venerdì 9 ottobre 2020

Jigger

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Il jigger è un misurino per cocktail utilizzato negli Stati Uniti come dose standard di servizio nella preparazione dei cocktail. Un jigger equivale a 1,5 oncia liquida ovvero a circa 44 ml. Generalmente è realizzato in acciaio inox.Ne esistono in svariate misure sempre doppie dato che,quasi sempre i jigger hanno una forma a doppio imbuto,quindi troveremo jigger da 1/2 - 1 oz ,3/4 - 1.1/4 oz ,1 - 2 oz

giovedì 8 ottobre 2020

Questi barman giapponesi per i loro liquori usano serpenti, funghi e insetti

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Alcuni barman giapponesi stanno riportando in auge l’antica arte dei liquori e degli infuse home-made, alcuni dei quali destinati a farti sentire più bello, a dormire meglio, o persino a far baldoria senza gli effetti collaterali del post-sbornia.
"Il Campari veniva colorato con le cocciniglie, degli insetti, proprio come i rossetti", mi dice, aggiungendo le conchiglie frantumate al mix. In seguito procede a shakerare il tutto con forza e, per mio grande sollievo, ha filtralo la miscela rosso sangue prima di versarla nel mio bicchiere. "Immaginatelo un po' come un Frappuccino alla fragola di Starbucks." È amaro ma bilanciato nel gusto, esattamente come lo volevo io, insetti inclusi. È un po' come tutto quello che Kayama tira fuori dal suo cilindro. I clienti abituali nemmeno chiedono più il menù, sanno che tutte le ricette vengono fuori dalla sua immaginazione e cambiano talmente tanto spesso che stare al passo con un menù scritto è pressoché impossibile. Nel giro di poche ore ho potuto ammirarlo rivisitare un Bloody Mary con un'aggiunta verde lime, unire l'equivalente di un giardino di erbe a una mistura a base di gin, mischiare una sorta di parente prossimo del Pisco Sour con un topping a base di frutta caramellata e una simil crème brûlée.
"Hai qualche problema che vorresti risolvere? Non so, qualcosa legato alla bellezza, alla salute, alla pelle? Senti gli occhi pesanti o ti senti stressato?" mi chiede Nanoko Hanamura, conosciuta dai suoi amici con il soprannome di Nano-chan. Dopo soli dieci minuti passati allo Yakusyu bar, in realtà, praticamente tutti possono fregiarsi della qualifica di amici di Nano-chan.
Un po' come tutto ciò che di bello c'è a Tokyo, lo Yakusyu bar è quasi impossibile da trovare se non si sa esattamente dove dover cercare. Persino provvisto di Google Maps e di un amico giapponese ci ho messo secoli a scovarlo, vagando per quel labirinto di graffiti che è il distretto di Sangenjaya, prima di scorgerne la flebile insegna verde fuori dalla porta.
Una volta entrato dentro, mi sono ritrovato di fronte a quaranta barattoli, piuttosto bizzarri alla vista, messi in infusione con qualsiasi cosa, dal fiore di sambuco all'anguilla.
Involontariamente, alla mia vista è poi anche balzato un grosso recipiente, posizionato in un angolo del locale, al cui interno c'erano i resti decapitati di una specie velenosa di serpenti dell'Okinawa. Accortasi della traiettoria del mio sguardo, Nano-chan mi fa l'occhiolino e dice di non preoccuparmi, perché "tutto il veleno si trova nella testa. Non arreca danno se lo bevi. E poi è anche ottimo per gli uomini, durante la notte… non so se mi spiego."
Dato che non sto cercando di dare una botta alla mia virilità, decido di optare per un infuso rilassante alla melissa e acqua tonica. Un banchiere seduto vicino a me guarda un po' storto il serpente e mi fa sapere che i suoi "problemi notturni" arrivano sempre dopo aver bevuto.
