lunedì 21 giugno 2021

pisco sour



Un pisco sour è un cocktail alcolico di origine peruviana tipico delle cucine del Perù e del Cile. Il nome della bevanda deriva da pisco, che è il suo liquore di base, e dal termine cocktail sour, in riferimento al succo di agrumi aspro e ai componenti dolcificanti. Il pisco sour peruviano utilizza il pisco peruviano come liquore di base e aggiunge succo di lime appena spremuto, sciroppo semplice, ghiaccio, albume d'uovo e angostura. La versione cilena è simile, ma utilizza il pisco cileno e il lime Pica, ed esclude l'amaro e l'albume. Altre varianti del cocktail includono quelle create con frutti come l' ananas o piante come le foglie di coca.

Sebbene la preparazione di miscele di bevande a base di pisco risalga probabilmente al 1700, storici ed esperti di bevande concordano sul fatto che il cocktail come è noto oggi sia stato inventato nei primi anni '20 a Lima, la capitale del Perù, dal barista americano Victor Vaughen Morris. Morris lasciò gli Stati Uniti nel 1903 per lavorare a Cerro de Pasco, una città nel Perù centrale. Nel 1916 aprì il Morris' Bar a Lima e il suo saloon divenne rapidamente un luogo popolare per l'alta borghesia peruviana e gli stranieri di lingua inglese. Le più antiche menzioni conosciute del pisco sour si trovano negli annunci pubblicitari di giornali e riviste, risalenti ai primi anni '20, per Morris e il suo bar pubblicati in Perù e Cile. Il pisco sour ha subito diverse modifiche fino a quando Mario Bruiget, un barista peruviano che lavora al Morris' Bar, ha creato la moderna ricetta peruviana del cocktail nella seconda parte degli anni '20 aggiungendo al mix l'amaro Angostura e gli albumi d'uovo.

Gli intenditori di cocktail considerano il pisco sour un classico sudamericano. Cile e Perù rivendicano entrambi il pisco sour come bevanda nazionale e ciascuno afferma la proprietà del liquore base del cocktail: il pisco; di conseguenza, il pisco sour è diventato un argomento significativo e spesso dibattuto dell'America Latina cultura popolare. Fonti dei media e celebrità che commentano la controversia spesso esprimono la loro preferenza per una versione del cocktail rispetto all'altra, a volte solo per provocare polemiche. Alcuni produttori di pisco hanno notato che la controversia aiuta a promuovere l'interesse per la bevanda. I due tipi di pisco e le due varianti nello stile di preparazione del pisco sour sono distinti sia nella produzione che nel gusto. Il Perù celebra un giorno festivo annuale in onore del cocktail durante il primo sabato di febbraio.

Il termine acido si riferisce a bevande miste contenenti un liquore di base (bourbon o qualche altro whisky), succo di limone o lime e un dolcificante. Pisco si riferisce al liquore di base utilizzato nel cocktail. La parola applicata alla bevanda alcolica deriva dal porto peruviano di Pisco. Nel libro America Latina e Caraibi, lo storico Olwyn Blouet e il geografo politico Brian Blouet descrivono lo sviluppo dei vigneti nel primo Perù coloniale e come nella seconda metà del XVI secolo si formò un mercato per il liquore a causa della domanda dei crescenti insediamenti minerari nelle Ande. La successiva richiesta di una bevanda più forte indusse Pisco e la vicina città di Ica ad istituire distillerie"per trasformare il vino in acquavite", e il prodotto ricevette il nome del porto da cui veniva distillato ed esportato.

Le prime viti furono portate in Perù poco dopo la sua conquista da parte della Spagna nel XVI secolo. I cronisti spagnoli dell'epoca annotano che la prima vinificazione in Sud America avvenne nella hacienda Marcahuasi di Cuzco. I vigneti più grandi e importanti delle Americhe del XVI e XVII secolo furono stabiliti nella valle di Ica, nel Perù centro-meridionale. Nel 1540, Bartolomé de Terrazas e Francisco de Carabantes piantarono vigneti in Perù. Carabantes stabilì anche vigneti a Ica, da dove gli spagnoli dell'Andalusia e dell'Estremaduraha introdotto la vite in Cile.

Già nel XVI secolo, coloni spagnoli in Cile e Perù iniziarono a produrre aguardiente distillato da uve fermentate. Almeno dal 1764, l'aguardiente peruviano fu chiamato"pisco"dal suo porto di spedizione; l'uso del nome"pisco"per aguardiente si diffuse poi in Cile. Il diritto di produrre e commercializzare il pisco, ancora prodotto in Perù e Cile, è oggetto di controversie in corso tra i due paesi.

Secondo lo storico Luciano Revoredo, la preparazione del pisco al limone risale addirittura al XVIII secolo. Basa la sua affermazione su una fonte trovata nel Mercurio Peruano che dettaglia il divieto di aguardiente nella Plaza de toros de Acho di Lima, la più antica arena delle Americhe. A quel tempo, la bevanda si chiamava Punche (Punch), ed era venduta dagli schiavi. Revoredo sostiene inoltre che questa bevanda sia stata il predecessore del punch californiano Pisco, inventato da Duncan Nicol nel Bank Exchange Bar di San Francisco, in California. Secondo un notiziario del 1921 del West Coast Leader, un giornale in lingua inglese dal Perù, un saloon nel quartiere a luci rosse della Barbary Coast di San Francisco"era famoso per il suo 'Pisco Sours'"durante"i vecchi giorni pre- Volstead". L'esperto di cucina Duggan McDonnell ritiene che ciò attribuisca la popolarità (non l'origine) di un cocktail pisco a San Francisco risalente a prima del terremoto del 1906 che distrusse la Barbary Coast. Inoltre, una ricetta per un punch a base di pisco, compresi gli albumi, è stata trovata dal ricercatore Nico Vera nel libro di cucina peruviano del 1903 Manual de Cocina a la Criolla; di conseguenza, McDonnell ritiene che" è del tutto possibile che il 'Cocktail' che divenne il pisco sour [...] fosse stato preparato per un tempo ragionevole a Lima prima di essere incluso in un libro di cucina".

Il pisco sour è originario di Lima, in Perù. È stato creato dal barista Victor Vaughen Morris, un americano che si era trasferito in Perù nel 1904 per lavorare in una compagnia ferroviaria a Cerro de Pasco. Morris si trasferì a Lima nel 1915 e, un anno dopo, aprì un saloon, il Morris' Bar, che divenne popolare sia tra l'alta borghesia peruviana che tra gli stranieri di lingua inglese. Anche lo storico cileno Gonzalo Vial Correa attribuisce l'invenzione del pisco sour a Gringo Morris del peruviano Morris Bar, ma con la piccola differenza di chiamarlo William Morris. Morris, che sperimentò spesso nuove bevande, sviluppò il pisco sour come variante del whisky sour.

Esistono alcune discrepanze sulla data esatta in cui Morris ha creato il popolare cocktail. Il mixologist Dale DeGroff afferma che la bevanda è stata inventata nel 1915, ma altre fonti sostengono che ciò sia accaduto negli anni '20. Il giornale web cileno El Mercurio Online sostiene specificamente che gli storici attribuiscono l'anno dell'invenzione della bevanda al 1922, aggiungendo che"una notte Morris sorprese i suoi amici con una nuova bevanda che chiamò pisco sour, una formula che mescola il pisco peruviano con il Sour americano"(in spagnolo:"Una noche Morris sorprendió a sus amigos con una nueva bebida a la que llamó pisco sour, una fórmula que funde lo peruano del pisco con el 'sour' estadounidense.").

