venerdì 18 febbraio 2022

Birra




La birra è una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione di mosto a base di malto d'orzo, aromatizzata e amaricata con luppolo.
La birra è una delle più diffuse e più antiche bevande alcoliche del mondo. Viene prodotta attraverso la fermentazione alcolica con ceppi di Saccharomyces cerevisiae o Saccharomyces carlsbergensis di zuccheri derivanti da fonti amidacee, la più usata delle quali è il malto d'orzo, ovvero l'orzo germinato ed essiccato, chiamato spesso semplicemente malto.
Vengono poi usati frumento, il mais, il riso - questi ultimi due specialmente come aggiunte in birre di produzione industriali - e, in misura minore, l'avena, il farro, la segale. Altre piante meno utilizzate sono invece la radice di manioca, il miglio e il sorgo in Africa, la patata in Brasile e l'agave in Messico.
Per produrre la birra, il malto viene immerso in acqua calda dove, grazie all'azione di alcuni enzimi presenti nella radichetta che si forma durante la germinazione, gli amidi presenti vengono convertiti in zuccheri fermentescibili. Questo mosto zuccheroso può essere aromatizzato con erbe aromatiche, frutta o più comunemente con il luppolo. Successivamente viene impiegato un lievito che dà inizio alla fermentazione e porta alla formazione di alcool, unitamente ad anidride carbonica, che viene per la maggior parte espulsa, ed altri prodotti di scarto derivanti dalla respirazione anaerobica dei lieviti.
In questo processo si utilizzano ingredienti, tradizioni e metodi produttivi diversi. Il tipo di lievito e il metodo di produzione possono essere usati per classificare le birre in ale, lager o birre a fermentazione spontanea.

Etimologia

La parola italiana birra deriva dal tedesco Bier, un prestito del XVI secolo. Il termine ha rimpiazzato l'antico cervogia, che indicava le birre fatte senza luppolo. Dalla stessa parola tedesca deriva il francese bière. Sono imparentati con Bier l'inglese beer e il neerlandese bier. L'origine della stessa parola germanica (dall'antico alto tedesco bior) è incerta: si pensa che sia un prestito del VI secolo dal latino volgare biber "bibita, bevanda", dal verbo latino bibere, oppure derivi direttamente dal protogermanico *beuwoz-, da *beuwo- "orzo".
In inglese si usa, oltre a beer, un altro termine per indicare la birra: ale. Antiche fonti inglesi fanno distinzione tra le due parole, ma non definiscono cosa si intenda per "birra" durante quel periodo, nonostante sia possibile che si riferisca all'idromele (mead). La forma dell'antico inglese beor è scomparsa subito dopo la conquista normanna dell'Inghilterra (in risposta all'introduzione del luppolo che non sarà ampiamente utilizzato per altri duecento anni), e il termine è rientrato a far parte della lingua inglese solamente secoli dopo, riferendosi esclusivamente alle bevande di malto con luppolo. Fino a quel momento il termine ale si riferì specificamente a birre senza luppolo, nonostante questa non sia più la definizione attuale della parola (indica infatti le birre ad alta fermentazione). Si ritiene che ale derivi direttamente dalla radice indoeuropea *alu-, e sia arrivata alla forma attuale attraverso il termine germanico *aluþ-. La stessa radice è all'origine dello svedese öl e del danese e norvegese øl; da queste è stata prestata alle lingue baltiche (lettone e lituano alus e a quelle baltofinniche (finlandese olut ed estone õlu).
Nelle lingue spagnola e portoghese, e nei loro dialetti, la bevanda viene chiamata cerveza, cerveja o con un termine analogo a questa forma, che deriva dal latino cervēsia o cer(e)vīsia così come il francese cervoise "birra senza luppolo", da cui cervogia. La forma latina è un probabile relitto mediterraneo preindoeuropeo come cerea o caelia, bevanda fermentata usata nella Spagna romana. La radice protoindoeuropea *ḱerh₃- (saziare, nutrire) è la stessa delle parole cereale, del verbo latino crescere e di Cerere, divinità romana della fertilità e patrona, fra le altre cose, dei raccolti. Un'altra interpretazione è che il termine provenga da una voce gallica.
Il termine proto-slavo *pivo, letteralmente "bevanda", è la parola per definire la birra nella gran parte delle lingue slave, con piccole variazioni fonetiche presenti tra lingua e lingua. In greco antico – la bevanda non era tradizionale in Grecia – la parola per la birra egiziana era ζῦθος zŷthos (forse da ζύμη zýmē, "lievito"), per quella frigia o trace βρῦτον brŷton; oggi si usa un prestito dall'italiano: μπίρα bíra.

