sabato 9 ottobre 2021

Rakija

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La rakia o rakija (in serbo e in macedone: ракија, in bulgaro: ракия, in albanese: rakia, croato e bosniaco: rakija) è un superalcolico simile al brandy e alla vodka, creato per distillazione o fermentazione di frutta, popolare nei Balcani. Il suo contenuto alcolico è normalmente del 40%, ma nella rakija fatta in casa può essere superiore, tipicamente dal 50 al 60%. Pripečenica è la rakija distillata due volte, con un tasso alcolico che può superare il 65%. Brlja (lett. casino) è il nome comune per la rakija di bassa qualità.
La rakija è considerata la bevanda nazionale della Serbia, della Croazia, della Bulgaria, della Bosnia ed Erzegovina, dell'Albania e della Repubblica di Macedonia. Nella forma più comune, slivovitz o Šljivovica, è prodotta con la prugna. Altri frutti comuni sono l'uva, le pesche, albicocche, le mele, i fichi e le amarene. La rakia fatta con le prugne e quella con l'uva possono essere mischiate dopo la distillazione con altri aromi, come erbe, miele, mele acerbe e noci. Šljivovica (di prugne, 50% di alcol), Kajsijevaca (di albicocche, 40-45%), Dunjevaca (di cotogno, 40% alcol), Visnja (di amarene, circa 42% di alcol), Viljamovka serba (di pere, 40% di alcol), Kupina (di more, 45%), Komovica (di uva, 50%), Travarica (di prugne con le erbe aggiunte dopo la distillazione), Medovaca serba (con miele) e Lozovača (di uva, 50% di alcol) sono i tipi più popolari di rakija in Serbia. Il 70% delle prugne raccolte in Serbia vanno a finire nella produzione della Sljivovica, la rakija è divenuta primo brand nazionale protetto del Paese nel 2007.
Esiste una tradizione molto forte nei paesi balcanici (Serbia, Albania, Croazia, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria e anche Romania) di distillare questo superalcolico in casa.
La tabella dei tipi di rakija, a seconda del frutto con la quale sono prodotti:

Frutti
nei paesi dell'ex-Jugoslavia
in Bulgaria
Tipi principali
prugna
šljivovica (slivovitz), сливова
сливова (slivova)
uva
lozovača/loza, лозова
гроздова (grozdova)
мускатова (muskatova)
resto del mosto (kom)
komovica, комова
джиброва (džibrova)
albicocca
kajsijevača
кайсиева (kajsieva)
pera
kruškovača, vilijamovka
крушева (kruševa)
mela
jabukovača
ябълкова (jabălkova)
mela cotogna
dunjevača
дюлева (djuleva)
fico
smokvovača
смокинова (smokinova)
Con aromi
con erbe
travarica/trava
билкова (bilkova)
con noci
orahovača/orahovica
орехова (orehova)
col miele
medovača/medenica
medeno žganje (in Slovenia)
греяна (grejana)
con amarena
višnjevac/višnjevača
черешова (čerešova)



Alcuni tipi di rakija sono mantenuti in botti di legno (di quercia o gelso) per un extra aroma e per il colore (marrone dorato).
La rakija si dovrebbe bere in speciali bicchieri (da 0.3 a 0.5 dl).
In Serbia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina e Montenegro è bevuta come aperitivo, generalmente accompagnata da un antipasto misto di salumi e formaggio.
in Albania è solitamente accompagnata ad'un pasto detto meze.
In Bulgaria è generalmente servita con insalata Shopska o verdure in salamoia (turšija). Un altro tipo è la rakija grejana, che è scaldata e addolcita con miele o zucchero.
  • Rakı, una bevanda simile prodotta in Turchia.
  • Țuică, una bevanda simile prodotta in Romania.
  • Palinka, una bevanda simile fatta in Ungheria.
  • Idromele, una bevanda alcolica derivata direttamente dal miele.

