sabato 8 maggio 2021

Cedrata Tassoni

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La Cedrata Tassoni è una bevanda analcolica di genere soft drink, prodotta dalla Cedral Tassoni, che ha i propri stabilimenti nella cittadina di Salò e sede legale a Brescia.

Storia

Le origini della società sono da ricercare nel 1793 quando viene fondata come spezieria nel centro storico di Salò. Nel 1868, dopo essere divenuta farmacia, è acquistata dal marchese Nicola Tassoni, che nel 1884 la rivende a Paolo Amadei, il quale decide di dare il via anche alle attività di distilleria. L'azienda è retta da Michela Redini, bisnipote di Paolo Amadei, utilizzando agrumi e cedri provenienti da Sicilia, Calabria e Puglia, imbottigliando 25 milioni di pezzi all'anno, con un fatturato di 11.3 milioni di euro, 4.6 milioni di EBITDA e 2.9 milioni di utili.

Lo spot

La Cedrata Tassoni è nota anche perché il suo spot (insieme a quello dei pennelli Cinghiale) è uno dei più longevi della tv italiana. Lo spot attuale va in onda dal 1982 e torna in onda ogni estate, trasmesso dalle reti Rai, ma anche dalle reti Mediaset tra cui Canale 5 e Iris e da alcune radio come Radio Capital o Radio Deejay.
Prima dell'attuale spot ne sono stati girati altri rispettivamente nel 1973, 1976 e 1977 che erano mandati in onda nel contenitore pubblicitario Carosello, con musiche cantate da Mina.
Il testo del jingle dello spot originale è:
Quante cose al mondo puoi fare?
Costruire? Inventare?
Ma trova un minuto per me!
Per voi e per gli amici...Tassoni
In quello del 1982 la voce di Mina era assente.
Nel ventunesimo secolo lo spot contiene il jingle in versione musicale senza la voce di Mina.
Dall'estate 2017 torna a essere cantato.

venerdì 7 maggio 2021

Acquavite d'uva

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L'acquavite d'uva (o distillato d'uva) è un distillato di mosto d'uva.
Il distillato d'uva è diverso sia dalla grappa (che è un distillato di vinacce) che dal distillato di vino (quale il Brandy, il Cognac o l'Armagnac). L'acquavite d'uva è un prodotto intermedio, in pratica è un distillato di succo fermentato (analogia con il distillato di vino) che però contiene anche le vinacce fermentate (analogia con un distillato di vinacce).

Cenni storici e normativa

Il Decreto ministeriale del 20 ottobre 1984 (Autorizzazione per la produzione e l'immissione sul mercato di "acquavite o distillato di uva") ne fissa le caratteristiche (su richiesta della Nonino, storica distilleria friulana produttrice di grappa), e recita che "l'acquavite o distillato di uva è ottenuta dalla distillazione del mosto fermentato di uve fresche in presenza delle parti solide dei grappoli".
In base al regolamento CEE 1576 del 1989, l'acquavite d'uva è stata categorizzata come distillato di frutta. Successivamente, il DPR 297 del 16 luglio 1997 ha definito meglio la produzione e, soprattutto, la designazione per la commercializzazione delle bevande spiritose tra cui ricade anche l'acquavite d'uva.

Preparazione

L'uva intera (che può essere diraspata o non diraspata) viene sottoposta a pigiatura dopo poche ore dalla raccolta. Tale pigiato viene quindi sottoposto a fermentazione (a temperature intorno a 18-20 °C) aggiungendo mosto di avviamento contenente lieviti selezionati.
Il prodotto della fermentazione (in pratica, succo con vinacce, fatto poi fermentare normalmente) viene quindi sottoposto a distillazione (in maniera discontinua in particolari alambicchi a vapore di piccole dimensioni o in speciali apparecchi sottovuoto) e affinato all'interno di vasche di acciaio inossidabile.
Nel caso si siano utilizzate uve rosse per la preparazione dell'acquavite d'uva, si procede all'invecchiamento per almeno 6 mesi.
L'acquavite d'uva così ottenuta viene diluita con acqua distillata per portarla alla gradazione desiderata (intorno al 40% vol), quindi viene filtrata (a circa -2 °C) e imbottigliata.

Degustazione

L'acquavite d'uva si serve generalmente fresca (ma non fredda) a fine pasto, in bicchiere classico cilindrico o in tulipano.
Rispetto alla grappa o ad un brandy, l'acquavite d'uva è tipicamente fruttata e fragrante nonché, generalmente, meno impegnativa in termini di complessità.



