martedì 29 settembre 2020

Coffee-shop

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Con il termine coffee-shop (nei Paesi Bassi i termini vengono uniti in coffeeshop) vengono indicati i locali autorizzati dallo Stato dei Paesi Bassi, per vendere al consumo modesti quantitativi di droghe leggere, regolamentati da una politica in vigore nei Paesi Bassi.


Caratteristiche

Generalmente all'interno di questi locali è possibile consumare, provare e confrontare gli effetti delle diverse varietà e qualità di droghe leggere, ricevendo anche consigli dai venditori. Nei locali spesso si possono ritrovare tutti gli accessori adatti o adattati, per l'uso e il consumo di cannabis; assieme a una vasta gamma di cannabinoidi naturali e non sofisticati, vengono talvolta venduti dolci a base di queste sostanze, come la space cake e lo space chocolate.

Diffusione

In Olanda attualmente sono presenti regolari coffeeshop in 105 delle 443 municipalità esistenti per un totale di circa 702 licenze; il numero di tali esercizi è stabile da circa 10 anni. In passato, nel 1995, il censimento di tali locali annotava oltre 1500 coffeeshops regolari ed ulteriori 600 non completamente regolarizzati. Amsterdam, la capitale dei Paesi Bassi, è la città con la maggiore densità (241 licenze circa) di questo tipo di imprese commerciali (talvolta organizzate in catene e franchising). Per tal motivo in molti strati della cultura giovanile europea, Amsterdam è divenuta sinonimo di luogo in cui svolgere vacanze con connotazioni trasgressive (anche per il fatto che in città è presente la prostituzione legalizzata).
Negli ultimi anni i governi olandesi hanno attuato una serie di limitazioni regolamentari a queste attività commerciali, si è perciò parlato di possibili riduzioni del numero dei coffee-shop olandesi in seguito alle difficoltà economiche sopraggiunte ed all'adeguamento alle nuove norme. Negli anni novanta i coffee shop in Amsterdam erano circa 600; dal 2005 ad oggi, il loro numero fluttua tra 200 e 250.

Limitazioni

La quantità massima di droghe che può essere venduta è di 5 grammi a persona per giorno ed ogni fruitore comunque non potrebbe rivolgersi a più di 6 coffeeshop al giorno per un totale di 30 gr/giorno procapite ammessi. Tale limitazione è stata istituita sia per scopi medici, sia per non permettere l'esportazione di tali sostanze all'estero (marijuana, hashish). I funghi allucinogeni, in passato "a catalogo" in questi locali, sono ora vietati dalla legge, quindi illegali. Tutte le sostanze a base di cannabinoidi e tutti i preparati che ne contengono traccia devono essere opportunamente ed inequivocabilmente segnalati per evitare che possano essere acquistati e consumati inconsapevolmente.
I proprietari di coffee-shop devono comunque evitare ogni tipo di pubblicità al proprio locale, vietare l'ingresso ai minorenni se non accompagnati, e vanno incontro alla revoca immediata della licenza se al proprio interno viene consumata droga pesante. È altresì vietato servire bevande alcoliche all'interno dei coffee-shop non muniti di licenza.
Dal 1º maggio 2012 una nuova legge ha limitato l'ingresso nei coffee-shop, in alcune regioni del sud del paese, ai soli cittadini olandesi, legge che poi si sarebbe dovuta estendere in tutti i Paesi Bassi il 1º gennaio 2013. Tuttavia il nuovo Governo, insediatosi a seguito delle elezioni legislative del 2012 e sostenuto dal Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, decise dal mese successivo di lasciare l'autonomia alle amministrazioni locali nel decidere se rendere operativa la legge, tenendo il criterio della residenza tecnicamente in vigore ma a discrezione delle autorità locali.

lunedì 28 settembre 2020

Flair bartending

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Il flair bartending, o comunemente detto flair, è l'insieme delle tecniche acrobatiche nella preparazione di cocktail inventate ed in uso dalla figura del barman.
Si fonda in questa tecnica psicologica dimostrativa e di vendita (atta ad accogliere ed intrattenere la clientela) e rapidità nell'esecuzione delle figure (l'organizzazione e tecnica di svolgimento lavorativa). Il bartender diventa perciò una figura che funge da agente catalitico mettendo a proprio agio la clientela e creando coinvolgimento e partecipazione della stessa allo spettacolo.
Il bartender tenendo in mano due o più bottiglie in una sola mano attua il “Flair” (che in inglese significa: fiuto, attitudine, inventiva). Eseguire il flair è semplicemente efficienza, che si esprime appunto nel movimento del corpo ed associato ad un pizzico di ispirazione personale. È quel tipo di prova in cui, ad esempio, si preparano i cocktail utilizzando i versaggi multipli o contemporanei di liquori, stravolgendo prese e lanci dei contenitori o bottiglie con movimenti a volte aggraziati o talvolta bizzarri, lanciando o afferrando gli stessi davanti o dietro la schiena, secondo una regia pianificata prima o improvvisata al momento, secondo l'esigenza.

Le Origini

Il flair contrariamente a quanto pensa la gente, esiste almeno da 150 anni. Infatti si ha notizia che il primo a praticare questo lavoro sia stato il celebre “professore” statunitense Jerry Thomas quando a metà del 1800 realizzò il suo famoso “Blue Blazer”, versando scotch infiammato e acqua da un tazzone all'altro in una lunga scia infuocata.
Per cercare invece le origini del flair più moderno, dobbiamo tornare indietro di qualche anno dai giorni nostri più precisamente agli inizi degli anni '80 dove alcuni ragazzi californiani lavorando in un bar ed avendo sempre molta gente all'interno del locale, si inventarono alcuni movimenti appositamente studiati per velocizzare il lavoro. La tecnica risultava sorprendente ed efficace e perciò viene subito adottata da altri colleghi. È così che la tecnica viene subito adottata da altri colleghi e presto diventerà una catena popolare di servizi di questo genere in tutta l'America. La catena venne chiamata TGI Fridays.
Passano alcuni anni ed è nel 1997 che ad Orlando in Florida, viene fondata un'accademia la Flair Bartenders' Association (FBA, con l'intento di tutelare e far crescere questa professione ed infine promuovere le prime gare e concorsi in giro per il mondo. Inutile dire che ad oggi la capitale mondiale del flair è diventata Las Vegas non a caso i migliori 4 flair bar del mondo si trovano proprio qui e sono: Carnaval Court, Shadows, Kahunaville, Red Room Saloon. Non di meno però è anche il Roadhouse un flair bar di Londra anch'esso considerato da poco tempo uno dei migliori.
Il 2008 è stato l'anno di fondazione della World Flair Association (WFA), associazione mondiale con sede a Londra, fondata per standardizzare lo stile del Flair Bartending.