domenica 8 agosto 2021

Rakı



Il raki (in turco: rakı, in lingua turca ottomana: راقى) è un'acquavite a base di mais, o patate, oppure uva o prugne, aromatizzata infine con anice e menta. In Turchia, dove viene chiamato anche latte di leone, è considerato la bevanda nazionale, anche se nel 2013 il primo ministro conservatore Recep Tayyip Erdogan annunciò, in linea con le leggi introdotte per limitare le vendite di alcolici, che la bevanda nazionale deve essere invece considerata l'ayran, rinfrescante derivato dello yoghurt.
Si presenta come un liquido incolore con una gradazione alcolica minima del 40%. Il suo sapore è simile all'ouzo greco. Non deve essere confuso con l'omonima grappa bianca greca e albanese che, invece, è un distillato puro di vinaccia.
Il raki turco fu prodotto per la prima volta nel Seicento sulla base dei processi di distillazione iniziati nel mondo arabo, ed assunse il proprio sapore caratteristico con l'aggiunta di anice. Il famoso viaggiatore turco Evliya Çelebi scrisse un libro nel 1630 in cui menzionò gli artigiani di Istanbul, tra i quali già vi erano i produttori di raki; descrisse la bevanda come altamente tossica e peccaminosa e gli osti che la vendevano come maleducati e biasimevoli. A quel tempo vi erano in città 100 negozi/laboratori di produzione e vendita del raki che davano lavoro a 300 persone. Tra i vari tipi di raki descritti da Çelebi vi sono il vino di raki, e i raki alla banana, alla senape, al tiglio, alla cannella, al chiodo di garofano, al melograno e all'anice.
Il raki era inizialmente prodotto con i residui dell'uva dopo aver fatto il vino. Quando questi residui divennero insufficienti si iniziò ad importare alcolici dall'estero e ad aromatizzarli con anice, un processo che durò fino alla prima guerra mondiale. Nel periodo successivo la produzione aumentò e furono utilizzati uva passa, fichi secchi e more. I migliori raki di quel periodo erano quelli all'anice con le uvette senza semi di Çesme. Nel periodo in cui gli alcolici furono dichiarati illegali, la produzione del raki continuò di nascosto con diversi metodi artigianali e le autorità locali chiusero un occhio se la distillazione era fatta a regola d'arte.
Il raki si ottiene soprattutto dalla doppia distillazione di uva o fichi o prugne, ma anche di altri prodotti come grano, patate o datteri. Il prodotto può essere aromatizzato con anice (raki turco).
La parola raki contiene la radice araba rak che contraddistingue, in senso lato, le bevande alcoliche. Vi sono comunque diverse opinioni che riguardano l'origine della parola; alcuni sostengono che sia stato prodotto inizialmente in Iraq e abbia preso il nome di quel Paese. Altri pensano che il nome derivi dalle uve di tipo razaki con cui viene spesso prodotto. Un'altra ipotesi è che derivi dalla parola araba arak, letteralmente sudore, in quanto un consumo esagerato fa sudare molto o anche perché in fase di distillazione scende goccia a goccia, simili alle gocce di sudore.
Data la varietà di materie prime dalle quali si può distillare il raki, ne esistono diversi tipi tra i quali il più noto è l'ouzo greco. Nei Paesi vicini alla Turchia e nel Medio Oriente prende altri nomi tra cui araka, araki e ariki. In Iran una bevanda alcolica distillata in modo simile al raki con uve e datteri si chiama arak. Un'altra versione greca, ottenuta con l'aggiunta di gomma, viene chiamata mastika. Nei Paesi slavi è chiamato duziko il raki aromatizzato all'anice. In Turchia, il raki ottenuto dai residui delle uve prende il nome düz Rraki o hay raki. Il raki Zahle viene prodotto nella città libanese di Zahle. Nell'India orientale un distillato della canna da zucchero è chiamato arak. A Ceylon e in Malesia l'arak è invece distillato dal succo della palma da cocco.
In Turchia, il raki si degusta solitamente diluito con acqua e con l'aggiunta di cubetti di ghiaccio, anche se alcuni lo bevono puro sostenendo che l'aggiunta di ghiaccio ne compromette il gusto. Il raki si presenta incolore e con l'aggiunta di acqua diventa bianco. Si accompagna ad antipasti freddi e salati chiamati meze, ma non è raro berlo a tutto pasto. Le serate trascorse a cenare bevendo raki comprendono spesso cerimoniali e abitudini che fanno parte della tradizione turca. In Albania si degusta senza l'aggiunta di acqua e accompagna i pasti o anche il caffè.
Il raki è stato importato nei paesi che hanno subìto la dominazione turca fino all'Ottocento e, in particolare, nelle isole di Cipro e di Creta. Il nome raki in Grecia è poi passato ad indicare un distillato di vinacce, come la grappa, non aromatizzato. Lo stesso distillato a Creta prende il nome di tsikoudia, dal termine tsikouda (buccia d'uva).

sabato 7 agosto 2021

Poiré

Il poiré è una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione alcolica del succo di pera. È simile al sidro e si produce in Francia, in Québec, in Spagna, in Svezia, in California e in Gran Bretagna (nei paesi anglofoni ci si riferisce ad essa con il nome di Perry). Il tasso alcolico è superiore al 3%.
La denominazione di Sidro è stata utilizzata da alcuni produttori, non venendo però accettata, come ad esempio dalla Campaign for Real Ale nel Regno Unito.

