mercoledì 20 maggio 2020

Crema Yvette

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La Crema Yvette, chiamata anche Creme Yvette, Creme d'Yvette o Creme de Yvette, è un liquore brevettato ricavato da petali di viola con more, lamponi rossi, fragole selvatiche e cassis, miele, buccia d'arancia e vaniglia. Era inizialmente prodotto da Charles Jacquin et Cie a Philadelphia, Pennsylvania, che acquistò il marchio precedentemente creato dalla Sheffield Company in Connecticut. Diventò quasi impossibile da trovare dopo che la produzione fu interrotta nel 1969. Il liquore è stato, comunque, riesumato recentemente da Rob Cooper, il creatore del St. Germain, un liquore fatto con fiore di sambuco.
Nell'autunno del 2009, 40 anni dopo aver interrotto la produzione, Charles Jacquin et Cie reintroduce il liquore.
Secondo la rivista Living di Martha Stewart, del marzo 2010, "La crema Yvette, un liquore viola vecchio 100 anni, è stato distribuito nuovamente. Mescolando bacche fresche, vaniglia, spezie, e petali di viola, l'elaborato liquore ha una dolcezza sottile che si ravviva quando è mischiato al vino frizzante."
Molti drink che richiedono la Crema Yvette possono essere fatti usando la creme de violette.

martedì 19 maggio 2020

Chicha

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Chicha è il nome dato a diversi tipi di bevande leggermente alcoliche, originarie dell'America Latina derivate principalmente dalla fermentazione non distillata del mais e di altri cereali, ma anche da altri tipi di frutta (come ad esempio mele e uva) o dalla manioca. Inoltre il termine chicha viene anche utilizzato in alcuni paesi dell'America Latina per riferirsi a bevande non alcoliche come ad esempio la chicha criolla in Venezuela o la chicha morada in Perù.
Queste bevande vengono realizzate normalmente in modo casereccio, tramite la bollitura e successiva fermentazione del cereale o della frutta impiegata. Il risultato è una bevanda dolce a bassa gradazione alcolica (generalmente da 1 a 3%).
Sono bevande prodotte e consumate in tutta l'America Latina sin da prima della conquista degli spagnoli.

Etimologia

Vi sono varie ipotesi circa l'origine del termine "chicha".
  • Secondo la Real Academia Española e altri autori, proviene da una voce originaria di Panama (chichab) che significa mais in lingua kuna;
  • secondo Luis Cabrera (studioso della cultura azteca) deriva dal termine della lingua nahuatl "chichiatl" (acqua fermentata).
  • Pedro José Ramírez Sendoya fa risalire il termine alla lingua Maya: chiboca o Chac (masticare) o da chicháa (riempire d'acqua) o infine da Zicha (acqua fresca)
La chicha ha ispirato il modo di dire spagnolo ni chicha ni limonada ("né chicha né limonata") equivalente all'espressione idiomatica italiana "né carne né pesce".

Procedimento

Originariamente veniva ottenuta masticando il mais appena raccolto e sputato all'interno di un recipiente di terracotta. Gli enzimi contenuti nella saliva, infatti, trasformano l'amido di mais in zuccheri semplici, che poi danno luogo al processo di fermentazione. Una volta fermentata la chicha veniva colata, imbottigliata e lasciata riposare all'ombra per un certo periodo prima del consumo.
Questo processo è tuttora praticato dalle popolazioni andine e la chicha così ottenuta viene chiamata anche taqui.

La chicha per nazione

Bolivia

Il più importante tipo di chicha boliviano è la chicha di mais, chiamata semplicemente chicha. Di origine inca, considerata l'elisir degli inca e della valle di Cochabamba, è una bibita fermentata per alcuni giorni dopo un processo di elaborazione molto lungo; ha qualche grado alcolico. È una delle bevande più popolari e tradizionali, si consuma nella maggior parte del paese, particolarmente a Cochabamba (dove viene prodotta), Chuquisaca, Oruro e La Paz. Il consumo è abituale in qualsiasi occasione, soprattutto durante le feste tradizionali e religiose.
Tra le varietà più popolari si possono annoverare:
  • chicha gialla ottenuta dal mais giallo o willkaparu;
  • chicha kulli ottuenuta dal mais viola;
  • chicha di ch'uspillu ottenuta dal mais da tostare;
  • chicha camba ottenuta dalle arachidi e mais; ha poca o nessuna gradazione alcolica ed è consumata principalmente nell'oriente boliviano come bibita rinfrescante e nella zona della Chiquitania come bevanda fermentata in eventi religiosi e feste tradizionali.
  • chicha vallegrandina chicha originaria di Vallegrande (provincia di Santa Cruz) che è simile alla chicha comune dell'occidente del paese, ma è fermentata con metodi tradizionali differenti.
Tutti i nomi di questi tipi di chicha provengono dalla lingua quechua.
Da alcuni anni la chicha viene esportata da Cochabamba verso gli Stati Uniti e l'Europa ed è così possibile trovarla nei negozi tipici latini in città come Madrid o Milano.