La ricetta iniziale del pisco sour era quella di un semplice cocktail. Secondo il ricercatore peruviano Guillermo Toro-Lira,"si presume che fosse una miscela grezza di pisco con succo di lime e zucchero, come era il whisky sour di quei giorni". Mentre la ricetta del cocktail continuava ad evolversi, il registro del bar mostra che i clienti hanno commentato il gusto in continuo miglioramento della bevanda. La moderna versione peruviana della ricetta è stata sviluppata da Mario Bruiget, un peruviano di Chincha Alta che ha lavorato sotto l' apprendistato di Morris a partire dal 16 luglio 1924. La ricetta di Bruiget ha aggiunto al mix l'amaro Angostura e gli albumi d'uovo. La giornalista Erica Duecy scrive che l'innovazione di Bruiget ha aggiunto"una consistenza setosa e una schiuma schiumosa"al cocktail. Morris ha usato la pubblicità per promuovere il suo bar e la sua invenzione. La più antica menzione conosciuta del pisco sour appare nell'edizione di settembre 1920 della rivista peruviana Hogar. Un'altra vecchia pubblicità appare nell'edizione del 22 aprile 1921 della rivista peruviana Mundial. Nella rivista, non solo il pisco sour è descritto come una bevanda di colore bianco, ma la sua invenzione è attribuita a"Mister Morris". Più tardi, nel 1924, con l'aiuto dell'amico di Morris Nelson Rounsevell, il bar pubblicizzò il suo locale e la sua invenzione a Valparaíso, in Cile. L'annuncio è apparso sul quotidiano Valparaíso South Pacific Mail, di proprietà di Rounsevell. Nel 1927, il Morris' Bar aveva raggiunto una notevole notorietà per i suoi cocktail, in particolare il pisco sour. Brad Thomas Parsons scrive che"il registro del Morris Bar era pieno di elogi da parte dei visitatori che erano entusiasti del drink d'autore".

Nel tempo, la concorrenza dei bar vicini e il deterioramento della salute di Victor Morris hanno portato al declino e alla caduta della sua impresa. A causa della sua costituzione in peggioramento, Morris ha delegato la maggior parte del bartending ai suoi dipendenti. In aggiunta al problema, i concorrenti vicini, come l' Hotel Bolívar e l'Hotel Lima Country Club, ospitavano bar che allontanavano la clientela dal Morris' Bar. Inoltre, Toro-Lira ha scoperto che Morris ha accusato quattro dei suoi ex baristi di furto di proprietà intellettuale dopo che erano partiti per lavorare in uno di questi stabilimenti concorrenti. Nel 1929, Morris dichiarò bancarotta volontaria e chiuse il suo saloon. Pochi mesi dopo, l'11 giugno, Victor Vaughen Morris morì di cirrosi.

Lo storico Luis Alberto Sánchez scrive che, dopo che Morris ha chiuso il suo bar, alcuni dei suoi baristi sono partiti per lavorare in altri locali. Bruiget iniziò a lavorare come barista per il vicino Grand Hotel Maury, dove continuò a servire la sua ricetta del pisco sour. Il suo successo con la bevanda ha portato la tradizione orale locale di Limea ad associare l'Hotel Maury come la casa originale del pisco sour. Poiché altri ex apprendisti di Morris trovarono lavoro altrove, diffusero anche la ricetta del pisco sour. Almeno dal 1927, i pisco sours iniziarono a essere venduti in Cile, in particolare al Club de la Unión, un club per gentiluomini di alta classe nel centro di Santiago. Durante gli anni '30, la bevanda si fece strada in California, raggiungendo bar a nord fino alla città di San Francisco. Almeno verso la fine degli anni '60, il cocktail arrivò anche a New York.

Beatriz Jiménez, giornalista del quotidiano spagnolo El Mundo, indica che in Perù, gli hotel di lusso di Lima hanno adottato il pisco sour come proprio negli anni '40. Un'abbondanza di petrolio attirò l'attenzione straniera sul Perù negli anni '40 e '50. Tra i visitatori di Lima c'erano famosi attori di Hollywood che erano affascinati dal pisco sour. Jiménez ha ricordato le tradizioni orali secondo cui un'ubriaca Ava Gardner doveva essere portata via da John Wayne dopo aver bevuto troppi pisco sour. Si dice che Ernest Hemingway e Orson Welles fossero grandi fan di quella che hanno descritto come"quella bevanda peruviana".

Nel 1984, il giornalista boliviano Ted Córdova Claure scrive che l'Hotel Bolívar era un monumento alla decadenza dell'oligarchia peruviana (in spagnolo:"Este hotel es un monumento a la decadencia de la oligarquía peruana."). Ha notato che il locale è la casa tradizionale del pisco sour e lo ha consigliato come uno dei migliori hotel di Lima. Al giorno d'oggi, l'Hotel Bolivar continua ad offrire il cocktail nel suo bar"El Bolivarcito", mentre il Country Club Lima Hotel offre il drink nel suo saloon"English Bar".

Il pisco sour ha tre diversi metodi di preparazione. Il cocktail pisco sour peruviano si ottiene mescolando il pisco peruviano con succo di lime Key, sciroppo semplice, albume d'uovo, bitter Angostura (per guarnire ) e cubetti di ghiaccio. Il cocktail pisco sour cileno si ottiene mescolando il pisco cileno con succo di limón de Pica, zucchero a velo e cubetti di ghiaccio. Daniel Joelson, scrittore e critico gastronomico, sostiene che la principale differenza tra le due versioni pisco sour"è che i peruviani generalmente includono gli albumi, mentre i cileni no". La versione delInternational Bartenders Association, che annovera il pisco sour tra i suoi"New Era Drinks", è simile alla versione peruviana, ma con la differenza che utilizza il succo di limone, al posto del succo di lime, e non distingue tra i due diversi tipi di pisco.

Esistono notevoli variazioni nel pisco utilizzato nei cocktail. Secondo l'esperto di enogastronomia Mark Spivak, la differenza sta nel modo in cui vengono prodotte entrambe le bevande; mentre"il pisco cileno è prodotto in serie", la versione peruviana"è prodotta in piccoli lotti". Lo storico dei cocktail Andrew Bohrer concentra il suo confronto sul gusto, affermando che" in Perù, il pisco è fatto in un alambicco, distillato fino alla prova e non invecchiato; è molto simile alla grappa. In Cile, il pisco è fatto in un alambicco a colonna e invecchiato in legno; è simile a un cognac molto leggero." L' enologo cileno Patricio Tapia aggiunge che mentre i produttori di pisco cileni di solito mescolano ceppi di vite,qualità aromatiche di vitigni come Moscato Giallo e Italia. Tapia conclude che questo è il motivo per cui le bottiglie di pisco peruviano indicano la loro annata e le versioni cilene no.

Esistono varianti del pisco sour in Perù, Bolivia e Cile. Ci sono adattamenti del cocktail in Perù usando frutti come maracuya, aguaymanto e mele, o ingredienti tradizionali come la foglia di coca. In Cile, le varianti includono l'Ají Sour (con un peperoncino verde piccante), il Mango Sour (con succo di mango ) e il Sour de Campo (con zenzero e miele). In Bolivia, la variante Yunqueño (dalla sua regione Yungas ) sostituisce il lime con il succo d'arancia.

Cocktail simili al pisco sour includono la Piscola cilena e il cocktail peruviano Algarrobina. La piscola si ottiene mescolando il pisco con la cola. Il cocktail Algarrobina è composto da pisco, latte condensato e linfa dell'albero di algarroba peruviano. Un altro cocktail simile, dagli Stati Uniti, è il pisco californiano, originariamente preparato con pisco peruviano, ananas e limone.