giovedì 6 maggio 2021

Ho visitato tutti i bar dedicati all'assenzio di Berlino in una notte

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Berlino è in fissa con l'assenzio. E allora ho deciso di provare i bar di Berlino che lo servono e andare in fissa anche io.
Ho assaggiato per la prima volta in vita mia dell’assenzio negli anni Novanta. Mi trovavo in un bar sulla costa gallese della città in cui vivevo, dove già da un po’ si vociferava fossero riusciti a importarlo da chissà dove, forse dalla Repubblica Ceca o dall’Ungheria. Nessuno lo sapeva esattamente, ma comunque da qualche parte con le foreste e i calici grossi.
Ce lo siamo bevuto di pomeriggio, ai tavoli. Fuori la spuma delle onde grigiognole s’infrangeva sui ciottoli della spiaggia, mentre dentro le onde verdi dell’assenzio s’increspavano nei nostri cervelli. Ce lo avevano servito puro, non diluito, e noi avevamo immerso i pollici nei bicchieri accendendo un po’ le punte dei polpastrelli.
Barcollavamo, ubriachi come non mai, ignari di cosa avessimo realmente riempito il nostro corpo. Probabilmente di trattava di 'Hill's Absinthe', che di assenzio aveva solo il nome ed era un po’ la versione bohémien del distillato, giunto a noi nel Regno Unito dopo che la nazione lo aveva messo al bando. Grazie alla Wormwood Society ora so di trattasse solo di un liquido verde con il 70% ABV di vodka.
Eravamo solo bambini che giocavano a fare i grandi.
Spero proprio che quel bar, ora, serva l’assenzio nelle giuste modalità. Mi tocca, tuttavia, puntualizzare una cosa, ossia che non fosse colpa loro. La ‘Fata Verde’ era stata messa al bando per quasi tutto il Diciannovesimo secolo, vittima delle paranoie e paure di autorità preoccupate degli effetti collaterali di questo ‘veleno’, che spaziavano dalla depressione alle allucinazioni, la violenza e la pazzia. Tali paranoie si sono radicate talmente bene all’epoca, che tutt’oggi l’assenzio fatica a scrostarsi di dosso i pregiudizi.
Provare per credere: vi basterà menzionare la parola “assenzio” a un qualsiasi amico virtuoso per ricevere reazioni che, se da un lato lasceranno intendere che il desiderio di assaggiare l’assenzio ci sia, dall’altro daranno vita a paure conseguenti di viaggi mentali strani con tanto di orecchie che cascano giù finendo per un qualche campo di grano.
Cose simili, però, non accadranno. E questo perché l’ingrediente attivo dell’assenzio, il tujone, colpisce il corpo con le stesse modalità della caffeina. Quindi, se per caso vi capita d’incappare in allucinazioni, è perché avete bevuto assenzio di bassa qualità (o siete nella fase finale d’alcolismo). Quello che dovreste in realtà provare è uno stato di chiarezza e lucidità mentale avanzato, descrivibile come una sorta di stato d’ebbrezza che, anziché abbassare la percezione dei sensi, li aumenta.
C’è stato un periodo in cui l’assenzio era un vero e proprio fenomeno. Nato in Svizzera nel 1792, il celebre distillato ha presto preso piede in tutta Europa, giungendo infine anche negli Stati Uniti. Si stima che, dal 1910, i francesi ne consumassero 36 milioni di litri l’anno. Molti di questi bicchieri d’assenzio venivano tracannati durante “ L'Heure Verte”, l’ora verde, che iniziava alle 5 del pomeriggio e riuniva gli amanti della Fata Verde nei bar delle città. Van Gogh lo amava, così come ne andavano pazzi Rimbaud, Picasso e Verlaine. Anche Ernest Hemingway ne era un estimatore, e lo aveva descritto come “l'alchimia liquida che addormenta la lingua, infiamma il cervello, scalda lo stomaco e trasforma le idee”. Un piccolo assaggio dell’assenzio può mettere in subbuglio il bevitore, ma i suoi effetti, no.
Tornato in Europa, con l’assenzio ormai legale da 15 anni, speravo fosse un po’ più facile berlo di nuovo.
La storia che lega il distillato alla Germania è piuttosto offuscata. Michael Schöll del Absinth Depot di Berlino mi ha raccontato che il proprietario del negozio aveva trovato una “collezione del 1912 di caricature pornografiche collegate all’assenzio” che, per quanto ne sappiamo, “sono l’unica prova di assunzione della bevanda nella Germania dell’epoca,” e ci fanno supporre “l’assenzio fosse effettivamente disponibile per chiunque fosse disposto a prenderselo,”
Tuttavia, essendo le caricature legate alla pornografia e per questo riconducibili a scenari di prostituzione e degrado, è molto plausibile i berlinesi di quegli anni potessero recuperare l’assenzio solo nei bassifondi della città. Stando sempre al proprietario, la Fata Verde “era vista più come una droga che come una bevanda alcolica.”
Per quanto riguarda il presente, Berlino consta ora di 4 bar dedicati all’assenzio. Esatto, quattro. E io non penso siano abbastanza, dato che a Berlino vivono 3,5 milioni di persone. Comunque sia, ho pensato bene di visitarli tutti e 4 in una sola notte, per capire se sia effettivamente possibile incoraggiare la nascita di un quinto bar (ovviamente se però non impazzisco prima).
Il mio amico Ernests (lo so che vi verrà da leggere “Ernest” come Ernest Hemingway, ma il mio amico si chiama proprio Ernests, come il tennista lituano), mi ha accompagnato. Ernests, che odia l’assenzio, ha deciso di farmi compagnia e di prendersi cura di me (anche se per l’ultima parte non posso dire sia stato il massimo). Ernests ha persino bevuto del distillato.
Il nostro viaggio inizia all’Absinth Depot, a Scheunenviertel, un vecchio distretto a luci rosse berlinese. Qui trovate più di 100 varietà d’assenzio diverse, con tanto di bottiglie esposte su degli scaffali altissimi che arrivano fino al soffitto. I muri sono tappezzati da moniti propagandistici che ti ricorderanno che “andrà tutto bene,” mentre al bancone troverete cucchiaini d’argento in vendita (quelli che servono per lo zucchero), e fontane d’acqua per la louche.
Qui bevo un classico, il Lemercier Amer, prodotto da una famiglia in una distilleria del sudest della Francia dal 1811. Sulla bottiglia viene descritto come “squisitamente dolce, leggero e rinfrescante. Al suo interno troverete aromi all’anice, genepì, anice stellate e liquirizia. Alcuni amanti della bevanda notano anche tracce di coriandolo, angelica, cardamomo e menta. 72% alcol, 30-35 mg tujone.”
Io personalmente percepisco un po’ tutti gli aromi, e mi ritrovo felice con il liquido opalescente fra le mani. Il mio cervello inizia a “scaldarsi,” ed Ernests riconosce le note dei Flying Burrito Brothers in sottofondo. Capisco si senta a disagio. Il suo assenzio, e non specificherò quale sia, sa di menta (lo ha scelto perché non gradisce molto il retrogusto dell’anice). Insomma, potremmo proprio dire sappia un po’ di Listerine, e che a ogni sorso lo faccia contorcere in modo teatrale. Per non far sì che Michael s’accorga delle facce del mio amico, mi piazzo esattamente davanti fra i due, ma comunque non riesco a impedire che un cliente appena entrato, che per giunta parla in una lingua a noi incomprensibile, lo noti. Il cliente se ne va poco dopo, rifiutandosi di pagare oggetti che ha puntato per tutta la permanenza al bar, indirizzando l’attenzione di Ernests verso una borsa incustodita lasciata al bancone. “Potrebbe essere una bomba,” mi dice.
“Non ti preoccupare, mica è un aeroporto,” cerco di tranquillizzarlo. Ci rigiriamo per cercala, e la borsa è sparita.
Dall’Absinth Depot prendiamo la metro fino al Druide in Prenzlauer Berg. Nonostante le diverse esperienze degustative, sia io che Ernests ci sentiamo un pochino su di giri. Camminiamo a un metro da terra e guardiamo al mondo di sbieco, eppur consci di tutto, con i nostri cervelli che se la ridacchiano con saggezza e compassione per i nostri compagni di viaggio. Sorridiamo mentre il treno della metro catapulta i nostri corpi per la città, attraversando il buio urbano, sferragliando fra le luci.
Saltato il crocevia metropolitano, arriviamo al bar. E cosa ci troviamo? L’orrore. C’è chiasso e i tavoli sono pieni di gente che raglia. Forse turisti da zaino in spalla. Qualche anno fa sarei anche stato uno di loro, ma ora sono vecchio, mi sono bevuto un dizionario d’alcolici intero e, francamente, mi disgustano.
Qui è dove la gente si ritrova per ubriacarsi, per sfasciarsi con l’assenzio, ignara dei benefici di questa bevanda. Basta guardare la lista dei 10 distillati più forti che vendono. Sembra di stare al tavolo con una dannata squadra di football.
Tra un sospiro di disapprovazione e l’altro, sia io che Ernests ordiniamo il numero 1 della top 10, un assenzio francese chiamato Madoror che presenta un 66% d’alcol e 35 mg di tujone. Ancor prima che io possa farci qualsiasi cosa, il barista immerge dei cubetti di zucchero nel mio drink, al quale poi dà fuoco. Ammetto che la fiammella blu che si crea è decisamente carina ma, interiormente, non posso fare a meno contorcermi e piangere dal dolore. Beviamo il tutto alla goccia (che non è il modo corretto di assaporare l’assenzio), e voliamo verso l’uscita. Mentre cerco di destreggiarmi tra la folla frastornante, una voce riecheggia sopra le altre. “Io adoro la scienza, cavolo, non farmi nemmeno incominciare!”
Sono inoltre sconvolto dagli ululati tipici emessi dagli studenti poco prima di vomitare. Ripeto, non possiamo che volare via. Yahweh, salvaci tu da questa plebaglia!