Cile

Anche in Cile le bibite ottenute dalla fermentazione di vari tipi di frutta sono chiamate chicha; esse vengono anche mischiate con acquavite o altri alcolici. Tra i mapuche si consuma un tipo di chicha di mais o frumento chiamata muday.
Nella zona centrale del Cile, la chicha si prepara come un mosto di uve più rustico del vino, che viene consumato in abbondanza in tutto il territorio cileno nei giorni festivi. Anche nel sud il termine allude ad un fermentato di mela più rustico del sidro che si produce alla fine dell'estate.
Altre materie prime sono utilizzate meno frequentemente, come ad esempio i frutti della luma (Amomyrtus luma) chiamati cauchaos, i frutti del maqui (Aristotelia chilensis) e il miele. In particolare, la chicha di miele è simile a un idromele di bassa gradazione alcolica, ma a causa dei lieviti non molto raffinati utilizzati nella produzione, contiene alte concentrazioni di alcol metilico e può provocare malessere quando la si consuma.

Colombia

Nel 1948 in Colombia si proibì la fabbricazione di chicha di mais (considerata «vulgar y poco higiénica») a meno che non fosse pastorizzata e imbottigliata in vetro chiuso ermeticamente. Ciò fu causa di un taglio netto del consumo della bevanda tradizionale della cultura muisca e conseguentemente la diminuzione degli incassi di molte famiglie di origine indigena e la successiva perdita delle terre. La proibizione durò fino al 1991.
Il "Festival della chicha, del mais, della vita e della felicità", che si celebra a Bogotá nel rione "La perseveranza" (al giorno d'oggi principale luogo di produzione della chicha) è una dimostrazione delle tradizioni ancestrali, di allegria e identità; ironicamente questo rione sorse come dimora dei lavoratori della birreria Bavaria.
Benché non sia la principale bibita alcolica del paese, la chicha è sempre stata legata alle festività paesane e il suo consumo aumenta specialmente nel mese di dicembre. È possibile ottenere la chicha a partire dal guarapo (succo della canna da zucchero), aggiungendo panela (un surrogato della canna da zucchero) e altri ingredienti a base di mais, lasciando poi fermentare l'impasto in un recipiente di terracotta.

Ecuador

Come in Perù, anche in Ecuador la chicha ha le sue origine dall'Impero inca. La chicha si consuma principalmente sulle montagne andine ed in minor quantità sulla costa. La chicha praticamente è la birra delle comunità indigene che sono solite ubriacarsi con questa bevanda durante le principali festività e celebrazioni, come la festa della Mama Negra e il Carnevale.
Generalmente si beve a temperatura ambiente in bicchieri di plastica simili almeno nella forma ai keros di origine preispanica.
Viene prodotta a partire dalla fermentazione di mais, quinoa, orzo o farina di frumento, unita a panela (surrogato della canna da zucchero) o zucchero comune. Anche frutta regionale come l'albero dei pomodori, la mora, la passiflora e la naranjilla sono utilizzati come ingredienti. La si lascia poi fermentare per un periodo che va da tre a venti giorni.

Nicaragua

In Nicaragua, il nome della chicha dipende dal dipartimento: chicha bruja, chicha pujagua, chicha raisuda, chingue de mai, ecc.
La ricetta tradizionale della chicha di mais comporta un processo di vari giorni. Il mais si lascia una notte intera in acqua affinché si ammorbidisca. Il giorno seguente si trita e poi lo si rimette in acqua, gli si aggiunge colorante rosso e si cuoce. Una volta freddo si aggiunge al liquido una sostanza dolce e ancora acqua. Il giorno seguente si aggiunge ancora acqua e zucchero.

Panamá

A Panama il vocabolo è utilizzato come sinonimo di bibita (chicha d'ananas, chicha di tamarindo, chicha di papaya, ecc.). Una delle bibite tradizionali di Panamá è la chicha di riso con ananas, che si prepara con riso cotto nel latte, panela (surrogato della canna da zucchero) e buccia d'ananas. La bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del mais si chiama chicha forte e si ottiene dal mais germogliato e mais nacio, per poi lasciarla fermentare in vasetti di terracotta.

