lunedì 18 ottobre 2021

Homebrewing

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Il termine homebrewing solitamente si riferisce alla birrificazione domestica o casalinga, ossia all'arte di produrre la birra in casa. Data la non banalità dell'operazione, solitamente si fa ricorso ad appositi kit reperibili in commercio, che contengono tutta l'attrezzatura necessaria. A questa occorre solamente aggiungere gli ingredienti principali, quali malto, luppolo, zucchero e acqua.
La possibilità di produrre birra in casa per usi personali è sancita dall'art. 34, co. 3, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, che testualmente afferma: "È esente da accisa la birra prodotta da un privato e consumata dallo stesso produttore, dai suoi famigliari e dai suoi ospiti, a condizione che non formi oggetto di alcuna attività di vendita".

Attrezzatura

L'attrezzatura necessaria per iniziare la produzione casalinga di birra può essere acquistata separatamente ma viene venduta anche in kit. Normalmente i kit si compongono dell'attrezzatura base che consiste di:
  • un fermentatore, ossia un contenitore generalmente in plastica alimentare, in genere è da 28 o 32 litri, in cui avverrà il processo di fermentazione. Il fermentatore è dotato di un rubinetto nella parte bassa (utile per estrarne il prodotto), di un coperchio forato sulla parte superiore e spesso di un termometro adesivo a cristalli liquidi (per tenere sotto controllo la temperatura di fermentazione). Un fermentatore da 28 litri può essere usato per produrre non più di 25 litri di birra;
  • il gorgogliatore che, posto in cima al fermentatore, ha lo scopo di permettere ai gas che si sviluppano durante la fermentazione di uscire, senza lasciare entrare aria esterna che potrebbe veicolare batteri nocivi per la fermentazione;
  • il densimetro, utile per rilevare la fine della fermentazione e per il calcolo del grado alcoolico raggiunto;
  • la tappatrice, che può essere di vari tipi e che si usa per la chiusura delle bottiglie;
  • il metabisolfito di potassio, utile per sanificare l'attrezzatura;
  • un mestolo lungo di plastica, con l'estremità forata, ideale per ossigenare bene il mosto mescolandolo con forza.

Il procedimento

Esistono diversi tipi di procedure per la produzione di birra in casa che variano a seconda dei materiali di partenza e sono, in ordine di complessità:
  • Kit: si utilizzano dei kit presenti in commercio già pronti. Sono composti da una lattina di estratto di malto già luppolato ed una bustina di lievito secco.
  • E+G, ovvero estratto+grani: si utilizza estratto di malto non luppolato, luppolo, e quantità relativamente piccole di grani speciali, cioè tipi di grani che hanno non tanto la funzione di costituire materiale fermentabile quanto quella di contribuire a sapore e colore della birra. A differenza dei kit, si può variare molto il tipo e la quantità di malto e luppolo o il tipo di lievito e quindi ottenere ricette personalizzate.
  • AG, ovvero all grain: è il procedimento completo, l'estratto di malto dell'E+G viene completamente sostituito da malto in grani.