venerdì 6 agosto 2021

Sidro


Il sidro è una bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione alcolica dei frutti delle mele e talvolta delle pere, i frutti di due piante coltivate delle Rosacee. La sua origine in Francia e in Normandia risale al Medioevo, ma la sua invenzione è antecedente. Più del 95% della produzione mondiale di sidro è realizzata con le mele, ma per gli intenditori il sidro con il miglior bouché pare che sia quello rarissimo di mele cotogne.
Questa bevanda è molto diffusa nel Regno Unito, maggior consumatore e produttore al mondo, in Francia (specie in Bretagna e Normandia), Spagna (dove la produzione è particolarmente concentrata nelle Asturie), Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Finlandia e Svizzera. In Italia è meno popolare ma la si può trovare nei pub di stile anglosassone e in numerosi supermercati.
La gradazione alcolica varia da 2 a 7%; il sapore acidulo è conferito dalla presenza di acido malico.
La parola "sidro" per indicare il succo di mele fermentato nasce nella lingua d'oil attorno al 1130-1140, ma precedentemente veniva chiamato auppegard, épégard, yébleron, sistr oppure sagarnoa o sagardoa per i marinai del Paese Basco (in basco, letteralmente "vino di mela"). In Grecia il sidro era conosciuto con i nomi semitici di σικερίτης sikerítēs o σίκερα síkera, dall'ebraico שכר šēkār, passato poi al latino sīcera, da cui deriva la parola moderna sidro.
La documentazione archeologica ha evidenziato il più antico sidro sinora noto in Spagna, nella Valle Ambrona della regione di Soria, con datazione alla metà del III millennio a.C.; l'analisi del residuo di un coccio di ceramica è corrisposto a quello di un sidro di pera selvatica. Sembra che le civiltà di Egitto e Bisanzio, poi anche quelle greche e romane amassero bere il sidro, tant'è che le prime notizie sulle piantagioni di melo risalgono al XIII secolo a.C., epoca in cui era certamente coltivato in Egitto e in Asia Minore. Il sidro fu menzionato da Plinio al suo ingresso in Austria, quando testimoniò che era tipico del luogo, utilizzato per fini curativi. Anche l'aceto di sidro di mele veniva utilizzato dai romani per dissetare e dagli Egizi per curare. Furono gli arabi che, mediante avanzati sistemi agricoli, ampliarono le varietà di mele e le tecniche per produrne in tutto il continente.
In Austria la produzione di sidro s'intensificò durante i secoli XII, XIII e XVIII, periodo dopo il quale l'aumentato consumo della bevanda impose l'aumento della superficie coltivata ad alberi di mele a scapito delle coltivazioni di cereali. Le mele e le pere erano usate in Gallia per la preparazione di bevande diverse, ma solo nel XIV sec. il sidro sostituì la cervogia in Normandia. L'origine del sidro nella Normandia meridionale risale al Medioevo, quando dalla zona di Biscaglia (Spagna) nel VI secolo da naviganti della zona di Dieppe, nel dipartimento francese della Senna Marittima. Nell'XV secolo divenne bevanda comune in Francia e nei paesi dell'Europa centrosettentrionale.
Questo prodotto viene documentato nei trattati tecnico-medici del 1588 del medico normanno Julien Le Paulmier, studioso dell'università di Caen e medico personale di Carlo IX e di Enrico III, dove vengono esaltate le proprietà terapeutiche, digestive, diuretiche e antinfluenzali del sidro.
Fu introdotto in Inghilterra nel 1066 da Guglielmo il Conquistatore e i primi documenti noti scrivono di produzione di sidro nelle campagne dello Herefordshire.
Il sidro commerciale viene prodotto dov'è possibile trovare in grande quantità le mele adatte alla produzione di questa bevanda e in particolare:
  • America del Nord, in Canada, nella provincia francofona del Québec, ove il sidro è una tradizione portata dai coloni normanni nel Seicento. Qui è nato un tipo particolare di sidro, il cosiddetto "sidro di ghiaccio";
  • Belgio, nella città di Herve (Vallonia) e nella provincia di Liegi;
  • Francia. Generalmente, le provincie dell'ovest, col paese basco al sud, e soprattutto più al nord-ovest la Normandia, sono i paesi del sidro. Ma tradizionalmente, oltre a queste, c'erano altre regioni di montagna, troppo fredde per il vino, ove il sidro era popolare. Oggi le regioni dov'è concentrata la maggiore produzione sono:
    • la Normandia;
    • la Bretagna
    • la Loira;
    • il Nord-Passo di Calais;
    • la Champagne-Ardenne;
    • la Savoia;
    • la Somme;
  • Germania, nella regione di Francoforte sul Meno, nella valle della Neckar e nella regione della Saar;
  • Isole del Canale;
  • Italia in Valle d'Aosta, in Piemonte e Friuli;
  • Regno Unito;
  • Irlanda;
  • Spagna:
    • le Asturie;
    • i Paesi Baschi;
    • la Cantabria
    • la Galizia;
Per la preparazione casalinga del sidro esistono svariate ricette.
Oltre al classico metodo basato sulla fermentazione naturale partendo dalla spremitura di mele o pere è possibile semplificare il processo partendo dal succo di mela preconfezionato. Si parte mettendo in una piccola damigiana da 5 litri circa 4 litri di succo di mela non zuccherato, succo di limone per correggere l'acidità, lievito di birra (in bustina o in panetto).
La fermentazione deve durare circa due settimane, ad una temperatura attorno ai 20 °C. Ove la temperatura fosse più alta, come capita normalmente nell'Europa meridionale al termine del periodo di maturazione delle mele o delle pere, il periodo di fermentazione dovrà evidentemente essere un po' più breve, essendo le reazioni biochimiche coinvolte nel processo più veloci. Per permettere lo sfogo del biossido di carbonio e impedire l'ingresso dell'ossigeno, il quale potrebbe stimolare l'acetificazione dell'alcol prodotto dalla fermentazione, è necessario apporre o un tappo colmatore (gorgogliatore), o – in mancanza – ingegnarsi con un doppio cappuccio di stagnola avendo avuto l'accortezza di traforarne quello inferiore.
In alternativa alle mele si possono usare le pere: la bevanda così ottenuta nei paesi anglosassoni prende il nome di perry e di poiré in quelli francofoni. Viene prodotto questo tipo di sidro anche in alcune valli friulane, dove prende il nome di piruçade (o klotz, dal nome della varietà di pera più diffusa in queste aree).
Il sidro (The Cyder, 1709) è il titolo di un poemetto in due canti del poeta inglese John Philips, ispirato alle Georgiche di Virgilio, nel quale si descrivono le tecniche e le strategie necessarie per produrre il sidro.
Nel celebre romanzo Madame Bovary, di Gustave Flaubert, si racconta come a Papà Rouault, padre di Emma, piacesse avere sempre il sidro forte in tavola, per esemplificare come l'uomo non badasse a spese quando si trattava del suo tenore di vita (I, 3).