Perù

La chicha peruviana è una bevanda artigianale e ancestrale. Le popolazioni di lingua quechua chiamavano questa bevanda di mais fermentato aqha o aswa, da cui il nome azua, poi rimpiazzata da chicha. Il suo utilizzo era principalmente cerimoniale, nelle feste delle antiche culture. È un mosto di mais germogliato (jora). Oggi si usa come aperitivo o come ingrediente in alcuni piatti peruviani.
Vengono annoverate differenti preparazioni di chicha:
  • chicha de jora ottenuta con germogli di mais bianco e mais nero;
  • chicha Arequipeña ottenuta dalla fermentazione di germogli di mais e chancaca (surrogato della canna da zucchero):
  • chicha de Jora con pata de vaca ottenuta dalla fermentazione di germogli di mais bianco, quinoa e pata de vaca (una leguminosa);
  • chicha de maní ottenuta da arachidi (manì), mais mote e quinoa;
  • chicha de quínoa ottenuta dalla quinoa;
  • chicha loretana ottenuta da farina di manioca e chancaca (surrogato della canna da zucchero);
  • chicha morada chiamata così per il suo colore ottenuto dal mais nero (mais morado); è una bibita non fermentata, molto comune ed è possibile trovarla sia in polvere (per la preparazione istantanea), sia in bottiglia.
Le case lungo i sentieri andini che espongono una bandiera bianca offrono chicha; se l'insegna mostra anche un peperoncino (ají), offrono piatti tipici caserecci. Se la bandiera è rossa, oltre a gustare chicha e piatti tipici, si può anche ascoltare musica folclorica del luogo.

Venezuela

Nelle Ande del Venezuela, si prepara una bevanda conosciuta come chicha andina per differenziarla dalla sua omonima analcolica, la chicha criolla. È una bevanda viscosa a base di cereali (mais o orzo), con aggiunta di guarapo d'ananas che è una bevanda prodotta dalla fermentazione della buccia dell'ananas con acqua e zucchero. La chicha si produce generalmente in forma artigianale e casereccia. La sua preparazione ha origine negli stati andini del Venezuela con maggior enfasi in Tachira e Merida.
La chicha prodotta sulle Ande venezuelane a base di riso si chiama masato.

lunedì 18 maggio 2020

Brandy

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Brandy è il nome generico dell'acquavite ricavata dalla distillazione del vino, dopo un periodo di invecchiamento in botte; questa denominazione è universalmente impiegata. In alcune zone l'acquavite di vino riceve una denominazione d'origine legata al territorio di produzione (Armagnac, Cognac). Il brandy si può produrre in qualunque Paese dove viene coltivata l'uva.

Origine del nome

L'etimologia della parola viene fatta derivare dall'abbreviazione dell'inglese brandywine, a sua volta tradotto dall'olandese brandewijn, cioè vino bruciato (distillato). Gli olandesi nel XVII secolo erano i più attivi mercanti di vini e di spiriti, e si rifornivano lungo le coste atlantiche, dalla Francia al Portogallo, per esportarli in Inghilterra e in tutto il Nord Europa.
Le prime testimonianze letterarie del termine risalgono al 1622: nella commedia inglese Beggar's Bush attribuita a John Fletcher si leggono le parole «Buy brand wine». Un'altra testimonianza si ritrova nelle Roxburghe Ballads del 1650: «it is more fine than brandewine». Pare quindi che all'epoca il termine fosse già di uso corrente per il distillato di vino. Ancora oggi nel Regno Unito brandy si usa per indicare il cognac.

Produzione

Il brandy viene prodotto dalla distillazione del vino sano, o guasto ma non acetificato, e da sottoprodotti come vinacce e fecce. Le sue qualità organolettiche derivano dal pregio della materia prima.
I vini impiegati possono essere indifferentemente bianchi, rosati o rossi; i distillati migliori vengono ricavati da vini ad alta acidità, scarso tenore alcolico, e aromaticamente neutri; a livello mondiale il vitigno più impiegato è il trebbiano, detto ugni blanc in Francia. I vini non devono contenere solfiti.
Lo strumento per ricavare l'acquavite è l'alambicco, nei tipi continuo o discontinuo. Le tecniche di distillazione sono varie secondo lo strumento impiegato, ma come per altri spiriti vengono scartate le frazioni iniziali (teste) e finali (code), contenenti sapori ed odori sgradevoli. Secondo i metodi se ne ricavano acquaviti da 52% a 72% di alcol, talvolta oltre. La resa ordinaria è di un litro di distillato ogni dieci di vino.
Appena distillata, l'acquavite non è ancora brandy: deve essere sottoposta ad un periodo di invecchiamento in botte, secondo la legislazione del paese di produzione, prima di poter essere imbottigliata, previa filtrazione a freddo. Sono generalmente indicati i tipi di legno permessi, e la durata minima di soggiorno in botte.
Al brandy così prodotto vengono talvolta aggiunti caramello per colorarlo e zucchero per ammorbidirlo; infine viene diluito con acqua distillata alla gradazione voluta. Eccezionalmente il brandy può venire imbottigliato come esce dalla botte (cask strenght o grado pieno), dopo un adeguato invecchiamento.