Il Lauschangriff è a un giro di tram (sul quale sembra di essere una lontra fatta di bruchi), da P. Berg a Friedrichschain, e appena arriviamo sprofondiamo nelle sue sedie lussureggianti. Ordiniamo dell’assenzio, capendo subito si tratti di un bar che, di solito, non ne vende. Così ammiriamo il cranio calvo del barista mentre il suddetto si arrampica per una scala alla ricerca di una bottiglia impolverata adagiata sulla mensola più in alto. Scende giù. Ce ne versa un bicchiere enorme e fine lì. Chiediamo dell’acqua e ci porta due grossi bicchieri ciascuno. Confusi, versiamo l’assenzio nei bicchieri d’acqua, sorseggiando i fumi della Fata Verde che, in questo caso, è 77,7% d’assenzio della Sassonia. È terribile.
I muri del bar sono rossi, cremisi, e su di uno sono dipinti degl’occhi raggianti, gialli, assieme a un paio di narici. Chiedo al barman se si tratti, effettivamente, di un bar dell’assenzio, e lui mi risponde di no. “L’indirizzo è lo stesso ma lo trovate nella porta affianco. Ora è chiuso comunque.”
Ah, fantastico. Il fatto ora è questo: il bicchiere non si berrà da solo, quindi dobbiamo comportarci come faremmo con qualsiasi altro drink, bevendolo. Con voce tremolante, Neil Young canta nei nostri cervelli 'Hey Hey, My My,' e noi iniziamo a parlare a fatica. Gli argomenti da trattare ci sarebbero anche, ma faticano a formarsi e a uscire dalla bocca, soprattutto per via della lingua, che ormai si è ingrossata. Ok, ora biascichiamo proprio.
Uno di noi due se ne esce fuori con un consiglio: “il dentifricio può alleviare il dolore.”
Certo, c’è della verità in questa frase. Così come ce n’è in altre, ma nessuna ci renderà la vita più facile. Così, mentre affondiamo nel dolce oblio delle lingue balbettanti, dalle casse arrivano alle nostre orecchie i Rage Against the Machine. La loro musica è decisamente più arrabbiata delle ali di fata che sbattono leggiadre dentro di noi, quindi capiamo sia il caso di levare le tende. Prendiamo l’U5 e, sebbene a questo punto le nostre menti siano un po’ su di un altro pianeta, i nostri piedi sono ben saldi su questo, e ci permettono di ammirare le pareti della stazione che sfrecciano via. Ancora una volta, sentiamo del calore propagarsi al pensiero delle macchine costruite dall’uomo, nonché a quello di tutti gli sforzi che compiamo nel nome di ciò che è giusto o sbagliato.
Davanti a noi c’è una ragazza. La sua faccia è calma, tranquilla, poi all’improvviso il volto inizia ad accartocciarsi come se stesse per starnutire, solo che invece vomita. Corriamo verso un altro vagone, ma anche lì troviamo del vomito. Il treno finalmente giunge alla nostra stazione ed Ernest non fa in tempo a catapultarsi sulla porta per aprila che subito si ritrova a tirare indietro la mano. Sulla maniglia era appiccicato del porridge disgustoso.
Finalmente allo Zyankali a Kreuzberg, lascio che il mio ordine lo prenda uno stregone con il camice da laboratorio, i capelli lunghi e i baffi attorcigliati alla Dalì. Il menù giallo acceso contiene sia cocktail all’assenzio (fra cui annoveriamo un “Pericolo alla Sobrietà” e l’Hapsburg, l’assenzio più forte al mondo), sia una selezione di shot psichedelici all’agwa, alla cannabis, al liquore di mandragola o al paan. Allo Zyankali troverete anche due tipi d’assenzio fatto a mano, di cui uno stagionato in botti di sherry.
Il bar è splendente e decorato con maschere antigas. Mi giro un attimo ed Ernests è sparito. Ordino l’assenzio di Marylin Manson, il Mansinthe, che vanta un satanico 66,6%, e rimango imbambolato a guardare la fontana d’acqua che gocciola piano nel calice. Sul muro si formano delle ombre, e il locale si riempie di musica jazz.
Marylin Manson aveva dichiarato di aver scritto 'The Golden Age of Grotesque' in 12 ore, tra un bicchiere e l’altro di Fata Verde. È come se sentissi il testo della canzone mentre bevo quella che è la sua creazione alcolica; “Hellzapoppin, apri la tua terza narice…”
E così faccio, prendo un bel respiro, chiudo gli occhi e sento una voce diversa che però non sta cantando. “Ti voglio raccontare dei corsetti delle prostitute tedesche.”
“Mi piace,” rispondo, aprendo anche gli occhi. Ernests è tornato ed è seduto davanti a me su di una barella di pelle nera, con la sua espressione sorniona illuminata dai segnali gialli dei crash-test appesi al muro.
Si avvicina col fare di uno che sa un grosso segreto. “Devi investigare un po’ sulla faccenda di Marilyn Manson e la rimozione delle costole per l’autoerotismo, per la l’auto-fellatio.” La mia testa crolla in avanti e non per provare le pratiche di Manson, bensì perché mi sento favolosamente ebbro.
Sono un uomo solitario, e il piattino a forma di rene con dentro i popcorn asciuga la mia mente. Alzo lo sguardo. Ernests è sparito. Faccio un giro per il bar tenendo le mani congiunte dietro col fare da vero detective.
Le pareti qui sono decorate con poster d’astronomia, chimica, tavole periodiche e illustrazioni anatomiche e mediche, che includono persino consigli su come far passare il mal di testa. A una, quella illuminata da una luce viola, sono appese piante di pomodoro. Le guardo assorto finché una mano fantasma appare dal nulla e mi riporta il drink che avevo lasciato chissà dove. In un armadietto sulle scale ci sono mensole piene di piccoli teschi. Forse teschi d’uccelli. Inizio a chiedermi se anche i pennuti soffrano di mal di testa, e in caso come lo trattino. Forse con una bacca specifica? O un verme? Come hanno fatto a prendere così tanti teschi, dove sono i corpi? Macinati nei drink? Hanno rimosso loro delle costole per la fellatio? Sono come noi? Come Marilyn?
Dopo il Mansinthe è la volta di un assenzio fatto in casa. Non c’è però nessuno con cui parlare e manca ancora un bar alla lista, quindi decido di muovere il sedere dall’altra parte della città.
Al Lauschangriff, finalmente, posso ordinare il Capricieuse. È aromatico e presenta un tasso alcolico del 72%. È uno dei 17 assenzi presenti nel menu, che include anche cocktail come il Bloody Absinthe Brain.
Nonostante io sia bello pieno degli effetti vitalizzanti del tujone, mi sento stanco. E la stanchezza che percepisco non è come quella data dalla birra, dal whisky o dal vino. Si tratta piuttosto di una leggera stanchezza, di un formicolio che il mio corpo sente; la mente è libera, irraggiungibile, come dopo un festival a base di droga. Lascio che i suoi fumi abbiano la meglio.
Trovo una spada lunga, ricurva e metallica, che scopro essere una sedia. Ma non mi ci siedo. Decido di adagiarmi su qualcos’altro. Gli interni del bar sono rossi e scuri, un po’ lussuosi, di pelle. Sembra di stare all’interno delle Tube di Falloppio ma senza le pareti ricoperte di ciglia.
Un uomo mi passa davanti e cerca di battermi il cinque, che io provo anche a ricambiare finendo però a sfiorare a malapena il palmo della sua mano. Ma a lui non importa.
C’è un cane, beve da una ciotola all’angolo. Ad un tavolo, invece, due uomini in camice parlano di scacchi. Alla finestra, vicino a un uomo piccino con la barba che si sta preparando una sigaretta, ne è seduto un altro intendo a mangiare del sushi. Lo osservo mentre si spazzola ogni boccone. Così, mentre lui prende un gamberetto in tempura, lo addenta, e chiude le labbra, io osservo la coda dell’animale passare da una guancia all’altra dell’uomo, sparendo.