giovedì 5 agosto 2021

Porto


Il porto, o vino di porto, è un vino liquoroso portoghese prodotto esclusivamente da uve provenienti dalla regione del Douro, nel nord del Portogallo, sita a circa 100 chilometri a est della città di Porto.
La peculiarità maggiore del porto, oltre al clima in cui maturano le uve, è la sua fermentazione incompleta, fermata (mutizzata) ad uno stadio iniziale tramite l'aggiunta di alcol vinico, ottenuto da distillazione del vino contenente circa il 77% di alcol. In questo modo il vino risulta naturalmente dolce - a causa del residuo zuccherino derivante dall'uva che i lieviti non hanno potuto trasformare interamente in alcool perché inibiti dalla concentrazione elevata di etanolo che può raggiungere livelli compresi tra il 19 e il 22%.
Sono noti sette tipi fondamentali di vino di porto: le categorie base, bianco, ruby e tawny, poi i tipi più pregiati, Tawny invecchiato (aged tawny può essere commercializzato dopo 10 anni di invecchiamento, fino a 40), Colheita, LBV (Late Bottled Vintage), e Vintage, in assoluto il più pregiato. Il vino di porto è tradizionalmente un assemblaggio, tra uve provenienti da diversi vigneti, vinificate con tecniche differenti, di diverse annate; tuttavia un nuovo tipo di prodotto detto Single quinta (proveniente da una sola tenuta), ha conosciuto un successo crescente negli ultimi anni.

Porto bianco

Il porto bianco è prodotto esclusivamente da uve bianche ed invecchia in grandi botti di legno di quercia, da oltre 20.000 litri. È un vino tipicamente giovane e fruttato ed è l'unico vino di porto classificato per grado di dolcezza. Esistono pertanto bianchi secchi, semi-secchi e dolci. Per via delle sue modalità di produzione, il porto bianco catalogato come "secco" non è mai completamente secco e conserva sempre parte della sua dolcezza iniziale.
Il porto bianco - normalmente giallo pallido quando giovane - col tempo tende a scurire diventando giallo-dorato e giallo-castano. Vi sono vini di porto bianco che data la loro età hanno assunto un colore ambrato tale da poter essere confusi per colore con tawny altrettanto vecchi.

Porto rosé

Dal 2008 alcune cantine producono il cosiddetto porto "pink", un rosato dal sapore leggero e fruttato.

Porto ruby

I ruby sono vini rossi ed anch'essi invecchiano in grandi botti. Per via del poco contatto con il legno - dovuto al basso rapporto superficie/volume - e della scarsa ossidazione, essi conservano a lungo le loro caratteristiche iniziali. Sono vini molto fruttati, dal colore rubino intenso e sapore di frutti rossi (frutti di bosco e prugna, per esempio), con le caratteristiche dei vini giovani.

Porto tawny

I tawny sono vini rossi prodotti con le stesse uve dei ruby, ma invecchiano in botti grandi solo per due-tre anni, dopo i quali vengono travasati in piccole botti da circa 550 litri. In queste botti il contatto con il legno e, tramite esso, con l'aria, è maggiore; i tawny "respirano" di più, ossidandosi e invecchiando più rapidamente dei ruby. In questo modo perdono nel tempo il colore originale rosso rubino per assumere una tonalità più chiara, ambrata, e sapore di frutta secca, tipo noci o mandorle. Con l'invecchiamento, i tawny guadagnano ulteriormente in complessità aromatica, rinforzando il sentore di frutta secca ed acquisendo sapori che vanno dal tostato al caffè, al cioccolato, al miele. Nei tawny molto vecchi il colore rosso iniziale va scomparendo e passa da tonalità castane-dorate al color ambra.

Categorie speciali

Il porto invecchiato fino e tre anni è considerato "Standard". Tutti gli altri porto che rimangono ad invecchiare nel legno per più tempo appartengono alla categoria speciali, questo è dovuto al fatto che sono prodotti con uve di alta qualità, in anni dove le condizioni climatiche hanno permesso una produzione eccezionale. Fanno parte della categoria "speciali": Reserva (riserva), Late Bottle Vintage LBV, Tawnies invecchiati, Vintage, e Colheita.