"Hai mai pensato di portare prima a casa una ragazza e poi di andare a bere al bar?" Nano-chan chiede scherzosamente alzando gli occhi al cielo. Nel locale scoppiano fragorose risate e i bicchieri iniziano a tintinnare. " Kampai!Hey, benvenuto in Giappone!".
Siamo solo a mercoledì notte ma, siccome ognuno di questi elisir possiede (pare) proprietà terapeutiche, abbiamo convenuto che uno o due shot in più non ci avrebbero fatto poi così male. Conosciuti come yakushu, questi infusi home-made sono recentemente tornati alla ribalta soprattutto fra le generazioni più giovani, proprio grazie alle loro presunte funzioni curative che aiutano a debellare l'insonnia, a purificare la pelle, o a incrementare i livelli d'energia.
In città è possibile trovare una dozzina di locali simili allo Yakusyu. In ognuno di questi bar, che spaziano da luoghi in cui si rivende clandestinamente l'alcol a pub peculiarmente strani, si sorseggiano liquori fatti in casa.
Nell'ultima categoria spicca il Bonji Bar, un hookah bar nascosto vicino alla stazione di Asausa, dove i liquori vengono infusi con semi di cannabis, funghi allucinogeni, scorpioni, corna di cervo o peni, tartarughe, cobra reali e lamprede. Alcuni di questi sono importati mentre altri, come la tequila con infuso di peyote, sono creazioni del proprietario. Sebbene vanti le leggi anti-droga più dure del mondo, come il Cannabis Control Act del 1948, a nessuno qui sembra importare. Per il sollievo di alcuni avventori e il dispiacere di altri, alcuni di questi liquori, come quello alle foglie di coca, sono privi di affetti narcotizzanti.
Ugualmente lisergico ma in un qualche modo più salutista, è invece il Gatosano, un locale che si trova al secondo piano di un negozio situato a pochi passi dalle gothic lolita e dai fighetti: Harajuku Takeshita Street.
Dopo le cinque del pomeriggio, questo bar/gastronomia di cibi salutisti e color arcobaleno inizia a offrire shot di circa quaranta tipo diversi di yakushu, ognuno dei quali è stato miscelato personalmente al fine di aiutare qualsiasi festaiolo a far baldoria o ad accusarne gli effetti con meno fatica.
Quando sono arrivato al bar nel tardo pomeriggio, il proprietario, Dj Tanaka, era fuori a fare un giro, ma il suo barista era più che felice di aiutarmi a scegliere il liquore migliore dall'enorme menù diviso per proprietà curative.Per una notte in città, se voglio digerire tutto il ramen che ho mangiato, potrei iniziare con delle foglie di stevia o di guava, per passare poi a del guarana pre-festa e finire la serata con una valeriana, camomilla o lavanda. Forse i liquori più utili sono quelli di fine party, infusi con curcuma o finocchio, che pari plachino qualsiasi post-sbornia ancora prima che inizi.
Per quanto possa sembrare allettante, non ho mai la possibilità di testate la loro efficacia.
Per prenotare un incontro con il barista meno ortodosso di Tokyo, sono dovuto andare fino a Shinjuku, dove Hiroyasu Kayama offre bevute create ad hoc, spiriti rarissimi e, più nello specifico, qualsiasi cosa gli vada di servire al suo Bar Ben Fiddich. Offre dalle trenta alla quaranta varietà di yakushu ad ogni ora, molte delle quali infuse con estratti vegetali provenienti dalla tenuta agricola di famiglia a Chichibu, nella prefettura di Saitama.
Dato che siamo a Tokyo, l'unica cosa a indicarci che il bar esista è un misero pezzo di nastro vicino all'ascensore sul quale è stato scritto, a caratteri minuscoli, dove poterlo trovare. Fuori il sole splende ma, una volta arrivato alla meta (uno spazio illuminato a candele e ubicato al nono piano del palazzo), mi sembra quasi sia notte fonda. Kayama è lì, dietro al bancone, con un completo color crema e i capelli ingellati all'indietro. Dietro di lui ci sono mensole piene zeppe di bottiglie, alcune delle quali sigillate con la cera per proteggerne il contento. Muovendomi a gesti, chiedo cosa ci sia dentro.