Procedimento da kit

  • Si lavano tutti gli elementi del kit, e si sanificano (solitamente con acqua e candeggina, con una soluzione di metabisolfito di potassio o sodio carbonato perossidrato).
  • Si inseriscono nel fermentatore l'estratto di malto e una certa quantità di zucchero fermentabile (zucchero, malto secco, miele, etc.), ottenuta mediante una tabella in dotazione col kit, che determinerà, insieme alla quantità di malto, la gradazione alcoolica finale della birra.
  • Si aggiunge una certa quantità di acqua calda, mescolando il tutto fino a quando si amalgama.
  • Si riempie il fermentatore con altra acqua, questa volta a temperatura ambiente, continuando a mescolare.
  • Si effettua la prima misura di densità del mosto (OG, densità iniziale), tramite il densimetro.
  • Si aggiunge il lievito (la temperatura del mosto deve essere preferibilmente compresa tra i 20 ed i 28 °C, se si usa un lievito ad alta fermentazione).
  • Si chiude il fermentatore posizionando il gorgogliatore sul tappo, con un certo volume d'acqua (è consigliabile usare un distillato anziché l'acqua, in modo che si è sicuri non si infetti e nel caso entri per sbaglio nel fermentatore non danneggi il mosto), e si lascia fermentare per 7-10 giorni ad una temperatura il più possibile costante, compresa tra i 19 ed i 25 °C.
  • Dopo 7-10 giorni, si misura nuovamente la densità del liquido (mosto), finché non si ottengono due misurazioni identiche con un intervallo di 48 ore.
  • A questo punto è possibile imbottigliare, ossia trasferire il liquido in bottiglie sterilizzate, nelle quali avverrà un ulteriore processo di fermentazione. È necessario aggiungere ad esse una piccola quantità di zucchero che, trasformandosi in anidride carbonica, renderà la bibita frizzante (carbonazione o priming).
  • Si lasciano riposare le bottiglie, per due settimane a una temperatura di almeno 20 °C, e successivamente ad una più bassa per un'ulteriore settimana.
  • Da circa 2-3 settimane dopo l'imbottigliamento, la birra è pronta per la degustazione. Comunque, a seconda dello stile, dell'OG e del grado alcolico, migliorerà ulteriormente con l'invecchiamento fino a 6 mesi e oltre.

Procedimento E+G

A differenza del procedimento da kit in cui l'estratto di malto è già luppolato e quindi pronto, nel metodo con estratto più grani bisogna preparare il mosto da mettere poi nel fermentatore. Si procede quindi, dopo la sanificazione di tutta l'attrezzatura come per i kit, come segue:
  • In una pentola precedentemente lavata (non occorre sanificare, in quanto si dovrà far bollire il mosto per diverso tempo) si pone un volume d'acqua pari ad almeno il 30% del volume di birra da produrre, quindi per 23 litri finali di birra almeno 8 litri di acqua.
  • Si porta l'acqua a 70 °C circa e, cercando di mantenere la temperatura costante, si aggiungono i grani preventivamente rotti (e non tritati) e si lasciano in infusione per almeno mezz'ora, in un apposito sacco filtrante (grain bag o sacco dei grani).
  • Si estrae il sacco dei grani, si strizza bene, e lo si immerge in un piccolo volume di acqua calda in modo da recuperare un po' di mosto. Infine si uniscono le due parti di acqua, si aggiunge l'estratto di malto e si porta tutto ad ebollizione.
  • La bollitura del mosto deve durare circa 60 minuti. Durante l'ebollizione, ai tempi prestabiliti dalla ricetta si aggiunge il luppolo nell'apposito sacco filtrante (hop bag o sacco del luppolo). In genere vi sono due aggiunte di luppolo, una a 60 minuti dalla fine che contribuirà principalmente all'amaro della birra, e una a 5-10 minuti dalla fine della bollitura che darà alla birra l'aroma di luppolo.
  • Terminata la bollitura si mette il mosto a raffreddare o con un'apposita serpentina (wort chiller), o immergendo la pentola in una vasca o nel lavandino pieno di acqua fredda. Il mosto deve essere raffreddato il più velocemente possibile per prevenire infezioni.
  • Una volta raffreddato il mosto si mette tutto nel fermentatore, si porta a volume con acqua fredda e si procede come per i kit.

Procedimento AG

È il procedimento completo. Consente un miglior controllo del processo poiché non impiega estratti, bensì materie prime con malto in grani e luppolo.
  • I grani, di tipo e in quantità che dipendono dal tipo di birra da produrre, vengono macinati in un mulino casalingo e miscelati con acqua (da 2 a circa 3 litri per kg).
  • Il mosto è sottoposto a riscaldamento con pianerottoli a diverse temperature (solitamente intorno ai 50°) e diversi tempi di attesa che consentono l'azione di trasformazione degli amidi in zuccheri.
  • La temperatura viene poi elevata a seconda del tipo di birra da produrre: basse temperature, intorno ai 60-65 gradi, favoriscono l'azione delle beta-amilasi che producono maltosio, il fondamentale substrato della fermentazione; temperature più alte, 67-73 gradi, favoriscono le alfa-amilasi che producono destrine non fermentabili che contribuiscono alla dolcezza e alla corposità della birra. Si lascia tutto in infusione mantenendo costante la temperatura per il tempo indicato.
  • Si controlla, con un test che sfrutta la capacità della tintura di iodio di colorarli, che gli amidi del malto si siano completamente trasformati in zuccheri.
  • Si filtrano i residui dei grani (trebbie).
  • Si effettua la bollitura del mosto come nel caso della E+G.

