso della Maîtresse-en-titre o maîtresse royal di alcuni reali.
  • la tenutaria di una casa di tolleranza; per traslato anche prostituta.

mercoledì 30 settembre 2020

Oncia

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Storicamente l'oncia è un sottomultiplo dell'unità di misura principale normalmente adottata, tanto che, nell'uso comune della lingua italiana, l'espressione "un'oncia" è sinonimo di "piccola quantità".
Principalmente il termine indica l'unità di misura di massa (o peso) utilizzata in alcuni ambiti commerciali specialmente di cultura anglosassone (convenzionalmente si fa riferimento alla libbra), anche se non fa parte del Sistema internazionale di unità di misura (SI). Esiste anche l'oncia liquida, unità di volume.
Il valore di riferimento non è sempre lo stesso, ma varia a seconda dell'ambito in cui si opera.

Origini storiche

Il termine fu introdotto dagli antichi Greci, i quali, avendo un sistema a base duodecimale, indicarono con questo termine una grandezza minima corrispondente alla dodicesima parte di una unità, sia come lunghezza sia come peso.
Anche i Romani l'adottarono chiamandola uncia e destinandola a identici usi. Dal momento che le unità metriche e ponderali, pur sotto il medesimo nome recavano valori differenti da luogo a luogo, pur indicando sempre la dodicesima parte di ogni grandezza assunta come unità (del piede, del palmo o del braccio, a seconda delle regioni), all'oncia corrispondevano valori diversi a seconda delle città nella quale era usata.
Come sottomultiplo delle unità di lunghezza, l'oncia indicava 1/12 del piede.
Così come sottomultiplo dell'unità di peso l'oncia indicava un dodicesimo della libbra; in Toscana prima dell'annessione al Regno d'Italia valeva 28,30 grammi. A Forlì, invece, a nord dell'Appennino, valeva 24 grammi. Nello stato veneziano, prima della sua caduta, l'oncia rappresentava la dodicesima parte dell'unità metrica del piede vicentino. A sua volta un'oncia era divisa in quattro minuti.
Once quadrate e cubiche furono applicate alla misura delle aree e dei volumi.

Uso attuale

L'oncia (ounce) è ancora utilizzata negli Stati Uniti, come retaggio del sistema imperiale britannico per misure di massa o di peso. In tale sistema sono stati storicamente attivi diversi riferimenti per la misura del peso. In particolare sopravvive il sistema avoirdupois in cui la libbra vale 453,59 grammi e quindi 1 oncia, pari a un sedicesimo (1/16) di libbra (pound), equivale a 28,35 grammi e si indica col simbolo oz.
È anche usata internazionalmente come unità di misura dai barman.
Tuttavia, per il commercio dei metalli preziosi è utilizzata in tutto il mondo l'oncia troy, che deriva dall'oncia del vecchio sistema "troy" in cui la libbra corrisponde a 373,24 grammi e l'oncia valeva un dodicesimo (1/12) di libbra. L'oncia troy dunque equivale a 31,1035 grammi e si indica col simbolo ozt.
Nei paesi anglosassoni in farmacia è usata l'oncia apothecaries' che corrisponde esattamente all'oncia troy. Quando è necessario distinguere l'oncia usata comunemente dall'oncia troy o apothecaries' si specifica oncia avoirdupois.

Oncia liquida

Esiste anche l'unità di misura di volume oncia fluida (fl oz), calcolato a partire dalle misure di gallone e pinta e in modo differente nel sistema inglese o americano. Solo per l'etichettatura degli alimenti negli Stati Uniti, il valore di un'oncia liquida è fissato esattamente a 30 ml.


martedì 29 settembre 2020

Coffee-shop

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Con il termine coffee-shop (nei Paesi Bassi i termini vengono uniti in coffeeshop) vengono indicati i locali autorizzati dallo Stato dei Paesi Bassi, per vendere al consumo modesti quantitativi di droghe leggere, regolamentati da una politica in vigore nei Paesi Bassi.


Caratteristiche

Generalmente all'interno di questi locali è possibile consumare, provare e confrontare gli effetti delle diverse varietà e qualità di droghe leggere, ricevendo anche consigli dai venditori. Nei locali spesso si possono ritrovare tutti gli accessori adatti o adattati, per l'uso e il consumo di cannabis; assieme a una vasta gamma di cannabinoidi naturali e non sofisticati, vengono talvolta venduti dolci a base di queste sostanze, come la space cake e lo space chocolate.