mercoledì 5 maggio 2021

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Il (o meno correttamente the o thè) è una bevanda consistente in un infuso o decotto ricavato dalle foglie (a volte miscelate con spezie, erbe o essenze) di una pianta legnosa, Camellia sinensis che viene coltivata principalmente in Bangladesh, Pakistan, Cina, India, Indonesia, Sri Lanka, Giappone e Kenya. L'uso e i cerimoniali del tè sono associati a differenti tradizioni dell'Estremo Oriente. Altro Paese noto per il consumo del tè è il Regno Unito, che ne ha fatto quasi un simbolo nazionale.
Il tè ha un sapore amaro e astringente ed è la bevanda più diffusa nel mondo dopo l'acqua. A partire dagli anni ottanta del XX secolo si è diffuso l'utilizzo del "tè freddo", ossia un prodotto per lo più industriale ottenuto dall'infusione del tè e imbottigliato, servito dopo essere stato in frigorifero come bevanda rinfrescante: le tipologie più diffuse sono il tè al limone e il tè alla pesca.
I sei tipi base di tè sono:
  • il tè nero,
  • il tè verde,
  • il tè oolong,
  • il tè bianco,
  • il tè giallo,
  • il tè Pu'er o tè postfermentato.
Tutte le diverse varietà derivano dalle foglie della medesima pianta, ma sono create attraverso trattamenti differenti e presentano diversi gradi di ossidazione (comunemente chiamata "fermentazione"). I tè neri sono tè "fermentati", i verdi sono tè "non fermentati" e gli oolong sono "semifermentati". Una volta essiccato il tè può essere ulteriormente lavorato per dare vita a: tè aromatizzato, tè pressato e tè deteinato.
Il termine "tè" è usato in modo improprio anche come sinonimo di "tisana", per indicare infusioni preparate con piante diverse dalla Camellia sinensis. Il termine "tè rosso" si riferisce comunemente anche al carcadè o all'infusione di rooibos del Sudafrica, che non contengono Camellia sinensis.

Etimologia e derivazioni in altre lingue

La parola "tè" deriva dalla resa (pronuncia tei) del carattere cinese nel dialetto min meridionale diffuso nel sud del Fujian e a Taiwan.
Da questa pronuncia cinese derivano, con lievi varianti, le parole per in: malese, danese, inglese, spagnolo, svedese, yiddish, ebraico, cingalese, tamil, finlandese, francese, italiano, lettone, tedesco, olandese e ungherese.
Dalle pronunce piuttosto simili del carattere cinese nei dialetti settentrionali (Pinyin: chá) e in cantonese (Cantonese Yale: chah) derivano i nomi del tè in: giapponese, persiano, arabo, turco, russo, portoghese, ceco, slovacco, serbo, urdu, uzbeco, hindi, tibetano, tailandese e rumeno.
Curiosamente, il greco ha una denominazione da ciascuna delle due forme: τέιον (téion) e τσάι (tsái); la prima tuttavia è oggi desueta.
A volte in italiano viene usata la grafia francese thé (da evitare), dalla quale derivano le forme italianizzate "the" e "thè" (meno corrette di "tè").

Denominazione tassonomica

La denominazione tassonomica della pianta del tè è Camellia sinensis, con questo nome è registrata la pianta presso l'Index Kewensis e tramite questo, presso l'International Plant Names Index.
Linneo, tuttavia, nella prima edizione del suo Specie plantarum del maggio 1753 la denominò come Thea sinensis. Nella seconda edizione di detta opera abbandonò tale denominazione ma suddivise la pianta in due distinte specie: Thea viridis (con nove petali) e Thea bohea (con sei petali).
I botanici indiani e cingalesi hanno mantenuto per molto tempo la doppia nomenclatura di Camellia Thea. Fu J. Robert Sealy nel 1958 con la pubblicazione A revision of the Genus Camellia edita dalla "Royal Horticultural Society" a stabilire definitivamente la denominazione tassonomica attuale evidenziando come, secondo l'International Code of Botanical Nomenclature, in caso di fusione tassonomica di due identiche specie, vada utilizzata la denominazione della specie registrata per prima.