domenica 17 ottobre 2021

Birra cruda

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Gergalmente si intende per birra cruda quella birra che, durante il processo di lavorazione, non viene sottoposta né a pastorizzazione né ad aggiunta di conservanti.

Descrizione

Durante la produzione della birra industriale è consuetudine, onde garantire alla bevanda una buona conservazione e assicurarsi delle sue caratteristiche igieniche, sottoporla a pastorizzazione dopo la fermentazione secondaria e prima della filtratura e dell'imbottigliamento; la pastorizzazione avviene portando la birra a una temperatura di 60 °C per circa 20 minuti, al fine di sterilizzarla da alcuni microorganismi potenzialmente nocivi, anche se il processo, eliminando alcuni lieviti, rende necessario aggiungere anidride carbonica alla birra in un secondo momento. Inoltre la pastorizzazione consente di rendere uniformi profumi e sapori della birra. Tuttavia la pastorizzazione causa la denaturazione di alcuni elementi nutritivi della birra, che, insieme ai lieviti vivi, hanno effetti salutari per l'organismo umano.
Il procedimento senza pastorizzazione, invece, è utilizzato quando la birra non ha una grossa distribuzione industriale; in tale caso, fino alla consumazione, essa va tenuta a basse temperature, condizione necessaria per conservarla a lungo in assenza di pastorizzazione.
La birra cruda è quasi sempre artigianale, prodotta cioè artigianalmente in micro-impianti privi di automazioni elettromeccaniche e di strumentazioni sofisticate, dove contano soltanto l'attenzione e la pratica manuale dell'operatore (impianti riconducibili, quindi, nei loro termini essenziali, al sistema in uso fin nei secoli passati: sala cottura, sala di fermentazione, sala di maturazione). I birrifici artigianali producono la birra tradizionalmente, vale a dire applicando le metodiche di fabbricazione come erano in uso prima che l'industria introducesse tutta una serie di misure tecnologiche finalizzate a standardizzare il prodotto finale, producendo una birra dal gusto e dalle caratteristiche omogenee (oltre che costanti in tutti i lotti di produzione), ottenendo una birra mediamente apprezzabile da ogni tipologia di consumatore, la birra cruda, in effetti, modifica il proprio sapore e le proprie proprietà organolettiche anche solo con il passare del tempo.
La birra cruda è anche, generalmente, birra integrale, non microfiltrata. La mancata sottoposizione al trattamento termico e alla microfiltrazione lascia la birra integralmente ricca di lieviti e sostanze in sospensione. Non vi è aggiunta di alcun conservante e non vengono utilizzati altri procedimenti (ad esempio la stabilizzazione in polivinilpolipirrolidone) che comportino degradazione o impoverimento del prodotto.



sabato 16 ottobre 2021

Birra artigianale

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La birra artigianale è un prodotto non pastorizzato e generalmente, ma non sempre, non filtrato.