Duggan McDonnell descrive il pisco sour come"il cocktail più elegante dell'America Latina, schiumoso, equilibrato, luminoso ma ricco", aggiungendo che"i baristi di tutta la California settentrionale attesteranno di aver shakerato molti Pisco sour. È il cocktail di albume preferito e una persona assolutamente amata dai più." La giornalista australiana Kate Schneider scrive che il pisco sour"è diventato così famoso che c'è una celebrazione della Giornata Internazionale del Pisco Sour il primo sabato di febbraio di ogni anno, così come una pagina Facebook con più di 600.000 Mi piace". Secondo l' imprenditore cileno Rolando Hinrichs Oyarce, proprietario di un bar-ristorante in Spagna,"Il pisco sour è altamente internazionale,Cebiche, e quindi non sono troppo sconosciuti"(in spagnolo:"El pisco sour es bastante internacional, al igual que el cebiche, por lo tanto no son tan desconocidos"). Nel 2003, il Perù ha creato il"Día Nacional del Pisco Sour"(National Pisco Sour Day), una festa ufficiale del governo celebrata il primo sabato di febbraio. Durante l' incontro dei leader economici dell'APEC del 2008, il Perù ha promosso il suo pisco sour con ampia accettazione. Secondo quanto riferito, il cocktail è stato la bevanda preferita dei partecipanti, per lo più leader, uomini d'affari e delegati.

Victor Vaughen Morris è considerato dalla maggior parte degli storici l'inventore del cocktail pisco sour. Tuttavia, la storia dell'origine tradizionale del cocktail è complicata con risultati che suggeriscono il contrario. Basandosi sulla ricetta del libro di cucina peruviano Manual de Cocina a la Criolla del 1903, il ricercatore Nico Vera ritiene che"l'origine del Pisco Sour potrebbe essere un tradizionale cocktail creolo prodotto a Lima oltre 100 anni fa". Sulla base del ritaglio dell'articolo del 1921 del West Coast Leader, McDonnell ritiene possibile che il pisco sour possa aver avuto origine a San Francisco, considerando inoltre che durante questo periodo la città ha sperimentato una"esplosione di creatività per i cocktail", ilwhisky sour cocktail"era abbondante e onnipresente"e"il fatto che il Pisco fosse annunciato come uno spirito speciale"in città.

In difesa di Morris, il giornalista Rick Vecchio ritiene che"anche se c'era qualcosa di molto simile e preesistente"al cocktail pisco di Morris, non c'è dubbio che egli"fu il primo a servire, promuovere e perfezionare ciò che oggi è noto come il Pisco Sour." McDonnell ritiene inoltre che, indipendentemente dalla sua origine esatta, il pisco sour"appartiene al Perù". Secondo lo scrittore di cultura Saxon Baird, un busto in onore di Morris si trova nel distretto di Santiago de Surco a Lima"come testimonianza del contributo di Morris alla moderna cultura peruviana e al paese che ha chiamato casa per più della metà della sua vita".

Nonostante ciò, esiste una disputa in corso tra Cile e Perù sull'origine del pisco sour. In Cile, negli anni '80 si sviluppò una storia locale che attribuiva l'invenzione del pisco sour a Elliot Stubb, uno steward inglese di un veliero chiamato Sunshine. Il folklorista e storico cileno Oreste Plath contribuì alla diffusione della leggenda scrivendo che, secondo il quotidiano peruviano El Comercio de Iquique, nel 1872, dopo aver ottenuto il permesso di sbarcare, Stubb aprì un bar nell'allora porto peruviano di Iquique e inventò il pisco acido mentre si sperimenta con le bevande. Tuttavia, il ricercatore Toro-Lira sostiene che la storia è stata confutata dopo che è stato scoperto che El Comercio de Iquique si riferiva in realtà all'invenzione del whisky sour. La storia di Elliot Stubb e della sua presunta invenzione del whisky sour a Iquique si trova anche in una pubblicazione del 1962 dell'Università di Cuyo, in Argentina. Un estratto dalla storia del giornale ha Elliot Stubb affermando:"D'ora in poi... questo sarà il mio drink di battaglia, il mio drink preferito, e sarà chiamato Whisky Sour"(in spagnolo:"En adelante dijo Elliot - éste será mi trago de batalla, — mi trago favorito —, y se llamará Whisky Sour.").

Alcuni produttori di pisco hanno affermato che la controversia in corso tra Cile e Perù contribuisce a promuovere l'interesse per il liquore e la sua disputa sull'indicazione geografica.

Il famoso chef americano Anthony Bourdain ha attirato l'attenzione sul cocktail quando, in un episodio del suo programma Travel Channel No Reservations, ha bevuto un pisco sour a Valparaíso, in Cile, e ha detto"va bene, ma... la prossima volta, avrò una birra."L'emittente Radio Programas del Perú ha riferito che Jorge López Sotomayor, produttore cileno dell'episodio e compagno di viaggio di Bourdain in Cile, ha affermato che Bourdain ha trovato il pisco sour che ha bevuto a Valparaíso come noioso e inutile (in spagnolo:"A mí me dijo que el pisco sour lo encontró aburrido y que no valía la pena."). Lopez ha aggiunto che Bourdain era arrivato di recente dal Perù, dove ha bevuto diversi pisco sour che pensava avessero un sapore migliore rispetto alla versione cilena.

Nel 2010, il cantautore messicano Aleks Syntek ha pubblicato umoristicamente su Twitter che il pisco sour è cileno e, dopo aver ricevuto risposte critiche alla sua affermazione, si è scusato e ha detto che stava solo scherzando. Anche il conduttore televisivo e comico messicano Adal Ramones ha scherzato sul pisco sour, in riferimento allo scandalo di spionaggio Cile-Perù del 2009, il 17 novembre 2009. Ramones, un fan del pisco peruviano, quando gli è stato chiesto dello spionaggio, ha chiesto che cosa i cileni stavano spiando in Perù, suggerendo che potrebbe essere come fare un pisco sour (in spagnolo:"Qué quieren espiar los chilenos? ¿Cómo hacer pisco sour?"). Nel 2017, quando un intervistatore di una stazione radio cilena gli ha detto che il pisco sour era"totalmente cileno", il musicista britannico Ed Sheeran ha commentato che preferiva il pisco sour peruviano.


domenica 20 giugno 2021

Metaxa

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Il Metaxa (Μεταξά) è un brandy greco. È stato inventato nel 1888 da un commerciante chiamato Spyros Metaxas (Σπύρος Μεταξάς).
È rinomato ovunque nel mondo per il suo colore, la sua qualità ed il suo gusto.

Metodo di fabbricazione

Per ottenere questa bevanda si utilizzano tre varietà di uve diverse (Sultanina, Savatiano e uva di Corinthe). Una volta ottenuto il distillato, si lascia sviluppare i propri aromi in barili in quercia del Limosino per una durata minima di tre anni. Si aggiunge al brandy uva moscato (di Samo o di Lemno), delle essenze di petali di rosa ed una serie segreta di piante aromatiche. Quindi si rimette questo nuovo miscuglio in un barile per la durata di un altro anno. Prima dell'imbottigliamento, Metaxa passa molti giorni ad una temperatura inferiore a zero, viene filtrato ed infine viene imbottigliato.