Diffusione

In Olanda attualmente sono presenti regolari coffeeshop in 105 delle 443 municipalità esistenti per un totale di circa 702 licenze; il numero di tali esercizi è stabile da circa 10 anni. In passato, nel 1995, il censimento di tali locali annotava oltre 1500 coffeeshops regolari ed ulteriori 600 non completamente regolarizzati. Amsterdam, la capitale dei Paesi Bassi, è la città con la maggiore densità (241 licenze circa) di questo tipo di imprese commerciali (talvolta organizzate in catene e franchising). Per tal motivo in molti strati della cultura giovanile europea, Amsterdam è divenuta sinonimo di luogo in cui svolgere vacanze con connotazioni trasgressive (anche per il fatto che in città è presente la prostituzione legalizzata).
Negli ultimi anni i governi olandesi hanno attuato una serie di limitazioni regolamentari a queste attività commerciali, si è perciò parlato di possibili riduzioni del numero dei coffee-shop olandesi in seguito alle difficoltà economiche sopraggiunte ed all'adeguamento alle nuove norme. Negli anni novanta i coffee shop in Amsterdam erano circa 600; dal 2005 ad oggi, il loro numero fluttua tra 200 e 250.

Limitazioni

La quantità massima di droghe che può essere venduta è di 5 grammi a persona per giorno ed ogni fruitore comunque non potrebbe rivolgersi a più di 6 coffeeshop al giorno per un totale di 30 gr/giorno procapite ammessi. Tale limitazione è stata istituita sia per scopi medici, sia per non permettere l'esportazione di tali sostanze all'estero (marijuana, hashish). I funghi allucinogeni, in passato "a catalogo" in questi locali, sono ora vietati dalla legge, quindi illegali. Tutte le sostanze a base di cannabinoidi e tutti i preparati che ne contengono traccia devono essere opportunamente ed inequivocabilmente segnalati per evitare che possano essere acquistati e consumati inconsapevolmente.
I proprietari di coffee-shop devono comunque evitare ogni tipo di pubblicità al proprio locale, vietare l'ingresso ai minorenni se non accompagnati, e vanno incontro alla revoca immediata della licenza se al proprio interno viene consumata droga pesante. È altresì vietato servire bevande alcoliche all'interno dei coffee-shop non muniti di licenza.
Dal 1º maggio 2012 una nuova legge ha limitato l'ingresso nei coffee-shop, in alcune regioni del sud del paese, ai soli cittadini olandesi, legge che poi si sarebbe dovuta estendere in tutti i Paesi Bassi il 1º gennaio 2013. Tuttavia il nuovo Governo, insediatosi a seguito delle elezioni legislative del 2012 e sostenuto dal Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, decise dal mese successivo di lasciare l'autonomia alle amministrazioni locali nel decidere se rendere operativa la legge, tenendo il criterio della residenza tecnicamente in vigore ma a discrezione delle autorità locali.

lunedì 28 settembre 2020

Flair bartending

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Il flair bartending, o comunemente detto flair, è l'insieme delle tecniche acrobatiche nella preparazione di cocktail inventate ed in uso dalla figura del barman.
Si fonda in questa tecnica psicologica dimostrativa e di vendita (atta ad accogliere ed intrattenere la clientela) e rapidità nell'esecuzione delle figure (l'organizzazione e tecnica di svolgimento lavorativa). Il bartender diventa perciò una figura che funge da agente catalitico mettendo a proprio agio la clientela e creando coinvolgimento e partecipazione della stessa allo spettacolo.
Il bartender tenendo in mano due o più bottiglie in una sola mano attua il “Flair” (che in inglese significa: fiuto, attitudine, inventiva). Eseguire il flair è semplicemente efficienza, che si esprime appunto nel movimento del corpo ed associato ad un pizzico di ispirazione personale. È quel tipo di prova in cui, ad esempio, si preparano i cocktail utilizzando i versaggi multipli o contemporanei di liquori, stravolgendo prese e lanci dei contenitori o bottiglie con movimenti a volte aggraziati o talvolta bizzarri, lanciando o afferrando gli stessi davanti o dietro la schiena, secondo una regia pianificata prima o improvvisata al momento, secondo l'esigenza.