Degustazione

Il brandy viene abitualmente consumato come digestivo dopo i pasti, o come distillato da meditazione; talvolta accompagnandolo al fumo di un sigaro, o di qualche pezzetto di cioccolato amaro. In Italia ed in Spagna si usa anche come correttore del caffè.
Si serve in bicchieri a forma di uovo tronco, chiamati ballon o snifter o, molto meglio, in bicchieri a tulipano; il brandy non va mai riscaldato con fiamme o calore vivace, né diluito con ghiaccio, per non rovinarne gli aromi, ma il bicchiere può essere scaldato con il calore delle mani (humanizer, dicono i francesi).


I brandy nel mondo

Il brandy può essere prodotto in qualunque Paese, con i metodi più diversi. Poiché viene distillato dal vino, i Paesi a tradizione vinicola sono i principali produttori ed esportatori di questo tipo di distillato: l'Europa meridionale ed i Paesi del bacino del Mar Nero sono i maggiori produttori mondiali. Di seguito una lista dei brandy più diffusi per provenienza.
Luogo Brandy Note
 Francia Armagnac Guascogna
 Francia Cognac Poitou-Charentes e Aquitania
 Italia Brandy italiano

 Spagna Brandy spagnolo

 Grecia Metaxa



Cocktail

Il brandy è usato come ingrediente in alcuni cocktail, quando si vuole sostituire il più costoso cognac, per esempio:
  • Alexander - cocktail a base di brandy o cognac e panna
  • East india - cocktail a base di brandy, succo d'arancia e Curaçao
  • Sidecar - cocktail a base di brandy, liquore d'arancia e succo di limone

Normative

I disciplinari di produzione del brandy variano da Paese a Paese. In Italia, nella UE, nonché in Argentina è possibile produrre brandy solo a partire da acquavite di vino. In Australia, Stati Uniti d'America, Sudafrica ed altre nazioni a vocazione vinicola è invece possibile utilizzare, oltre al vino, anche fecce e vinacce.
Una convenzione italo-francese (28 maggio 1948) stabilì che i termini cognac e armagnac fossero riservati ai soli prodotti francesi le cui aree di produzione sono delimitate da apposite norme. Il termine brandy viene utilizzato per i distillati di vino delle altre zone della Francia e di tutti gli altri Paesi.

Associazioni di categoria

A livello europeo CEDIVI (Confédération Européenne des Distilleries Vinicoles), fondata dalle Associazioni di categoria e dai principali produttori di alcool vinico di Francia, Italia e Spagna, rappresenta 70 aziende italiane e spagnole che svolgono attività di distillazione di alcol vinico ed il 65% della produzione europea di alcool vinico.
A livello italiano, AssoDistil (Associazione Nazionale Industriali Distillatori di Alcoli e Acquaviti) rappresenta attualmente 60 distillerie industriali, che coprono circa il 95% della produzione nazionale di acquaviti e di alcol da materie prime agricole.

domenica 17 maggio 2020

Perché bere caffè ci fa andare in bagno?

Perché il caffè ha un effetto lassativo? - Focus.it



L'effetto lassativo del caffè è stato molto discusso in passato. Inizialmente si pensava che fosse proprio la caffeina a provocarlo.
Risposte più veritiere sono state ottenute attraverso gli studi dell'American Chemical Society. La società in questione ha spiegato che le proprietà lassative del caffè sono dipese in anzitutto dagli acidi di cui la bevanda è ricca. In più, unito ai succhi gastrici, stimolerebbe la peristalsi intestinale.
Il caffè facilita, inoltre, la produzione della gastrina, un ormone che aumenta i movimenti del colon che servono per spostare i resti del cibo verso l’intestino.

sabato 16 maggio 2020

La birra fa ingrassare?