Marche prodotte

Esistono molti tipi di Metaxa che si distinguono con il numero di stelle aggiunte al nome Metaxa:
  • Metaxa 3 ★★★, è un Metaxa tenuto in barile di quercia per almeno una durata tre anni, con il 38% di alcool (vol).
  • Metaxa 5 ★★★★★, è un Metaxa tenuto in barile di quercia per almeno una durata cinque anni, con il 40% di alcool (vol).
  • Metaxa 7 ★★★★★★★, anche chiamato Amphora, a causa del modulo della sua bottiglia, è un Metaxa tenuto in barile di quercia per almeno una durata sette anni, con il 40% di alcool (vol), ed un colore scuro dorato. Con un profumo di aromi di frutta secca, di vaniglia e di quercia. In bocca ha un gusto ampio e un sottile gusto di legno. È uno dei Metaxa i più equilibrati.
  • Metaxa 12 ★★★, è un Metaxa tenuto in barile di quercia per almeno una durata dodici anni, con il 40% di alcool (vol), con un aroma di tabacco, di frutti secchi e vaniglia.
  • Grand Olympian Reserve o Grande fine è un Metaxa tenuto in barile di quercia per almeno una durata di quindici anni. Contrariamente agli altri miscugli di Metaxa, Grand Olympian Reserve non contiene moscato. In bocca il gusto è allo stesso tempo ampio, morbido, ricco e boscoso. Ha la particolarità di essere commercializzato in una bottiglia in porcellana.
  • Private Reserve è un Metaxa tenuto in barile di quercia per una durata di almeno trent'anni, con il 40% di alcool (vol), ed ha un colore ambrato. I suoi aromi sono molto ricchi: si trovano allo stesso tempo il miele, le spezie, i frutti secchi, il moscato, la vaniglia e la quercia.
  • METAXA AEN è un Metaxa tenuto in barile di quercia per una durata di almeno ottant'anni. Questa è una versione a edizione limitata per il 120º anniversario del famoso liquore greco. L'azienda ha dichiarato che 1.888 caraffe di AEN Metaxa sono disponibili in tutto il mondo. È disponibile in una caraffa unica realizzata a mano di Crystal de Sevres, che riporta un numero seriale unico ed è venduta al prezzo di 800 euro la bottiglia.
Alcune bottiglie sono abbastanza eccezionali specialmente quelle del centenario che sono veri oggetti di raccolta.

Abitudini di consumo

Come molti brandy, Metaxa è particolarmente apprezzato dai fumatori di sigari. In Grecia, è consumato più facilmente l'inverno che l'estate. Accompagna le castagne arrostite, le noci e le uve secche. Il Metaxa è associato nella mentalità greca ai festeggiamenti di fine anno. Si può, tuttavia, consumarlo l'estate con ghiaccio ed in cocktail. In Grecia, questo liquore alcoolico è considerato a torto come un cognac. Nelle canzoni viene evocato come koniakaki (κονιακάκι), il piccolo cognac.



sabato 19 giugno 2021

Ratafià



Il termine ratafià, denominato localmente anche ratafia o rataffia, indica qualsiasi tipo di liquore composto da un infuso a base di succhi di frutta e alcool. Esistono diverse tradizioni locali, principalmente in Italia, Spagna, Francia e la Svizzera.
Il ratafià piemontese viene prodotto su tutto l'arco alpino dov'è bevanda tradizionale (conosciuta e prodotta anche sul versante francese delle Alpi). Storica è la produzione ad Andorno Micca, paese della provincia di Biella, dove già nel 1600 il ratafià veniva prodotto nel monastero di Santa Maria della Sala. Successivamente la lavorazione divenne caratteristica di alcune famiglie del paese, che dal 1880 è sede della storica fabbrica "Cav. Giovanni Rapa". Storica è anche la produzione del Ratafia prodotto nell'Antica Distilleria Alpina Bordiga in Cuneo dal 1888.
In Abruzzo e Molise, la ratafià è un liquore diffuso in tutta la regione a base di amarene e di vino rosso ottenuto da uve del vitigno Montepulciano. È tradizionalmente prodotta ponendo, in proporzioni variabili secondo la ricetta locale, amarene mature intere o snocciolate e zucchero dentro recipienti di vetro esposti al sole per circa 30 giorni, al fine di favorire la fermentazione. Al prodotto così ottenuto si aggiunge poi il vino rosso, lasciando macerare e agitando periodicamente il tutto per almeno altri 30 giorni, ma si può arrivare anche a 5-6 mesi. Il prodotto è poi filtrato e imbottigliato. In alcuni casi dopo la filtrazione si aggiunge dell'alcool per aumentarne la gradazione. In Ciociaria, nella zona vicina alla dorsale appenninica, e quindi all'Abruzzo, viene aggiunta anche qualche goccia di caffè insieme alla cannella ed alla vaniglia. È un liquore dal gusto dolce e piacevole, con una gradazione alcolica variabile secondo la tecnica di produzione: da 7-14% vol. a 20-22% vol. con l'aggiunta di alcool. Il colore è rosso più o meno intenso e ha l'odore caratteristico di amarene e frutti di bosco. È normalmente consumato giovane, per apprezzarne la maggiore freschezza degli aromi. La preparazione e l'uso della Ratafia rientrano nella secolare tradizione contadina tramandata di generazione in generazione. Come riferisce Alessio de Berardinis in "Ricordi sulla maniera di manifatturare vini e liquori" (Teramo 1868) "il nome... gli fu dato da quell'uso che anticamente avevano gli ambasciatori delle potenze belligeranti quando trattavano della pace ad una lieta mensa, di bere questo liquore e di pronunciare quelle semplici parole latine Pax rata fiat!" A parte queste ipotesi, forse pittoresche e fantasiose, il liquore era usato, più prosaicamente, per sancire gli accordi commerciali o la stipula di atti notarili e legali al termine delle trattative.
Il ratafià è stato uno dei liquori principi del Settecento e dell'Ottocento. Inoltre nel Lazio a Nettuno la rattafia è una vera e propria tradizione quanto il Cacchione DOC tipico vino nettunese.
Si producono bevande simili in altri paesi europei, in particolare in Spagna, Francia e la Svizzera.
Il ratafià catalano è quasi la bevanda nazionale al nord della Catalogna.
Da alcuni il termine è fatto risalire a tafià, un'acquavite delle Antille ricavata dalla canna da zucchero, ma è più verosimile la spiegazione popolare paretimologica che lo fa derivare dal latino rata fiat (da cui i termini italiano "ratificato" e francese "ratifié"), col significato approssimativo di "si decida", evidentemente allusivo alla bevuta di questo liquore come suggello di un contratto verbale, atto sostitutivo della più comune stretta di mano.
In piemontese "rata fià" significa "gratta fiato".