Le varianti

Il Flair bartending a sua volta si divide in due varianti: Working Flair ed Exhibition Flair. Il Working Flair è caratterizzato da movimenti sia rapidi che morbidi, tutti eseguiti senza creare ritardi sui tempi di servizio al cliente. Praticato per lo più con un bicchiere, una bottiglia, un cono Boston, una guarnizione, occasionalmente con due bottiglie, è finalizzato alla composizione dei drink con frutta o altre decorazioni. L'Exhibition Flair è usato principalmente a scopo di intrattenimento o nelle competizioni , certe volte può durare anche diversi minuti. Spesso è usato nei locali quale segno distintivo, di campagne pubblicitarie, nella promozione di liquori, in occasione di momenti dimostrativi all'interno di fiere o dimostrazioni. Rispetto al working flair richiedere l'uso di materiale scenico, materiali singolari ed una preparazione più lunga e dettagliata.

Nella cultura di massa

Nella cultura di massa il flair divenne subito popolare da quando nel film Cocktail, diretto da Roger Donaldson, un giovane studente di economia, interpretato da Tom Cruise pian piano con il passare degli eventi intraprende una carriera a lui sconosciuta appunto quella di bartender. All'inizio della carriera è molto insicuro ed impacciato, ma alla fine grazie al flair diventa una grandissima star.

In Italia

In Italia si inizia a parlare di flair bartending nel 1992 quando iniziano ad arrivare le prime attrezzature per i bar dagli Stati Uniti per opera di Stefano Talice e Gianluca Pomati, titolari della "Varpo" i quali durante un incontro ad una fiera incontrano un talentuoso bartender portoghese, Paulo Ramos che dopo alcuni mesi di trattative lo fanno arrivare in Italia e dopo solo 2 mesi gli fanno aprire la prima scuola italiana di flair. Ecco che è così che il nostro paese conosce un periodo di grande popolarità ed iniziano ad emergere i primi talenti nostrani: Lorenzo Bianchi, Marco Sumerano, Bruno Vanzan e tanti altri ed iniziano ad arrivare dal circuito internazionale bartender dai paesi dell'Est, dall'Asia e dal Sud America, portando con sé stili diversi e nuove tecniche sempre più spettacolari.
Dopo questi primi anni brillanti però con il passare degli anni il flair è divenuta anche per certi versi la tecnica di lavoro più controversa, più discussa e più incompresa e per questo motivo anche criticata, molto spesso con poca cognizione di causa.

domenica 27 settembre 2020

Lounge bar

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Il termine lounge bar identifica un particolare tipo di locale pubblico che eroga gli stessi servizi dell'American bar, ma in più è dotato di una particolare eleganza, generalmente piccoli salotti, da cui appunto il nome Lounge bar e in cui è quasi sempre presente, come sottofondo, un genere di musica, lounge music, volta a rilassare i clienti. Ci si riunisce di solito in questi luoghi con lo scopo di prendere un aperitivo.

sabato 26 settembre 2020

Bevanda alcolica

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Si definisce bevanda alcolica qualsiasi bevanda contenente alcol etilico (anche detto etanolo). La parola alcol deriva dall'arabo الغول (al-ġuḥl, spirito) o da الكحل (al-kuḥl, polvere di stibnite ottenuta per sublimazione dall'antimonio), termine che rivela l'origine alchemica di questa sostanza, a cui erano attribuite le proprietà magiche e spirituali contenute negli elisir. Commercialmente si possono distinguere due grandi categorie di bevande alcoliche, ovvero gli alcolici a bassa gradazione, inferiore ai 21 %vol, come ad esempio la birra o il vino, ed i superalcolici, con gradazione alcolica superiore ai 21 %vol.
Una bevanda alcolica si può ottenere mediante:
  • fermentazione alcolica degli zuccheri contenuti nei frutti o nei cereali (ad esempio il vino dall'uva o la birra dall'orzo)
  • distillazione (per ottenere acquavite) di:
    • bevande fermentate (ad esempio il brandy dal vino)
    • cereali o altri vegetali ricchi di glucidi o amidi (ad esempio la vodka da grano e patate)
    • residui della produzione di bevande fermentate (ad esempio la grappa dalle vinacce)
  • assemblaggio diretto di alcol di origine agricola con olii essenziali ottenuti dalla distillazione di erbe officinali, frutta, scorze di agrumi, ecc., oppure ottenuti dalla macerazione (a freddo), infusione (a caldo) o percolazione dell'alcol o altro solvente con le essenze citate. Questi miscugli vengono successivamente completati con sciroppo di zucchero, acqua (per il raggiungimento della gradazione alcolica desiderata), ed eventualmente coloranti. In tali casi le bevande alcoliche vengono denominate liquori o amari (che sono due prodotti diversi)
  • aromatizzazione del vino (vini aromatizzati) o altri prodotti vitinicoli aromatizzati
  • miscelazione di prodotti alcolici con altre sostanze per ottenere cocktail.

Storia

Le bevande alcoliche prodotte per fermentazione erano conosciute fin dall'antichità da quasi tutte le civiltà, e usate sia per ragioni mediche (in alcuni luoghi e periodi non era disponibile acqua sicura) o igieniche (in quanto l'alcol ha proprietà antisettiche), sia come integratori alimentari (per il loro apporto di zuccheri), sia per scopi conviviali, per ispirazione artistica o come afrodisiaci.
È un caso se i distillati alcolici siano stati definiti con le parole aqua vitae ("acqua della vita"), che è lo stesso significato del gaelico uisge beatha, da cui prenderà la denominazione il whisky.
Peraltro processi naturali in grado di produrre sostanze contenenti alcol esistono sul nostro pianeta da milioni di anni, ed è stato scoperto nel bagaglio genetico dell'uomo un gene specializzato per il trattamento dell'alcol, più precisamente quello che codifica per l'enzima alcol-deidrogenasi; questo dettaglio può far pensare che l'uomo, per molto tempo, sia stato a contatto con questa sostanza, tuttavia non si posseggono notizie storiche che confermino questa ipotesi e pare che fino a 10 mila anni fa il consumo di alcol possa essere stato fortuito ed episodico.
L'ipotesi che gli esperti formulano sui primi contatti con l'alcol avvenuti forse nel tardo Paleolitico, sembrano indirizzarsi verso un assaggio occasionale di una quantità di miele scaduto, o di un dattero o della linfa di alcune piante, tutte sostanze caratterizzate dalla presenza di un elemento zuccherino che fermenta in modo naturale. Per la scoperta della birra, l'uomo ha dovuto attendere almeno lo sviluppo della cerealicoltura, basate su grandi raccolti di orzo e frumento. Tavolette mesopotamiche antiche 6.000 anni fa, contengono ricette illustrate per la produzione della birra.
Le fonti storiche confermano, in qualunque caso, che già prima del III millennio a.C., Egizi e Mesopotamici conoscessero bevande simili alla birra. Lo sviluppo dell'agricoltura agevolò la nascita di insediamenti sempre più grandi e sollevò quel grande problema che per molti secoli angustiò i popoli, ossia l'approvvigionamento di acqua potabile.
Per quanto riguarda l'Oriente, l'abitudine molto antica di bollire l'acqua per la preparazione del tè, ha consentito un suo utilizzo sicuro come bevanda, e questa è una delle motivazioni per le quali in Oriente non si è diffusa, anticamente, l'abitudine alle bevande alcoliche.
In Occidente, al contrario, le bevande alcoliche sono servite anche per sopperire carenze alimentari, oltreché come antidoto contro le fatiche della vita, e infine come analgesico.
Il procedimento della distillazione è invece relativamente più recente; la sua scoperta si fa risalire agli alchimisti islamici dell'VIII secolo d.C., e ai loro epigoni come Raimondo Lullo e Arnaldo da Villanova,[4] che aprirono le porte al consumo dei superalcolici, consentendo di superare la barriera del 16 per cento di gradazione alcolica, causata dalla non tollerabilità dei lieviti nei confronti di una concentrazione superiore.
All'alchimia araba medievale si deve pertanto la denominazione odierna di alcool, che propriamente cosisteva nello «spirito» vivente, assimilabile a un demone, ottenuto appunto dalla distillazione, cioè dal procedimento alchemico di morte degli elementi materiali e grossolani di una sostanza, per coglierne l'essenza pura e aeriforme, come avveniva ad esempio nel caso della trasmutazione dei metalli vili in oro, o in qualunque trasformazione di un elemento corrotto nella sua Luce divina originaria.
Il consumo di superalcolici si diffuse rapidamente in Europa e impazzò almeno fino al XVII secolo, quando anche nel Vecchio Continente penetrarono bevande come il caffè, il tè e il cacao, analcoliche e sicure, grazie all'acqua bollita.
L'abuso di alcol venne catalogato come malattia, anche da un punto di vista medico-sanitario, solamente nel XX secolo, quando l'uso corrente di acqua potabile, rese non plausibile l'uso della bevanda alcolica per ragioni di salute.
Nel 2013, il 63,9% della popolazione italiana over 11 ha consumato almeno una volta nell'anno una bevanda alcolica.