Produzione

I birrifici artigianali utilizzano il più possibile ingredienti naturali, e, con l'introduzione di "birrificio agricolo" anche utilizzando orzo e luppolo, provenienti dal territorio di loro appartenenza.
La birra viene prodotta principalmente con il malto d'orzo e/o con il malto di frumento (e in alcuni casi anche con altri cereali maltati), elementi base, ai quali vengono aggiunti luppolo, lievito ed acqua.
A questo punto la birra è pronta per essere bevuta ma ha una durata limitata nel tempo. Per aumentarne la conservazione, nella produzione industriale, il prodotto viene sottoposto ad alcuni trattamenti come la pastorizzazione ed il filtraggio. Vengono così inattivati i microrganismi contenuti nel lievito e filtrata la bevanda, aggiungendo poi degli additivi conservanti e stabilizzanti. Dopo questo trattamento il prodotto può essere movimentato e stoccato senza alcun problema.
Le birre prodotte con tecniche industriali, pertanto, si differenziano sostanzialmente da quelle artigianali ad un esame organolettico. La presenza di lieviti attivi, inoltre, rende queste ultime un alimento vivo che si evolve nel tempo. Se il tipo di birra lo consente, è possibile un invecchiamento in cantina anche per alcuni anni.
Il fenomeno dei birrifici artigianali, rinasce negli Stati Uniti ed è una riscoperta che avviene a partire dagli anni ottanta, la cosiddetta "Renaissance Americana", dove molti immigrati europei, riescono a mantenere in vita alcuni vecchi prodotti europei che altrimenti sarebbero andati perduti.
Anche in Europa ed in Italia si sta affermando questo fenomeno che si ripromette di proporre prodotti artigianali di elevata qualità.

In Italia

La produzione di un microbirrificio è limitata (in genere si pone il limite a 5000 hl annui, più di recente a 10000 hl). A partire dal 2016 la legge definisce come "birra artigianale" quella prodotta da birrifici indipendenti (legalmente ed economicamente) che utilizzi impianti di produzione propri e non produca oltre 200000 ettolitri di birra all'anno; inoltre la birra non può essere sottoposta a processi di pastorizzazione e di microfiltrazione.
I produttori di birra artigianale si possono dividere in due categorie:
  • le microbirrerie, che in genere non dispongono di un locale di mescita e la cui produzione è in tutto o in gran parte destinata alla vendita a locali e negozi;
  • i brewpub ovvero locali che producono birra per il consumo interno, spesso abbinato ad attività di ristorazione.
  • i beer firm ovvero impianti preesistenti che vengono affittati a privati, i quali possono quindi produrre birra artigianalmente ma in quantità non raggiungibili con un normale impianto casalingo.
Il numero di microbirrifici è in continuo aumento, si stima che nel 2007 fossero operativi almeno 175 microbirrifici; nel 2010 hanno superato le 300 unità arrivando a coprire circa l'1% della produzione di birra italiana, mentre nel 2014 hanno quasi raggiunto le 1000 unità arrivando a coprire circa il 3% della produzione di birra italiana. Il trend di crescita non accenna a diminuire. L'anno di inizio di questo fenomeno (a parte alcuni tentativi pioneristici, ad esempio a Sorrento e sul Lago di Garda) è il 1996, quando contemporaneamente, ma senza alcun collegamento fra loro, aprono diversi birrifici. Dal 2005 vengono pubblicati una serie di libri volti a una catalogazione per il crescente fenomeno.
La produzione dei microbirrifici italiani nel complesso presenta una varietà notevolissima con birre ispirate ai più diversi stili internazionali. Frequente è anche la creazione di birre comprendenti ingredienti inusuali sia come materia fermentabile che come aromatizzazioni, spesso integrando produzioni locali (ad esempio farro, frutta DOP e IGP). Esempio significativo l'uso delle castagne, utilizzate in un numero di birre che non trova riscontri in altre nazioni produttrici, tanto da diventare quasi un simbolo della birra artigianale italiana.
In forte crescita anche le contaminazioni con il vino, utilizzando sia botti di legno di secondo passaggio, che mosto d'uva con i suoi lieviti autoctoni.
L'uso di produzioni locali in certi casi è esteso anche agli ingredienti tradizionali, con uso di malto ottenuto da cereali locali, maltazione effettuata in proprio e esperimenti con la coltivazione del luppolo. Una grande diffusione sta ottenendo anche il mais, spesso utilizzato dall'industria per contenere i costi, ma che in ambito artigianale diventa una materia prima di alto pregio utilizzando varietà antiche come lo "sponcio", il "pignoletto" o il "marano".
Da qualche anno diversi microbirrifici italiani hanno cominciato un'attività di esportazione dei loro prodotti, principalmente sul mercato USA, anche se il mercato europeo si sta dimostrando molto interessante e attento ai prodotti italiani. Alcune delle produzioni artigianali italiane hanno ricevuto un ottimo apprezzamento da parte degli appassionati di birra americani e non, come documentato dai più importanti siti di rating. La continua crescita del fenomeno ha portato ad analisi anche economiche come quella riportata da fermento Birra a cura di Lelio Bottero o la ricerca congiunta UnionBirrai-Altis che, per la prima volta analizza in modo statistico microbirrifici e brewpub.