venerdì 18 giugno 2021

Horchata

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La horchata de chufa (orzata di cipero) (in valenciano: orxata de xufa) è una bevanda rinfrescante preparata con acqua, zucchero e con il latte del tubercolo ipogeo che caratterizza le radici di una pianta (il Cyperus esculentus) diffusa nella piana di Valencia e chiamato appunto chufa in spagnolo e cipero o zigolo dolce in italiano.
L'horchata è un latte vegetale ad alto tasso energetico. Ha un elevato contenuto di grassi, zuccheri e proteine, nonché sali minerali (fosforo, potassio) e vitamine (E e C). Si serve fresca, a volte gelata o in forma di granita.
La diffusione dell'horchata, bevanda estiva molto diffusa nella Spagna sudorientale, è da ricondursi alla presenza degli Arabi a Valencia (dal secolo VIII al XI).
Horchata e orxata derivano probabilmente dal catalano ordiata (da ordi, orzo), che a sua volta, analogamente alla parola italiana “orzata”, procede dal latino (hordeata < hordeum, orzo).
Secondo la tradizione popolare, la parola sarebbe nata ai tempi della conquista di Valencia, quando Giacomo I d'Aragona, al momento di entrare in città, si vide offrire un assaggio di questa bevanda da parte di una bella ragazza valenciana. Il sovrano, deliziato da questa bevanda misteriosa, avrebbe risposto “Açò és or, xata” (“questo è oro, ragazza”), da cui il nome. Questa versione, oltre ad essere inverosimile, è anche falsa, perché xata è un castiglianismo che probabilmente era del tutto sconosciuto al catalano del secolo XIII.
La pianta da cui si ricavano i tubercoli per l'horchata è il Cyperus esculentus (cipero dolce o zigolo dolce), della famiglia delle Cyperaceae. Tale pianta, simile al papiro, cresce diffusamente nella piana di Valencia e viene localmente denominata chufa (xufa in catalano). Nella lingua italiana il tubercolo è noto, tra gli altri, col nome di babbagigi (dall'arabo الحب العزيز al-habb el-'azīz, "seme buono"); in inglese è denominato tiger nut (noce tigre), in francese souchet o amande de terre (mandorla di terra) e in tedesco Erdmandel (mandorla di terra). La pluralità dei nomi volgari riscontrabili nella lingua italiana (tra cui abelasia, cabasisi, bagigi, bacicci, mandorla di terra, zizzola di terra, dolcichino) conferma la circostanza, altrimenti nota, di una passata maggior diffusione tanto della coltivazione della pianta, quanto della consumazione del prodotto, sia pure prevalentemente senza trasformazioni; a tale proposito, da notare il trasferimento, in seguito alla sparizione del Cipero dolce dal mercato, del nome bagigi alle arachidi (rilevabile altresì su confezioni industriali), che rappresentano, nella specifica nicchia, il prodotto che oltre ad avere un medesimo sistema di commercializzazione (per lo più ambulante), è accomunato al Cipero dalla crescita ipogea e si presenta quindi come suo erede o usurpatore privilegiato.
La preparazione dell'horchata inizia con la mondatura del tubercolo e la triturazione. Poi si aggiungono tre litri di acqua per kg di chufas e si lascia il tutto a macerare. La massa semisolida viene poi pressata ripetutamente fino ad ottenere l'estratto finale, cui si aggiungono circa 125 grammi di zucchero per litro. Il tutto viene infine filtrato e sedimentato.
La horchata è un prodotto tipico della Comunità Valenciana. In particolare, il luogo più tipico dove sorseggiare una horchata è la cittadina di Alboraya, situata nei pressi del capoluogo, dove si trova una quantità impressionante di orxateries e addirittura una Avinguda de la orxata (viale dell'horchata).
A tutela della qualità del prodotto e della denominazione di origine è stato istituito un ente apposito nella Comunità Valenciana.
L'horchata è anche entrata nei canali della grande distribuzione ed in Spagna è possibile trovarla in supermercati e centri commerciali. L'horchata industriale contiene non di rado derivati del latte vaccino, che se da un lato facilitano il processo di pastorizzazione, d'altro canto sono un indice di un basso tasso di chufas.

giovedì 17 giugno 2021

Champagne



Lo champagne (in italiano, raro, sciampagna) è uno spumante metodo classico, famoso in tutto il mondo e comunemente associato ai concetti di lusso e festa; prende il nome dalla regione della Champagne, situata nel nord-est della Francia, dove il vino è prodotto.
Lo champagne è uno dei pochi vini ai quali sia stato attribuito un inventore, l'abate benedettino Dom Pierre Pérignon, anche se sulla storia della sua origine esistono versioni differenti.
I vini della regione della Champagne erano conosciuti fin dal medioevo; venivano prodotti principalmente dai monaci delle numerose abbazie presenti nella regione, che lo usavano come vino da messa. Ma anche i regnanti francesi apprezzavano molto questi vini, fini e leggeri, tanto da offrirli in segno di omaggio agli altri regnanti europei. Si trattava però principalmente di vini fermi, quindi senza spuma, e rossi.
Le guerre e i saccheggi, che nel 1600 devastarono la regione, causarono la distruzione e l'abbandono delle abbazie e dei conventi, e quindi il decadimento delle annesse vigne.
Intorno al 1670, Pierre Pérignon, giovane monaco benedettino, giunse all'abbazia d'Hautvillers, vicino a Épernay, con l'incarico di tesoriere; egli trovò il convento e le vigne in uno stato di totale abbandono e si adoperò per rimetterle in sesto.
Il suo lavoro fu indirizzato principalmente alla produzione del vino; da perfezionista qual era, si applicò alla selezione delle uve migliori (la sua scelta cadde sul pinot nero), al privilegiare i terreni più vocati alla produzione, ad affinare le tecniche del taglio dei vini (assemblaggio di uve dello stesso tipo provenienti da zone diverse), e a preferire una spremitura dolce per ottenere un mosto chiaro anche se da uve a bacca nera (tutte tecniche caratteristiche, ancora oggi, della produzione dello champagne).
Rimane il dubbio sulla genesi della trasformazione del vino fermo in vino spumante.
  • Una versione afferma che lo champagne sia nato casualmente per errore durante il processo di vinificazione di alcuni vini bianchi; tale errore avrebbe causato lo scoppio di alcune bottiglie poste ad affinare in cantina e quindi portato alla scoperta, da parte dell'abate, della "presa di spuma".
  • Un'altra versione afferma che l'abate, per rendere più gradevole il vino prodotto, vi aggiungesse in primavera dei fiori di pesco e dello zucchero, tappando successivamente la bottiglia con tappi di legno di forma tronco-conica; allo stappare della bottiglia si produceva della spuma.
  • Un'ulteriore versione afferma che i viticoltori che usavano vinificare le uve di pinot si fossero resi conto che il vino ottenuto invecchiava male nelle botti, per cui decisero di imbottigliarlo subito dopo la fermentazione; nelle bottiglie questo vino conservava efficacemente gli aromi, ma aveva il difetto di diventare naturalmente spumante, il che comportava lo scoppio di molte bottiglie.
Quale che sia la versione, l'abate arrivò alla conclusione che la spuma fosse dovuta a una rifermentazione (dovuta a errori nella vinificazione o all'aggiunta di lieviti — contenuti nei fiori di pesco — e di zucchero) del vino, con conseguente produzione di anidride carbonica. A questo punto, resosi conto della gradevolezza del vino "spumante", decise di perfezionarne la produzione.
Messe da parte le versioni più o meno romanzate, i veri grandi meriti di Dom Pérignon nell'evoluzione della tecnica di produzione dello champagne furono quelli di definire il vitigno più adatto (il pinot noir), di applicare metodicamente la tecnica dell'"assemblaggio" e di sostituire i tappi di legno a forma tronco-conica, usati fino ad allora, con tappi di sughero, ancorati al collo della bottiglia per mezzo di una gabbietta metallica.
Da quel momento in poi anche altri proprietari di vigne della zona cominciarono a produrre il vino seguendo le indicazioni dell'abate e i nuovi produttori contribuirono all'affinamento e al miglioramento della tecnica di produzione dello champagne.
Ad esempio il problema della formazione di un deposito nelle bottiglie durante la permanenza in cantina per la seconda fermentazione (la cosiddetta feccia) fu risolto dai tecnici dell'azienda di Barbe Nicole Ponsardin, vedova Clicquot (la famosa Veuve Clicquot); essi idearono le pupitres (strutture a "V" rovesciata costituite da due tavole di legno incernierate su un lato e dotate di fori in cui inserire i colli delle bottiglie) e misero a punto il remuage sur pupitres, tecnica che consentiva di effettuare la separazione dei lieviti dal vino, dando così allo champagne la limpidezza che lo caratterizza.
La crescita della popolarità dello champagne ha portato alla nascita di aneddoti e leggende difficilmente verificabili, come il fatto che Dom Pérignon fosse un esperto assaggiatore di vini (in realtà egli era astemio ma, essendo anche vegetariano, era un eccellente assaggiatore di uve), la confessione in punto di morte da parte di Dom Pérignon della ricetta segreta dello champagne (non di ricetta si trattava, ma soltanto dell'indicazione di aggiungere al vino zucchero e miscela di liquori), il fatto che la forma del bicchiere a coppa in cui veniva servito fosse stata modellata sulla forma - considerata perfetta - del seno di Madame de Pompadour o forse Diana di Poitiers, e altre ancora.
Rimane il fatto che lo champagne è un vino spumante la cui notorietà è diffusa in tutto il mondo e il cui uso ha assunto valenza simbolica in varie situazioni (basti pensare al varo delle navi, alle premiazioni delle gare automobilistiche e ciclistiche e in generale a tutte le celebrazioni di eventi particolarmente importanti).
Lo champagne è un vino che presenta varie caratteristiche particolari rispetto agli altri grandi vini:
  • la vendemmia viene effettuata manualmente (il disciplinare vieta l'uso delle macchine vendemmiatrici) in quanto è essenziale che l'uva arrivi al corretto grado di maturazione e perfettamente integra alla pigiatura.
Lo champagne può essere anche un bianco ottenuto da uve a bacca nera - il pinot noir e il pinot meunier - vinificate in bianco - vedi più avanti nella sezione "vinificazione".
  • quasi sempre viene effettuato l'"assemblaggio" tra vini di provenienza e di millesimi differenti, al fine di assicurare una continuità delle caratteristiche qualitative e organolettiche. L'indicazione del millesimo, facoltativa, è possibile solo quando vengono assemblati vini della stessa annata; ciò è generalmente indice di un'elevata qualità. Ancor più particolare e di pregio è uno champagne millesimato la cui base è composto da uve di un solo vigneto (cru), specie se mono varietà (solo chardonnay, solo pinot nero, solo pinot meunier).
  • è un vino spumante mantenuto in pressione nella bottiglia per mezzo di un tappo a forma di fungo (contrariamente alla forma cilindrica dei tappi normalmente utilizzati), coperto da una capsula metallica e trattenuto da una gabbietta in fil di ferro. All'apertura, il tappo tenderà a saltare e lo champagne a fuoriuscire rapidamente producendo molta schiuma, il che ne rende il servizio leggermente complesso. Una volta versato nel bicchiere, si ha la produzione più o meno persistente di bollicine (perlage) che tendono a salire verso la superficie del liquido.
  • la marca (non obbligatoria), cioè il nome di fantasia in etichetta che identifica uno specifico prodotto, è un elemento essenziale per l'identificazione; gli champagne più pregiati sono champagne di marca (una maison normalmente produce diversi champagne cioè diverse marche/etichette).

