domenica 1 settembre 2019

Pisco (distillato)

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Il pisco è un'acquavite sudamericana tutelata da due denominazioni di origine, ricavata dalla distillazione di vino bianco e rosato, aromatico e non. È una bevanda nazionale solo in Perù e Cile.
Pur essendo un distillato di vino, non appartiene alla famiglia dei brandy perché non subisce invecchiamento.
L'Italia non riconosce tutela a questa denominazione per ragioni di commercio internazionale.

Storia
Vicino a Lima si trova il porto peruviano di El Callao, del quale si narra che nell'Ottocento le navi mercantili non ripartissero senza aver fatto un buon carico di un'ottima acquavite della città di Pisco, che ha dato il nome a questo distillato.
Si vuole che l'uva dalla quale deriva fosse già coltivata al tempo degli Inca, ma l'ipotesi più credibile è quella avanzata nel 1595 dal mercante fiorentino Francesco Carletti, il quale sosteneva che l'uva fosse stata portata in Perù dagli spagnoli, dato che il loro vino non avrebbe resistito alla traversata dell'Atlantico per giungere in Sud America, o comunque i costi di trasporto sarebbero stati proibitivi.
Perù e Cile disputano sulla denominazione di origine, poiché i due paesi sudamericani sono entrambi produttori di pisco. Il Perù afferma che il distillato dev'essere considerato esclusivamente peruviano, essendo originario di Pisco (città che esiste ancora prima della scoperta dell'america); il Cile non si oppone a questo argomento visto che tra i suoi confini esiste dal 1936 una città con il nome di "Pisco Elqui", ma pretende che il termine pisco sia riferito unicamente alla bevanda da lungo tempo prodotta anche nel loro paese.

Metodi e zone di Produzione
Zone di produzione del Pisco peruviano e cileno (in rosso). In verde la zona di produzione del Singani, analoga acquavite prodotta in Bolivia.
Pisco Peruviano
Il pisco si distilla con alambicco continuo o discontinuo da vino di uva moscata chiamata anche Italia, e da altre uve, coltivate sia nella regione di Ica che in altre aride valli costiere del Perù meridionale. La gradazione alcolica va dal 40 al 50 percento.

Pisco Cileno
In Cile il pisco viene prodotto nella zona centro-settentrionale del paese. Le zone di produzione si trovano lungo la costa oceanica.

Classificazione e denominazioni
Pisco peruviano
Le qualità prodotte si distinguono in quattro categorie:

Pisco Puro (da uve non aromatiche)
Pisco Aromatico (da uve aromatiche)
Pisco Acholado (mescolanza dei due precedenti)
Pisco Mosto Verde (da mosto a fermentazione incompleta)

Pisco cileno
In Cile le varietà prodotte si distinguono secondo gradazione alcolica:

Pisco Tradicional o Corriente - 30°
Pisco Especial - 35°
Pisco Reservado - 40°
Gran Pisco - 43°
Usi e degustazione
Pisco sour (cocktail)
La degustazione liscia del pisco viene detta trago corto, e consiste nel sorseggiarlo e trattenerlo in bocca qualche secondo prima della deglutizione, in modo da apprezzarne il bouquet.
Il pisco viene utilizzato anche nella preparazione di cocktail tra i quali il chalaquito ed il più noto pisco sour; quest'ultimo prevede l'aggiunta di succo di lime, ghiaccio, sciroppo di zucchero e albume d'uovo.
Si usa anche mischiato alle bevande come la Coca-Cola col nome di piscola, diffusa in Cile soprattutto tra i ragazzi, e talvolta con la Sprite, che rendono il pisco più leggero e meno amaro.