Storia

(EN)
«For a quart of ale is a dish for a king.»
(IT)
«ché un boccale di birra è un pasto da re.»
(William Shakespeare, da Il racconto d'inverno, atto IV, scena III)
La birra è una delle bevande più antiche prodotte dall'uomo, probabilmente databile al settimo millennio a.C., registrata nella storia scritta dell'antico Egitto e della Mesopotamia. La prima testimonianza chimica nota è datata intorno al 3500-3100 a.C.. Poiché quasi qualsiasi sostanza contenente carboidrati, come ad esempio zucchero e amido, può andare naturalmente incontro a fermentazione, è probabile che bevande simili alla birra siano state inventate l'una indipendentemente dall'altra da diverse culture in ogni parte del mondo. È stato sostenuto che l'invenzione del pane e della birra sia stata responsabile della capacità dell'uomo di sviluppare tecnologie e di diventare sedentario, formando delle civiltà stabili. È verosimile che la diffusione della birra sia infatti coeva a quella del pane; poiché le materie prime erano le stesse per entrambi i prodotti, era solo "questione di proporzioni": se si metteva più farina che acqua e si lasciava fermentare si otteneva il pane; se invece si invertivano le quantità mettendo più acqua che farina, dopo la fermentazione si otteneva la birra.
Si hanno testimonianze di produzione della birra già presso i Sumeri. Proprio in Mesopotamia sembra sia nata la professione del birraio e testimonianze riportano che parte della retribuzione dei lavoratori veniva corrisposta in birra. Due erano i principali tipi prodotti nelle case della birra: una birra d'orzo chiamata sikaru (pane liquido) e un'altra di farro detta kurunnu. La più antica legge che regolamenta la produzione e la vendita di birra è, senza alcun dubbio, il Codice di Hammurabi (1728-1686 a.C.) che condannava a morte chi non rispettava i criteri di fabbricazione indicati (ad es. annacquava la birra) e chi apriva un locale di vendita senza autorizzazione. Nella cultura mesopotamica la birra aveva anche un significato religioso: veniva bevuta durante i funerali per celebrare il defunto ed offerta alle divinità per propiziarsele.
La birra aveva analoga importanza nell'Antico Egitto, dove la popolazione la beveva fin dall'infanzia, considerandola anche un alimento ed una medicina. Addirittura una birra a bassa gradazione o diluita con acqua e miele veniva somministrata ai neonati quando le madri non avevano latte. Anche per gli Egizi la birra aveva un carattere mistico, tuttavia c'era una grossa differenza rispetto ai Babilonesi: la produzione della birra non era più artigianale, ma era divenuta una vera e propria industria, con i faraoni che possedevano persino delle fabbriche.
Si parla di birra anche nella Bibbia e negli altri libri sacri del popolo ebraico come il Talmud; nel Deuteronomio si racconta che durante la festa degli Azzimi si mangiava per sette giorni il pane senza lievito e si beveva birra. Lo stesso avviene durante la festività del Purim.
La Grecia, più orientata sul vino, non produceva birra, ma ne consumava parecchia, soprattutto per le feste in onore di Demetra e durante i giochi olimpici durante i quali era vietato il consumo del vino. La bevanda arrivava in Grecia tramite i commercianti fenici.
Anche gli Etruschi e i Romani preferivano di gran lunga il vino, tuttavia ci furono personaggi famosi che divennero sostenitori della birra, come ad esempio Agricola, governatore della Britannia, che una volta tornato a Roma nell'83 d.C. portò con sé tre mastri birrai da Glevum (l'odierna Gloucester) e fece aprire il primo pub nella penisola italiana.
I veri artefici della diffusione della bevanda in Europa furono comunque le tribù Germaniche e Celtiche. Questi ultimi in particolare si stanziarono in Gallia, in Britannia e soprattutto in Irlanda, dove addirittura esiste una leggenda secondo cui gli irlandesi discendono da un popolo di semidei chiamati Fomoriani che avevano la potenza e l'immortalità grazie al segreto della fabbricazione della birra, che fu loro sottratto dall'eroe di Mag Meld.
Molti non riconoscerebbero come "birra" ciò che bevevano i primi abitanti dell'Europa in quanto le prime birre contenevano ancora al loro interno i prodotti da cui proveniva l'amido (frutta, miele, piante, spezie). Il luppolo come ingrediente della birra fu menzionato per la prima volta solo nell'822 da un abate carolingio e di nuovo nel 1067 dalla badessa Ildegarda di Bingen. Fu proprio merito dei monasteri durante il Medioevo il salto di qualità nella produzione della bevanda. Persino le suore avevano tra i loro compiti quello di produrre la birra, che in parte era destinata ai malati e ai pellegrini. Anche in Gran Bretagna la birra prodotta dalle massaie veniva messa a disposizione delle feste parrocchiali ed utilizzata per scopi umanitari. In Inghilterra in particolare, la birra divenne bevanda nazionale in quanto l'acqua usata per la sua produzione veniva bollita e quindi sterilizzata.
La birra prodotta prima della rivoluzione industriale era principalmente fatta e venduta su scala domestica, nonostante già dal settimo secolo d.C. venisse prodotta e messa in vendita da monasteri europei. Durante la rivoluzione industriale, la produzione di birra passò da una dimensione artigianale ad una prettamente industriale e la manifattura domestica cessò di essere significativa a livello commerciale dalla fine del XIX secolo. Lo sviluppo di densimetri e termometri cambiò la fabbricazione della birra, permettendo al birraio più controlli sul processo e maggiori nozioni sul risultato finale. Inoltre, sempre nello stesso periodo, furono eseguiti studi specifici sul lievito, che permisero di produrre la birra a bassa fermentazione, di gran lunga la più diffusa nel mondo.

Economia

Stando a dati raccolti nel 2005, l'industria birraria è diventata un business di proporzioni globali, dominata da pochi soggetti internazionali[26] (InBev, Anheuser-Busch, SABMiller, Heineken, Carlsberg solo per citarne alcuni), accanto a cui convivono molte migliaia di produttori minori che spaziano dai brewpub ai birrifici regionali.
Per avere un'idea dell'ordine di grandezza del giro d'affari, basta pensare che nel 2008 sono stati consumati oltre 180 miliardi di litri di birra che fruttano entrate totali per un ammontare di circa 400 miliardi di dollari (dati 2007).
Nel marzo 2008 la SABMiller divenne il più grande produttore di birra del mondo, acquistando l'olandese Royal Grolsch. La belga InBev era quindi al secondo posto di questa particolare "classifica" e la statunitense Anheuser-Busch era in terza posizione. Tuttavia il 18 novembre 2008 dalla fusione di queste ultime due società nacque la Anheuser-Busch InBev, che divenne così il leader mondiale del settore.
Il primato dei consumi spetta ancora all'Europa con 72 litri/anno pro capite, anche se nel 2008 si è verificato un calo della produzione e dei consumi. Negli ultimi anni l'industria birraria si sta espandendo notevolmente in nuovi mercati emergenti come l'America Latina o in misura ancora maggiore l'Asia. La crescita è notevole soprattutto in Cina, che è diventato il più grande mercato nazionale della birra con oltre 410 milioni di ettolitri prodotti. Un caso particolare è quello dell'Oceania che, sebbene abbia consumi pro-capite al livello di quelli europei, conta poco in termini di volumi totali a causa della scarsa popolazione.

Produzione casalinga

Accanto a questo business mondiale è molto attiva anche la produzione casalinga che rispecchia nel piccolo la produzione industriale. La produzione casalinga di birra è legale in Italia solamente dal 1995, anno in cui venne approvato il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504.
In genere le attrezzature necessarie per una birrificazione casalinga sono raccolte in kit e distribuite da ditte specializzate. Sempre più diffusa è però la tendenza a procurarsi e costruirsi da soli gli strumenti necessari.
Per la produzione casalinga è possibile adottare tre diverse tecniche che differiscono tra di loro per la difficoltà e per la qualità del prodotto finale:
  • birra da estratto di malto luppolato
  • birra da estratto di malto non luppolato con o senza aggiunta di grani speciali
  • birra da all grain (partendo dai grani di malto e dagli altri ingredienti non preparati in precedenza).
La produzione di birra da estratto salta alcune fasi importanti del processo, tra cui l'ammostatura (mashing) e il lavaggio delle trebbie (sparging). Per questa ragione non è da considerarsi propriamente "birrificazione".
Negli ultimi anni sta prendendo piede presso gli appassionati una variante della tecnica All Grain, la BIAB (acronimo di "Brewing in a bag"). I grani macinati sono introdotti nella pentola di "mashing" all'interno di una sacca filtro, che può essere comodamente rimossa prima della bollitura. Saltando la fase di "sparging", la tecnica BIAB permette di ridurre notevolmente costi e tempi di produzione.

Ingredienti

I cereali

La produzione di birra è possibile con qualunque tipo di cereale. Questo però deve essere preparato affinché i suoi zuccheri diventino fermentescibili. In alcuni casi è sufficiente una semplice cottura, come nel caso del mais, mentre in altri casi è necessario "maltare" il cereale.

Il malto

Gli zuccheri contenuti nei chicchi d'orzo non sono immediatamente accessibili. È quindi necessario attivare un enzima presente nel chicco stesso. Questo enzima parteciperà alla riduzione delle lunghe catene di zuccheri. L'attivazione dell'enzima consiste semplicemente nel far germinare i chicchi. Quando si ritiene che l'attivazione enzimatica della germinazione sia arrivata allo stato ottimale, si interrompe il processo, riducendo l'umidità nei chicchi fino al suo valore minimo mediante l'essiccazione. Questo prodotto viene chiamato "malto verde". A questo punto bisogna cuocerlo per ottenere il "malto secco". A basse temperature si ottiene il minimo effetto di tostatura e si parla di "malti chiari". In proporzione a quanto si aumenta la temperatura del forno e/o il tempo di permanenza in esso, il malto risultante diventa più scuro. Si può arrivare fino al punto di bruciarlo producendo così i "malti neri" o "malti torrefatti". Il grado di tostatura del malto determina il colore della birra.