Alcol e salute

L'etanolo ha molteplici effetti sull'organismo umano, di natura:
  • energetica, viene convertito in acetil CoA bypassando il ciclo di Krebs
  • farmacologica, di ampio spettro: ha sia funzione diretta su recettori determinati, sia azione aspecifica, in particolar modo destabilizzando le membrane cellulari
  • tossica, a livello epatico, pancreatico e cerebrale, ma non solo (ad esempio delirium tremens)
  • di dipendenza, sviluppando diversi disturbi psichici: demenza, psicosi, disturbi dell'umore, d'ansia, disfunzione sessuale, disturbi del sonno.
Nel consumo cronico, invece, si tende alla sostituzione di maggior parte della dieta con l'alcol: questo porta alla caratteristica deficienza in tiamina tipica dell'etilista, con conseguenti neuropatie del sistema nervoso centrale. Inoltre è fattore di rischio di numerose patologie come cirrosi epatica, e cancro.
L'abuso di alcol in gravidanza può causare danni fisici e mentali al feto.
L'etilismo o malattia dell'alcolismo è considerato un problema sociale essendo una causa importante di violenze e di incidenti automobilistici: dal 2002 il livello di alcolemia accettato per i guidatori è sceso da 80 a 50mg/100mL.
Nella classifica di pericolosità delle varie droghe stilata dalla rivista medica Lancet, gli alcolici occupano il quinto posto.



Esempi di bevande alcoliche

Origine
Bevanda fermentata
Bevanda distillata
Liquore
succo d'agave
Pulque
tequila, mescal

anice


Mastika, ouzo, pastis, arak, sambuca, mistrà
sciroppo di canna da zucchero

aguardiente, rum, cachaça
Sang som
succo di palma
vino di palma
arrak

cereali
birra (orzo), sake (riso), chicha, kvas,
bourbon, gin, mei kwei lu chew (riso), shōchū (riso), whisky, vodka

sciroppo di miele
idromele


latte
kumis, kéfir


succo di mela o di pera
sidro
Calvados

succo di prugna

slivovitz, schnaps
umeshu
succo d'uva
vino
Armagnac, brandy, Cognac, grappa, marc acquavite d'uva

banana
birra di banana


erbe aromatiche


acquavite di genziana
Centerba, Amaro Lucano, Certosino, Latte di suocera, Arquebuse, Bénédictine, Chartreuse



Alcolici e dottrine spirituali

Alle bevande alcoliche sono stati anche attribuiti significati simbolici o religiosi, ad esempio nell'antica Grecia nell'ambito dei riti dionisiaci, nella religione cristiana come elemento simbolico nell'eucaristia, o nella Pasqua ebraica (Pesach). Nonostante questo, complessivamente l'Antico Testamento condanna l'abuso di alcol e i Padri della Chiesa invitarono alla moderazione nell'assunzione del vino. Altre religioni invece (principalmente l'Islam) proibiscono il consumo di bevande alcoliche.

venerdì 25 settembre 2020

Un alcolico con un nome curioso

 Non dovrebbe sembrare curioso, ed invece quello della vodka è un nome che nasconde un fondo di curiosità.

Sembra infatti che l'etimologia del nome sia piuttosto incerta, in parallelo con l'origine della bevanda alcolica, contesa tra Russia e Polonia. Ad ogni modo, secondo le fonti più accreditate, sembra che il nome derivi da una crasi della lingua russa, in cui sono stati uniti due elementi distinti.

In russo, "vodka" significa fondamentalmente "piccola acqua", o "acquetta". La parola per acqua è "voda" e "ka" è un finale diminutivo.

Un nome che sembra suggerire una razione piccola di acqua, ma che a conti fatti è ben altro…!



giovedì 24 settembre 2020

Caffetteria

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Una caffetteria, o più tradizionalmente caffè, e anticamente bottega del caffè (francese/portoghese: café, spagnolo: cafetería, inglese: café o coffee house, tedesco: café o kaffeehaus, turco: kahvehane), è un locale che serve essenzialmente caffè ed altre bevande calde.
Esso ha alcune caratteristiche comuni sia ad un bar che ad un ristorante. Come suggerito dal nome la sua funzione essenziale è quella di servire caffè, tè e altre bevande come tisane, oltre che dolci da accompagnare alle bevande come biscotti, paste secche e piccole paste salate. In molte caffetterie nel mondo islamico, e nei quartieri arabi di alcune capitali occidentali, viene offerta la shisha, polvere di tabacco fumata tramite il narghilè.
Nei Paesi Bassi e specialmente ad Amsterdam i café sono dei locali dove si beve soprattutto birra, mentre nelle koffiehuis può essere fumata anche la cannabis. Dal punto di vista culturale, i caffè sono dei centri di intrattenimento sociale in cui persone o piccoli gruppi possono conversare, leggere, ascoltare musica passando il tempo piacevolmente.