Consumo
Fra i consumatori noti di pisco vi erano Orson Welles e John Wayne.

sabato 31 agosto 2019

Vin Mariani

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Il Vin Mariani nacque nel 1863 grazie al chimico francese Angelo Mariani, la composizione originale erano foglie di coca del Perù lasciate a macerare nel vino Bordeaux rosso per dieci ore. Nel 1880 cominciò la produzione industriale della bevanda a Neuilly-sur-Seine con 60 g di foglie di coca peruviane lasciate a macerare per dieci ore prima nel Bordeaux e poi nel Cognac a cui veniva aggiunto il 6% di zucchero nelle bottiglie da 50 cl. La bevanda venne commercializzata in tutto il mondo ma a inizio '900 fu vietata in Italia e dal 1930 anche in Francia; nel 2017 un suo discendente ha prodotto ad Ajaccio una sua variante con foglie di coca boliviane lasciate a macerare per dieci ore nel vino Vermentino della Corsica. La coca per essere venduta in Europa è privata degli alcaloidi psicotropi (come l'aroma 7X della moderna Coca Cola).
Il Vin Mariani ispirò nel 1886 John Stith Pemberton ad inventare una sua variante, la Coca Cola.

Storia
Nel 1859, Paolo Mantegazza pubblicò negli Annali universali di medicinadi Milano lo studio Sulle virtù igieniche e medicinali della coca e sugli alimenti nervosi in generale, primo testo del genere, il cui successo in Italia e all'estero fece da apripista alla commercializzazione di prodotti a base di cocaina.
Questo vino arricchito di cocaina fu particolarmente apprezzato dai papi Leone XIII, Benedetto XV e Pio X, che ne furono così entusiasti che, in segno di approvazione ufficiale, lo insignirono di tre medaglie d'oro speciali. Il ritratto di Leone XIII comparve quale "testimone d'alto rango" su alcuni manifesti ed inserzioni che Mariani aveva ordinato per pubblicizzare il prodotto.

Pubblicità di Vin Mariani con Papa Leone XIII
Fra il 1870 ed il 1913, Mariani ebbe, fra i suoi innumerevoli clienti di tutto il mondo, ben sedici fra re e regine, dallo zar di Russia al principe di Galles ed oltre un migliaio di altre celebrità, da Sarah Bernhardt a J. J. Thomson, da Émile Zola a Charles Gounod, da Herbert George Wells al presidente statunitense William McKinley. Famosi o sconosciuti, questi clienti compravano (o spesso, se erano proprio importanti, ricevevano in omaggio) il suo famoso “Vino Tonico Mariani alla coca del Perù”. Infatti in un'epoca di arretratezza della medicina, i "vini medicinali" erano fra i rimedi più diffusi.

Tenore alcolico e presenza di cocaina

Il Vin Mariani conteneva da 150 a 300 mg/l di cocaina e un bicchiere 25-50 mg/l, ogni oncia (circa 28 ml) conteneva 6,5 mg di cocaina e un volume alcolico dell'11%, mentre secondo Mariani era del 17%.


venerdì 30 agosto 2019

Vino cotto

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Il vino cotto è un tipico prodotto alimentare delle regioni Marche ed Abruzzo. Viene prodotto nelle zone collinari e pedemontane delle province di Ascoli Piceno, Fermo, Macerata e Ancona ed è in particolare molto apprezzato quello del territorio dei comuni di Lapedona e di Loro Piceno.
Uguale denominazione ha il prodotto abruzzese, anch'esso riconosciuto dal Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo come uno dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani.
Da non confondersi con il vincotto, prodotto tipico pugliese, ottenuto dal mosto fresco.