venerdì 15 ottobre 2021

Kölschglas



Il Kölschglas (chiamato anche Kölner Stange) è un bicchiere cilindrico alto circa 15 cm e con un diametro di circa 5 cm tradizionalmente utilizzato per la birra Kölsch.
Il bicchiere ha una capacità di 0,2 l, le dimensioni ridotte sono dovute alla scarsa stabilità della schiuma di questo tipo di birra che versata in bicchieri di diametro maggiore sparirebbe rapidamente.



giovedì 14 ottobre 2021

Aromi del vino

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Gli aromi del vino sono molto vari e numerosi. Sono classificati secondo la loro origine, secondo la loro affinità chimica o per associazione con odori naturali già noti.
La buccia dell'uva contiene molti composti organici di cui solo una piccola parte è costituita dagli aromi primari. Essi si percepiscono nel momento in cui si sgranocchia un acino d'uva. Il moscato è il vitigno aromatico per eccellenza: secondo Pierre Galet esso offre un tessuto di più di centocinquanta aromi. La buccia dell'uva contiene anche i precursori d'aroma, dei composti organici che emanano gli aromi del vino dopo la fermentazione alcolica. Essi sono in genere:
  • i terpeni: sono tipici dei vitigni Moscato, Malvasia e Bracchetto;
  • i tioli volatili: sono le molecole responsabili di una grande varietà di note e sfumature aromatiche (gemma di cassis, bosso, pompelmo, frutto della passione, ecc.) tipiche del vino Sauvignon bianco, dove sono state identificate per la prima volta, ma sono presenti, anche se in minor concentrazione, in molti altri vini quali il Gewurtztraminer, il Riesling, il Pinot grigio, ecc. Non essendo odorose, queste molecole non sono presenti come tali nei mosti, ma sono presenti sotto forma di precursori d'aroma che, grazie all'idrolisi ad opera dei lieviti, vengono trasformati nei tioli aromatici corrispondenti. E', infatti, durante la fermentazione alcolica che si sviluppa l'aromaticità;
  • le metossipirazine: sono le molecole responsabili delle tipiche note erbacee e di peperone verde del vino Cabernet sauvignon, Merlot e talvolta Sauvignon.
Gli aromi secondari o fermentativi si sviluppano durante la fase di fermentazione alcolica ad opera dei lieviti e batteri a partire dagli amminoacidi e dagli zuccheri presenti nel mosto. Durante i processi fermentativi si formano essenzialmente gli alcoli superiori (alcool amilico, isobutanolo, propanolo da cui si formano gli aromi detti alcolici, spirituali, amilici o l'aroma della frangipane e l'alcol 2-feniletilico da cui si forma l'aroma di rosa) e gli esteri (acetati degli alcoli superiori all'aroma di banana ed esteri etilici degli acidi grassi agli aromi di pera, ananas, pesca e frutti rossi). I processi fermentativi formano anche altri metaboliti, composti chimici prodotti dalla fermentazione, che possono avere un impatto indiretto sulla percezione del gusto del vino. Essi sono:
  • il glutatione che con il suo ruolo antiossidante preserva gli aromi volatili;
  • le mannoproteine presenti nella parete esterna dei lieviti che interagiscono con i tannini;
  • il glicerolo e gli acidi organici (acido acetico, ossalacetico, succinico).
Gli aromi fermentativi sono tipici del vino novello. L'aroma fermentativo per eccellenza è l'aroma amilico che emana profumi di caramella inglese e di banana. Più fattori influenzano la produzione di questi aromi: il ceppo e il tipo di lieviti, la temperatura di fermentazione (se elevata, favorisce la formazione di alcoli superiori, se bassa la formazione di esteri), la composizione azotata del mosto e la torbidezza e l'ossigenazione del mosto che favoriscono la formazione degli esteri etilici degli acidi grassi. I lieviti della flora naturale del vino non sono solo il Saccharomyces cerevisiae ma anche i lieviti non Saccharomyces. Questi ultimi modificano il profilo aromatico e gustativo del vino e sono:
  • Schizosaccharomyces pombe: disacidifica il vino assimilando l'acido malico del mosto;
  • Candida stellata: alcuni ceppi producono il doppio di glicerolo del Saccharomyces cerevisiae;
  • Torulaspora delbrueckii: producono esteri fermentativi fruttati diversi da quelli prodotti dal Saccharomyces cerevisiae;
  • Kluyveromyces thermotolerans: acidifica il vino producendo un acido lattico più dolce dell'acido malico;
  • Pichia kluyverri: rafforza l'idrolisi dei precursori d'aroma;
  • Hanseniaspora osmophila: alcuni ceppi producono alcol 2-feniletilico in quantità dieci volte maggiore rispetto al Saccharomyces cerevisiae;
  • Kloeckera corticis.
I ceppi naturali dei lieviti Schizosaccharomyces pombe, Kluyveromyces thermotolerans, Torulaspora delbrueckii possono essere utilizzati per inseminare il mosto a diversi stadi della fermentazione (inoculazione in sequenza, co-inoculazione precoce o tardiva) per modificare il profilo del vino.
Gli aromi terziari sono prodotti durante l'invecchiamento del vino e sono dovuti a processi di ossidazione (che producono composti dello zolfo e acetali) e al rilascio nel vino di alcuni composti chimici (ellegitannini del legno di quercia e lattoni) da parte del legno. Uno dei processi chimici più studiati che avviene durante l'elevazione del vino in barrique è la micro-ossidazione.