Porto "Reserva"

Porto "LBV"

Porto Late Bottled Vintage (LBV) è un porto Stile ruby di un solo anno selezionato per la sua elevata qualità e imbottigliato dopo un periodo di invecchiamento in botte che va da 4 a 6 anni. La maggior parte delle volte è pronto ad essere consumato al momento dell'acquisto. Se l'etichetta presenta la scritta LBV filtered (filtrato) significa che il suo invecchiamento è stato stabilizzato e quindi negli anni cambierà solo lievemente il suo aroma, mentre se presenta l'etichetta LBV unfiltered (non filtrato) il porto continuerà ad invecchiare in bottiglia. Questo Vino presenta un colore rosso rubino intenso, molto corposo, ricco e in bocca ha la caratteristica e la personalità di un vino di una sola vendemmia (uve di una sola annata).

Porto "Tawnies invecchiati"

I Tawnies sono vini ottenuti da uve rosse, invecchiati in botti di legno; ciò li espone a ossidazione graduale ad evaporazione. Come risultato dell'ossidazione, gradualmente il porto passa a un colore marrone dorato. L'esposizione all'ossigeno conferisce sapori di nocciola per il vino, che viene miscelato per corrispondere allo stile della casa produttrice. Un porto Tawny invecchiato è una miscela di vini che hanno trascorso più di tre anni in botti di legno, mescolati in modo tale da garantire il gusto tipico della casa produttrice. Una qualità superiore è quella del porto Tawny con indicazione di età. Esso rappresenta una miscela di diverse annate, rabboccate nelle loro botti per compensare l'evaporazione. Ufficialmente si possono vendere Tawny qualificati come: 10 anni, 20 anni, 30 anni e oltre 40 anni. Le categorie indicano un'età media che viene definita dal protocollo di miscelazione. Dopo l'imbottigliamento, un vino di porto invecchiato in botte per un tempo così lungo cessa sostanzialmente di evolvere. È anche possibile produrre una porto bianco invecchiato in questo modo, ma non tutti i produttori commercializzano vini di porto bianchi invecchiati.

Porto "Colheita"

Questo vino è analogo al Tawny ma proveniente da una sola vendemmia ed è invecchiato in barrica per un periodo di almeno 8 anni; come il Tawny invecchiato si presenta con colori che vanno dal castano fino all'ambra (all'aumentare dell'età). L'evoluzione si arresta sostanzialmente dopo l'imbottigliamento.

Porto "vintage"

Di gran lunga il porto più pregiato, prodotto con uve di una singola annata, invecchiato inizialmente in botte per un periodo di circa due anni per poi essere sottoposto ad un secondo invecchiamento in bottiglia che può durare molto a lungo (fino a 40 - 50 anni, e nelle annate migliori anche più di un secolo). Il suo prestigio è dato da un insieme di fattori, non ultimo la qualità delle uve raccolte, che, come nel caso di alcuni grandi vini italiani e francesi, qualora non raggiunga un alto standard non verrà impiegata per la produzione del "Vintage", ma solo per vini di qualità inferiore: in quella annata, quindi, non verrà prodotto alcun "Vintage". Il vino, per raggiungere la completa maturazione, necessita di lunghissimo invecchiamento: secondo alcuni produttori non andrebbe bevuto prima dei vent'anni, raggiungendo in molti casi età ben più mature. Alcuni produttori selezionano uve di una sola vigna, in questo caso il vino sarà un porto di "Quinta unica". A differenza di molte altre aree del mondo, in cui il singolo vigneto è valutato come Top qualità, nel porto, la singola Quinta, si classifica ad un gradino inferiore di qualità rispetto al Vintage porto. Il Single Quinta viene prodotto in annate buone ma non eccellenti, non dichiarate come "Vintage" dall'Instituto do Vinho do Porto.