"Ti piace l'assenzio?" mi chiede Kayama mentre i suoi occhi si illuminano. Ancor prima che io possa rispondere, tira giù varie bottiglie di fata verde e le posiziona sul bancone. "Io colleziono assenzio. Guarda. Questa bottiglia è del 1890. Questa del 1910, mentre questa è la più vecchia, del 1870. Il sapore è ottimo proprio perché si tratta di annate vecchie. Ecco, qui ci sono accenni di cioccolato. Quindi sì, insomma, penso proprio tu possa dire mi piaccia l'assenzio."
Mi basta anche solo annusarli per sentire la mia testa girare, ma sono troppo timido per chiederne un assaggio. Per la fortuna di quelli che non si possono permettere un sorso di questi eccezionali elisir, Kayama produce i propri. Anice, finocchio, radice di angelica, menta, melissa, issopo e persino quello stesso estratto di assenzio che è rimasto nella lista nera della Food and Drug Administration (FDA) fino al 2007: tutto finisce nella sua pozione alcolica al 62%. "Mio padre è un contadino, quindi torno spesso nella mia città natia per cercare ingredienti. Li faccio crescere e poi essiccare. Ho un alambicco con capacità di 20 litri, pieno di questo," mi dice, mostrandomi la bottiglia.
Non è il suo unico pezzo forte, però. Quando gli chiedo qualcosa con Campari, lui lascia perdere le bottiglie sulle mensole e procede verso dei barattoli. Ne tira fuori sedici. Senza dire una parola, tira fuori pestello e mortaio e inizia a frantumare precise quantità di erbe e spezie. Sebbene io ne riconosca in buona parte, c'è un contenitore di insetti essiccati che mi lascia un attimo perplesso.
"Il Campari veniva colorato con le cocciniglie, degli insetti, proprio come i rossetti", mi dice, aggiungendo le conchiglie frantumate al mix. In seguito procede a shakerare il tutto con forza e, per mio grande sollievo, ha filtralo la miscela rosso sangue prima di versarla nel mio bicchiere. "Immaginatelo un po' come un Frappuccino alla fragola di Starbucks".
È amaro ma bilanciato nel gusto, esattamente come lo volevo io, insetti inclusi. È un po' come tutto quello che Kayama tira fuori dal suo cilindro. I clienti abituali nemmeno chiedono più il menù, sanno che tutte le ricette vengono fuori dalla sua immaginazione e cambiano talmente tanto spesso che stare al passo con un menù scritto è pressoché impossibile. Nel giro di poche ore ho potuto ammirarlo rivisitare un Bloody Mary con un'aggiunta verde lime, unire l'equivalente di un giardino di erbe a una mistura a base di gin, mischiare una sorta di parente prossimo del Pisco Sour con un topping a base di frutta caramellata e una simil crème brûlée.
"Ecco un cocktail giapponese speciale," risponde Kayama a chiunque gli chiede cosa stia bevendo. "Non ha un nome". Per Kayama il fremito dato da tutta questa alchimia è da ritrovarsi nella sfida di creare qualcosa di unico piuttosto che nel focalizzarsi sui possibili effetti curativi dei cocktail.
"Anche prima di aprire questo bar il mio hobby era distillare. Questi sono i miei spiriti distillati, fatti in casa," mi dice facendo cenno alla parete dietro di lui. "Prima, forse, venivano usati come medicina."
Se si possano o meno qualificare come tali, lui non ce lo può dire. Per lui creare yakushu significa unire arte, scienza e ossessione in parti eguali, in quella che si potrebbe ritenere come una naturale estensione dell'arte del barman. Così, mentre mi trascino fuori nel tentativo di prendere l'ultimo treno, non mi sento né più magro, né più giovane o figo. L'unica cosa che sento è la consapevolezza di aver bevuto qualcosa di dannatamente buono.