Contenuto ed effetti

Il tè contiene caffeina, un alcaloide stimolante del sistema nervoso centrale, teanina, un amminoacido psicoattivo, catechina, un antiossidante presente soprattutto nel tè verde e nel tè bianco, teobromina e teofillina, due alcaloidi stimolanti, e infine fluoruri.
Gli effetti della bevanda dipendono dal tipo di tè e dalle modalità di infusione (temperatura e durata). Un'infusione breve (circa 2 minuti) estrae dalle foglie di tè soprattutto caffeina e ha proprietà stimolanti. Un'infusione più lunga (3-5 minuti) estrae anche acido tannico, che disattiva la caffeina perché si combina con essa, attenuando l'effetto stimolante (L'acido tannico inoltre rende amaro il sapore del tè).

Storia del tè

I primi riferimenti testuali certi sul consumo del tè in Cina risalgono al III secolo. Tra i maggiori promotori del tè vi furono i monaci buddisti, che lo adottarono come bevanda rituale e tonico. Durante l'epoca Tang il tè si diffuse in tutto il paese, grazie anche al contributo del Canone del tè scritto da Lu Yu nel 760. Durante la dinastia Song l'arte cinese del tè raggiunse la massima sofisticazione. In questo periodo si diffuse anche in Giappone, dove nel XVI secolo venne codificata una particolare forma di preparazione ritualizzata (il cosiddetta "Cha no yu"). In Cina, nel corso della dinastia Ming, si affermò il consumo del tè in foglie e si incominciò a produrre - oltre ai tè verdi - anche tè ossidati e parzialmente ossidati.
Il primo riferimento al tè in un testo europeo è contenuto nei resoconti del veneziano Giovan Battista Ramusio. Presumibilmente furono i Portoghesi a introdurre la bevanda in Europa, ma la prima importazione della quale si ha traccia fu da parte della Compagnia Olandese delle Indie Orientali. In Europa il tè divenne dapprima popolare in Francia e nei Paesi Bassi. Inizialmente vi furono posizioni diverse da parte dei medici sulla nuova bevanda orientale: alcuni lo ritennero dannoso alla salute, altri (come il medico olandese Cornelis Bontekoe) ne promossero il consumo come rimedio per tutti i mali.
Il primo locale a servire il tè in Inghilterra fu la caffetteria di Thomas Garway nel 1657. La Compagnia inglese delle Indie orientali cominciò a importarlo a partire dal 1669 e nel corso del secolo successivo il tè divenne la voce più importante nei traffici inglesi con l'Oriente. Il consumo del tè in Gran Bretagna crebbe moltissimo e si impose come costume nazionale.
Nelle consolidate tradizioni britanniche la bevanda viene consumata varie volte al giorno. Tra i momenti più importanti vi sono la colazione e il tè pomeridiano (il cosiddetto "tè delle cinque") generalmente accompagnato da semplici dolci e tartine (Low tea) oppure consistente in un vero e proprio pasto che sostituisce la cena (High tea). A partire dal 1834 gli inglesi introdussero la coltivazione e produzione di tè anche nei loro territori coloniali in India.
Le più famose e antiche marche che importano e producono le miscele (blend) sono la Twinings e la Fortnum and Mason's, entrambe con sede a Londra. Altre marche famose inglesi sono la Lipton, la Whittard e la Harrods (i grandi magazzini londinesi).
Un altro famoso brand è la compagnia russa Orimi Trade Group che è da tempo la più grande azienda russa di bevande calde e la più grande produttrice russa di tè e caffè. I brand di produzione di tè della Orimi Trade Group sono il Greenfield tea e Tess tea.

Produzione e varietà

Il maggiore produttore di tè è la Cina (Lung Ching, Gunpowder, Lu Mu Dan, Shui-Hsien, Ch'i-Men Mao Feng), seguita dall'India (Assam, Darjeeling, Nilgiri). Anche il Giappone ha un ruolo importante nella produzione di alcune qualità (Bancha, Matcha, Sencha e Gyokuro). In Europa il tè viene coltivato nelle isole Azzorre.
Le sue foglioline, accartocciate e disseccate per esser messe in commercio, sono il prodotto della Camellia sinensis, un arbusto ramoso e sempre verde che non si eleva in altezza più di due metri. La raccolta della foglia ha luogo tre volte l'anno: la prima in aprile, la seconda al principio dell'estate e la terza verso la metà dell'autunno.
In Italia, l'unica coltivazione di tè è un impianto sperimentale di circa 1 000 m² situato presso la località Sant'Andrea di Compito del comune di Capannori nella provincia di Lucca.

Classificazioni

I tè possono essere classificati sulla base di diversi fattori, come ad esempio la zona di produzione, la cultivar di Camelia sinensis utilizzata, il mercato di destinazione, la pezzatura della foglia, ecc. Tuttavia il fattore più rilevante nella diversificazione del prodotto finito è rappresentato dai metodi di lavorazione che le foglie subiscono dopo la raccolta. La differenza principale è data dal grado di ossidazione delle foglie (comunemente chiamata "fermentazione") in base al quale si distinguono: i tè verdi (non ossidati), i tè neri (completamente ossidati) e i tè "semifermentati" (oolong) che presentano un grado di ossidazione intermedio tra questi due estremi.
In Cina, dove si produce il maggior numero di varietà di tè, oggi si impiega un sistema di classificazione che distingue sei tipi fondamentali di tè, ottenute con sei diversi processi di lavorazione, denominate in base al colore del prodotto secco o dell'infuso:
Nome cinese
Traduzione letterale
Nomenclatura italiana corrente
Lücha 绿茶
Tè verde
Tè verde
Huangcha 黄茶
Tè giallo
Tè giallo
Heicha 黑茶
Tè "nero"
Tè Pu'er o tè postfermentato
Baicha 白茶
Tè bianco
Tè bianco
Qingcha 青茶
Tè "verdazzurro", "blu"
Tè oolong o tè semifermentato
Hongcha 红茶
Tè "rosso"
Tè nero
A tale proposito è bene fare attenzione alla differenza tra la nomenclatura cinese e quella italiana nell'uso del termine "tè neri".
I tè appartenenti alle sei categorie sopra indicate possono poi essere ulteriormente manipolati, trattati ed elaborati per dare vita a diversi tipi di "tè rilavorati", come ad esempio i tè aromatizzati e profumati ai fiori, i tè pressati e i tè decaffeinati (deteinati).