Storia
Il caldaro di rame dove viene bollito il mosto
La pratica di bollire il mosto prima della fermentazione risale all’antichità classica, dove veniva consumato come bevanda, come condimento o come correttivo per vini.
Un vino cotto simile a quello attualmente prodotto in Abruzzo e nelle Marche è descritto da Plinio il Vecchio, nel I secolo d.C., in diversi passi della Naturalis historia e nel Libro X del De re rustica di Lucio Giunio Moderato Columella.
Nell’antica Roma erano conosciute diverse tipologie di mosto cotto, a seconda del grado di evaporazione: il caroenum, il defrutum e la sapa, rispettivamente ridotti di un terzo, della metà o di due terzi del volume originario.
Nel XVI secolo, nell'anno 1534, Sante Lancerio, bottigliere del papa Paolo III menziona l’esistenza di vini cotti di diversa qualità.
Andrea Bacci, nel 1595, nel De naturali vinorum historia, un compendio composto da sette libri su tutti i vini conosciuti, nel XV capitolo del I Libro, descrive le caratteristiche produttive del vino cotto.
Nel 1870, Gabriele Rosa, storico ascolano, nel II libro della Storia di Ascoli Piceno, disquisendo delle uve a bacca bianca e a bacca rossa del territorio cita anche il vino cotto del territorio.
Come riportato nell'Inchiesta agraria Jacini il territorio teramano, in particolare quello dei Comuni di: Bisenti, Cermignano e Basciano, sperimentò questo nuovo tipo di vinificazione, e in tale opera viene sottolineata la grande fattura che tale prodotto assume con il trascorre degli anni «...si elaborano quattro maniere di vino cotto, cioè, conservato, crudo, semplice, crudo ritornato... il vino cotto poi dopo il quinto anno almeno, si diventa saporoso, eccitante e squisitamente piacevole per un aroma sui generis che gli dà il tempo...è risaputo che tutto il Teramano, che i nostri vini vecchi, maturi e purificati. Essi acquistano densità sciropposa, sapore abboccato, aromatico, lievemente amarognolo, fragrante ed empireumatico, limpido color rosso cupa ciliegia.»
Nelle Marche ed in Abruzzo è stato riconosciuto un preciso disciplinare di preparazione del vino cotto come riportato nel Bollettino Ufficiale della Regione Marche. Anno XXXIII, n.° 63, 20 maggio 2002.

Vinificazione
Per la produzione del vino cotto viene utilizzata l'uva dei vitigni tipici delle zone citate, quali: la Malvasia ed il Montonico della zona di Acquasanta Terme, il Pecorino, il Moscatello bianco e rosso e lo Zibibbo del comprensorio di Arquata del Tronto, il Maceratino, il Sangiovese, il Montepulciano, il Galloppa. Uve autoctone, alcune a piede franco, prodotte dalle alberate, (metodo di allevamento della vite con utilizzo degli Aceri o alberi da frutto anziché degli attuali pali in legno o cemento) effettuavano la cosiddetta interzatura, ovvero la riduzione a caldo del volume di un terzo del mosto iniziale, ottenendo un prodotto che messo poi in botti di legno subiva una lenta fermentazione e successivamente l'invecchiamento.
Una volta pigiata l'uva, il mosto ottenuto si mette in un caldaro (grossa pentola di rame), con l'avvertenza, tramandata dalla tradizione, di porvi una verga di ferro nudo per impedire al rame del caldaro di passare in soluzione. La verga di ferro si tiene fino a che il mosto non si sia scaldato. Nel caldaro il mosto viene cotto a fuoco direto fino a quando l'evaporazione non porti il contenuto a ridursi di una quantità variabile tra un terzo e un mezzo di quella iniziale; la maggiore o minore concentrazione varia a seconda del grado zuccherino di partenza. Nelle Marche c'è chi durante la bollitura aggiunge una mela cotogna per ogni quintale di mosto, allo scopo di aromatizzare la bevanda.
Non appena raffreddato, il mosto concentrato viene "rimboccato" in caratelli di rovere ove è lasciato fermentare.
A fermentazione alcoolica avvenuta è trasferito in un contenitore in cui è già presente il vino cotto degli anni precedenti; molto importante sarà un suo lento e lungo invecchiamento evitando forti ossidazioni. È proprio questo il punto più delicato ed importante della vinificazione: in questa fase è necessario calcolare il giusto dosaggio fra il vino cotto nuovo con quello vecchio ed effettuare una spillatura accorta, per evitare problematiche ossidazioni. Eventuali errori in queste operazioni potrebbero impedire il formarsi del profumo fruttato caratteristico della bevanda.
Non è infrequente che il mosto concentrato e non ancora fermentato venga "rimboccato" direttamente nel vino cotto vecchio, ma tale pratica è rischiosa e riservata ai più esperti, in quanto essa rischia di compromettere il giusto dosaggio tra nuovo e vecchio, e di provocare con la fermentazione il sommovimento dei depositi contenuti nel recipiente e il temporaneo intorbidimento della bevanda.
Il procedimento della cottura rendeva il vino meno acido e quindi poco soggetto a trasformarsi in aceto. Quando il raccolto era peggiore del solito o quando il proprietario del terreno sceglieva l'uva migliore e lasciava al contadino quella più rovinata, questi, per non rischiare di rimanere senza vino, facendo ricorso alle sue migliori risorse ed alla sua creatività, riusciva a bere per tutto l'anno un vino forse migliore di quello del padrone.