Miscela

Il termine "miscela", il cui nome tecnico è "grist", si riferisce ai cereali e ai tipi di malto che si utilizzeranno per preparare il mosto. Questi infatti possono essere composti da un solo tipo di orzo maltato, oppure da una "miscela" di diversi tipi, oppure ancora da malti ed altri cereali maltati e non. Le proporzioni e i componenti di questa miscela sono fondamentali per la scelta e la determinazione dello stile di birra che si vuole produrre.

Tipi di grano
I diversi cereali che si utilizzano per produrre birra presentano ognuno una serie di varietà botaniche che moltiplicano le possibilità di scelta del birraio. Si possono trovare sul mercato fino a 60 tipi diversi di grano, numero che aumenta considerevolmente se teniamo conto anche dei malti caserecci. Di base, i cereali si possono distinguere in quattro categorie:
  • Malti di base: sono malti chiari, poco cotti, con un grande potere enzimatico, che in genere formano la grande maggioranza, se non la totalità, della miscela. Fra essi il Pale Ale e il Pils, dal nome delle birre per cui vengono tipicamente impiegati; a volte sono commercializzati con il nome della varietà di orzo da cui sono ricavati, come il Maris Otter, un malto di tipo Pale.
  • Malti additivi: sono malti di colore scuro, dall'ambrato al nero, che sono stati cotti parecchio e che hanno perso tutto il loro potere enzimatico. In genere vengono usati in piccole quantità per influire sul colore o sul gusto della birra, oppure per motivi specifici della produzione della singola birra.
  • Malti misti: si tratta di malti che sono tostati maggiormente rispetto ai malti di base, tuttavia conservano proprietà enzimatiche sufficienti per poter essere usati sia come base, sia come additivi. In questa categoria incontriamo i malti color caramello o quelli ambrati conosciuti in Inghilterra come cristal.
  • Cereali crudi, tostati o in gelatina: i cereali possono essere utilizzati senza essere stati maltati per conferire gusto, aroma e altre caratteristiche alla birra. In genere si utilizzano in piccole quantità. Gli amidi dei cereali crudi sono trasformati dagli enzimi rilasciati nel mosto dai cereali maltati.

Additivi aromatici

Luppolo

L'additivo principale usato per compensare la dolcezza del malto, è il luppolo, introdotto nella produzione alla fine del primo millennio e diffusosi a partire dal XVI secolo. Di questa pianta si utilizzano i fiori femminili non fecondati. Alla base della sua brattea c'è una ghiandola che contiene la luppolina, che è la sostanza che conferirà il sapore amaro alla birra. In particolare i responsabili di questa amarezza sono gli acidi amari (in particolare gli alfa acidi, e in misura minore i beta acidi) mentre gli oli essenziali, costituiti da composti volatili e delicati a base di esteri e di resine, contribuiscono all'aroma. Esistono numerose varietà botaniche di luppolo e sono oggetto di studio intenso. Il luppolo è la causa della stimolazione dell'appetito che produce la birra. Vengono classificati in diverse categorie:
  • luppoli da amaro: si tratta di luppoli caratterizzati da una elevata percentuale di alfa acidi e per questo economicamente convenienti per apportare amaro; vengono perciò generalmente usati all'inizio della bollitura per massimizzarne l'estrazione. Le loro proprietà aromatiche sono quindi di minor interesse, benché per certe varietà possono risultare di buona qualità.
  • luppoli da aroma: particolarmente pregiati per il loro apporto aromatico e utilizzati in tal senso, generalmente a fine bollitura per non disperdere gli aromi volatili. Il loro apporto di alfa acidi, talvolta molto basso, è quindi di minor interesse, per quanto possa essere elevato in alcune varietà. In questa categoria si conoscono specialmente il saaz che caratterizza lo stile pilsner, lo spalt ed il tettnang nell'area tedesca, le varietà golding e fuggle, nell'area anglofona. Esistono anche varietà americane, dalle spiccate note agrumate in aroma (Cascade, Amarillo e Centennial).
  • luppoli ambivalenti: caratterizzati da un'alta percentuale di alfa acidi e di buone qualità aromatiche, possono essere impiegati sia per aroma che per amaro.
Il luppolo è molto delicato e viene normalmente essiccato subito dopo il raccolto che avviene dalla fine di agosto ad ottobre a seconda delle varietà e del microclima della zona di coltivazione. L'impiego di luppolo non essiccato è di recente introduzione e solo per alcune birre stagionali: in tal caso deve essere impiegato nella preparazione della birra entro poche ore dal raccolto. Il luppolo sul mercato si trova in diverse forme: coni essiccati pressati, in plug (coni pressati in grosse pastiglie) oppure macinato e estruso in piccoli pellet; diffuso, specie nella produzione industriale, l'uso di estratti di luppolo.
La varietà e la freschezza del luppolo influenzano sensibilmente le caratteristiche finali della birra.

Altri additivi

Oltre al luppolo, nella storia si sono usati numerosissimi additivi botanici per la birra, tra cui:
  • Frutta. Normalmente fermentando il mosto della frutta si ottiene una bevanda alcolica, come ad esempio il vino. Tuttavia esistono molte birre nel cui processo produttivo si aggiunge frutta o succo di frutta o sciroppo prima della fermentazione. Si ha così un'ulteriore aggiunta di zuccheri che provocano una seconda fermentazione. L'uso della frutta è tipico di alcune varietà di lambic, che impiegano tradizionalmente la griotta (varietà di amarena del Belgio) e il lampone; la frutta viene altresì impiegata anche in altre birre a base differente dal lambic.
  • Piante. Oltre al luppolo di cui si è già parlato, le birre sono aromatizzate con altri tipi di piante (in aggiunta o in sostituzione del luppolo stesso) come ad esempio la canapa, il rosmarino, la castagna e il tabacco.
  • Spezie. Prima della grande diffusione del luppolo e delle altre piante aromatiche, le spezie trovarono il loro momento di gloria. Nel XXI secolo rimangono birre aromatizzate con zenzero, coriandolo, bucce d'arancia, pepe e noce moscata.
  • Altro. La birra può servire come sostanza ausiliaria o di supporto alle varie sperimentazioni dei produttori più audaci. Citiamo come esempi la birra aromatizzata col miele, tipica dei microbirrifici francesi, o la birra con uva o mosto d'uva, prodotta in particolare da microbirrifici italiani tanto da aver dato origine ad un nuovo stile riconsociuto, quello delle Italian Grape Ale (IGA).

L'acqua

La birra è composta dall'85% al 92% di acqua.
Oltre alle caratteristiche minerali e batteriologiche di potabilità che obbligatoriamente deve avere, ogni birra richiederà una qualità differente di acqua: talune necessitano di acque poco mineralizzate, altre acque più dure con molto calcare. Nella moderna produzione quasi nessuna birra viene prodotta con l'acqua così come fluisce, ma con acqua che viene prima trattata nel birrificio in modo da avere sempre le stesse caratteristiche e non alterare la ricetta. In particolare l'acqua viene a volte filtrata o demineralizzata al fine di ridurre la durezza. Solitamente viene anche sottoposta a procedimento di declorazione preliminare sia per ragioni produttive che organolettiche.
Tra i minerali dell'acqua che interessano maggiormente i birrai ci sono il calcio, i solfati e i cloruri. Il calcio aumenta la separazione del malto e del luppolo nella macerazione e nella cottura, e scurisce la birra dandole opacità e torbidezza. Il rame, il manganese e lo zinco, inibiscono la flocculazione dei lieviti. I solfati rinforzano l'amarezza e la secchezza del luppolo. I cloruri danno una tessitura più piena e rinforzano la dolcezza.
Nella moderna produzione si ha un consumo di circa tre ettolitri d'acqua per ogni ettolitro di birra prodotta.