Per la produzione è autorizzato l'uso di nove vitigni, di cui tre vitigni principali:

  • chardonnay (uva a bacca bianca, 26% della superficie piantata),
  • pinot noir (uva a bacca nera, 37% della superficie piantata),
  • pinot meunier (uva a bacca nera, caratterizzata da una maturazione leggermente più tardiva rispetto al pinot noir, 37% della superficie piantata),
e sei vitigni tradizionali, recentemente riscoperti e riutilizzati (superficie piantata molto limitata):
  • pinot blanc,
  • petit meslier,
  • fromenteau,
  • pinot gris
  • enfumé
  • arbanne, un'uva dei vigneti di Bar-sur-Aube e delle zone circostanti che è ormai considerata autoctona poiché viene coltivata in questi territori da qualche centinaio di anni. Il vitigno si caratterizza per la produzione di grappoli che accolgono acini di dimensioni differenti, cioè piccoli e grandi, la buccia è invece alquanto spessa e resistente, tanto che crea qualche problemino nella pressatura. È un vitigno tardivo, per cui necessita di essere piantato su dei pendii ben esposti.
Resa: la legislazione prevede che per ogni 4 000 kg di uva solo 2 550 litri di mosto possano essere usati per elaborare lo champagne.
Il vino champagne viene prodotto secondo il metodo champenoise: questa definizione è utilizzabile solo per i vini spumanti (con metodo della rifermentazione in bottiglia) prodotti nella regione della Champagne; nel resto del mondo tale procedimento è denominato "metodo della rifermentazione in bottiglia" o "metodo tradizionale" o "metodo classico".
Il metodo champenoise consiste principalmente nell'operare una doppia fermentazione: la prima del mosto, nel tino, la seconda del vino (ottenuto dalla prima fermentazione), nella bottiglia.
Il procedimento di vinificazione prevede numerose fasi. Le uve vengono raccolte manualmente in maniera selettiva, cioè scegliendo solo i grappoli che hanno raggiunto la giusta maturazione, e trasportate alla pressatura cercando di mantenere il più possibile l'integrità degli acini. Successivamente si pressano le uve in maniera soffice, si separano rapidamente le bucce dal mosto e si mette il vino in botte per la fermentazione.
La prima fermentazione, chiamata fermentazione alcolica, è identica a quella che subiscono i vini cosiddetti "tranquilli" (cioè non effervescenti). Quando questa prima fermentazione si conclude (di solito in primavera), si imbottiglia il "vino di base" con un tappo metallico a corona (lo stesso impiegato per chiudere le bevande gassate) in grado di sopportare la pressione che si svilupperà all'interno della bottiglia, dopo avergli aggiunto lieviti selezionati (prelevati da ceppi della zona dello champagne) e zucchero, al fine di far avviare la seconda fermentazione; questa seconda fermentazione produce anidride carbonica che determina la formazione di bollicine, cioè della spuma. Tuttavia, questa seconda fermentazione provoca anche la formazione della feccia, costituita dai residui dei lieviti esausti, che intorbidisce il vino, e che è necessario eliminare. Per far ciò occorre sistemare le bottiglie sulle pupitres, strutture a "V" rovesciata costituite da due tavole di legno incernierate su un lato e dotate di fori in cui inserire i colli delle bottiglie.
Ogni giorno le bottiglie vengono ruotate con un movimento secco (remuage sur pupitres), con una rotazione inizialmente di un ottavo di giro e successivamente aumentata a un sesto e, alla fine del processo, a un quarto di giro. Tale operazione ha lo scopo di staccare la feccia dalla parete interna della bottiglia e farla scendere in basso verso il collo della stessa. Infatti, dopo ogni scotimento, le bottiglie sono riposizionate inclinandole sempre più, fino a quando saranno in posizione quasi verticale; in tal modo le fecce saranno tutte a contatto del tappo. Per eliminare le fecce si inserisce il collo della bottiglia in una soluzione salina a bassissima temperatura, che provoca l'istantaneo congelamento delle fecce; a questo punto si toglie il tappo (questa operazione si chiama dégorgement, e se fatta a mano è definita à la volée), e con esso il deposito dei lieviti.
Dopo il dégorgement si effettua il dosage, ovvero il rabbocco con una miscela (chiamata liqueur d'expédition) di vini di annate precedenti, molto spesso fatti invecchiare in recipiente ligneo (quasi sempre barrique) e zucchero; un tempo era usanza aggiungere anche distillati tipo cognac o armagnac: oggi è una pratica rara. Oppure la liqueur potrebbe essere composta, a parte l'eventuale aggiunta zuccherina, unicamente da vino della stessa partita. Ogni produttore custodisce gelosamente la composizione di questa miscela, che determina sia le caratteristiche organolettiche finali dello champagne sia, per la quantità di zucchero presente, la sua tipologia o dosage (secondo il regolamento europeo): pas dosé, extra brut, brut, extra dry, sec, demi sec, doux.
Una volta eseguita questa operazione non resta che tappare la bottiglia con il caratteristico tappo di sughero, la capsula metallica e la gabbietta in fil di ferro. Le bottiglie vengono lasciate ad affinare ancora e dopo alcuni mesi sono pronte per il consumo.
Gli champagne si possono differenziare per il colore, per il tipo di uve utilizzate, e per il dosaggio (quantità di residuo zuccherino) e per il prezzo.