Storia

Le origini

Sin dal XVI secolo, le caffetterie (al-maqhah in arabo, qahveh-khaneh in persiano e Kahvehane o kıraathane in turco) hanno assolto la funzione di luogo di intrattenimento socializzante nelle regioni del medio oriente dove gli uomini si riunivano per consumare caffè o tè, ascoltare musica, leggere, giocare a scacchi o a backgammon e per ascoltare narrazioni dal Mu'allaqat o dallo Shahnameh. Alla Mecca questi locali (il primo vi fu aperto intorno al 1500) divennero sede di dibattiti politici e fonte di preoccupazione per le autorità religiose islamiche, che li vietarono dal 1512 al 1524. Nel 1530 venne aperto il primo locale a Damasco e poco dopo vennero aperti numerosi locali anche al Cairo.
Numerose leggende riferiscono l'introduzione del caffè a Costantinopoli ad un locale chiamato "Kiva Han" nella seconda metà del Quattrocento, esse tuttavia non trovano riscontri documentali. Si ritiene invece che il primo locale da caffè della capitale ottomana abbia aperto nel 1554. Nel XVII secolo il caffè apparve per la prima volta in Europa al di fuori dell'Impero Ottomano attraverso i porti del Mediterraneo che commerciavano con l'Impero Ottomano, come Venezia e Marsiglia, e attraverso i porti del Mare del Nord che dominavano il commercio mondiale, come Londra e Amsterdam, e vennero presto aperti diversi caffè che divennero subito molto popolari.
Il primo locale di questo genere di cui si ha notizia fu aperto intorno al 1640 a Venezia, in funzione dei traffici commerciali esistenti fra la Serenissima ed il mondo Ottomano. In Inghilterra vi arrivò circa dieci anni dopo e la prima coffee house, The Angel, venne aperta a Oxford da un ebreo nell'edificio ora conosciuto come "The Grand Cafe".
Una targa posta sulla parete commemora ancora oggi questo evento. Nella stessa città il Queen's Lane Coffee House, aperto nel 1654, esiste ancora ai giorni nostri. A Londra, la prima coffee house venne aperta nel 1652 in St Michael's Alley a Cornhill. Il proprietario era Pasqua Rosée, un levantino al servizio di un commerciante con la Turchia, che importava il caffè e che collaborò all'apertura del locale.
Nel 1654 aprì il primo caffè francese, a Marsiglia e nel 1660 ne aprì uno a Lione. Nel 1672 aprì anche il primo café di Parigi ad opera del già citato Pasqua Rosée, seguito nel 1681 dal futuro Café de la Régence. Nel 1686 il siciliano Francesco Procopio dei Coltelli inaugurò il Café Procope sito di fronte alla sede di allora della Comédie Française. Nel 1664 aprì la prima koffiehuis olandese, all'Aia, seguita da un'altra ad Amsterdam nel 1666. Nel 1670 Boston ebbe la sua prima coffee house.
Nel 1673 aprì la prima Kaffeehaus nell'attuale Germania e precisamente a Brema. Nel 1697 nella stessa città aprì il caffè Schütting sulla Marktplatz. Nel 1677 aprì la prima Kaffeehaus di Amburgo. Il primo caffè di Vienna è stato aperto dall'armeno Johannes Theodat (detto anche Johannes Diodato o Owanes Astouatzatur) nel 1685. Quindici anni dopo, quattro caffè di proprietà di greci hanno avuto il privilegio di servire il caffè.
La storia tradizionale sull'origine dei caffè viennesi racconta che, quando i Turchi vennero sconfitti nella Battaglia di Vienna nel 1683, vennero trovati sul campo di battaglia misteriosi sacchi di fagioli verdi. Tutti i sacchi di caffè trovati vennero dati al vittorioso re di Polonia Giovanni Sobieski, che li diede a sua volta ad un suo ufficiale di nome Jerzy Franciszek Kulczycki, il quale avrebbe aperto la prima caffetteria a Vienna con quella scorta avuta dal suo sovrano. Tale storia è ormai appurato essere una leggenda.