Il lievito

La maggior parte degli stili di birra si produce utilizzando una delle due specie di microrganismi unicellulari del tipo Saccharomyces, comunemente chiamati lieviti. Si tratta di funghi che consumano zuccheri e producono alcol e anidride carbonica. Esistono fondamentalmente due famiglie di lieviti che definiscono i due più grandi gruppi di birre:
  • Lieviti ad alta fermentazione, come il Saccharomyces cerevisiae, che si trova nei fusti dei cereali e nella bocca dei mammiferi. Si tratta del tipo di fermentazione che si incontra normalmente in natura e agisce a temperature tra i 12 e 24 °C. Durante il processo il lievito sale in superficie del tino di fermentazione situandosi sulla superficie del mosto. Questo lievito fu scoperto da Louis Pasteur nel 1852 durante i suoi studi sulla birra. Le birre ottenute da questi lieviti vengono genericamente denominate "Ale".
  • Lieviti a bassa fermentazione, come il Saccharomyces carlsbergensis. Sono stati scoperti quasi involontariamente dai birrai del sud della Germania che mettevano le loro birre a maturare nelle grotte delle Alpi. Questi funghi, della specie Saccharomyces uvarum, agiscono a temperature comprese fra 7 e 13 °C e durante il processo si depositano sul fondo del fermentatore. Le birre ottenute vengono genericamente denominate "lager", termine che deriva dal tedesco e significa magazzino, dove la birra viene conservata "al fresco".
Nella produzione della birra, specialmente in quella chiamata a fermentazione spontanea, possono intervenire anche altri lieviti. In queste birre il produttore non ne seleziona nessuno in particolare, ma permette a tutti i lieviti in sospensione nell'aria di introdursi nel mosto. In questo modo intervengono, oltre al Saccharomyces, più di 50 fermentatori differenti tra cui il Lactobacillus, che è un batterio che produce l'acido lattico, ed il Brettanomyces, che produce l'acido acetico. Queste birre, che vengono chiamate Lambic, sono dunque acide per definizione, e la loro produzione richiede procedimenti speciali destinati a ribassarne il grado di acidità.

Processo produttivo

Il processo produttivo della birra viene chiamato "birrificazione" o "brassaggio" e richiede numerose fasi di lavorazione.
La prima di queste fasi è la "maltificazione" (detta anche "maltazione"): l'orzo o gli altri cereali, dopo essere stati selezionati e ripuliti, vengono immessi nelle vasche di macerazione dove ricevono l'acqua e l'ossigeno necessario per la germinazione.
Questo processo dura in genere tre o quattro giorni durante i quali l'acqua è mantenuta a temperature comprese fra i 12 e i 15 gradi e viene continuamente cambiata. Una volta che è stato raggiunto il grado di umidità sufficiente, l'orzo viene messo a germinare per circa una settimana nei cassoni di germinazione o comunque in un luogo ben aerato.
Il processo viene arrestato tramite essiccazione o torrefazione quando il germoglio ha raggiunto circa i due terzi della lunghezza del chicco.
L'orzo maltato viene quindi macinato fino ad ottenere una specie di farina che viene poi miscelata con acqua calda a circa 65-68 gradi. Questa fase è detta ammostamento, in quanto il malto si trasforma in mosto. Precisamente questo avviene quando l'amido ancora presente nel malto si trasforma in maltosio, uno zucchero. La massa mantenuta in agitazione viene portata, con opportune soste, alle temperature ottimali per l'attività enzimatica di degradazione di amido e proteine, favorendone così la solubilizzazione nel mosto.
La parte liquida viene quindi separata dalla parte solida tramite "filtrazione" all'interno di un tino filtro, in cui il mosto con le trebbie viene pompato dal basso. Quando tutto il mosto è stato trasferito, si lascia che le trebbie sedimentino sul falso fondo forato, e si procede quindi alla filtrazione. Per raggiungere un buon livello di limpidezza, il mosto viene fatto ricircolare più volte.
Il passo successivo è la "cottura" del mosto all'interno di apposite caldaie, tradizionalmente in rame che è un ottimo conduttore termico e che non si degrada eccessivamente. Il tempo di cottura è fondamentale per la scelta del tipo di birra che si vuole produrre ed anche per la sua qualità, in quanto durante questo processo avvengono la gran parte delle reazioni biochimiche; normalmente varia tra un'ora e due ore e mezza. Durante la bollitura, che nei birrifici moderni avviene tramite getti di acqua bollente ad alta pressione, si ha anche l'importante processo di sterilizzazione del mosto. Sempre durante questa operazione avviene l'aggiunta del luppolo. In genere la sala di cottura viene considerata come il "cuore" del birrificio.
Nel corso dell'ebollizione, in seguito a reazione tra i polifenoli del malto e del luppolo e le proteine del malto, si formano complessi insolubili che costituiscono il trub a caldo". Questo tende a precipitare al termine del processo e l'allontanamento è considerato fondamentale per la qualità e la stabilità della futura birra. Questa azione è effettuata mediante l'uso del whirlpool, tino in cui il mosto giunge tangenzialmente generando una forza centrifuga che determina la raccolta della fase torbida sul fondo, al centro del recipiente, e permette la separazione di una fase liquida limpida.
In seguito il mosto viene raffreddato fino a temperature a cui può avvenire la fermentazione: dai 4 ai 6 gradi per la bassa fermentazione e dai 15 ai 20 gradi per quella alta.
La fermentazione si divide in due fasi; la prima, detta fermentazione principale, vede come protagonista il lievito che ha la funzione di trasformare gli zuccheri e gli aminoacidi presenti nel mosto in alcol, anidride carbonica e sostanze aromatiche. Il processo che utilizza Saccharomyces cerevisiae è più rapido, in genere tre o quattro giorni, di quello a bassa fermentazione, in quanto si svolge a temperature superiori e i processi di fermentazione sono favoriti dal calore. Questo lievito inoltre risale in superficie e viene recuperato con schiumature e per questo è notevolmente economico.
La fermentazione secondaria, detta anche maturazione, invece consiste nel lasciare per circa quattro o cinque settimane la birra in grosse vasche di maturazione a una temperatura compresa fra 0 e 2 gradi. Questa operazione permette di saturare di anidride carbonica la birra e di far depositare i residui di lievito, oltre che armonizzare i vari ingredienti.
Infine c'è la pastorizzazione che è un processo a cui non tutte le birre vengono sottoposte. Consiste nel portare la birra alla temperatura di 60 gradi per distruggere alcuni microrganismi e quindi conservare maggiormente il prodotto. La birra non pastorizzata viene definita cruda.
Alla fine del processo alcune birre vengono filtrate per toglierle i residui di opacità e infine imbottigliate o infustate.
Esistono alcune birre che sono "rifermentate in bottiglia". In questo caso, prima di chiudere il tappo, si aggiunge del lievito in modo che, oltre alle due ordinarie fermentazioni, ne avvenga una terza che aumenta il tasso alcolico. Sono un'eccezione le birre di frumento che, pur avendo lievito all'interno della bottiglia, mantengono una gradazione normale.