Lavorazioni

Una volta raccolte, le foglie di tè vengono trasportate, stipate in grandi gerle, generalmente vicino alle piantagioni, dove sono sottoposte a una serie di trattamenti che le trasformano nel prodotto finito pronto per essere commercializzato o rilavorato.
Nella lavorazione del tè verde poco dopo la raccolta le foglie vengono sottoposte a un trattamento termico che inibisce gli enzimi responsabili dell'ossidazione e permette al tè di mantenere il proprio colore verde. Questo processo viene chiamato stabilizzazione (in inglese fixation) e può essere fatto tramite torrefazione come nel caso dei tè verdi cinesi, oppure per esposizione delle foglie al vapore, come nel caso dei tè verdi giapponesi. Poi le foglie vengono arrotolate ed essiccate.
Nel tè nero, invece le foglie vengono lasciate ad appassire in modo da far perdere l'acqua in esse contenuta, renderle morbide e poterle in seguito rullare. Le foglie vengono disposte in appositi magazzini, su tralicci. A seconda delle condizioni atmosferiche, questo appassimento si ottiene grazie alla ventilazione naturale che varia dalle 18 alle 24 ore. Si passa poi alla rullatura delle foglie per circa un'ora, che ha lo scopo di rompere le membrane cellulari e far affiorare i succhi in superficie. Passano poi alla fase di ossidazione dove le foglie vengono distese, in ambienti con forte umidità e temperature attorno ai 30 °C, e ivi lasciate per diverse ore. Sono quindi avviate alla essiccazione.
Il procedimento per i tè oolong (wulong) consiste in una lavorazione intermedia fra quella del tè nero e quella del tè verde: effettuato l'appassimento, si procede a una parziale ossidazione, che viene interrotta con il processo termico di stabilizzazione. Una volta ammorbidite dal calore le foglie vengono sottoposte a rullatura ed essiccamento. In base al grado di ossidazione e a prolungamento della fase si essiccazione le foglie dei tè oolong possono avere colori che vanno dal verde scuro fino al marrone nerastro.
Nella lavorazione del tè bianco le foglie subiscono una lunga fase di appassimento che è causa anche di un leggero processo di ossidazione, cui segue un'essiccazione finale a bassa temperatura. Il nome bianco deriva dal colore delle gemme apicali delle varietà di Camellia sinensis, tipicamente usate per produrre questi tè, ricoperte da una lanugine bianca particolarmente folta.
Il tè giallo viene sottoposto a un processo termico di stabilizzazione come il tè verde, ma viene lasciato "ingiallire" per effetto dell'umidità e del calore residui prima di procedere con l'essiccazione. Viene prodotto solamente in alcune aree della Cina.
Il tè postfermentato è un tè che viene sottoposto a un processo di fermentazione-ossidazione in particolari condizioni di temperatura e umidità, da cui il prefisso "post-", per poi essere stato sottoposto al processo termico di stabilizzazione. Prodotto in Cina, principalmente nella province di Yunnan (il più famoso è il tè Pu'er), Hunan e Anhui.

Varietà

  • Assam: tè nero indiano che, messo in infusione, produce una bevanda forte, dal sapore deciso e dall'aroma speziato. Ottimo con l'aggiunta di latte.
  • Bancha (番茶, letteralmente tè ordinario): è un tè verde giapponese ricavato dall'ultimo raccolto del tè, che ha luogo in ottobre. Il bancha è il tè verde comune per i giapponesi; esso è raccolto dalla stessa pianta di qualità sencha, però è colto più tardi, cosa che gli conferisce una qualità inferiore sul mercato. È considerata la più leggera qualità di tè verde. Il suo sapore è unico, ha un marcato odore di paglia. Con tale denominazione spesso si indica lo Hojicha, lo stesso tipo di tè sottoposto a una seconda forte tostatura.
  • Ch'i-Men o Keemun (祁门 Pinyin Qímén): tè nero cinese coltivato nella provincia dell'Anhui. La regione dove si trovano le piantagioni gode di clima subtropicale monsonico, con piogge abbondanti e temperature che si aggirano intorno ai 15 °C, ideale per le piante del tè. Il raccolto avviene fra maggio e giugno e dopo l'ossidazione le foglie subiscono un primo processo di essiccazione, poi una selezione severa delle migliori gemme e quindi una seconda fase di essiccazione, dopo la quale si presentano di colore nero, sottili e arricciate. L'infuso è di colore ambrato intenso, tendente al rosso, con aroma della fragranza della rosa. Il suo nome significa " capello sottile del Ch'i-Men ".
  • Darjeeling: tè nero indiano molto pregiato, tanto da guadagnare il soprannome di "champagne dei tè". Viene coltivato in zone piovose e ventose. Presenta un tipico aroma di uve moscato e sapore deciso con retrogusto muschiato.
  • Earl Grey: tè nero aromatizzato al bergamotto, è una delle varietà di tè più diffuse al mondo; prende il nome da Charles Grey, primo ministro britannico dal 1830 al 1834.
  • Gunpowder: rappresenta la varietà di tè verde cinese più bevuta nel mondo. Caratteristica principale di questo tè è la forma di piccole palline che viene data alle foglie durante la lavorazione e che ricordano, appunto, la polvere da sparo: sono tostate in cilindri rotativi riscaldati per fermarne l'ossidazione e fare in modo che le foglie si arrotolino e si essicchino mantenendo questa forma. Si tratta di un tè prodotto in modo massiccio e destinato quasi totalmente all'esportazione. L'infuso ha un sapore fresco e pungente. Oggi in molti paesi viene spesso consigliato nelle diete per le sue proprietà drenanti e stimolanti.
  • Gyokuro (玉露): tè verde giapponese, considerato uno dei migliori del mondo. A partire da tre settimane prima della raccolta, le piante vengono tenute all'ombra sotto grandi teli sostenuti da pali di bambù. Questo procedimento conferisce all'infuso il caratteristico colore verde brillante e il sapore leggermente dolce.
  • Lapsang Souchong: tè nero cinese affumicato prodotto nella provincia del Fujian.
  • Lu Mu Dan (綠牡丹 o 绿牡丹 Pinyin Lǜ mǔdan): tè verde cinese originario della provincia di Anhui e il suo nome significa "peonia verde". Le foglie di questo tè prima dell'essiccazione vengono legate a mazzetto in modo da conferire loro la forma di un fiore.
  • Lung Ching (龍井 o 龙井 Pinyin Lóngjǐng): tra i più conosciuti tè verdi del mondo, viene coltivato nella provincia dello Zhejiang, in Cina. Presenta foglie appiattite. Subisce una particolare essiccazione a calore moderato, effettuata manualmente in padelle semisferiche di ferro. Il raccolto ha inizio in primavera, prima del periodo delle piogge, scegliendo le foglie più giovani e tenere, che danno all'infuso un colore chiaro con sapore fresco e delicato. Il suo nome significa " pozzo del drago ".
  • Matcha: tè verde originario della Cina, le cui foglie vengono prima cotte al vapore, asciugate e ridotte in polvere finissima. Usato principalmente per la cerimonia del tè.
  • Orange Pekoe: tè nero in foglia composto solo dalle ultime due foglie e dalla gemma apicale della pianta.
  • Sencha (煎茶): tè verde giapponese, la cui raccolta avviene solo nel mese di maggio e giugno. Dopo diversi procedimenti di lavorazione, le foglie subiscono diverse manipolazioni, fino ad assumere l'aspetto di aghi di pino. L'infuso di colore verde chiaro, ha un sapore fresco e amarognolo. È il tè verde più diffuso in Giappone.
  • Shui-Hsien (水仙 Pinyin Shuǐxiān): varietà di tè oolong prodotto con l'omonima varietà di Camellia sinensis. In genere l'infuso si presenta di colore arancione chiaro, con note fruttate più o meno marcate.