Il Settecento

Il Settecento fu il "periodo d'oro" dei caffè europei: essi erano il ritrovo della emergente borghesia in opposizione ai salotti aristocratici ed ovviamente alle osterie e birrerie popolari. I caffè furono quindi i luoghi centrali nella vita commerciale e culturale delle città europee, dove si svilupparono i principali aspetti della società borghese, dall'economia capitalistica alla filosofia illuministica. Nel 1739 si contavano ben 551 coffee house nella sola città di Londra: come scrisse l'Abbé Prévost, i caffè erano luoghi "dove ognuno aveva il diritto di leggere tutti i giornali, filo e anti governativi, e dove era di casa la libertà inglese".
Ognuno di essi richiamava una determinata categoria di frequentatori come ad esempio i simpatizzanti dei Tory oppure quelli del Whig, mercanti ed uomini d'affari, avvocati, librai e scrittori. Fra i caffè della City of London alcuni sono alle origini delle locali istituzioni finanziarie. Infatti i Lloyd's di Londra ebbero la loro origine in una coffee house gestita da Edward Lloyd in Lombard Street, dove i sottoscrittori di assicurazioni sulle spedizioni navali, si incontravano per discutere i loro affari. Analogamente, la en:Jonathan's Coffee-House di en:Exchange Alley nel 1698 presentò una lista dei titoli che evolse poi nel London Stock Exchange.
I caffè letterari erano nei pressi di Covent Garden, vi si riunivano personaggi come John Dryden e Alexander Pope (al Will's), come Jonathan Swift e Daniel Defoe (allo Smyrna), come Joseph Addison (che poneva la redazione de The Spectator al Button's) o Richard Steele che invece scriveva The Tatler al Grecian. Intorno alla metà del XVIII secolo sorsero i club per gentiluomini, che tanto spazio hanno avuto nella letteratura dei secoli seguenti. Essi finirono con l'entrare in concorrenza con le coffee house sottraendo loro i frequentatori appartenenti alle classi superiori ed alla nobiltà, e determinando la chiusura di molte di esse. La più antica coffee house londinese oggi esistente è il già menzionato Grecian, presso lo Strand, dove nel Settecento si riunivano gli Whigs ed i membri della Royal Society.
Alla fine del Settecento a Parigi c'erano quasi 3.000 cafés. Fra di essi il Café Procope è tuttora in attività. Esso fu il più famoso luogo di incontro dell'Illuminismo: Voltaire, Rousseau e Diderot lo frequentarono ed in particolare era il ritrovo abituale degli enciclopedisti. Vennero al Procope anche Benjamin Franklin e Thomas Jefferson durante i loro soggiorni parigini in cerca di appoggi alla causa dell'indipendenza americana. Durante la Rivoluzione Francese il Procope fu un ritrovo dei Cordiglieri, fra cui Danton e Marat. Altri ritrovi degli illuministi e dei rivoluzionari furono il Café de la Régence, descritto da Diderot ne Il nipote di Rameau e frequentato da Robespierre e Napoleone, ed il Café de Foy, entrambi chiusi nella prima metà del secolo successivo.
Anche i caffè italiani furono luogo di discussioni letterarie e politiche, tanto che la più importante rivista dell'Illuminismo italiano si chiamava proprio Il Caffè. Questa fu fondata e in buona parte scritta da Pietro Verri ispirandosi alle citate riviste londinesi e imitava la discussione in un caffè. I locali italiani, però, a differenza di quelli inglesi e francesi, erano frequentati anche dalla nobilità. Piuttosto, in alcune città c'era un caffè degli aristocratici e altri della borghesia.
Nel 1720 apriva, a Venezia, quello che è attualmente il più antico caffè operante in Italia, il Caffè Florian di Piazza San Marco, frequentato anche da Carlo Gozzi, Francesco Algarotti, Antonio Canova, Carlo Goldoni e Giacomo Casanova. Successivamente, nel 1733 nasceva a Firenze il Caffè Gilli, il più antico locale della città. Nel 1760 veniva fondato l'Antico Caffè Greco di Roma, così chiamato perché fondato da un levantino. Nel 1772 apriva il Caffè Pedrocchi di Padova e nel 1775 il Caffè dell'Ussero di Pisa, ritrovi dei professori e degli intellettuali di queste due città universitarie. Nel 1775 iniziava l'attività anche il Caffè Quadri di Venezia, fondato da un immigrato di Corfù allora soggetta alla Serenissima, e nel 1780 il Caffè Fiorio di Torino: essi divennero i ritrovi dell'aristocrazia nelle rispettive città.
L'atmosfera dei caffè veneziani è stata immortalata ne La bottega del caffè di Carlo Goldoni, in cui vengono descritti, come in tante opere del commediografo veneziano, i rapporti fra borghesi in ascesa (fra cui lo stesso gestore della bottega) e nobili decadenti. In Germania i caffè non ebbero un significativo ruolo letterario e filosofico. Il titolo di più antico caffè tedesco in attività se lo contendono lo Zum Arabischen Coffe Baum di Lipsia (1711, ma forse più antico) ed il Café Prinzess di Ratisbona (1686). Infine, il più antico caffè svedese è Sundbergs di Stoccolma, aperto nel 1785.
In molti paesi europei alle donne era vietato l'ingresso nei caffè: in Germania era loro consentita la frequentazione, ma in Francia ed in Gran Bretagna alle signore era vietato entrare in questi locali. In proposito vi sono testimonianze artistiche e letterarie. Émilie du Châtelet, ad esempio, doveva vestirsi da uomo per frequentare i caffè letterari.
Analogamente, in una famosa incisione di un café parigino del 1700 circa, i gentiluomini appendono i loro cappelli e siedono in un tavolo comune depositandovi sopra carta e penna. Le tazze per il caffè sono disposte sul camino dove è appeso un grosso paiolo di acqua bollente. L'unica presenza femminile nel locale è data da una ragazza sita in una cabina, munita di baldacchino, che serve il caffè in capienti tazze. Invece a Venezia le signore frequentavano abitualmente i caffè, tanto che Stendhal arrivando a Padova e vedendovi le donne sedute ai tavolini disse che si respirava già un'"aria veneziana".

L'Ottocento

Durante la Restaurazione i caffè continuarono ad essere luoghi di discussioni. Ebbero, tuttavia, caratteristiche diverse da prima: innanzitutto vi si parlava di più di politica e meno di affari e di cultura. Inoltre, ormai anche l'aristocrazia, ed in generale i reazionari filogovernativi, frequentavano questi locali. Dall'altra parte chi era critico verso il regime tradizionale ormai non si limitava più ad elaborare una nuova cultura, ma cominciava ad elaborare progetti di rovesciamento politico. Si ebbe così una polarizzazione dei caffè: in molte città ce n'era uno "conservatore" ed uno frequentato dai cosiddetti "patrioti" o "cospiratori", secondo il punto di vista.
Così a Venezia Quadri era il ritrovo degli ufficiali della guarnigione austriaca e Florian quello dei "patrioti" (vi furono addirittura adagiati i feriti durante la caduta di Venezia del 1849); mentre a Torino Fiorio era il caffè dei "codini" (e dei moderati come Cesare Balbo, Giacinto Collegno, Santorre di Santarosa) e il nuovo Caffè San Carlo quello dei liberali come D'Azeglio e Cavour. A Milano, invece, i nobili che si ritrovavano al nuovo Caffè Cova erano anche i capi dei patrioti. All'inizio del nuovo secolo aprì a Berlino, in Potsdamer Platz, il Café Josty, che fu per un secolo il ritrovo degli intellettuali locali.
Alla metà del secolo, con il trionfo definitivo della borghesia, anche i caffè cambiarono completamente il loro ruolo sociale. Essi divennero dei luoghi molto più rilassati, dove godersi la vita o cercare una pausa di tranquillità. Ormai non solo le signore erano ammesse nei caffè, ma anzi ne divennero tipiche clienti. A partire dal 1846 aprirono così molti nuovi caffè eleganti in tutta Europa, soprattutto lungo i viali alberati delle circonvallazioni, che proprio in quegli anni venivano aperte al posto dei "bastioni" demoliti per allargare le città.
In questo periodo nacquero i caffè viennesi con la loro atmosfera tranquilla ed i loro rituali. Questi locali invogliano i clienti con una grande varietà di bevande al caffè (a partire dal cappuccino che i Viennesi rivendicano come loro invenzione) e con le creazioni della pasticceria viennese. Ma ancora più tipica è la presenza di numerosi giornali, chiusi nell'apposito bastone, a disposizione degli avventori. Fra i più famosi caffè viennesi possiamo ricordare Prückel e Landtmann (il caffè preferito da Freud) affacciati sul Ring, ed inoltre Sacher e Demel, noti soprattutto come pasticcerie, ed il Café Central, che era il caffè letterario, frequentato fra gli altri da Hugo von Hofmannsthal, Karl Kraus, Franz Werfel, Stefan Zweig, Alfred Adler, Theodor Herzl, Trotsky. Locali analoghi aprirono anche nelle altre città dell'Impero Austroungarico: Praga, Budapest, Leopoli e Trieste. Fra i caffè storici di quest'ultima città ricordiamo almeno il Caffè Tommaseo ed il Caffè Pasticceria Pirona.
L'altro "modello" di caffè europeo, il più imitato all'estero, fu quello dei caffè parigini che hanno grandi vetrine e terrasses dove sedere indisturbati al tavolino per un paio d'ore, osservando la vita cittadina. Nella Parigi del Secondo Ottocento i caffè più eleganti ed alla moda erano quelli del Boulevard des Capucines e del Boulevard des Italiens: il Café Tortoni (aperto a inizio Ottocento da una famiglia romana), il Café de la Paix di fronte all'Opéra, il Café Américain, il Café Anglais. Essi erano anche ristoranti raffinati e perciò classici per la cena dopo teatro. Oggi di tutti questi locali sopravvive solo il Café de la Paix che è stato dichiarato monumento nazionale. Gli artisti ed i letterati si incontravano, invece, in locali più modesti, come il Café Voltaire ed il Café Momus, in cui è ambientato anche il secondo quadro de La Bohème di Puccini.
In Italia furono soprattutto le piazze a riempirsi dei tavolini dei caffè: sotto i portici della piazza principale di tante città e cittadine esercitavano la propria attività almeno due caffè "rivali", i cui nomi si ripetevano simili da una cittadina all'altra, come "Caffè Nazionale" e "Caffè Commercio". Fra i più famosi caffè di quest'epoca non possiamo non citare Baratti & Milano e Platti a Torino; Kleinguti e Mangini a Genova; Biffi a Milano; Paszkowski, Le Giubbe Rosse e il Caffè Michelangiolo a Firenze, tutti e tre ritrovi d'intellettuali ed artisti; il Caffè Meletti di Ascoli Piceno con la sua famosa anisetta; il Caffè Aragno, luogo d'incontro dei letterati della Capitale; il Gambrinus a Napoli.
Nel 1858 fu fondato a Buenos Aires il café Tortoni, al numero 825 dell'Avenida de Mayo. Rimane probabilmente il più bel caffè all'europea fuori d'Europa. Nella saletta interna avvengono tuttora incontri letterari. Successivamente furono aperti in Spagna il Café Zurich di Barcellona nel 1862 ed il Cafè Gijón di Madrid nel 1888, che sono oggi delle autentiche istituzioni. Nell'Inghilterra Vittoriana, infine, in controtendenza rispetto al Continente, le coffee houses furono realizzate dal temperance movement e destinate alla classe operaia, allo scopo di dare a queste persone una valida alternativa per il tempo libero rispetto alle bevande alcooliche servite nei pub.