Caratteristiche
Colore: dal granata al rubino
Profumo: caratteristico fruttato
Sapore: dolce gradevole
Grado alcolico: 14%

Proprietà
La Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Teramo ha pubblicato su una rivista scientifica nordamericana i risultati dello studio condotto dal professore Dino Mastrocola riguardo all'alto potere antiossidante di questo vino dovuto alla caramellizzazione degli zuccheri durante la pastorizzazione del mosto.

giovedì 29 agosto 2019

Roy Rogers

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Il Roy Rogers è un cocktail analcolico ottenuto miscelando due parti di cola con una parte di granatina, viene servito in un bicchiere "Collins" immerso in cubetti di ghiaccio o liscio e guarnito con amarena candita o ciliegia fresca. Per la sua guarnizione il cocktail viene anche chiamato Cherry Cola nonostante la granatina sia a base di melograna. Il suo nome è un tributo al famoso attore cowboy statunitense Roy Rogers.

Varianti
La variante più diffusa è quella ottenuta con due parti di ginger ale e una di sciroppo di granatina, diventando molto simile a un altro famoso cocktail: lo Shirley Temple

Curiosità
Il cocktail appare nel dodicesimo episodio della quinta serie della famosa serie televisiva di cartoni animati American Dad! intitolato La rivoluzione di Stan; che rende protagonista l'omonimo alieno Roger di alcune divergenze con Stan Smith proprio dovute a una mancanza di considerazione di quest'ultimo nei confronti del cocktail in particolar modo nei confronti della granatina.


mercoledì 28 agosto 2019

Hugo

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L'Hugo è un aperitivo leggermente alcoolico, originario dell'Alto Adige, ma diffuso in Triveneto, Austria, Svizzera e Germania, a base di prosecco, sciroppo di fiori di sambuco (o di melissa), seltz (o acqua gassata) e foglie di menta. La sua gradazione alcolica si aggira intorno agli 8°.

Origini
Come ricostruito dalle riviste Mixology e Der Spiegel, l'Hugo è stato ideato nel 2005 dal barman di Naturno Roland Gruber, come alternativa allo spritz, e si è rapidamente diffuso anche oltre i confini altoatesini.[1] Inizialmente la ricetta prevedeva l'utilizzo dello sciroppo di melissa, poi nella pratica sostituito dallo sciroppo di fiori di sambuco, più facilmente reperibile.
Il nome fu scelto a caso dal suo ideatore: inizialmente aveva pensato a Otto, ma non gli parve adatto.
Un'altra versione fa invece nascere l'hugo alla fine degli anni novanta in un rifugio della Val di Fassa.

Descrizione e composizione
La ricetta originaria di Gruber prevede:
  • 15 cl di prosecco
  • 2 cl di sciroppo di melissa
  • uno spruzzo di soda
  • menta
  • per decorare: una fetta di lime

Più diffusa è la variante con lo sciroppo di fiori di sambuco:
  • 6 cl (40%) di prosecco
  • 6 cl (40%) di seltz
  • 3 cl (20%) di sciroppo di fiori di sambuco
  • foglie di menta
In entrambi i casi, gli ingredienti vengono versati direttamente nel bicchiere, normalmente un calice, con alcuni cubetti di ghiaccio.


martedì 27 agosto 2019

Club sandwich

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Il clubhouse sandwich, abbreviato club sandwich, è un sandwich statunitense composto da pane tostato, pollo o pancetta fritta, lattuga, pomodoro e maionese. Viene spesso tagliato in quarti o metà e tenuto insieme da appositi stecchini. Le versioni moderne hanno in genere due strati di companatico separati da un'ulteriore fetta di pane.