Le Origini

Il flair contrariamente a quanto pensa la gente, esiste almeno da 150 anni. Infatti si ha notizia che il primo a praticare questo lavoro sia stato il celebre “professore” statunitense Jerry Thomas quando a metà del 1800 realizzò il suo famoso “Blue Blazer”, versando scotch infiammato e acqua da un tazzone all'altro in una lunga scia infuocata.
Per cercare invece le origini del flair più moderno, dobbiamo tornare indietro di qualche anno dai giorni nostri più precisamente agli inizi degli anni '80 dove alcuni ragazzi californiani lavorando in un bar ed avendo sempre molta gente all'interno del locale, si inventarono alcuni movimenti appositamente studiati per velocizzare il lavoro. La tecnica risultava sorprendente ed efficace e perciò viene subito adottata da altri colleghi. È così che la tecnica viene subito adottata da altri colleghi e presto diventerà una catena popolare di servizi di questo genere in tutta l'America. La catena venne chiamata TGI Fridays.
Passano alcuni anni ed è nel 1997 che ad Orlando in Florida, viene fondata un'accademia la Flair Bartenders' Association (FBA, con l'intento di tutelare e far crescere questa professione ed infine promuovere le prime gare e concorsi in giro per il mondo. Inutile dire che ad oggi la capitale mondiale del flair è diventata Las Vegas non a caso i migliori 4 flair bar del mondo si trovano proprio qui e sono: Carnaval Court, Shadows, Kahunaville, Red Room Saloon. Non di meno però è anche il Roadhouse un flair bar di Londra anch'esso considerato da poco tempo uno dei migliori.
Il 2008 è stato l'anno di fondazione della World Flair Association (WFA), associazione mondiale con sede a Londra, fondata per standardizzare lo stile del Flair Bartending.

Le varianti

Il Flair bartending a sua volta si divide in due varianti: Working Flair ed Exhibition Flair. Il Working Flair è caratterizzato da movimenti sia rapidi che morbidi, tutti eseguiti senza creare ritardi sui tempi di servizio al cliente. Praticato per lo più con un bicchiere, una bottiglia, un cono Boston, una guarnizione, occasionalmente con due bottiglie, è finalizzato alla composizione dei drink con frutta o altre decorazioni. L'Exhibition Flair è usato principalmente a scopo di intrattenimento o nelle competizioni , certe volte può durare anche diversi minuti. Spesso è usato nei locali quale segno distintivo, di campagne pubblicitarie, nella promozione di liquori, in occasione di momenti dimostrativi all'interno di fiere o dimostrazioni. Rispetto al working flair richiedere l'uso di materiale scenico, materiali singolari ed una preparazione più lunga e dettagliata.

Nella cultura di massa

Nella cultura di massa il flair divenne subito popolare da quando nel film Cocktail, diretto da Roger Donaldson, un giovane studente di economia, interpretato da Tom Cruise pian piano con il passare degli eventi intraprende una carriera a lui sconosciuta appunto quella di bartender. All'inizio della carriera è molto insicuro ed impacciato, ma alla fine grazie al flair diventa una grandissima star.

In Italia

In Italia si inizia a parlare di flair bartending nel 1992 quando iniziano ad arrivare le prime attrezzature per i bar dagli Stati Uniti per opera di Stefano Talice e Gianluca Pomati, titolari della "Varpo" i quali durante un incontro ad una fiera incontrano un talentuoso bartender portoghese, Paulo Ramos che dopo alcuni mesi di trattative lo fanno arrivare in Italia e dopo solo 2 mesi gli fanno aprire la prima scuola italiana di flair. Ecco che è così che il nostro paese conosce un periodo di grande popolarità ed iniziano ad emergere i primi talenti nostrani: Lorenzo Bianchi, Marco Sumerano, Bruno Vanzan e tanti altri ed iniziano ad arrivare dal circuito internazionale bartender dai paesi dell'Est, dall'Asia e dal Sud America, portando con sé stili diversi e nuove tecniche sempre più spettacolari.
Dopo questi primi anni brillanti però con il passare degli anni il flair è divenuta anche per certi versi la tecnica di lavoro più controversa, più discussa e più incompresa e per questo motivo anche criticata, molto spesso con poca cognizione di causa.

domenica 27 settembre 2020

Lounge bar

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Il termine lounge bar identifica un particolare tipo di locale pubblico che eroga gli stessi servizi dell'American bar, ma in più è dotato di una particolare eleganza, generalmente piccoli salotti, da cui appunto il nome Lounge bar e in cui è quasi sempre presente, come sottofondo, un genere di musica, lounge music, volta a rilassare i clienti. Ci si riunisce di solito in questi luoghi con lo scopo di prendere un aperitivo.