Il Novecento

Nel corso del Novecento i caffè hanno sostanzialmente conservato il loro ruolo, divenuto peraltro un po' retrò, con alcune differenze da nazione a nazione: in Italia nei primi decenni del secolo sono stati aperti nuovi caffè oggi considerati "storici", mentre a Parigi negli stessi anni diversi locali famosi sono stati chiusi. Tuttavia, proprio in questa città non si può dire che i caffè abbiano perso importanza nel corso del XX secolo. Infatti, se è vero che molti locali eleganti della Belle Époque hanno chiuso prima della Prima guerra mondiale, è però vero che nella vita culturale parigina del Novecento i caffè hanno avuto un ruolo molto importante e i nomi di questi locali sono diventati famosi e sono oggi mete turistiche.
Questi locali si concentravano in due quartieri che hanno segnato la storia intellettuale di Parigi: Montparnasse ed il Quartier Latin. I locali di Montaprnasse, come le Dôme, la Closerie des Lilas, la Rotonde, le Sélect, la Coupole e Le Boeuf sur le Toit, furono i luoghi dove maturarono movimenti artistici come il cubismo, il fauvismo, il surrealismo e furono frequentati da personalità come Picasso, Modigliani, Chagall e Hemingway. I cafés del Quartier, come il Café de Flore e Les Deux Magots, ebbero invece carattere più filosofico e letterario, essendo frequentati soprattutto dagli esistenzialisti, da Jean-Paul Sartre, da Simone de Beauvoir, da Eugène Ionesco. Questi due caffè sono tuttora sede di due premi letterari per scrittori esordienti, che portano i loro nomi.
In Italia i caffè sono rimasti in auge fino alle soglie del "miracolo economico". Successivamente i caffè storici sono sopravvissuti, ma per qualche decennio non ne sono stati aperti di nuovi; mentre si affermavano altri tipi di esercizi, in particolare i bar, che (in Italia) sono specializzati nella preparazione del caffè espresso servito al bancone. Solo a partire dalla metà degli anni ottanta c'è stato un ritorno verso la tipologia del "caffè" tradizionale; tuttavia gli esercizi aperti dopo tale data hanno spesso adottato il nome di "caffetteria".
Negli Stati Uniti, sorsero dei negozi per la vendita del caffè espresso e delle paste, impiantati dalla comunità italo-americana immigrata nelle maggiori metropoli statunitensi quali New York (Little Italy e Greenwich Village), Boston (North End) e San Francisco (North Beach). Sia il Greenwich Village che North Beach sono stati in seguito i maggiori centri della Beat Generation, che si identificò perciò con questi locali. Anche imprenditori non italiani copiarono questo tipo di attività, che si diffuse soprattutto sulla West Coast.
Dalla fine degli anni cinquanta in poi, negli Stati Uniti, le coffee house divennero delle vere e proprie sale da concerto popolari dove un cantante, accompagnandosi con la sua chitarra, cantava musica folk. Importanti artisti come Joan Baez e Bob Dylan iniziarono la loro carriera esibendosi in questi locali. Il cantante blues Lightnin' Hopkins deplorò la scarsa applicazione della moglie alle attività domestiche attribuendola alla eccessiva frequentazione delle coffee house, nella sua canzone del 1969 dal titolo emblematico di Coffeehouse Blues.
In questo clima di "controcultura" nacque anche, nel 1971, Starbucks a Seattle. Tuttavia, questo imprenditore fondò una catena internazionale che standardizzò e diffuse in tutto il mondo la cultura del caffè della West Coast. Successivamente sono sorte altre simili catene di coffee shops. Nel 1992, in Inghilterra, nasce la AMT Coffee una rete di caffetterie situate preferibilmente vicino alle stazioni ferroviarie. Oggi sono presenti anche in Irlanda, Belgio e Germania.

Il Duemila

A cavallo tra il XX e il XXI secolo in viarie parti del mondo si è assistito alla nascita di caffetterie tematiche (come ad esempio in Giappone i Manga café dedicati ai fumetti o i Neko cafè che offrono invece ai clienti la possibilità di interagire con i gatti ospitati dal locale) e/o di caffè che oltre alle classiche consumazioni danno alla alla clientela la possibilità di accedere a servizi specifici (es. Internet cafè).



mercoledì 23 settembre 2020

Cocktail

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Un cocktail è una bevanda ottenuta tramite una miscela proporzionata ed equilibrata di diversi ingredienti alcolici, non alcolici e aromi. Un cocktail ben eseguito deve avere struttura, aroma e colore bilanciati; se eseguito senza l'uso di componenti alcoliche viene detto cocktail analcolico.
Il cocktail può presentare all'interno del bicchiere del ghiaccio, non presentarlo affatto (come alcuni cocktail invernali quali i grog), oppure può essere solo raffreddato con del ghiaccio
Una classe particolare di cocktail è costituita dagli shot, piccoli cocktail che possono avere tutte le caratteristiche di un normale cocktail e sono serviti in due tipologie di bicchieri, gli shot e i bite.
Per prevenire l'abuso sia di nomi fittizi di cocktail sia di modifiche arbitrarie a cocktail conosciuti, l'International Bartenders Association ne ha codificati 77 a cui ogni anno si aggiungono o vengono eliminati altri cocktail.