mercoledì 7 ottobre 2020

Speakeasy

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Uno speakeasy (letteralmente: "parlar piano, con tranquillità, senza tensione"), chiamato anche blind pig o blind tiger, è un esercizio commerciale che vende illegalmente bevande alcoliche. Tali esercizi furono in auge negli Stati Uniti durante il periodo conosciuto come proibizionismo (1920–1933, più a lungo in alcuni Stati). Durante questo periodo, la vendita, la produzione e il trasporto di bevande alcoliche erano illegali in tutti gli Stati Uniti d'America.

Etimologia

Il termine speakeasy sembra essersi originato in Pennsylvania nel 1888, quando la legge Brooks High sulle licenze commerciali aumentò la tassa statale per una licenza di saloon da 50 a 500 dollari. Il numero di bar legali crollò drasticamente, ma alcuni bar continuarono ad operare illegalmente. Kate Hester aveva in gestione un saloon a McKeesport, appena fuori Pittsburgh. Si rifiutò di pagare la nuova tassa e continuò la propria attività. Per evitare che il suo business illegale potesse attirare l'attenzione delle autorità, quando i suoi clienti erano troppo turbolenti, lei li avrebbe zittiti sussurrando "Speak easy, boys!" ("Parlate piano, ragazzi!"). Questa espressione divenne comune a McKeesport e si diffuse poi a Pittsburgh.
Una teoria alternativa è che il termine sia semplicemente derivato da un modo di ordinare una bevanda alcolica senza sollevare sospetti — i baristi avrebbero detto ai clienti di stare tranquilli e di "parlare senza tensione".



Storia

Gli speakeasy erano numerosi e popolari durante gli anni del proibizionismo. Alcuni di loro erano gestiti da membri della criminalità organizzata. Nonostante polizia e agenti del Bureau of Prohibition compissero frequenti irruzioni e arresti di proprietari e clienti, erano così redditizi che continuarono a prosperare.
Gli speakeasy contribuirono al cosiddetto Rinascimento di Harlem perché consentirono alla gente di colore di bere e divertirsi al riparo dalla discriminazione razziale.

Blind pigs e blind tigers

Il termine "blind pig" (o "blind tiger") ha avuto origine negli Stati Uniti nel diciannovesimo secolo; definisce esercizi commerciali di classe inferiore che vendono illegalmente bevande alcoliche. Nei locali di questo tipo, il cliente pagava un biglietto per vedere un'attrazione (ad esempio un animale) e il locale gli serviva una bevanda alcolica "in omaggio", eludendo in questo modo i divieti imposti dalla legge proibizionista.
"In casi disperati arrivano a mostrare suini di Groenlandia e altri animali strani, facendo pagare 25 centesimi per la vista del maiale e offrendo un gin cocktail gratuito."
"[Loro] sono in un luogo misterioso chiamato blind tiger, a bere il pessimo whisky di cui il proibizionismo è indirettamente responsabile".
La differenza tra uno speakeasy e un blind pig è che il primo era solitamente un esercizio di classe superiore che offriva cibo e divertimento. Nelle grandi città alcuni speakeasy esigevano inoltre un abbigliamento consono, giacca e cravatta per gli uomini e abito da sera per le donne. Un blind pig invece si rivolgeva solitamente alle classi inferiori e offriva solo birra e liquori.

I gangster

L'era del proibizionismo ha visto la crescita della criminalità organizzata negli Stati Uniti. Gangster come Dutch Schultz, Al Capone e Lucky Luciano fecero fortuna fornendo illegalmente birra e liquori agli speakeasy di tutto il paese. Alcuni speakeasy furono utilizzati come abitazioni e uffici dai gangster, che adottarono uno stravagante e facilmente identificabile stile di vita. I gangster di successo venivano identificati dai loro abiti di seta alla moda, dai gioielli costosi e dalle pistole.

martedì 6 ottobre 2020

International Bartenders Association

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L'International Bartenders Association, fondata il 24 febbraio 1951 nel Saloon del Grand Hotel di Torquay, Regno Unito, è un'organizzazione di barman.