Preparazione

Infusione del tè

Il metodo tradizionale per preparare una tazza di tè è di mettere foglie sfuse di tè, direttamente o in un infusore per tè, in una teiera o in una tazza e versare acqua calda o bollita di recente sopra le foglie. Dopo pochi minuti si tolgono le foglie, o rimuovendo l'infusore o filtrando il tè con un colino mentre lo si serve. La forza del tè dovrebbe essere variata cambiando la quantità di foglie di tè utilizzata, non cambiando il tempo di infusione.
La maggior parte dei tè verdi dovrebbe essere lasciato infondere per circa due o tre minuti, mentre alcuni tipi di tè richiedono fino a dieci minuti, e altri appena 30 secondi.
A pari quantità d'acqua, la quantità di tè da usare varia da qualità a qualità, ma la regola base è un cucchiaino abbondante (circa 5 ml) per ogni tazza d'acqua (200-240 ml). I tè più forti come l'Assam, da bere con il latte, sono spesso preparati con più foglie, mentre i tè più delicati come il Darjeeling sono preparati con meno foglie.
La temperatura d'infusione varia da tè a tè. I tè con poco o nessun periodo di ossidazione, come il tè verde e il tè bianco, dovrebbero essere infusi in acqua tra i 65 e i 75 gradi centigradi, mentre i tè con periodo di ossidazione più lungo dovrebbero essere infusi a temperature più alte, attorno ai 100 gradi: la temperatura elevata è richiesta per estrarre le molecole fenoliche del tè fermentato. Inoltre, la bollitura riduce il contenuto di ossigeno disciolto nell'acqua, che altrimenti reagirebbe con le molecole fenoliche, riducendo le proprietà antiossidanti del tè. Per preservare la forza antiossidante, specialmente per quanto riguarda i tè verdi e bianchi da infondere a temperature più basse, l'acqua dovrebbe essere bollita per eliminare l'ossigeno disciolto e poi fatta raffreddare fino alla temperatura ottimale prima di aggiungere il tè. Un ulteriore beneficio per la salute dato dalla bollitura dell'acqua prima dell'infusione è la sterilizzazione.
Oltre a cambiare la forza degli antiossidanti, la temperatura e il tempo di infusione influenzano molto il sapore, specialmente del tè bianco e del tè verde. La Camelia sinensis contiene naturalmente tannini, che vengono estratti in maggiori quantità più il tè viene tenuto in acqua bollente. Nei tè neri, i tannini sono parte dell'aroma naturale, tendenzialmente ricco e marcato, mentre nei tè verdi e bianchi, più delicati, i tannini danno un sapore amaro comunemente considerato sgradevole.



Tipo
Temperatura dell'acqua
Tempo di infusione
Infusioni
Tè bianco
65-70 °C
1–2 minuti
3
Tè giallo
70-75 °C
1–2 minuti
3
Tè verde
75-80 °C
1–2 minuti
4–6
Oolong
80-85 °C
2–3 minuti
4–6
Tè nero
99 °C
2–3 minuti
2–3
Pu'er
95-100 °C
Senza limiti
Numerose
Tisane
99 °C
3–6 minuti
Vari



Di alcuni tipi di tè, le stesse foglie sono spesso riutilizzate e infuse numerose volte. Storicamente, in Cina, il tè è diviso in numero di infusioni. La prima viene immediatamente versata via per pulire il tè, mentre la seconda e le successive vengono bevute. La terza, la quarta e la quinta infusione sono spesso considerate le migliori, anche se tè diversi si aprono in tempi diversi e potrebbero servire più infusioni in acqua calda per produrre il sapore migliore.
Per mantenere costante la temperatura del tè nella teiera, viene spesso usato un copriteiera.
Un modo per gustare il tè nel suo intero processo è aggiungere acqua calda in una tazza contenente le foglie e assaggiare dopo trenta secondi, continuando finché le foglie non sono piuttosto umide e cotte. Mentre le foglie di tè si aprono in quella che è nota come "agonia delle foglie", espongono all'acqua parti diverse e perciò il sapore si evolve.
Il contenuto di antiossidanti, misurato dal tempo di ritardo dell'ossidazione del colesterolo, migliora infondendo alcune varietà di tè in acqua fredda.

Tè nero

In occidente, l'acqua per il tè nero viene di solito aggiunta quasi al punto di ebollizione, a circa 99 °C, in quanto molte delle sostanze attive del tè nero non si sviluppano a temperature inferiori a 90 °C. Le temperature più basse vengono utilizzate per tè più delicati, quali il tè verde e il tè bianco, in quanto influenzano il sapore finale della bevanda. L'errore più comune nel preparare il tè nero è usare acqua troppo fredda, anche dovuto al fatto che, aumentando l'altitudine, il punto di ebollizione scende. I britannici raccomandano, inoltre, di scaldare la teiera prima di preparare il tè, sciacquandola con acqua bollente.
I tè occidentali sono solitamente infusi per quattro minuti, ma in molte regioni del mondo viene usata acqua bollente e le foglie di tè vengono spesso inzuppate: ad esempio, in India il tè nero viene bollito per più di quindici minuti. Varietà popolari di tè nero sono l'Assam, il tè del Nepal, il Darjeeling, il Nilgiri, il tè turco e il tè di Ceylon.

Tè verde

L'acqua per il tè verde dovrebbe avere una temperatura di 80-85 °C. Più alta è la qualità delle foglie di tè, più la temperatura deve essere bassa; più l'acqua è bollente, più il sapore del tè sarà amaro. In Nord Africa o Asia Centrale, tuttavia, il sapore amaro del tè verde è apprezzato e viene pertanto infuso in acqua bollente: ad esempio, in Marocco, le foglie di tè vengono infuse in acqua bollente per quindici minuti. In Occidente e nell'Estremo Oriente, invece, si preferisce un tè verde più tiepido. Il tè viene infuso in una tazza o in una teiera, spesso riscaldate in precedenza per non far raffreddare immediatamente la bevanda. Ai tè verdi e bianchi di alta qualità si può aggiungere acqua anche cinque volte, in base alla varietà, a temperature crescenti.