Storia
Il club sandwich sembra essere stato inventato presso lo Union Club di New York. Il primo riferimento conosciuto del panino è una ricetta pubblicata sull'Evening World datata 18 novembre 1889 dove viene descritto un sandwich che avrebbe "due pezzi di pane Graham tostati, con uno strato di tacchino o pollo e prosciutto tra di loro." Diverse fonti accreditano allo chef dello Union Club l'ideazione del sandwich.
Altre fonti, tuttavia, mettono in discussione tale teoria. Secondo un'altra versione, il club sandwich sarebbe stato inventato in un esclusivo club di gioco d'azzardo a Saratoga Springs (New York), intorno al 1894 quando "Richard Canfield ... il cortese mecenate d'arte, acquistò il Saratoga Club per trasformarlo in un casinò [Canfield Casino] ... il club sandwich (sarebbe stato inventato) nelle sue cucine".
Il sandwich è noto per essere comparso nei menu dei ristoranti americani fin dal 1899. Il panino è stato citato in un'opera d'arte per la prima volta in Conversations of a Chorus Girl, un libro del 1903 di Roy Larcom McCardell Storicamente, i club sandwich contenevano fette di pollo, ma con il passare del tempo l'uso del tacchino è diventato sempre più comune.

Preparazione
Esattamente come il BLT, il club sandwich è a base di pane bianco tostato, lattuga iceberg, pancetta e pomodori e può contenere maionese o senape. Alcuni club sandwich soprannominati "breakfast club" hanno un maggiore apporto proteinico e contengono uova o roast beef. Altri presentano il prosciutto al posto del bacon e/o il formaggio, mentre le varietà vegetariane hanno hummus, avocado o spinaci, e sostituiscono la vera pancetta con un derivato della carne. Sono state anche delle varianti "lussuose" del club sandwich con ostriche, salmoni e granchio. Il panino viene comunemente servito con l'accompagnamento di coleslaw o patate e, a volte, anche con patatine fritte.

Controversie
A causa dell'alto contenuto di grassi e carboidrati del pane, della pancetta e del condimento, i sandwich club sono stati a volte giudicati malsani. Nel 2000, la catena di fast food Burger King è stata pesantemente criticata per aver distribuito il suo club chicken, contenente 700 calorie, 44 grammi di grasso (di cui nove saturi), 1.300 milligrammi di sodio e acidi grassi trans.


lunedì 26 agosto 2019

Romana Sambuca

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Romana Sambuca è un Liquore a base di anice prodotto dall'azienda romana Pallini S.p.A., (I.L.A.R.), e distribuito in tutto il mondo da Diageo.
È stata vincitrice, nel 1993, della medaglia d’oro al Monde Selection di Bruxelles. È stata vincitrice anche, nel 1992, dell’Anglo Overseas Trophy come Miglior Liquore al Mondo.

Composizione
È ottenuto da una miscela di essenze naturali tra cui il sambuco, l'anice verde e l'anice stellato.
Romana Sambuca viene prodotta tramite la distillazione dell'anice verde e dell'anice stellato, che contribuisce a conferire al liquore un gusto inconfondibile e un intenso aroma. Dopo l'aggiunta dell'estratto di sambuco, il distillato subisce la macerazione e poi viene zuccherato.
La sambuca può essere utilizzata per varie ricette e molte preparazioni, bevuta liscia o come correzione ad altre bevande, tra cui in particolare il caffè.
Esiste anche nella versione Black, a cui è stata aggiunta la liquirizia, prodotta dal 1992.
La qualità della Romana Sambuca ha riscontrato un grande successo in molti Paesi del mondo ed in particolare negli Stati Uniti, dove è la sambuca più venduta in assoluto. Negli anni 60 del XX secolo era la sambuca maggiormente esportata all'estero.
La caratteristica bottiglia presenta un'etichetta di colore blu e argento con la scritta Romana Sambuca e la riproduzione di una stampa settecentesca del Colosseo in bianco e nero.


 
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