Storia

Gli eventi annuali, World Cocktail Competition (WCC) e World Flairtending Competition (WFC), sono organizzati e presentati dalla IBA. Nel 2006 le competizioni si svolsero al Meliton Porto Carras Hotel di Halkidiki, Grecia dal 6 ottobre (32esimo WCC) al 7 ottobre (settimo WFC).
Giovedì 21 febbraio 1951, una competizione Europea sui cocktail fu tenuta al Grand Hotel in Torquay, Inghilterra. Concorrenti da tutta Europa si presentarono, ben 21 bartenders parteciparono a questa storica occasione. Tre giorni dopo, il 24 febbraio, gli osservatori e i presidenti delle corporazioni Europee fondarono la International Bartenders Association. L’IBA lanciò la prima competizione di Cocktail mondiale ad Amsterdam, il 7 e l’8 ottobre del 1955. Giuseppe Neri, un concorrente palermitano, Italia, divenne il primo vincitore della ICC (International Cocktail Competition). Da qui partirono competizioni annuali che si differenziarono dal 1997 in tre diverse categorie: Befor Dinner Cocktail, After Dinner Cocktail e Longdrink. Nel 1999 il nome “International Cocktail Competition” cambiò in “World Cocktail Competition”. Nell’anno 2000 ci fu l’introduzione di un nuovo fenomeno nel mondo dei cocktail e della miscelazione: il Flairtending. Da quell’anno nella WCC si concorreva per due premi: Classic Mixing e Flairtending. Nel 2005, una quinta categoria fu introdotta: Fancy Cocktail. Nel 2008 introdussero la categoria Opening, nella quale i concorrenti sono liberi di scegliere e competere con il cocktail di qualsiasi altra delle quattro categorie proposte. Da questa volta, la Tavola IBA fu consultata per riorganizzare la WCC per rispettare tutti i cocktail del mondo e incrementare la visibilità dei Campioni Mondiali e degli sponsor. Con l’aiuto di questi ultimi, l’IBA riuscì a creare un marchio proprio per la finale della WCC trasformando quel giorno in un vero e proprio super evento, la Super Finale. Con l’arrivo del nuovo emozionante nome, il nuovo logo si diffuse e l’importanza dell’evento creò una vera e propria marca. Dal 2011, la gara è stata riconosciuta come Campionato Mondiale dei Cocktail. Consiste in sei categorie individuali: Flairtending, Before Dinner Cocktail, Sparkling Cocktail, Fancy Cocktail, Longdrink and After Dinner Cocktail. Dopo le finali i sei vincitori competeranno nella Super Finale per creare IBA Cocktail of the Year. Il vincitore della WCC Super Final sarà invitato alla Super Finale dell’anno successivo per preparare il “Cocktail di Benvenuto” per la nuova competizione.
L'organizzazione si occupa inoltre di stilare la lista dei Cocktail ufficiali IBA.

lunedì 5 ottobre 2020

Enoteca

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Enoteca è un particolare tipo di negozio per la vendita di vino (in origine soltanto vino locale o regionale, oggi più spesso proveniente da vari territori nazionali e internazionali). L'enoteca è principalmente diretta a dare ai consumatori appassionati del vino e della sua cultura (persone residenti nell'area di un'enoteca, ma anche visitatori e turisti) la possibilità di degustare vini ed eventualmente acquistarli. L'enoteca è talvolta gestita in collaborazione con produttori vinicoli o con organismi locali di coordinamento e di promozione tra produttori vinicoli (es. consorzi di tutela). Oggi l'enoteca è sempre più orientata ad essere una "biblioteca del vino", vale a dire un luogo nel quale trovare informazioni sui vini e sulla cultura del vino, piuttosto che essere un punto di distribuzione e vendita di grandi quantitativi di vino. Spesso nelle enoteche è disponibile uno stock piuttosto ridotto di bottiglie di vino per ciascuna etichetta e i clienti interessati ad acquistare grandi quantità di vino dopo la degustazione sono indirizzati a recarsi direttamente presso i produttori. Spesso l'enoteca vende anche altri prodotti alimentari locali e serve piccoli spuntini da accompagnare con i vini.
Le enoteche hanno una lunga tradizione in Italia. Si pensi, ad esempio, all'enoteca di Palazzo Antinori a Firenze, dove i vini Antinori sono disponibili al bicchiere da più di un secolo.
Le enoteche si sono diffuse anche a nord delle Alpi con il nome tedesco vinoteca, prima in Austria e poi in Germania.
Essere associati ad un'enoteca è probabilmente più utile per piccoli e non troppo noti produttori di vini rispetto a quelli che hanno marchi noti. L'enoteca si adatta bene alle esigenze del visitatore occasionale di una determinata area, liberando anche il produttore dall'incombenza di predisporre un apposito servizio nella sua cantina per chi si limita all'acquisto di un paio di bottiglie. D'altra parte, le enoteche, offrendo con la degustazione la possibilità di operare un confronto tra etichette concorrenti, contribuiscono anche a stimolare le cantine nella direzione di un continuo miglioramento del prodotto.
In anni recenti si sono diffusi in Italia i bar-enoteca (o wine-bar) specializzati nel servire vini in bottiglia alla mescita.



domenica 4 ottobre 2020

Qual è il senso di prendere un caffè al bar, anziché ad una macchinetta o a casa?