sabato 26 settembre 2020

Bevanda alcolica

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Si definisce bevanda alcolica qualsiasi bevanda contenente alcol etilico (anche detto etanolo). La parola alcol deriva dall'arabo الغول (al-ġuḥl, spirito) o da الكحل (al-kuḥl, polvere di stibnite ottenuta per sublimazione dall'antimonio), termine che rivela l'origine alchemica di questa sostanza, a cui erano attribuite le proprietà magiche e spirituali contenute negli elisir. Commercialmente si possono distinguere due grandi categorie di bevande alcoliche, ovvero gli alcolici a bassa gradazione, inferiore ai 21 %vol, come ad esempio la birra o il vino, ed i superalcolici, con gradazione alcolica superiore ai 21 %vol.
Una bevanda alcolica si può ottenere mediante:
  • fermentazione alcolica degli zuccheri contenuti nei frutti o nei cereali (ad esempio il vino dall'uva o la birra dall'orzo)
  • distillazione (per ottenere acquavite) di:
    • bevande fermentate (ad esempio il brandy dal vino)
    • cereali o altri vegetali ricchi di glucidi o amidi (ad esempio la vodka da grano e patate)
    • residui della produzione di bevande fermentate (ad esempio la grappa dalle vinacce)
  • assemblaggio diretto di alcol di origine agricola con olii essenziali ottenuti dalla distillazione di erbe officinali, frutta, scorze di agrumi, ecc., oppure ottenuti dalla macerazione (a freddo), infusione (a caldo) o percolazione dell'alcol o altro solvente con le essenze citate. Questi miscugli vengono successivamente completati con sciroppo di zucchero, acqua (per il raggiungimento della gradazione alcolica desiderata), ed eventualmente coloranti. In tali casi le bevande alcoliche vengono denominate liquori o amari (che sono due prodotti diversi)
  • aromatizzazione del vino (vini aromatizzati) o altri prodotti vitinicoli aromatizzati
  • miscelazione di prodotti alcolici con altre sostanze per ottenere cocktail.

Storia

Le bevande alcoliche prodotte per fermentazione erano conosciute fin dall'antichità da quasi tutte le civiltà, e usate sia per ragioni mediche (in alcuni luoghi e periodi non era disponibile acqua sicura) o igieniche (in quanto l'alcol ha proprietà antisettiche), sia come integratori alimentari (per il loro apporto di zuccheri), sia per scopi conviviali, per ispirazione artistica o come afrodisiaci.
È un caso se i distillati alcolici siano stati definiti con le parole aqua vitae ("acqua della vita"), che è lo stesso significato del gaelico uisge beatha, da cui prenderà la denominazione il whisky.
Peraltro processi naturali in grado di produrre sostanze contenenti alcol esistono sul nostro pianeta da milioni di anni, ed è stato scoperto nel bagaglio genetico dell'uomo un gene specializzato per il trattamento dell'alcol, più precisamente quello che codifica per l'enzima alcol-deidrogenasi; questo dettaglio può far pensare che l'uomo, per molto tempo, sia stato a contatto con questa sostanza, tuttavia non si posseggono notizie storiche che confermino questa ipotesi e pare che fino a 10 mila anni fa il consumo di alcol possa essere stato fortuito ed episodico.
L'ipotesi che gli esperti formulano sui primi contatti con l'alcol avvenuti forse nel tardo Paleolitico, sembrano indirizzarsi verso un assaggio occasionale di una quantità di miele scaduto, o di un dattero o della linfa di alcune piante, tutte sostanze caratterizzate dalla presenza di un elemento zuccherino che fermenta in modo naturale. Per la scoperta della birra, l'uomo ha dovuto attendere almeno lo sviluppo della cerealicoltura, basate su grandi raccolti di orzo e frumento. Tavolette mesopotamiche antiche 6.000 anni fa, contengono ricette illustrate per la produzione della birra.
Le fonti storiche confermano, in qualunque caso, che già prima del III millennio a.C., Egizi e Mesopotamici conoscessero bevande simili alla birra. Lo sviluppo dell'agricoltura agevolò la nascita di insediamenti sempre più grandi e sollevò quel grande problema che per molti secoli angustiò i popoli, ossia l'approvvigionamento di acqua potabile.
Per quanto riguarda l'Oriente, l'abitudine molto antica di bollire l'acqua per la preparazione del tè, ha consentito un suo utilizzo sicuro come bevanda, e questa è una delle motivazioni per le quali in Oriente non si è diffusa, anticamente, l'abitudine alle bevande alcoliche.
In Occidente, al contrario, le bevande alcoliche sono servite anche per sopperire carenze alimentari, oltreché come antidoto contro le fatiche della vita, e infine come analgesico.
Il procedimento della distillazione è invece relativamente più recente; la sua scoperta si fa risalire agli alchimisti islamici dell'VIII secolo d.C., e ai loro epigoni come Raimondo Lullo e Arnaldo da Villanova,[4] che aprirono le porte al consumo dei superalcolici, consentendo di superare la barriera del 16 per cento di gradazione alcolica, causata dalla non tollerabilità dei lieviti nei confronti di una concentrazione superiore.
All'alchimia araba medievale si deve pertanto la denominazione odierna di alcool, che propriamente cosisteva nello «spirito» vivente, assimilabile a un demone, ottenuto appunto dalla distillazione, cioè dal procedimento alchemico di morte degli elementi materiali e grossolani di una sostanza, per coglierne l'essenza pura e aeriforme, come avveniva ad esempio nel caso della trasmutazione dei metalli vili in oro, o in qualunque trasformazione di un elemento corrotto nella sua Luce divina originaria.
Il consumo di superalcolici si diffuse rapidamente in Europa e impazzò almeno fino al XVII secolo, quando anche nel Vecchio Continente penetrarono bevande come il caffè, il tè e il cacao, analcoliche e sicure, grazie all'acqua bollita.
L'abuso di alcol venne catalogato come malattia, anche da un punto di vista medico-sanitario, solamente nel XX secolo, quando l'uso corrente di acqua potabile, rese non plausibile l'uso della bevanda alcolica per ragioni di salute.
Nel 2013, il 63,9% della popolazione italiana over 11 ha consumato almeno una volta nell'anno una bevanda alcolica.