Oolong

I tè oolong andrebbero infusi in acqua tra gli 80 e i 100 °C in un recipiente riscaldato, tradizionalmente una teiera di argilla blu Yixing. Per risultati ottimali, è preferibile utilizzare acqua di sorgente, i cui minerali aiutano a estrarre più sapore dalle foglie di tè. Gli oolong di alta qualità possono essere infusi diverse volte usando le stesse foglie, ottenendo un sapore via via migliore, al contrario di quanto accade con i tè verdi. La pratica comune è riutilizzare le foglie per cinque volte, e la terza infusione è solitamente considerata la migliore.
Nella Gong fu cha, la prima infusione viene buttata, in quanto è considerata più un lavaggio delle foglie di tè che un'infusione vera e propria.

Tè delicato o di alta qualità

Alcuni tè, specialmente i verdi e gli oolong delicati, vengono infusi per pochissimo tempo, a volte anche trenta secondi. Usare un colino aiuta a separare le foglie dall'acqua alla fine dell'infusione nel caso non si stiano usando le bustine da tè. Tuttavia, il tè nero Darjeeling richiede un tempo di infusione superiore alla media. L'altitudine e il momento della raccolta danno foglie dal gusto diverso; anche il metodo di conservazione e la qualità dell'acqua influenzano il sapore del tè.

Tè Pu'er

I tè Pu'er vanno infusi in acqua bollente da trenta secondi a cinque minuti. Alcuni preferiscono risciacquare rapidamente le foglie per pochi secondi in acqua bollente per rimuovere la polvere data dal processo di invecchiamento prima di infondere il tè.

martedì 4 maggio 2021

InBev

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La InBev è stato il maggiore produttore di birra al mondo per quantità prodotta. Rappresenta una quota di mercato di circa il 13%, ed una produzione di 190 milioni di ettolitri di birra e 25 milioni di ettolitri di limonate. Il gruppo ha circa 86.000 dipendenti (2007).

Profilo

InBev opera in 30 paesi e vende i propri prodotti in oltre 180. Nel 2006 presentava una capitalizzazione di 30,6 miliardi di euro, un profitto di oltre 3,2 miliardi di € ed un fatturato di 13,3 miliardi.
La sede sociale è situata a Lovanio in Belgio, nello stesso stabilimento dove aveva precedentemente sede la Interbrew, la compagnia che fondendosi con la brasiliana AmBev ha dato vita alla InBev.
Gli investimenti si concentrano attualmente su tre marchi mondiali: Stella Artois, Beck's e Brahma. La InBev produce anche altri marchi, molti conosciuti a livello internazionale, come Jupiler, Hoegaarden (birra bianca), Staropramen, Leffe, Bass, Tennent's o Labatt. InBev ha creato catene di bar ed industrie della birra per vendere direttamente i suoi prodotti: in Francia rappresenta infatti 200 marchi.

Storia

Il 3 marzo 2004, Interbrew (uscita della fusione delle industrie della birra Stella Artois con sede a Lovanio in Belgio e la distilleria Piedbœuf di Jupille sempre in Belgio), effettuò un'operazione di fusione aziendale con la fabbrica di birra brasiliana Companhia de Bebidas das Americas (AmBev) per formare InBev.
In seguito alla fusione (l'economia generata da tale fusione si aggirerebbe intorno ai 280 milioni di euro) InBev è divenuto il primo produttore di birra al mondo.
Il 14 luglio 2008 InBev SA/NV acquista al costo di 52 miliardi di dollari (70$ per ogni azione) la Anheuser-Busch, azienda statunitense, detentrice in particolare del marchio Budweiser. Questa operazione darà origine alla formazione di un'altra società, la Anheuser-Busch InBev, che gestisce circa 300 marche di birra. Con questa operazione la neonata Anheuser-Busch InBev è diventata la compagnia madre e la InBev e la Anheuser-Busch sono diventate semplici consociate controllate dalla società capogruppo.

Azionariato

  • Stichting Administratiekantoor INBEV - 52.44%
  • Eugénie Patri Sébastien SA - 13.19%
  • Fondatori: 1.28%
Nota: Stichting Administratiekantoor INBEV è controllata al 55.9% da Eugénie Patri Sébastien SA e al 44.1% da BRC Sàrl. EPS SA è riconducibile ai consiglieri di amministrazione Allan Chapin, Philippe de Spoelberch, Arnoud de Pret Roose de Calesberg, Alexandre Van Damme. BRC Sarl è riconducibile ai consiglieri Jorge Paulo Lemann, Marcel Herrmann Telles, Carlos Alberto da Veiga Sicupira e Roberto Moses Thompson Motta.



Italia

In Italia opera attraverso Anheuser-Busch InBev Italia s.p.a.

Marche di birra detenute da InBev

Birra a distribuzione mondiale

  • Stella Artois
  • Beck's
  • Budweiser (Anheuser-Busch)

Altre marche

  • Alexander Keith's (Canada)
  • Antarctica (Brasile)
  • Baisha (Cina)
  • Bass (Regno Unito)
  • Belle-Vue (Belgio)
  • Bergenbier (Belgio)
  • Best Ice
  • Best Scotch
  • Boddingtons (Regno Unito)
  • Brahma
  • Birra del Borgo (Italia)
  • Cafri (Corea del Sud)
  • Carling (Regno Unito)
  • Cass (Corée du Sud)
  • Chernigivski
  • Dommelsch (Paesi Bassi)
  • Double Deer (Cina)
  • Corona (Messico)
  • Diekirch (Lussemburgo)
  • Franziskaner (Germania)
  • Hasseröder (Germania)
  • Heldenbrau Super
  • Hertog Jan (Paesi Bassi)
  • Hoegaarden (Belgio)
  • Jingling (Cina)
  • Jupiler (Belgio)
  • KK (Cina)
  • Klinskoye
  • Kokanee (Canada)
  • Labatt Blue (Canada)
  • Labatt 50 (Canada)
  • Lucky Lager
  • La Bécasse (Belgio)
  • Leffe (Belgio)
  • Löwenbräu (Germania)
  • Mackeson
  • Mousel (Lussemburgo)
  • OB (Corea del Sud)
  • Oranjeboom (Paesi Bassi)
  • Safir (Belgio)
  • Sibirskaya Korona
  • Skol (Brasile)
  • Spaten (Germania)
  • Staropramen (Repubblica Ceca)
  • Tennent's Lager (Regno Unito)
  • Tolstiak (Ucraina)
  • Welsh Smooth
  • Whitbread
  • Yali (Cina)
  • Yantar (Ucraina)
  • Zizhulin (Cina)
  • Zhujiang (Cina)

 
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