Tipi di fermentazione

Tra le fasi del processo produttivo la fase di fermentazione del mosto è quella che non solo determina il carattere e il contenuto alcolico della birra, ma è pure origine di una serie rilevante di sostanze che ne influenzano gli aspetti organolettici non solo gustativi e di struttura, ma anche di sensazioni odorose e aromatiche.
Vi sono due tipi di fermentazione: l'alta fermentazione e la bassa fermentazione. Queste due procedimenti diversi sono alla base della classificazione nei due distinti macro tipi di birra omonimi. Si veda Classificazione dove viene spiegato che in realtà esiste, se pur pochissimo diffusa, anche un terzo tipo di fermentazione. Il diverso intervallo di temperatura a cui si svolgono i due tipi di fermentazione è una condizione fisica imprescindibile per lo svolgimento dei processi enzimatici e chimici peculiari dei due ceppi di lieviti distinti.
Dal punto di vista terminologico la dizione "alta" e "bassa" relativa alla fermentazione del mosto di birra non è legata al diverso intervallo di temperatura, più alto nell'utilizzo del Saccharomyces cerevisiae per le birre Ale e più basso nell'utilizzo del Saccharomyces carlsbergensis per le birre Lager. Anche se abbastanza diffusa, questa spiegazione è tuttavia errata. La dizione infatti è legata al movimento dei lieviti esauriti nel tino a fine fermentazione: il cerevisiae sale in "alto" ovvero in superficie, il carlsbergensis scende in basso, ovvero sul fondo. Il movimento in alto e in basso è conseguenza della specificità metabolica dei due lieviti diversi.
Fu lo stesso Emil Christian Hansen, lo scienziato danese che nel laboratorio della Carlsberg per primo utilizzò il tipo di lievito che poi prenderà il suo nome, a suddividere i lieviti per la produzione della birra in top-fermenting (alta fermentazione, ove top si riferisce al fatto che "si dirigono in alto") e in bottom-fermenting (bassa fermentazione, ove bottom si riferisce al fatto che "si dirigono in basso").
Nei birrifici, quando si produce una birra di stile ale, si può assistere alla consueta operazione di raccolta della massa di lievito sulla superficie del tino con l'impiego del tradizionale "cucchiaione". Invece, nei serbatoi ove si è svolta la fermentazione di una birra di stile lager, il lievito forma una specie di marmellata che si adagia sul fondo della vasca da dove viene poi estratto.



Classificazione

Sono numerose le possibilità di classificare le birre.
La classificazione che trova maggior impiego fa riferimento al tipo di lievito utilizzato e, conseguentemente, al tipo di fermentazione. In questo senso le birre si dividono in tre grandi famiglie:
  • Ale: sono prodotte con i lieviti della specie Saccharomyces cerevisiae e seguono un processo ad "alta fermentazione" che predilige temperature elevate. È il procedimento più antico che rimane tuttavia ancora profondamente radicato specie nella cultura birraria britannica e fiamminga.
  • Lager: sono prodotte con i lieviti della specie Saccharomyces carlsbergensis e seguono un processo a "fermentazione bassa" che predilige temperature basse. Il procedimento industriale è più recente e garantisce una maggior stabilità e ripetibilità, permettendo a queste birre di essere di gran lunga le più diffuse sul mercato.
  • Lambic: sono prodotte esclusivamente in una regione del Belgio meridionale, dove il mosto è esposto a lieviti indigeni selvatici, come il Brettanomyces bruxellensis; il processo si sviluppa seguendo una "fermentazione spontanea", che conferisce a queste birre caratteristiche uniche al mondo.
Spesso alle ale sono riconosciute caratteristiche di maggior complessità grazie ai sapori e agli odori ricchi di aromi floreali, speziati e fruttati, mentre le lager sono più frequentemente "pulite" ed evidenziano soprattutto il carattere di malto e luppolo.
Un'altra classificazione particolarmente intuitiva, ma poco significativa se utilizzata come unico fattore di discriminazione, è quella basata sull'indicizzazione del colore, generalmente misurato sulla scala SRM. Il colore dipende dal tipo di maltazione subito dai cereali impiegati, anche se in alcuni rari casi può essere alterato da coloranti naturali come la clorofilla assumendo una colorazione verde smeraldo. Altra caratteristica visiva della birra è data dalla limpidezza o dalla opacità generalmente dovuta alla presenza di lievito in sospensione (nelle birre di produzione industriale il lievito viene eliminato prima dell'imbottigliamento per mezzo di filtri).
Esiste anche una classificazione relativa al grado di amarezza percepito, misurato sulla scala IBU (International Bitterness Unit).
Un'ulteriore classificazione è legata al grado alcolico, generalmente misurato in percentuale di alcol sul volume della bevanda ("titolo alcolometrico volumico"), o alla quantità di zuccheri fermentescibili presenti nel mosto prima della fermentazione misurato in gradi Plato. Questo tipo di tassonomia ha particolare significato per l'industria e il fisco. Ogni nazione ha denominazioni caratteristiche talvolta derivanti dalla tradizione.

Stili birrari

Uno stile di birra contraddistingue la bevanda tenendo conto delle caratteristiche dette in precedenza quali colore, sapore, gradazione alcolica, ingredienti e ricetta, tipo di lievito utilizzato, tipo di fermentazione. Ogni stile ha una suo origine e storia e si è evoluto seguendo non solo tendenze di mercato ma anche l'evoluzione tecnologica e la convenienza economica, talora legata anche alla tassazione. Visti i vari tipi di classificazione possibili, una rigorosa suddivisione tassonomica non è applicabile: per comodità si possono suddividere a grandi linee a seconda del tipo di fermentazione, tenendo conto che fra le birre ad alta fermentazione per stout e birre di frumento non viene solitamente usata la denominazine di ale.