Alcol e salute

L'etanolo ha molteplici effetti sull'organismo umano, di natura:
  • energetica, viene convertito in acetil CoA bypassando il ciclo di Krebs
  • farmacologica, di ampio spettro: ha sia funzione diretta su recettori determinati, sia azione aspecifica, in particolar modo destabilizzando le membrane cellulari
  • tossica, a livello epatico, pancreatico e cerebrale, ma non solo (ad esempio delirium tremens)
  • di dipendenza, sviluppando diversi disturbi psichici: demenza, psicosi, disturbi dell'umore, d'ansia, disfunzione sessuale, disturbi del sonno.
Nel consumo cronico, invece, si tende alla sostituzione di maggior parte della dieta con l'alcol: questo porta alla caratteristica deficienza in tiamina tipica dell'etilista, con conseguenti neuropatie del sistema nervoso centrale. Inoltre è fattore di rischio di numerose patologie come cirrosi epatica, e cancro.
L'abuso di alcol in gravidanza può causare danni fisici e mentali al feto.
L'etilismo o malattia dell'alcolismo è considerato un problema sociale essendo una causa importante di violenze e di incidenti automobilistici: dal 2002 il livello di alcolemia accettato per i guidatori è sceso da 80 a 50mg/100mL.
Nella classifica di pericolosità delle varie droghe stilata dalla rivista medica Lancet, gli alcolici occupano il quinto posto.



Esempi di bevande alcoliche

Origine
Bevanda fermentata
Bevanda distillata
Liquore
succo d'agave
Pulque
tequila, mescal

anice


Mastika, ouzo, pastis, arak, sambuca, mistrà
sciroppo di canna da zucchero

aguardiente, rum, cachaça
Sang som
succo di palma
vino di palma
arrak

cereali
birra (orzo), sake (riso), chicha, kvas,
bourbon, gin, mei kwei lu chew (riso), shōchū (riso), whisky, vodka

sciroppo di miele
idromele


latte
kumis, kéfir


succo di mela o di pera
sidro
Calvados

succo di prugna

slivovitz, schnaps
umeshu
succo d'uva
vino
Armagnac, brandy, Cognac, grappa, marc acquavite d'uva

banana
birra di banana


erbe aromatiche


acquavite di genziana
Centerba, Amaro Lucano, Certosino, Latte di suocera, Arquebuse, Bénédictine, Chartreuse



Alcolici e dottrine spirituali

Alle bevande alcoliche sono stati anche attribuiti significati simbolici o religiosi, ad esempio nell'antica Grecia nell'ambito dei riti dionisiaci, nella religione cristiana come elemento simbolico nell'eucaristia, o nella Pasqua ebraica (Pesach). Nonostante questo, complessivamente l'Antico Testamento condanna l'abuso di alcol e i Padri della Chiesa invitarono alla moderazione nell'assunzione del vino. Altre religioni invece (principalmente l'Islam) proibiscono il consumo di bevande alcoliche.

 
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