Storia

La parola cocktail appare per la prima volta nell'edizione del 13 maggio 1806 del Balance and Columbian Repository che ne dava la seguente definizione:
(EN)
«"Cocktail" is a stimulating liquor composed of spirits of any kind, sugar, water, and bitters.»
(IT)
«Il "Cocktail" è una bevanda stimolante composta da superalcolici di vario tipo, zucchero, acqua e amari.»
(Balance and Columbian Repository)



Etimologia

L'etimologia del termine cocktail non è chiara, esistono tuttavia diverse ipotesi sulla sua origine:
  • potrebbe derivare dai termini inglesi cock (gallo) e tail (coda), forse per il fatto che verso il 1400 nelle campagne inglesi si beveva una bevanda variopinta ispirata ai colori della coda del gallo da combattimento;
  • potrebbe derivare dal termine francese coquetier, un contenitore per uova che veniva usato a New Orleans per servire liquori durante il XIX secolo;
  • potrebbe essere una distorsione dal latino [aqua] decocta, cioè acqua distillata;
  • potrebbe derivare dalla leggenda che narra di una nave di ricchi inglesi che, approdando in Sud America, festeggiavano bevendo liquori europei e succhi tropicali mescolati con una colorata piuma di gallo;
  • nel 1600-1700 i marinai inglesi approdavano nel porto di Campeche in Messico, dove veniva loro servita una bibita mista con all'interno una radice o erba che i locali in lingua spagnola chiamavano "coda da gallo" (cola de gallo). Da li cock-tail;
  • potrebbe derivare da una leggenda medioevale per la quale l'inizio della giornata era segnato dal canto del gallo, mentre la fine da una bevanda alcolica. Segnando la fine della giornata venne chiamata l'usanza "cock-tail", nonché coda di gallo.
La prima pubblicazione di una guida che includesse ricette di cocktail è del 1862: How to Mix Drinks; or, The Bon Vivant's Companion, del professor Jerry Thomas. Oltre alla lista delle solite bevande con mix di liquori, vi erano scritte 10 ricette che erano chiamate "Cocktails". L'ingrediente che differenziava i "cocktails" dalle altre bevande in questo compendio era l'uso degli amari, anche se questo tipo di ingrediente non si trova oramai quasi più nelle ricette moderne.
Durante il Proibizionismo negli Stati Uniti (1919-1933), quando il consumo di alcool era illegale, i cocktail erano comunque bevuti negli "speakeasies". Durante questo periodo la qualità dei liquori era scadente rispetto ai periodi precedenti, per questo motivo i baristi tendevano a mescolare i liquori con altri ingredienti. Proprio a questo periodo si fanno risalire le prime vere raccolte di ricette per cocktail dell'era moderna, soprattutto in Europa, con le 900 recettes de cocktail del 1927 a cura di Torelli (un barista di Parigi) e il The Savoy Cocktail inglese del 1931. Anche cinema e letteratura hanno contribuito al successo dei cocktail.

Preparazione

La preparazione di un cocktail, come per qualsiasi ricetta di cucina, comporta una serie di fattori: la variabile principale è costituita dagli ingredienti e la loro quantità, quindi le tecniche e gli strumenti di miscelazione ed infine la presentazione. Così dichiara la campionessa italiana Aibes Rita Russo, ideatrice del famosissimo cocktail "Elisir Mediterraneo" ideato per l'Expo 2015" di Milano.


Ingredienti

Gli ingredienti sono suddivisibili in tre categorie principali, ossia basi, coloranti ed aromatizzanti.
  • Base: la base è l'elemento intorno al quale si costituisce il cocktail, di solito si tratta di un distillato bianco (o scuro) che dà struttura alla bevanda. In base alla caratterizzazione del liquore si avranno basi neutre (es. vodka o rum), parzialmente caratterizzati (es. whiskey o cachaça) o fortemente caratterizzati (es. gin o tequila)
  • Aromatizzante: l'aromatizzante è l'elemento che arricchisce il ventaglio olfattivo e gustativo, liquori o creme sono generalmente quelli più usati che danno profumo e gusto.
  • Colorante: il colorante migliora il colore e la piacevolezza della bevanda; è un soft drink come cola, tonica, sciroppi, frutta. Nel cocktail ne influenza l'aspetto visivo e il gusto.
  • Decorazione: serve per migliorare l'impatto estetico della bevanda; alcune volte può anche variare l'aroma del cocktail, come ad esempio le "crustas", ossia zucchero o sale passati sul bordo del bicchiere inumidito. Solitamente si utilizza frutta (bucce o spicchi di agrumi, ciliegie sotto spirito, olive) o aromi (zucchero, sale, cacao, noce moscata).



Unità di misura

Il dosaggio degli ingredienti nelle ricette possono essere indicati con diverse unità di misura, a secondo della necessità, della tecnica e della nazione. Le principali unità di misura sono tre:
  • Centilitri (cl.): è l'unità di misura più precisa, in quanto permette dosaggi molto piccoli. Necessita del jigger, attrezzo che permette di misurare precisamente la razione di liquido, e dell'utilizzo del bicchiere adatto alla ricetta, in quanto ogni bicchiere ha una capacità standardizzata. È il dosaggio utilizzato nello stile classico, dall'IBA, dall'AIBES, e dall'AIBM.
  • Once (oz.): è l'unità di misura più quantizzata e rapida, ma meno precisa (un'oncia equivale a 3 cl.). Per calcolare l'oncia è possibile utilizzare il pourer, strumento utilizzato soprattutto nell'american bartending, stile che necessita di rapidità, ed utilizzata pertanto dai ricettari di tali categorie.
  • Decimi (x/x): è l'unità di misura più adattabile. Può essere espressa in decimi, terzi, quarti, quinti, mezzi e altre unità inferiori/superiori a seconda della ricetta. Nell'ambito del Barman classico l'AIBES ha iniziato ad usare la linea di ricette indicate in centilitri affiancata a quella decimale. I motivi del lento abbandono della notazione decimale vanno ricercati nella sua imprecisione e nel fatto che ogni bicchiere ha una capacità differente, e senza conoscerla a priori è impossibile realizzare un cocktail perfetto utilizzando il sistema in decimi, mentre il sistema in once e in cl non crea problemi di questo tipo.
Vi sono poi altre unità di misura scarsamente utilizzate (es. cucchiai/spoon, parti) a causa della bassa precisione, o utilizzati solo per specifici ingredienti (es. gocce per l'Angostura).