Ale

Le ale sono birre prodotte ad alta fermentazione. A questa grande famiglia appartengono stili birrari molto differenti: alcuni strettamente legati ad aree geografiche più o meno ristrette, come le ale belghe, altri di carattere più sovranazionale, come le birre di frumento che trovano comunque sfumature di regione in regione.
Le ale inglesi hanno un carattere fruttato, anche se meno evidente di quello delle belghe, e spesso evidenziano maggiormente il malto e il luppolo. Si distinguono tra esse gli stili:
  • bitter: costituiscono lo stile base inglese. Spesso ambrate e di gradazione piuttosto bassa (sotto i 10 gradi saccarometrici e 3,5%) e quasi sempre con un amaro pronunciato
  • mild ale: sono birre ancora più leggere delle bitter, piuttosto scure e tendenti al dolce; delicate, ma saporite nonostante la bassa gradazione
  • brown ale: possono esser considerate una versione un po' più forte delle mild
  • winter e old ale: birre ambrate o scure "da meditazione", adatte alla stagione invernale per via della gradazione alcolica alta
  • barley wine: letteralmente "vino d'orzo", sono birre molto forti (oltre 8% di alcool, con picchi che superano il 10%), a volte sciroppose o caramellate, piuttosto luppolate ma con l'amaro bilanciato dalla dolcezza del malto. Nel XXI secolo questo stile è ormai raro in Gran Bretagna, e trova la sua patria sempre più negli Stati Uniti
  • India Pale Ale: originariamente prodotte nel Regno Unito per l'esportazione nelle colonie, erano caratterizzate da una luppolatura ed un amaro eccezionali. Nel XXI secolo sono diventate rare in Europa e in genere "poco rispettose" della tradizione. Gli Stati Uniti invece hanno rivitalizzato e fatto loro questo stile, dando vita alle american pale ale.
Le ale belghe sono in genere più fruttate delle inglesi, spesso speziate ed a volte acidule. Gli stili di questo paese sono davvero tanti e molte birre fanno stile a sé. Tra i più riconosciuti troviamo:
  • blond ale: pur costituendo uno stile non molto tradizionale sono molto diffuse e all'inizio del XXI secolo considerabili come stile "base"
  • belgian pale ale: più tradizionali ma meno diffuse; sono affini alle cugine inglesi, ma con maggior carattere di lievito
  • saison: molto caratterizzate; dorate o ambrate, a volte acidule, ben luppolate e speziate
  • birre trappiste: in un certo senso più che uno stile (le birre sono piuttosto diverse fra loro) è un marchio di origine controllata: la denominazione è precisa e comporta che la birra sia effettivamente prodotta "da o sotto il controllo diretto di monaci trappisti". "Birra d'abbazia" è invece un termine meno significativo, che indica una bevanda la cui produzione è "laica" e che vanta una connessione storica con un'abbazia, talvolta non più esistente
  • dubbel o double: di gradazione medio alta (7%), scure, amabili e maltate
  • tripel o triple: bionde, ancora più forti (8-9% e più), fruttate e spesso relativamente luppolate
  • golden ale: affini alle tripel, altrettanto forti o quasi, anch'esse bionde
  • belgian strong ale: scure e forti, talvolta fantasiosamente denominate quadrupel.
Si annoverano infine alcuni "stili acidi" tipicamente belgi, sempre meno reperibili: le oud bruin, leggere e agrodolci, e le flemish red meno dolci e più acetiche, con commistioni tra i due stili.
Le ale tedesche annoverano le altbier di Düsseldorf - ambrate, non forti, maltate e piuttosto amare - e le chiare, leggere e delicate kölsch di Colonia. Sono entrambi degli stili ibridi in quanto fermentate con un lievito da alta fermentazione, ma ad una temperatura relativamente bassa e maturate ancora più al freddo. Hanno quindi gusto e aroma meno fruttato e più pulito rispetto alle vere e proprie ale.

Stout e Porter

Le stout sono birre ad alta fermentazione, caratterizzate da un colore molto scuro, spesso nero, e una tostatura molto marcata (torrefazione); in genere, la gradazione è relativamente bassa e l'amaro intenso; l'aroma del luppolo è invece moderato, sovrastato da quelli tipici di cacao e caffè. Si possono distinguere:
  • dry stout: rispecchiano in pieno queste caratteristiche e non presentano la minima traccia di dolcezza. La stout più conosciuta è l'irlandese Guinness
  • sweet stout: pur mantenendo colore scuro e note tostate, sono meno amare. Tra esse la milk stout si distingue per l'uso di lattosio (non fermentescibile) per aumentarne la dolcezza
  • oatmeal stout: di dolcezza intermedia, anch'esse ormai non molto diffuse, sono tipicamente vellutate grazie all'impiego di farina d'avena (in inglese appunto oatmeal)
  • oyster stout: ci sono tracce dell'abbinamento tra stout e ostriche (oyster in inglese) fin dal 1800, in alcuni scritti di Benjamin Disraeli. Nel 1929 ci fu il primo utilizzo delle ostriche nella produzione di birra, dapprima in Nuova Zelanda, poi imitato anche a Londra. Nel XXI secolo il termine oyster stout indica sia una stout fermentata con una manciata di ostriche nei tini, oppure semplicemente una bevanda che ben si accompagna ai molluschi
  • imperial stout: sono un incrocio tra il carattere delle dry stout e la potenza dei barley wine: forti, amare, tostate ed un po' fruttate.
  • porter: si possono considerare delle stout meno intense. Nei secoli scorsi lo stile generale di queste birre scure era indicato come porter, e quelle più forti venivano chiamate stout porter - e poi più semplicemente stout

Birre di frumento

Sono birre ad alta fermentazione caratterizzate dall'ampio uso di frumento (50% e oltre). Gli stili più famosi sono quello tedesco (denotate come weizen, ovvero "birre di grano", o weiss, ovvero "birre bianche", per via dell'aspetto opalescente) e quello belga (blanche in francese o wit in fiammingo con lo stesso significato). Le affinità fra questi stili riguardano, oltre all'uso del frumento, il colore chiaro, la gradazione media ed un certo carattere speziato e acidulo. Le differenze non mancano: le blanche impiegano frumento non maltato, le weizen frumento maltato; le blanche impiegano spezie come coriandolo e buccia d'arancia, mentre nelle weizen il carattere speziato è dovuto esclusivamente al lievito molto particolare che produce anche un caratteristico aroma di banana.
In Germania si producono anche weizen scure, denominate dunkelweizen o dunkelweissen e birre di frumento più forti: le weizenbock. Infine le berliner weisse, caratteristiche della regione di Berlino, sono più leggere e decisamente acidule.

Lager

Le lager sono birre di ogni colore e gradazione prodotte a bassa fermentazione. Le più diffuse sono quelle chiare, tra cui si distinguono:
  • pilsener o pils: stile classico di origine boema (il nome deriva dalla città di Plzeň); leggere dal colore chiaro o dorato, dalla luppolatura abbondante e dall'amaro pronunciato
  • helles: tipiche bavaresi, meno amare e più maltate
  • export o Dortmunder, leggermente più forti
  • märzen e oktoberfestbier: birre di colore dal dorato carico all'ambrato, gradazione maggiore (6% circa) e malto più pronunciato. I due termini indicano bevande molto simili: nonostante l'apparente disaccordo temporale infatti vengono tradizionalmente prodotte a marzo per un consumo autunnale, periodo in cui si svolge l'Oktoberfest. Le birre denominate Oktoberfestbier vengono prodotte prevalentemente dalle birrerie bavaresi, le uniche autorizzate alla vendita della birra all'Oktoberfest.
Sebbene spesso si associ erroneamente il termine lager alla birra chiara, non mancano in realtà lager scure, tra cui:
  • dunkel: birre brune, decisamente dolci e maltate nel sapore
  • schwarzbier: più scure e tostate, una sorta di stout a bassa fermentazione, ma meno amara e più maltata
  • rauchbier: particolari birre "affumicate" (da rauchen, fumare in tedesco) tipiche della città tedesca di Bamberga, prodotte utilizzando malti affumicati su torba o legno di faggio.
Ci sono poi lager più forti, rappresentate in Germania dalla famiglia delle bock: di colore chiaro, gusto maltato appena equilibrato dal luppolo, in genere di gradazione alta (6,5% - 7,5% ma anche 8,0% per le scure e caramellate doppelbock). Ci sono poi altre lager extra-strong non appartenenti alle bock che, pur raggiungendo gradazioni alcoliche molto alte, rimangono comunque bilanciate e complesse nel sapore.
Esistono infine moltissime altre lager "internazionali", in buona parte prodotte da grandi industrie multinazionali. Solitamente fanno largo uso di riso e mais (spesso non maltati) per renderle leggere di corpo e poco caratterizzate in aroma; a volte sono associate a termini di mercato come ice o dry.