Bevitori di birra di tutta Italia, d'ora in poi potrete bere senza sentirvi in colpa.
La birra chiara “standard” che il consumatore medio beve solitamente rimane una delle bevande meno caloriche in assoluto. Ovviamente nel caso sceglieste birre particolari più forti, dovete sapere che con l’aumentare della gradazione, aumentano gli zuccheri residui e il problema del girovita potrebe rimanere. Ad esempio se vi piacciano le birre trappiste e Barley Wine probabilmente assumerete le calorie di un pranzo di Natale. Dunque nel caso siate abituati a bere birre normali, sappiate che non ingrasserete di un solo kg, anzi recenti studi scientifici hanno dimostrato come l’assunzione moderata di birra può aiutare la riduzione della massa grassa, producendo un effetto benefico sul metabolismo degli zuccheri. L'unico mito che non può essere sfatato è quello del "gonfiore", ma questo è da attribuire soltanto alle birre scadenti, gassatissime e sottomarca.







venerdì 15 maggio 2020

Rob Roy

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Il Rob Roy è un cocktail ufficiale dell'IBA.

Composizione

  • 4,5 cl di Scotch whisky
  • 2,5 cl di Vermouth dolce
  • 1 goccia di angostura bitter

Preparazione

Viene preparato nel mixing glass e decorato con una ciliegina.

giovedì 14 maggio 2020

Chartreuse

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La chartreuse (o certosino) è un liquore prodotto in origine dai monaci certosini nelle cantine della certosa Grande Chartreuse, situata nelle prealpi della Chartreuse a Voiron, nel dipartimento dell'Isere nella Francia meridionale. Oggi il liquore è prodotto in una fabbrica nei pressi di Voiron, sotto la supervisione dei monaci della certosa.

Storia

La Chartreuse nacque nel 1605 quando i monaci certosini di Vauvert (Parigi), nel luogo dell'attuale Giardino del Lussemburgo, rinvennero un manoscritto con la formula di un elisir di lunga vita. A causa della sua complessità, la ricetta non venne prodotta, ma nel 1737, presso la grande certosa di Grenoble cominciarono a fare uno studio approfondito. Iniziarono quindi la produzione che rimase però limitata alle città vicine di Grenoble e Chambery. Questo elisir è tutt'oggi commercializzato sotto il nome di "Elisir vegetale della Grande-Chartreuse". La Chartreuse verde venne invece elaborata nel 1764. Durante la Rivoluzione francese i monaci, volendo conservare la ricetta, la diedero al farmacista di Grenoble, Liotard. La ricetta tornerà ai monaci alla sua morte nel 1816. La Chartreuse gialla fu commercializzata per la prima volta nel 1838.
I certosini vennero espulsi dalla Francia nel 1903, e la Chartreuse venne prodotta a Tarragona in Spagna fino al 1929, quanto ritornò ad essere prodotta in Francia, a Fourvoir. Dal 1935, a seguito di una frana a Fourvoirie, il liquore viene prodotto a Voiron dove è situata la più lunga cantina di liquori al mondo (164 m). Dal 1990, data nella quale la distilleria di Tarragona venne chiusa, la Chartreuse è prodotta soltanto a Voiron. Investiti da questa missione dal loro ordine religioso, i certosini della grande certosa sono i soli a conoscere la famosa ricetta (in realtà solo due o tre di loro la conoscono realmente). Ancora oggi la formula è rimasta un mistero nonostante i moderni metodi di indagine.

I liquori

I principali liquori Chartreuse sono:
  • l'Elisir vegetale della Grande-Chartreuse: elaborato secondo la ricetta del 1605, la sua fabbricazione richiede l'impiego di 130 erbe ed ha il grado alcolico di 71°.
  • la Chartreuse Verde: il suo colore unico è dovuto alle 130 erbe che la compongono ed il suo grado alcolico è di 55°.
  • la Chartreuse Gialla: prodotta con le stesse piante della verde ma in proporzioni differenti, ha un grado alcolico di 40°.
Le sue etichette speciali sono:
  • la Chartreuse VEP (invecchiata 12 anni): 130 erbe e fiori sono impiegate nella sua produzione. Ne esistono due versioni: la Verde (55°) e la Gialla (42°). Si tratta della stessa ricetta ma l'invecchiamento prolungato dona al liquore un sapore caratteristico.
  • il liquore del nono centenario.
  • la Chartreuse 1605.

Gusto

Il Chartreuse ha un sapore caratteristico molto forte. È molto dolce, ma varia fra lo speziato e il pungente. Come paragone è abbastanza simile al Liquore Strega o al Galliano. Il sapore dipende dalla temperatura di servizio. Spesso è servito con ghiaccio, e può essere aggiunto ai cocktail o in un mixer. Alcune ricette di drink richiedono soltanto poche gocce di Chartreuse, tanto è assertivo il suo aroma.
 
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