Colore
Lo champagne può essere "bianco" o rosé. Lo champagne rosè può essere ottenuto mescolando vini bianchi e vini rossi o da una breve macerazione a contatto con le bucce delle uve a bacca rossa.

Uve
Lo champagne ottenuto da sole uve a bacca bianca si chiama blanc de blancs; lo champagne ottenuto da sole uve a bacca nera si chiama blanc de noirs.

Dosaggio
Tecnicamente è l'aggiunta allo champagne, prima dell'imbottigliamento, di una piccola dose di sciroppo composto da zucchero di canna, vini vecchi e, molto raramente ormai, cognac o altri distillati. Lo scopo del dosaggio è duplice: da un lato serve ad 'addolcire' un vino che non ha residuo zuccherino e, di conseguenza, si presenta con un'acidità molto elevata, dall'altro lato è fondamentale per fornire allo champagne (soprattutto se non millesimato) quelle sfumature di aroma e di gusto caratteristiche del produttore, cioè quello che in gergo viene definito goût maison. Invece, per prodotti un po' particolari, amati dagli esperti, vi sono champagne la cui liqueur è composta unicamente da vino del medesimo lotto di rifermentazione ed, eventualmente, zucchero.
La classica bottiglia da champagne si chiama sciampagnotta, ha una capacità di 75 cL ed è più spessa e resistente delle normali bottiglie di vino.
I produttori di champagne hanno creato nel XIX secolo una serie di bottiglie di differenti capacità:
  • la huitième: 9,4 cL (rara)
  • la mignonette: 18,75 o 20 cL: un quarto
  • la "mezza": 37,5 cL
  • la "media": 60 cL (rara)
  • la bottiglia: 75 cl
  • la magnum: 1,5 L: 2 bottiglie
  • la jéroboam: 3 L: 4 bottiglie
  • la réhoboam: 4,5 L: 6 bottiglie
  • la mathusalem: 6 L: 8 bottiglie
  • la salmanazar: 9 L: 12 bottiglie
  • la balthazar: 12 L: 16 bottiglie
  • la nabuchodonosor: 15 L: 20 bottiglie
  • la salomon 18 L: 24 bottiglie
  • la souverain 26,25 L: 35 bottiglie
  • la primat 27 Ll: 36 bottiglie
  • la melchizédec 30 L: 40 bottiglie
Soltanto la mezza-bottiglia, la bottiglia e la magnum sono utilizzate per la seconda fermentazione; gli altri formati vengono generalmente riempiti con vino già fermentato.
Alcuni produttori hanno recentemente messo in commercio bottiglie di capacità superiore alla jéroboam (chiamati, ad eccezione del souverain e del primat, col nome di re biblici) come la salomon (18 litri) o la melchizédec (30 litri); tali formati sono poco usati, in quanto difficilmente maneggiabili, fragili e molto costosi da produrre.
Il tappo di sughero delle bottiglie di champagne è caratteristico per la forma a fungo che assume dopo la stappatura. In effetti il tappo non ha quella forma al momento dell'imbottigliamento, ma è cilindrico, di diametro decisamente maggiore di quello del collo della bottiglia in cui deve essere inserito. Affinché possa entrare (per circa la metà della sua lunghezza originaria) è necessario che sia compresso radialmente con forza tramite un'apposita attrezzatura (pressa), e immediatamente dopo, la parte di esso rimasta fuori della bottiglia deve essere "gabbiettata", cioè compressa assialmente per essere assestata sul "raso bocca" della bottiglia talché si possa instaurare il cosiddetto "effetto tappo corona" (è una sorta di "ribaditura" della testa). L'insieme di queste due compressioni che il tappo subisce, dapprima quella radiale (introduzione in bottiglia) e, di seguito quella assiale (gabbiettatura), agendo in sinergia, consentono al tappo, sottoposto alla pressione dell'anidride carbonica presente nella bottiglia, di contrastare efficacemente la fuoriuscita di questo gas. Col tempo il tappo perde gradualmente la sua elasticità naturale, e la parte situata più vicina all'imboccatura della bottiglia si degraderà più velocemente di quella situata più in basso, costringendo il tappo ad assumere la forma che si conosce.
Il tappo è formato da due parti ben distinte, le cui differenze sono facilmente individuabili anche a occhio nudo:
  • La "testa", costituito da un agglomerato di sughero di alta qualità (utilizzato per questa parte del tappo per ragioni economiche, ma anche per motivi tecnici). Questa parte non è a contatto con il vino e costituisce la totalità della parte superiore al "raso bocca" della bottiglia. Una parte del "corpo" (9–12 mm) viene introdotta nel "collo" della bottiglia.
  • Il "corpo", che è costituita (in genere) da due rondelle di sughero massiccio incollate una sull'altra alla base del "corpo" ; si tratta della parte che entra nel "collo" della bottiglia ed è esposta al contatto con il vino.
Una volta assemblati, levigati e rifiniti, i tappi vengono selezionati, in alcuni casi, trattati in superficie con (paraffina), ma in ogni caso, devono essere lubrificati con prodotti adatti al fine di rendere possibile la loro introduzione in bottiglia, migliorare la loro tenuta e agevolare la loro futura estrazione.
Sulla testa del tappo viene poggiata una placchetta in alluminio (con impressa solitamente la marca dello champagne), chiamata capsula, e il tutto viene chiuso con una gabbietta di fil di ferro, chiamata muselet che ha la funzione principale di trattenere il tappo che, spinto dalla pressione sviluppata dall'anidride carbonica interna alla bottiglia, tenderebbe a essere espulso dalla bottiglia stessa. Le placchette sono diventate oggetto di collezionismo. Infine, il tutto è avvolto da un involucro di alluminio, a mo' di sigillatura, chiamato "capsulone" che è quello che si apre e strappa prima di stappare la bottiglia.
Sull'etichetta di una bottiglia di champagne si trovano numerose informazioni: la marca, il nome del vinificatore, il dosaggio (pas dosé, extrabrut, ecc.), l'eventuale millesimo, la data del dégorgement (facoltativa ma sempre più indicata), il comune d'origine delle uve, e talvolta il livello qualitativo delle uve: grand cru per i diciassette comuni che hanno diritto a fregiarsi di questo titolo (il più pregiato) o premier cru per altri quarantuno comuni. Inoltre è obbligatorio indicare l'organizzazione professionale del produttore, con una sigla di due lettere (solitamente stampata con caratteri minuscoli sull'etichetta.
Questa sigla, che è forse l'indicazione più importante per definire la qualità e il valore di uno champagne, ha i seguenti significati:
  • NM: négociant-manipulant; è il caso di una casa produttrice di champagne che compra le uve e le assembla per elaborare e commercializzare il vino; si tratta in generale degli champagne più pregiati, prodotti dalle case dai nomi più famosi
  • RM: récoltant-manipulant; raggruppa l'insieme dei vignaioli che elaborano e commercializzano le proprie uve; si tratta in generale di prodotti molto buoni
  • CM: coopérative de manipulation; è il caso di gruppi di produttori che assemblano le uve, le elaborano e le commercializzano; si tratta in genere di prodotti non eccelsi, ma accettabili
  • RC: récoltant-coopérateur; i viticultori conferiscono le loro uve a una cooperativa che ha l'incarico di eseguire la vinificazione; le bottiglie vengono quindi restituite ai singoli produttori per la commercializzazione
  • ND "négociant-distributeur; simile a MA
  • MA: marque d'acheteur; è il caso di un commerciante che acquista le bottiglie pronte per il consumo e le commercializza con il proprio marchio
Lo champagne presenta molte caratteristiche d'originalità fra i grandi vini francesi, in particolare:
  • la raccolta è manuale (le macchine per vendemmiare sono vietate) poiché è essenziale che le uve giungano in perfetto stato.
  • la spremitura viene effettuata con torchi tradizionali o pneumatici (presse) in modo tale da non macchiare il mosto al contatto della buccia dell'acino; si tratta infatti di un vino bianco derivato anche da uve nere (Pinot noir e Pinot meunier);
  • impiego della mescolanza tra i tipi di uve di diversi anni allo scopo di garantire una continuità nelle qualità enologica e nelle caratteristiche organolettiche;
  • l'indicazione del millesimo (possibile ma non obbligatorio) avviene solo quando sono riuniti vini dello stesso anno. È generalmente il segno di una grande qualità;
  • il vino spumante è mantenuto sotto pressione nella sua bottiglia da un tappo avente la forma di un fungo, fermato con una capsula di filo di ferro;
  • è il solo vino francese che diventa rosa riunendo vino rosso (di Champagne) con vino bianco. Lo champagne rosè può anche essere ottenuto lasciando le bucce delle uve nere a contatto del mosto dopo la spremitura.
La denominazione «champagne» è una Appellation d'origine contrôlée (AOC), corrispondente all'italiana DOC (Denominazione di Origine Controllata); ma anche il termine champagne è ugualmente tutelato da apposite norme internazionali contro l'uso non autorizzato.
Ad esempio il comune di Champagne, situato nel cantone di Vaud in Svizzera, avrebbe dovuto rinunciare a riportare il nome Champagne sui vini (non spumanti) prodotti nel suo territorio - di 28 ettari - in virtù di un accordo internazionale stipulato tra la Svizzera e l'Unione europea nel 2004; tuttavia il crollo delle vendite del prodotto svizzero ha portato i produttori a rigettare l'accordo nel 2008.
Per la stessa ragione lo stilista Yves Saint-Laurent ha dovuto annullare il lancio di un profumo al quale aveva deciso di dare il nome Champagne.
  • Thienot
  • Henri Abelé
  • Ayala
  • Besserat de Bellefon
  • Billecart-Salmon
  • Henri Blin
  • Bollinger
  • Le Brun Servenay
  • Canard-Duchêne
  • Cattier
  • De Telmont
  • Deutz
  • Hervé Dubois
  • Duval-Leroy
  • Drappier
  • Nicolas Feuillatte
  • Gimonnet Gonet
  • Gosset
  • Henry Goutorbe
  • Alain Grilliat & Fils
  • Charles Heidsieck (EPI)
  • Heidsieck Monopole
  • Henriot
  • Jacquart
  • Joseph Perrier
  • Simart Moreau
  • Jacquesson
  • Krug (gruppo LVMH)
  • Lanson
  • Laurent-Perrier
  • Mercier (gruppo LVMH)
  • Moët et Chandon (gruppo LVMH) (Dom Pérignon)
  • Bruno Paillard
  • Pierre Paillard
  • Perrier Jouet
  • Philipponnat
  • Pierson - Cuvelier
  • Pommery
  • Piper-Heidsieck (EPI)
  • Louis Roederer (Cristal)
  • Pol Roger
  • Ruinart (gruppo LVMH)
  • Salon
  • Taittinger
  • De Venoge
  • Veuve Clicquot Ponsardin (gruppo LVMH)
  • Vranken (gruppo Vranken-Pommery Monopole)