Aromi fruttati

  • Frutta a polpa verde: kiwi, limone, melone verde, uva spina;
  • Frutta a polpa bianca: mela, pera, pesca sanguinella, mela cotogna;
  • Frutti rossi: fragola, lampone, ribes rosso, ciliegia;
  • Frutti neri: mora, mirtillo, ribes nero;
  • Frutta a polpa gialla: pesca, albicocca, pesca nettarina, pesca noce, prugna;
  • Frutta esotica: ananas, mango, frutto della passione, fico, dattero, litchi;
  • Agrumi: limone, arancia, pompelmo, scorza di arancia, buccia, buccia candita;
  • Frutta secca: mandorla, noce, nocciola, uva secca, fico secco, pistacchio, prugna cotta.
Evoluzione del frutto: fresco > in composta > cotto > in marmellata > candito > secco.

Aromi floreali

  • Fiori: rosa, peonia, caprifoglio, acacia, rosa canina, violaciocca, violetta, geranio, ginestra, giacinto, reseda;
  • Tisane: verbena, camomilla, tiglio, biancospino, arancio;
  • Derivati: miele, cera.

Aromi legnosi

Gli aromi legnosi sono detti anche balsamici.
  • Legno di barrique: quercia francese, quercia americana, cedro, vaniglia;
  • Legno empireumatico (torrefazione): affumicato, caffè, cacao, caramello, catrame, pane grigliato o tostato.

Aromi speziati

  • Spezie dolci: cannella, vaniglia, cardamomo, liquirizia;
  • Spezie salate: pepe, peperone, chiodi di garofano, noce moscata.

Aromi vegetali

  • Verdure: peperone, porro, aglio, cavolo, carciofo, piselli, fagiolini, lattuga;
  • Secchi: fieno, paglia, tè;
  • Verdi: erba tagliata, eucalipto, edera, clorofilla, ribes nero, bosso;
  • Sottobosco: humus, champignon, felce, foglie cadute, terra umida.