mercoledì 4 agosto 2021

Madera

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Il madera (in portoghese madeira) è un vino liquoroso prodotto nell'arcipelago portoghese di Madera, nell'Oceano Atlantico, circa 700 chilometri ad ovest del Marocco.
Il vino liquoroso madera è nato in maniera casuale.
Nell'isola di madera veniva prodotto fin dal 1600, per consumo locale ed esportazione, un vino normale (non liquoroso) ottenuto utilizzando principalmente uve malvasia e verdelho; tuttavia in alcune zone dell'isola, a causa del clima, le uve non raggiungevano un sufficiente tenore zuccherino per cui, al fine di attenuare l'acidità del prodotto finito, al vino veniva aggiunto dello zucchero di canna o alcol da zucchero di canna.
Col tempo si scoprì che questo vino, rinforzato con lo zucchero o con l'alcol, riusciva a mantenere al meglio le proprie caratteristiche, ed in alcuni casi a migliorarle, anche durante i viaggi in nave e nonostante gli sbalzi termici e le sollecitazioni meccaniche a cui veniva sottoposto; si rilevò anche che due attraversamenti dell'equatore determinavano una migliore maturazione del vino.
Sulla base di queste esperienze venne definito il metodo di vinificazione del madera.
Il metodo di vinificazione consiste nel sottoporre il vino per alcuni mesi ad alte temperature (intorno ai 50 °C), utilizzando dei contenitori appositamente costruiti per questo scopo e chiamati estufas (stufe).
Questi contenitori sono fatti di pietra e sono divisi in compartimenti riscaldati con aria calda derivata da un sistema di stufe.
Questo processo ha, come detto, lo scopo di simulare gli effetti subiti dal vino contenuto nelle botti che venivano trasportate per lunghi viaggi in nave, attraversando anche zone a clima tropicale.
Gran parte del sapore caratteristico del madera è dovuto a questa pratica, che comporta una accelerazione del processo di maturazione del vino; inoltre il vino stesso viene deliberatamente tenuto a contatto con l'aria, provocando un ulteriore processo di ossidazione; non a caso, quando si degusta un vino eccessivamente invecchiato in bottiglia, si dice che è maderizzato.
L'esposizione a temperature elevate e l'ossidazione favoriscono la stabilità del vino; una bottiglia aperta di madera manterrà le sue caratteristiche organolettiche per molti mesi.
Se correttamente imbottigliato e conservato, il madera è uno dei vini più longevi, in grado di essere bevuto anche dopo cento e più anni.
I vari tipi madera si differenziano a seconda dei vitigni utilizzati ovvero del grado di dolcezza.
Ci sono quattro tipi di madera, indicati o con il nome del vitigno (se presente in percentuale maggiore dell'85%) o con il grado di dolcezza (che corrisponde approssimativamente alle varietà dei vitigni componenti):
  • il Malmsey (Malvasia), il più dolce (indicato anche con il termine di ricco);
  • il Boal, semi-dolce (indicato anche con il termine di dolce);
  • il Verdelho, semi-secco (indicato anche con il termine di medio);
  • il Sercial, il più secco (indicato anche con il termine di secco).
In passato esisteva anche il Terrantez, varietà di vitigno caratterizzato da intensi profumi ma ora pressoché scomparso.
Il madera può inoltre essere etichettato come millesimato (vintage) se prodotto con uve di un singolo vitigno, di una singola annata, ed invecchiato per più di 20 anni; oppure come solera con indicazione dell'invecchiamento (3, 5, 10 o 15 anni).
  • Il madera era il solo vino che poteva essere esportato verso le colonie inglesi d'America senza transitare per un porto britannico.
  • Napoleone Bonaparte, di passaggio a Madera durante il suo viaggio verso l'esilio di Sant'Elena, ricevette in dono del madera dal governatore inglese dell'arcipelago.
  • Il madera venne utilizzato da Thomas Jefferson per brindare alla firma della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti d'America.
  • Durante il proibizionismo, che comportò un forte calo delle importazioni del madera negli Stati Uniti, il vino venne esportato quasi totalmente in Francia, dove veniva utilizzato principalmente per la preparazione della sauce madère (salsa al madera).