Servire lo champagne
Lo champagne va servito sempre freddo, ma non ghiacciato, a una temperatura tra i 6 °C e gli 8 °C se è giovane, e fino ai 10 °C per uno più maturo o millesimato.
Porre per tempo le bottiglie nel refrigeratore, mai nel congelatore; la temperatura uniforme si raggiunge in circa 2 ore, se si mantengono le bottiglie nella parte bassa, la più fredda.
In caso di necessità di operare in tempi rapidi, utilizzare un secchiello con abbastanza ghiaccio e porvi la bottiglia; per accelerare il raffreddamento si possono aggiungere alcune manciate di sale grosso.
Stappare la bottiglia estraendo il tappo con un movimento rotatorio, dopo averlo privato della gabbietta. Tenere la bottiglia leggermente inclinata. Nell'ultima fase di estrazione del tappo porre avvertenza a non farsi sfuggire lo stesso per non colpire il commensale che sta di fronte a noi e per non far sentire il botto: tipico, ma poco elegante.
Tenendo la bottiglia nella parte posteriore della stessa e reggendola con una sola mano, versare lentamente il vino nei calici, facendo attenzione che la spuma non debordi. Imporre un movimento rotatorio alla bottiglia per non far gocciolare il vino al termine dell'operazione di versamento.
Lo champagne si versa in bicchieri appositi a forma di coppa con piede, o a forma di tubo allungato (questi ultimi, detti flûte). La preziosità e l'eleganza dei calici aumentano il piacere di questo brindisi.
Sabler o sabrer le champagne ?
Sabler: Sabler le champagne ? C'est le boire d'un trait. Sauvages!. Con il termine sabler si intende il bere un bicchiere di champagne tutto d'un fiato.
Sabrer: Sabrer le champagne ? C'est faire sauter le bouchon avec un sabre comme savait le faire la soldatesque. Sauvages! La sabre è la sciabola; con il termine sabrer s'intende quindi una sciabolata, con la quale si fa saltare il collo delle bottiglie di champagne. È una antica usanza, nota come sabrage, oggi molto più scenografica che altro, che non si usa quasi più se non per dimostrazioni; anche se ultimamente è tornata di moda.




mercoledì 16 giugno 2021

Angry Orchard

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Angry Orchard è una marca di sidro americana prodotta dalla Boston Beer Company.

Storia

La Boston Beer Company nell'intento di diversificare le proprie attività avviò la produzione di Tè freddo (fondando la Twisted Tea) e di sidro. La fabbrica di sidro venne inaugurata nel 2012, distribuendo il prodotto inizialmente solo nella zona del New England per poi estendersi su tutto il territorio nazionale. Nonostante sia sul mercato da pochi anni ha conquistato una grande fetta di consumatori arrivando a controllare il 40% del mercato statunitense di sidro e contribuendo per il 20% al fatturato della compagnia.

Varietà

  • Crisp Apple Cider
  • Green Apple Cider
  • Apple Ginger
  • Traditional Dry Cider
  • Cinnful Apple Cider

martedì 15 giugno 2021

Tramezzino

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Il tramezzino è un panino triangolare o rettangolare costituito da due fette di pancarré - alle quali spesso si è tolta la crosta - farcite con salumi, formaggio, verdure o altro; noto è il tramezzino veneto, mentre le sue origini sono torinesi. La ricetta più comune lo prevede freddo, ma esiste anche la variante scaldata.
Il termine tramezzino fu coniato da Gabriele D'Annunzio, che lo creò per sostituire la parola inglese sandwich. Si tratta del diminutivo di tramezzo, inteso come momento a metà strada tra la colazione e il pranzo, nel quale consumare uno spuntino o merenda quale il tramezzino.
La paternità del tramezzino si deve al Caffè Mulassano di Piazza Castello a Torino che, nel 1925, inventò questa versione italiana del suo parente inglese, il piccolo tea sandwich fatto per essere consumato in un paio di bocconi all'ora del tè.

 
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