Tecniche di miscelazione

Ogni cocktail necessita di una tecnica particolare di preparazione, che valorizzi gli aspetti gustativi ed estetici finali caratteristici di ogni composto. Le tecniche principali sono:
  • Shaking (o Shakerato): gli ingredienti vengono inseriti in uno shaker pieno di ghiaccio e quindi mescolati tramite lo scuotimento dello strumento (la durata dell'agitazione deve essere intorno a 10-20 secondi). Questa tecnica permette, oltre la miscelazione di liquidi difficilmente miscibili, un'ossigenazione e abbassamento della temperatura rapida del liquido.
  • Stirring (o Mescolato): gli ingredienti vengono versati direttamente nel bicchiere o in un mixing glass e mescolati con uno stirrer o un cucchiaio da bar. Questa tecnica, utilizzata principalmente con ingredienti con densità simile, permette di mischiare dolcemente gli ingredienti mantenendo al contempo le note caratteristiche degli ingredienti ben distinguibili.
  • Mixing & Straining: gli ingredienti vengono mescolati in un mixing glass o shakerati (senza ghiaccio), quindi si filtra il composto con uno strainer nel bicchiere spesso precedentemente raffreddato. Questa tecnica permette di mescolare
  • Muddler (o Pestato): gli ingredienti solidi (Zucchero, frutta, herbe) vengono pestate con un muddler, per far fuoriuscire l'essenza.
  • Build: gli ingredienti vengono versati direttamente nel bicchiere. La variante del build è chiamato layer, esso prevede che gli ingredienti si versano in un bicchiere piccolo (solitamente shot) molto delicatamente, facendo in modo che i liquidi, che devono avere densità diverse, rimangano stratificati e non mescolati; solitamente, per semplificare il lavoro, i liquidi vengono versati sul dorso di uno stirrer o un cucchiaio da bar poggiato sul bordo del bicchiere.
  • Frozen: gli ingredienti vengono versati in un blender riempito di ghiaccio e frullati in modo da ricavare una bevanda simile ad un sorbetto o anche con consistenza liquida e vellutata.

Stile

Lo stile del barman/barista può essere:
  • Bartender
  • classico
  • flair bartender
Il primo si riferisce a una costruzione del cocktail basata su tecniche americane e misurazioni in once (1 oncia = 3cl) utilizzando un sistema di conteggio chiamato free pouring ed è utilizzato da barman che lavorano in locali affollati. Il secondo a un barman da hotel dove il lavoro è più lento e ci si concentra principalmente sulla qualità; l'ultimo si ispira ad un modello di barman acrobatico, il cui scopo è far da bere a un medio livello dando spettacolo con simpatici movimenti acrobatici. Il flair, sostanzialmente, si distingue in due tipologie: il Working Flair e l'Exhibition Flair. Il primo è quello è finalizzato alla preparazione di uno o più cocktail. L'Exhibition serve, invece, per attirare il cliente al banco eseguendo uno spettacolo acrobatico con bottiglie vuote. Esistono competizioni su scala mondiale di questa disciplina, dette appunto Flair competition.



Classificazione

I cocktail possono essere classificati in base a vari fattori caratterizzanti, tra i quali il momento del consumo, la presentazione, la capacità o la struttura. Ne risulta una serie di possibili categorizzazioni.

Momento del consumo

I cocktail vengono consumati solitamente nella seconda parte della giornata. La categorizzazione secondo il momento di consumo quindi si distingue principalmente sulla base dell'effetto dato all'organismo, dividendo i composti quindi il momento del consumo è distinto sulla base della cena:
  • Pre dinner: vengono serviti come aperitivi, dal latino aperire (aprire); molti sono caratterizzati dalla proprietà di stimolare la salivazione e, di riflesso, l'appetito. Salvo eccezioni, sono caratterizzati dalla prevalenza di aromi amareggianti. In Italia vengono spesso supportati da stuzzichini di contorno.
  • After dinner: serviti dopo cena, possono essere digestivi oppure sostituire e\o accompagnare un dessert. Sono caratterizzati dalla presenza di liquori e creme, una composizione olfattiva e gustativa complessa, abbinati spesso ad una componente alcolica decisa.
  • Any time: sotto questo termine vengono inseriti molti cocktail, dai sapori molto variegati ma accomunati da sapori spesso freschi e dissetanti, oppure dolci. Sono composti da una base alcolica molto variabile, l'uso di addolcitori, succhi di frutti o analcolici e spesso riccamente decorati. L'Highball rientra nella categoria dei Any time, in quanto presenta una presenza molto abbondante di componenti analcolici.
L'I.B.A. ha utilizzato questa categorizzazione fino al 2010.

Presentazione

I cocktail possono essere presentati, in base agli ingredienti ed alla tecnica di miscelazione in diversi stati:
  • Liquido: è lo stato principale dei cocktail, con o senza ghiaccio
  • Cremoso: contiene crema di latte, uova o un altro ingrediente che possa rendere il composto semifluido (succo di pomodoro, gelato, liquore cremoso)
  • Frozen: gli ingredienti sono frullati con ghiaccio, ricavando un composto simile ad un sorbetto o liquido.
  • Pestato: gli ingredienti sono pestati e serviti con ghiaccio tritato grossolanamente.

Capacità

I cocktail possono esser serviti in vari bicchieri
  • Shot: serviti in bicchieri da cicchetto
  • Short drink, se serviti nelle coppette da cocktail
  • Medium drink se serviti in tumbler bassi
  • Long drink se serviti in tumbler alti o altri bicchieri di alta capacità; con il termine si è passati anche ad indicare cocktail definiti più correttamente Highball, ossia bevande in cui la componente analcolica è superiore alla componente alcolica.

Struttura

La classificazione secondo la struttura è la più eterogenea e variabile fra tutte, in quanto basata sui sapori e sulla composizione. Dato che col tempo sono aumentati sia la disponibilità degli ingredienti che il consumo di cocktail, il numero di varianti è cresciuto considerevolmente, dando origine a molte classi, stili e famiglie.
Classe
Caratteristica
Stile (famiglia)
Ancestral, Sour & Julep
Sono accomunati dall'uso dello zucchero: gli ancestral contengono Soda, i sour limone o lime (chiamato Sweet & sour), i julep menta
  • Caribe (Caipi)
  • Collins
  • Fizz
  • Sling
Duo e Trio
I duo contengono un liquore e un distillato, i trio aggiungono un ingrediente cremoso come la crema di latte o la crema di whiskey
  • Cream & Cocoa
  • Dark drink
  • Gangster (Triade)
French-italian
Presenza di vino spumante e/o vermouth
  • Americani
  • Martinis
  • Sparkling
Highball, ormai sostituito dal Juice (Rock Alto) (Long Drink)
Presenza preponderante di analcolici
  • Cape Codder
  • Lemon drink
  • Tonic Drink
  • Cola Drink
  • Liquid Energy
  • Cooler
  • Tiki/Exotic/Tropical (Colada, OJ)
Hard Drink
Presenza preponderante o esclusiva di distillati
  • Iced tea
  • Pousse-caffè (B-50)
Snappers
Presenza di ingredienti sapidi quali succo di pomodoro o uova
  • Nogg & flip
  • Bloodies
Bowl
Presenza di frutta intera, zucchero e spezie. Spesso son serviti in grosse ciotole o caraffe
  • Punch
  • Cobbler
Orphan
tutti quelli che non rientrano in alcuna categoria
  • Albatros




 
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