martedì 3 agosto 2021

Marsala


Il Marsala è un vino liquoroso (o fortificato) a Denominazione di Origine Controllata (DOC) prodotto in Sicilia, principalmente Marsala - da cui trae il nome - ed in tutto il territorio della provincia di Trapani, con esclusione dei comuni di Pantelleria, Favignana ed Alcamo.
La versione più accreditata sulla nascita del Marsala come vino liquoroso (o fortificato) è incentrata sulla figura del commerciante inglese John Woodhouse il quale nel 1773 approdò con la nave su cui viaggiava nel porto di Marsala.
Secondo la tradizione, durante la sosta egli ebbe modo, insieme al resto dell'equipaggio, di gustare il vino prodotto nella zona, che veniva invecchiato in botti di legno di rovere assumendo un gusto analogo ai vini spagnoli e portoghesi molto diffusi in quel periodo in Inghilterra.
In realtà gli inglesi ben conoscevano i vini dell'agro marsalese, in quanto da decenni si fermavano nello specchio d'acqua antistante il porto di Marsala per caricare con l'ausilio di apposite barche a basso pescaggio, detti schifazzi, varie vettovaglie, acqua, viveri e, per l'appunto, i vini. È doveroso ricordare che all'epoca il Mediterraneo era assai frequentato da imbarcazioni inglesi, spagnole e francesi, che si contendevano il predominio di Mare Nostrum: Malta diventò terra inglese nel 1800. Il metodo di invecchiamento utilizzato dalla gente del luogo, denominato in perpetuum, consisteva nel rabboccare le botti che contenevano una parte del vino consumato durante l'anno con il vino di nuova produzione, in maniera da conservarne le caratteristiche.
Il vino così trattato piacque a tal punto che Woodhouse decise di imbarcarne una cinquantina di barili, addizionandolo però con acquavite di vino, al fine di elevarne il tenore alcolico e di preservarne le caratteristiche durante il lungo viaggio in mare.
Quel vino siciliano meno costoso riscosse in Inghilterra un grande successo, tanto che Woodhouse decise di ritornare in Sicilia e di iniziarne la produzione e la commercializzazione, utilizzando per l'affinamento il metodo soleras.
Il metodo soleras, già conosciuto in Portogallo ed in Spagna per la produzione rispettivamente del Madeira e dello Sherry, consisteva nel disporre delle botti di rovere su alcune file sovrapposte, iniziando a riempire di vino solo le botti più in alto; dopo un anno una parte del vino veniva travasato nelle botti che si trovavano al livello inferiore, e quelle superiori venivano riempite con il nuovo vino, ed il procedimento si ripeteva di anno in anno; in tale maniera il vino che si trovava nelle botti alla base, pronto per il consumo, risultava composto da uve di annate diverse, e di anno in anno si arricchiva di particolari sapori.
Nel 1833 l'imprenditore palermitano, di origine calabrese, Vincenzo Florio, iniziò a Marsala la produzione di vino Marsala in concorrenza con le aziende inglesi, fondando le Cantine Florio. Nel 1853 la produzione del Marsala ammontò a 6.900 botti, di cui il 23% prodotto dalle cantine Florio, il 19% dalle cantine Woodhouse ed il 58% dalle cantine Ingham & Whitaker. Successivamente la Florio acquisì lo stabilimento Woodhouse, divenendo il primo produttore. Nacquero anche produttori locali: Don Diego Rallo (1860), Vito Curatolo Arini (1875) e la Carlo Pellegrino (1880), ancora oggi tra i maggiori produttori di marsala. Nel 1920 la Cinzano acquisì le cantine Florio e diversi stabilimenti, unificando la produzione sotto il marchio Florio.
La fortuna del vino Marsala ha conosciuto alterne vicende. Una grave crisi attraversò la città e il suo vino dopo la prima guerra mondiale soprattutto per l'operare di commercianti privi di scrupoli che sfruttavano la fama del Marsala per vendere prodotti di qualità scadente.
Per questo, già nel 1931 venivano mossi i primi passi verso una legislazione che proteggesse il Marsala originale dalle imitazioni e che ne circoscrivesse la zona di produzione, e fu tutelato dal governo, con un decreto degli allora ministri Acerbo e Bottai (D.M. 15 ottobre 1931).
Il vino Marsala è stato il primo vino DOC della storia vinicola siciliana. Un grande orgoglio per quanti lo producono e per tutto il territorio è stato infatti il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata nel 1969. Il disciplinare di produzione è stato aggiornato nel 1986 e nel 1995.
Un Consorzio per la tutela del vino Marsala DOC è nato nel 1963 ad iniziativa dei produttori, e riconosciuto nel 2003 dal ministero delle Politiche agricole.
  • Marsala oro e ambra: Grillo e/o Catarratto e/o Ansonica (detto localmente Inzolia) e/o Damaschino;
  • Marsala rubino: Perricone (localmente chiamato Pignatello) e/o Nero d'Avola e/o Nerello mascalese e/o (fino al 30% delle uve impegnate in totale) le uve a bacca bianca previste per i Marsala oro ed ambra.
Come forme di coltivazione di tali vitigni sono ammesse tutte quelle "verticali", come spalliera e controspalliera, ma è particolarmente raccomandato l'"alberello".
Sono inoltre vietate tutte le pratiche di "forzatura", ma con l'eccezione della irrigazione di soccorso.
La resa massima di uve non deve superare le 10 tonnellate per ettaro per i vitigni a bacca bianca e le 9 tonnellate per ettaro per i vitigni a bacca nera.
Il Marsala è un vino liquoroso. Durante la fermentazione si effettuano i travasi che favoriscono l'ossidazione del vino; alla fine della fermentazione si procede all'aggiunta di etanolo (alcol etilico) di origine vitivinicola e/o di acquavite di vino, al fine di elevare il tenore alcolico, e dopo si procede all'invecchiamento.
La resa massima delle uve in mosto non deve essere superiore all'80% e quelle delle uve in vino base non superiore al 75%.
Tutte le operazioni di elaborazione a partire dalle uve che sono necessarie per ottenere un Marsala pronto al consumo dopo l'invecchiamento, devon essere effettuate nella zona di produzione.
Senza considerare per il momento le vecchie denominazioni che, non più inserite nel disciplinare, sono però tuttora tollerate, il Marsala si presenta oggi sul mercato con due distinte categorie:

Marsala vergine

Il Marsala "vergine" è di due tipologie in funzione del periodo di invecchiamento:
  • Marsala vergine denominato anche "Marsala soleras", con invecchiamento di almeno cinque anni;
  • Marsala vergine riserva denominato anche "Marsala soleras riserva" o Marsala vergine stravecchio o Marsala soleras stravecchio, con invecchiamento di almeno dieci anni.
Nonostante quello che si crede o, erroneamente, è anche riportato sul web, il Marsala di questa tipologia mutua solo il nome ma non (più) la tecnica soleras che invece è utilizzata per il jerez e altri pochi famosi vini (fortificati o meno) ottenuti tramite questo metodo. L'invecchiamento del marsala soleras, descritto nel relativo disciplinare DOC, è di tipo ordinario (botte di legno).