Lambic

Il lambic è una specialità della regione del Payottenland, a sud ovest di Bruxelles, ed è un tipo di birra così diverso che è talvolta considerato come bevanda a sé stante rispetto al mondo delle birre; le specialità tradizionali sono caratterizzate dalla loro intensità e ricchezza aromatica e dalla decisa acidità.
Il processo birrario è detto "a fermentazione spontanea": non viene inoculato alcun lievito selezionato, ma la produzione usa lieviti e batteri selvatici presenti nell'ambiente come il Brettanomyces bruxellensis (nell'aria o nelle strutture stesse del birrificio); l'inoculazione avviene lasciando raffreddare lentamente il mosto caldo in vasche ampie e poco profonde, per massimizzare la superficie esposta all'aria. Durante la successiva lunga maturazione in botte intervengono altri lieviti selvaggi e batteri presenti nel legno stesso.
Il lambic "puro" non è frizzante, ma "sgasato", ed è raramente commercializzato in questa forma; più spesso viene rifermentato unendo lambic di annate diverse, dando origine alle spumeggianti gueuze; se è invece rifermentato assieme ad amarene o lamponi dà origine rispettivamente alle kriek e alle framboise. Diffuso ma meno tradizionale l'impiego di altri frutti come ribes nero, pesche o fragole. Da notare che il termine kriek viene talvolta utilizzato anche per birre a fermentazione non spontanea aromatizzate alla ciliegia.

La birra in cucina

La birra, come succede anche con il vino, entra come componente nella cottura di numerosi piatti quali, ad esempio:
  • Arista di maiale alla birra
  • "Steak and Ale Pie", piatto inglese che consiste in uno stufato di carne di manzo cotto con birra (solitamente una ale),"impiattato" in un tortino di pasta sfoglia.
  • Bauernschmaus, piatto tedesco a base di carré di maiale cotto nella birra
  • Marmellata-birra alle ciliegie fatta in casa con focaccine
    La Carbonade flamande, piatto di origine fiamminga costituito da uno stufato di manzo
  • Costine di maiale alla birra
  • Carré di lombo di maiale alla birra scura
  • Stinchi di maiale alla birra (piatto tipico bavarese)
  • Würstel con crauti, salsicciotto tedesco cotto nella birra e accompagnato da crauti
Inoltre il prodotto alcolico viene impiagato nella marmellata-birra, una marmellata con ingrediente principale la birra e usata come ripieno di biscotti o come accompagnamento in prodotti da forno, salumi, cracker, carni e verdure.

Chimica della birra

La birra contiene vitamine (vitamina B1, B2, B5, B6 e H) oltre che fosforo, potassio, magnesio, zolfo, fluoro, sodio, rame, manganese, zinco, alluminio e ferro.
La birra inoltre contiene tirosolo, tryptophol e i seguenti acidi fenolici: feniletanolo, acido 4 -idrossifenilacetico, acido vanillico, acido caffeico, acido siringico, acido p-cumarico, acido ferulico e acido sinapico.
Il luppolo, che viene utilizzato nella produzione della birra, contiene 8-prenilnaringenina (un potente fitoestrogeno), umulene, myrcene, mircenolo, linalolo, alcol 2M2B, isoxanthohumol e xanthohumol.
Alcune società poi utilizzano additivi per stabilizzare e rendere più durevole la schiuma prodotta dalle molecole di biossido di carbonio in risalita. Questi additivi schiumogeni sono, oltre all'azoto, il glicole propilenico alginato e il solfato di cobalto
Infine il malto contiene le prodelphinidins B3, B9, C2.

giovedì 17 febbraio 2022

Brulè di mele





Il brulè di mele è una bevanda calda tipica dei mercatini di Natale trentini e del nord Italia. È un'analcolica e dolce alternativa al classico vin brulé.

Preparazione

Si prepara utilizzando succo di mela (già preparato o, meglio ancora, fatto al momento con mele fresche), limone e arancia. I chiodi di garofano, il miele e la cannella sono gli ingredienti chiave che lo rendono più dolce e sprigionano il profumo speziato tipico delle feste. Si possono anche aggiungere zenzero o anice stellato.

Consumo

Si consiglia di consumarlo caldo o appena fatto, accompagnato da biscotti o altri dolcetti tipici natalizi.

mercoledì 16 febbraio 2022

Buchette del vino a Firenze

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A Firenze sulle mura di parecchi palazzi del centro storico esistono alcune curiose aperture di piccole dimensioni usate per la vendita del vino direttamente in strada e chiamate le buchette del vino.
L'usanza di vendere vino direttamente dai palazzi nobiliari risale più o meno al XVII secolo quando gli stravolgimenti nei mercati europei portarono a una ridefinizione dei commerci internazionali e delle attività manifatturiere, che portò a un inesorabile declino di quelle attività che avevano reso Firenze ricca e potente durante il medioevo e il Rinascimento. In quel periodo le grandi famiglie aristocratiche iniziarono a convertire le proprie attività in terreni agricoli e latifondi, dalla rendita più stabile, dove venivano prodotti vari beni, tra i quali un posto preminente era legato proprio alla produzione vinicola.
Le buchette permettevano di vendere con discrezione il vino al minuto direttamente in strada, evitavano di ricorrere all'intermediazione degli osti e dovevano avere una clientela molto vasta, come dimostra la loro diffusione.
Altra utilizzazione di queste "buchette" riservata esclusivamente ai palazzi nobiliari, era quella di beneficenza. Infatti, si usava lasciare nel piccolo vano che, considerata la sua ridotta altezza da terra garantiva l'anonimato, cibo o una brocca di vino appunto per i più bisognosi.
Dal punto di vista architettonico le buchette aprivano su un vano al pian terreno del palazzo facilmente collegabile alla cantina, dove un servitore curava la vendita delle bottiglie del vino in determinate ore del giorno. Le aperture permettevano appena il passaggio di un fiasco e presentano quasi sempre una forma a porticina con un archetto superiore, spesso decorato da una cornice con punta a goccia, chiuso da una porticina in legno. Le eleganti cornici di pietra liscia o bugnata che gli conferivano un sobrio aspetto tanto da essere detti in antico "tabernacoli del vino".
Alcune buchette sono oggi murate, mentre altre riportano ancora lapidi che informano i clienti sugli orari di vendita stagionali. Le meglio conservate si trovano in via del Giglio e in via del Sole.

martedì 15 febbraio 2022

Brandy spagnolo





Il Brandy spagnolo è un distillato di vino con gradazione alcolica dal 36 al 40%.

Produzione

Le tecniche di distillazione del vino attraverso le quali si ricava il brandy possono essere:
  • Distillazione continua ad alta gradazione alcolica (oltre 90%) alambicco a colonna
  • Distillazione continua a bassa gradazione alcolica (dal 52 al 66%) alambicco a colonna
  • Distillazione singola in alambicco discontinuo tipo Charentais
  • Distillazione duplice in alambicchi discontinui tipo charentais, metodo usato nella distillazione del cognac

Invecchiamento

L'invecchiamento avviene in botti di rovere americano precedentemente utilizzate per l'invecchiamento di vino sherry. Il metodo di invecchiamento più elaborato e fine è detto Criaderas y Soleras.

Uve

Tra le uve dalle quali si ricava il vino per la distillazione si segnalano le seguenti:
  • Airen
  • Folle blanc
  • Macabeu
  • Palomino
  • Parellada
  • Ugni blanc
  • Xarel·lo
Per il brandy de Jerez si usa esclusivamente la varietà palomino e talvolta airen.