Aromi minerali

  • Rocce: pietra focaia, silice, sasso, argilla, idrocarburo;
  • Metalli: rame, ferro, alluminio.
Dall'anno 2000, nel linguaggio enologico si è verificata una forte espansione dei termini derivanti dal mondo minerale. Gli aromi minerali hanno solamente un potere suggestivo e affascinante perché il tenore di minerali nel vino è così basso da risultare impercepibile. La mineralità del vino non dipende dal suolo ma probabilmente da molecole che si formano nel corso della fermentazione alcolica: gli esteri e i tioli.
  • Sauvignon bianco: gemma, bosso, limone verde, silice, e anche di pipì di gatto se non è abbastanza maturo;
  • Riesling: succo di limone, mela verde, minerale, petrolio dopo 3-5 anni dalla produzione.



mercoledì 13 ottobre 2021

Archetti del vino

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Gli archetti del vino (o lacrime) sono un fenomeno che si osserva facendo roteare il vino dentro ad un bicchiere ben pulito: si forma un anello di liquido dal quale discendono delle gocce che scorrono lungo il vetro tornando nel vino. Questo fenomeno, che si osserva più facilmente in vini ricchi di alcool etilico, è una delle manifestazioni dell'effetto Marangoni.
L'effetto è dovuto al fatto che l'alcool ha una tensione superficiale minore dell'acqua. Se l'alcool fosse mischiato in modo non omogeneo con acqua, una regione con una minore concentrazione d'alcool farebbe pressione sul liquido circostante in modo più forte che una regione con una concentrazione alcolica più alta. Il risultato è che il liquido tende a fluire via dalle regioni con concentrazioni d'alcool maggiori. Questo può essere facilmente dimostrato stendendo un sottile strato d'acqua su una superficie liscia: facendovi cadere al centro una goccia d'alcool, il liquido si allontanerà dal punto in cui è caduta la goccia.
Il vino è una miscela di alcool (da 10% al 15% in volume) e acqua (le altre sostanze sono presenti in quantità trascurabili). Facendo roteare il bicchiere il vino incontra la superficie interna del bicchiere, e per capillarità la risale; sia l'acqua che l'alcool evaporeranno quindi dalla superficie, ma l'alcool evaporerà più in fretta a causa della più alta pressione di vapore e del più basso punto di ebollizione. Questo cambiamento nella composizione del vino (minor concentrazione alcolica) provoca un aumento della tensione superficiale, facendo risalire ancora di più il liquido nella superficie interna del bicchiere. Le gocce di vino, infine, tenderanno a ricadere per effetto del loro stesso peso, formando gli archetti.
L'effetto è più evidente nei vini molto alcolici a causa della maggior differenza di tensione superficiale tra il vino allo stato "iniziale" e quello che è già andato incontro al processo di evaporazione.

martedì 12 ottobre 2021

Afrometro

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L'afrometro (afròmetro, dal greco aphros spuma) è uno strumento usato in enologia per misurare la pressione all'interno delle bottiglie e quindi, indirettamente, il contenuto di anidride carbonica.
È composto di una cannula rigida che va conficcata nel tappo e da un quadro di lettura che fornisce il valore della pressione all'interno della bottiglia.
È principalmente usato nella fase di rifermentazione in bottiglia per la produzione di spumanti (metodo classico o champenoise) al fine di monitorare il decorso della fermentazione senza che si renda necessario aprire le bottiglie perdendone il contenuto.
Per svolgere la rifermentazione in bottiglia vengono aggiunti 4 g/l di saccarosio per ogni atmosfera di sovrappressione desiderata. Per ottenere 6 atm di sovrappressione si aggiungono 24 g/l di zucchero.
L'aumentare giornaliero della pressione, misurata con l'afrometro, fino al raggiungimento delle 6 atm garantisce il corretto decorso della fermentazione e il completo consumo dello zucchero.

 
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