Marsala conciato

a cui, dopo la fermentazione, è stato aggiunto:
  • etanolo
  • mosto cotto, che influirà sugli aromi ed il colore del vino
  • mistella (o sifone) cioè una miscela di mosto d'uva tardiva che influisce sul grado zuccherino e sui profumi, e mosto concentrato per conferire maggiore morbidezza ai quali si aggiunge etanolo per bloccare la fermentazione.
il Marsala "conciato" deve essere anch'esso sottoposto ad invecchiamento per arrivare alla commercializzazione nei seguenti tipi:
  • Marsala fine, minimo 1 anno di invecchiamento.
  • Marsala superiore, minimo 2 anni di invecchiamento.
  • Marsala superiore riserva, minimo 4 anni di invecchiamento.
Ciascuna delle seguenti denominazioni dà luogo a ulteriori suddivisioni per tenere conto del colore:
  • oro, prodotto da uve a bacca bianca, è vietata l'aggiunta di mosto cotto.
  • ambra, prodotto da uve a bacca bianca, con aggiunta di mosto cotto superiore all'1%.
  • rubino, prodotto da uve a bacca nera, con eventuale aggiunta massima del 30% di uve a bacca bianca; è vietata l'aggiunta di mosto cotto.
e del residuo zuccherino:
  • secco, con zuccheri inferiori a 40 gr. per litro
  • semisecco, con zuccheri superiori a 40 gr. per litro e inferiori a 100 gr. per litro
  • dolce, con zuccheri superiori a 100 gr. per litro
Infine il disciplinare approvato con la legge n.851/1984 prevede che con il termine Cremovo possono essere indicati quei vini aromatizzati che utilizzano almeno l'80% di vino Marsala e una gradazione non inferiore a 16 gradi.
Il disciplinare di produzione (DPR 2 aprile 1969) prevede la possibilità di aggiungere in etichetta alcune sigle derivanti dalle antiche denominazioni dei vari prodotti.
Il Marsala Fine può riportare la sigla I.P. (Italia Particolare).
Il Marsala Superiore può riportare le sigle S.O.M. (Superiore Old Marsala), L.P. (London Particular), G.D o Garibaldi Dolce. Quest'ultima denominazione risale ad una visita allo stabilimento Florio di Marsala che effettuò il Generale dei Due Mondi nel 1862, dopo l'unificazione dell'Italia. Egli, appassionato di buoni vini ma non particolarmente competente, fu particolarmente colpito da un vino molto dolce ancora in lavorazione e destinato a successivi tagli: in suo onore questo vino entrò in produzione e prese il nome di Garibaldi Dolce.
Alcune denominazioni sono ancora consentite dal Disciplinare, ma solo a corredo della classificazione "ortodossa". Osservando le etichette, potrete ancora ritrovarci impresso "S.O.M.", e leggervi Superior Old Marsala, oppure "G.D.", il Superiore Garibaldi Dolce di cui vi abbiamo già parlato, più raramente "L.P.", London Particular, un'altra qualità di Superiore, meno secco del "S.O.M.". Frequentemente, il Marsala Fine si chiamerà, invece, "I.P.", Italian Particular. Altre denominazioni, come "O.P." (Old Particular), C.O.M. (Choice Old Marsala), P.G. (Particular Genuin), P.D. (Pale Dry) ed I.M.(Italian Marsala), ed ancora "Parigi", "Stromboli", "Trinacria", "Margherita", "Erice dolce", insieme a tante altre di cui si è persa qualsiasi traccia, appartengono, ormai, soltanto alla gloriosa Storia di questo vino.
Molti gli stabilimenti della provincia di Trapani dove si produce, tra cui quelli di Ingham-Whitaker, Florio, Martinez, Pellegrino, Vito Curatolo Arini, Pietro Pipitone Spanò, Rallo, Mineo, Intorcia, Bianchi, Baglio Hopps, Alagna, Alcesti, De Bartoli, Fina, Fici, Vinci, Galfano, Lombardo, Casano.
Si narra che Woodhouse, dopo aver scoperto la bontà del vino autoprodotto dai marsalesi, prelevò un piccolo quantitativo che in Inghilterra non fu apprezzato poiché presentato come un vino povero e di basso rango. L'imprenditore, successivamente, lo fece riassaporare agli inglesi, stavolta presentandolo come un grande prodotto. Gli Inglesi rimasero sbalorditi dalla bontà del Vino Marsala, finanziandone così la produzione.
La produzione del Vino a Marsala avviò nel XIX e XX secolo un business miliardario, tant'è che nacquero in Sicilia almeno duecento "bagli" (aziende vinicole) che esportarono il vino Marsala in tutto il mondo. Questo business che fece della Città Lilybetana una delle città più ricche dell'Isola, oggi si è molto affievolito anche a causa delle mode e a produrre vini Marsala oggi non sono più di una ventina di cantine.
Un altro imprenditore inglese, Ingham, ha costruito nella seconda metà dell'Ottocento una residenza. Una villa con porticati bellissimi, marmi pregiati, verande con colonne, pregiati affreschi sui muri. La Villa Ingham è stata abbandonata per 60 anni (fino al 1940 era un deposito) e oggi è sul punto di crollare. Nonostante questo il suo fascino rimane immutato. All'interno si trovavano innumerevoli documenti, bottiglie ed etichette della Florio degli anni 30-40-50: oggi pare non ci sia più nulla di questi arredi ed effetti di famiglia.
 
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