Categorie

  • Brandy de Jerez Solera: invecchiato per sei mesi in botte
  • Brandy de Jerez Solera Reserva: invecchiato per un anno in botte
  • Brandy de Jerez Solera Gran Reserva: invecchiato oltre tre anni in botte
La dicitura brandy de Jerez si riferisce solo ai prodotti invecchiati nella regione di Jerez. Il brandy de Jerez è l'unico tutelato da denominazione di origine. Per gli altri brandy valgono le stesse classificazioni ma senza "de Jerez" anteposto.

Produttori e marchi

  • Grupo Osborne
    • Veterano - brandy de Jerez solera
    • Carlos III - brandy de Jerez solera reserva
    • Carlos I - brandy de Jerez solera gran reserva
    • Carlos I Imperial - brandy de Jerez solera gran reserva
  • Domecq
    • Fundador - brandy de Jerez solera
  • Gonzales Byass
    • Soberano
    • Soberano 5
    • Soberano 8
    • Lepanto - brandy de Jerez solera gran reserva (12 anni)
    • Lepanto OV - Oloroso Viejo - brandy solera gran reserva (12 anni + 3 di affinamento)
    • Lepanto PX - Pedro Ximenez - brandy solera gran reserva (12 anni + 3 di affinamento)
  • Sanchez Romate Hermanos
    • Cardenal Mendoza Clasico - brandy de Jerez solera gran reserva
    • Cardenal Mendoza Lujo - brandy de Jerez solera gran reserva
    • Cardenal Mendoza Non Plus Ultra - brandy de Jerez solera gran reserva
    • Cardenal Mendoza Carta Real - brandy de Jerez solera gran reserva
    • Abolengo - brandy solera
    • Monseñor 5 - brandy solera
    • Monseñor 10 - brandy solera
    • Cisneros - brandy solera reserva
    • Uno en mil - brandy de Jerez solera gran reserva
  • Torres
    • Torres 5
    • Torres 10
    • Torres 20
    • Fontenac
    • Jaime I
    • Honorable
  • Williams & Humbert
    • 1877 - brandy de Jerez solera gran reserva
    • Marques de Misa - brandy de Jerez solera reserva
    • Williams - brandy de Jerez solera
    • Gran Duque d'Alba - brandy de Jerez solera gran reserva
    • Gran Duque d'Alba oro - brandy de Jerez solera gran reserva special
  • Bodegas 501
  • Bodegas Terry
  • Bodegas Lustau
    • Brandy de Jerez Solera Reserva
    • Brandy de Jerez Solera Gran Reserva
    • Brandy de Jerez Solera Gran Reserva Finest Selection
    • Brandy de Jerez Solera Gran Reserva Añada 1977

lunedì 14 febbraio 2022

Dark drink

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I dark drink (in inglese "bevanda scura") sono una categoria di cocktail, freddi o caldi, il cui ingrediente principale è il caffè, lungo o espresso, unito a distillati o liquori ed eventualmente panna (montata o semi-montata) o creme di gelato. Possono essere serviti in diversi tipi di bicchiere, inclusi il balloon e la coppa da champagne.

domenica 13 febbraio 2022

Cantina sociale

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Una cantina sociale è una cooperativa alla quale i soci conferiscono i prodotti dei propri vigneti per la produzione e lavorazione del vino e per la vendita all'ingrosso o al minuto.

Finalità

La vinificazione in forma associata ha tra le proprie finalità quella di realizzare economie di scala e consente l'acquisizione di attrezzature di vinificazione, l'assunzione di enologi e tecnici esperti e la messa in atto di tecniche di pubblicizzazione e commercializzazione dei prodotti che i soci singolarmente non si potrebbero permettere. Ciò rende la presenza delle cantine sociali più rilevante nelle regioni vinicole dove le aziende sono di piccole dimensioni, e dove l'associazionismo per alcune aziende diventa quindi quasi una necessità.
Inoltre dovrebbe premettere ai soci di remunerare in modo adeguato il proprio lavoro e di gestire l'azienda in forma trasparente, democratica e solidaristica.
Tra i vantaggi della vinificazione in forma cooperativa in molti paesi c'è anche la possibilità di accedere a finanziamenti pubblici specifici, come ad esempio quelli previsti dall'Unione europea.

Storia

Le prime cantine sociali furono costituite in Germania, dove in genere le cooperative per la vinificazione vengono chiamate Winzergenossenschaft. Le prime associazioni di questo tipo risalgono ad un periodo che precede l'adozione di specifiche leggi sull'associazionismo in agricoltura. Già nel 1834 una unione di viticoltori del Neckarsulm (Württemberg) produceva e comercializzava il mosto ottenuto dalla pigiatura dell'uva prodotta dai soci, vinificandone anche una parte. In Prussia nel 1867 venne adottata una legge sull'associazionismo (Genossenschaftsgesetz) che entrò in vigore in tutta la Confederazione Tedesca del Nord nel 1868. Una delle prime cooperative tra viticoltori fondata sulla base di tale legislazione, la Winzerverein Mayschoß, venne costituita nel 1868 a Mayschoß nella valle dell'Ahr ed è oggi la più antica cantina sociale tedesca tuttora in attività.
In Italia la fondazione della prima cantina sociale risale al 1891 ed avvenne ad Oleggio, in provincia di Novara.
In Francia viene citato a volte come prima cantina sociale (cave coopérative de vinification) quella fondata a Damery nel 1891 da Renè Lamarre, un agitatore politico che aveva come obiettivo quello di organizzare i vignaioli locali contro lo strapotere delle grandi case vinicole. L'esperimento ebbe vita breve e funzionò solo fino al 1893. Alcune delle più antiche cantine sociali francesi si trovano in Alsazia, come ad esempio quella di Ribeauvillé (Rappoltsweiler Winzerverein), fondata nel 1895 e tuttora in attività. Va però tenuto conto che tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX secolo la regione faceva parte dellImpero Tedesco.

Funzionamento

Le cantine sociali possono o meno prevedere il conferimento totale delle uve da parte dei soci. Questa condizione viene in genere stabilita nello statuto della cantina sociale, e può avere effetti anche importanti sulla qualità del vino prodotto. Il conferimento totale da parte dei soci evita il rischio che questi vinifichino in proprio le uve migliori oppure le vendano a vinificatori terzi nel caso che questi offrano loro un prezzo più alto. Comportamenti di questo tipo possono evidentemente mettere in forse la stabilità qualitativa e quantitativa dei vini prodotti dalla cantina. Proprio per questo gli statuti ed i regolamenti interni delle cantine prevedono a volte specifiche penalità a carico dei soci che non adempiono agli obblighi assunti per quanto riguarda il conferimento delle uve alla cantina. Non sempre le cantine sociali imbottigliano e commercializzano in proprio il vino prodotto, che a volte viene invece venduto ad imbottigliatori terzi.

Qualità dei prodotti

I vini prodotti dalle cantine sociali vengono a volte percepiti dal consumatore come di qualità medio-bassa e lontani dalla eccellenza qualitativa che possono offrire le case vinicole private più blasonate. Se questo può essere vero nel caso di alcune grandi cantine sociali le realtà più piccole si indirizzano invece spesso su prodotti di alta qualità, spesso decisamente di nicchia. In alcuni territori viticoli le cantine sociali nel loro complesso (e non solo quindi la singola realtà aziendale) vengono considerate dagli esperti del settore in grado di offrire prodotti di ottima qualità.

 
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