Lo sostengo da tempo, e la pandemia me lo ha confermato.

Per me il grande valore di un caffè al bar non è la sua bontà, quanto piuttosto il significato che ha questa abitudine.

Il caffè che mi preparo a casa con la moka è migliore dell'80% dei caffè che posso trovare in un bar. Sono pochi i bar che fanno caffè davvero esclamativi, di quelli da farti esclamare "che buon caffè"! A casa ho imparato a farlo molto bene e non avrei motivo di arrischiarmi in un bar anziché prenderlo a colazione dalla mia fida moka.

Ma il valore di quell'euro (ormai 1,10 euro…) è un altro.

Il caffè è un'occasione per scambiare due chiacchiere con il barista, con gli altri avventori, gettare uno sguardo al quotidiano, ascoltare le parole di chi è nel locale. Il caffè è socialità, non è solo un caffè.

O almeno, è così per me.

Me ne sono reso conto durante il lockdown della pandemia, quando mi mancava quel momento, non tanto il caffè di per sé.


sabato 3 ottobre 2020

Whisky: con acqua o liscio? La risposta arriva dalla scienza

whisky


Un bicchiere di cristallo stretto tra le mani e, dentro, un liquido ambrato che chiede solo di essere gustato, lentamente, affinché il sapore raggiunga nel profondo il cuore di chi si appresta a bere, magari circondato da pareti in boiserie o davanti ad un bancone di legno, tra luci soffuse, il fumo delle sigarette (è una immagine poco salutista, lo ammetto) e un sassofonista che, in sottofondo, ricorda a tutti che la vita è jazz.
Poi il dilaniante dilemma: acqua o non acqua? Acqua versata nel whisky o in un altro bicchiere?
Un quesito che potrebbe suonare blasfemo alle orecchie dei puristi, convinti che il liquore, quale che sia la sua origine (Scozia, Irlanda, Inghilterra, Stati Uniti, Canada) solo se liscio può mantenere intatto il gusto e regalare il meglio di sé.
Ma, di contro, sono in molti quelli che dicono che ''con l'acqua è meglio'' senza spiegare se deve essere aggiunta al whisky o, secondo un'altra seguita scuola di pensiero, che ha molti adepti non solo negli Stati Uniti, bevuta pura da un altro bicchiere, messo accanto a quello principale (nei film, i barman lo poggiano senza nemmeno chiedere se lo si vuole: ma quello è cinema).
Discussioni da bar (ah, quanto azzeccata questa definizione), ma non tanto perché ora, a mettere una parola non so sino a quando definitiva, arriva uno studio di una rivista, Scientific reports, che sancisce come addizionare l'acqua al whisky, nello stesso bicchiere, ne accresce il gusto.
Una sentenza che non è frutto di un giro di telefonate tra amanti del buon bere, ma ha una base scientifica, a dire il vero non facile da spiegare, ma ci tenteremo.
La prima idea che può balzare in testa è che aggiungere acqua attenui la forza del liquore, consentendo di percepirne meglio l'aroma, ma non è completamente vero perché, dicono i ricercatori, non bisogna farsi ingannare dal fatto che il liquido color ambra sembri uniforme perché, invece, vi si combatte una lotta chimica tra molecole.
Ed è anche questo, cioè la presenza di migliaia di molecole, che diversifica il whisky a seconda delle regioni nelle quali viene prodotto e che, evidentemente, le rende particolari. Avendo preso come base della loro indagine il whisky scozzese, lo scotch, i ricercatori hanno lavorato su uno dei suoi componenti più caratterizzanti, il guaiacolo, una molecola organica che trova la sua origine nelle botti di rovere dove il liquore viene invecchiato. La ricerca di Scientific reports spiega che non tutte le molecole hanno il medesimo comportamento nel rapporto con l'acqua perché ce ne sono che hanno difficoltà a mescolarvisi (le idrofobiche) ed altre che invece lo fanno con facilità (le idrofile).
Ed è qui che entra in azione l'alcool etilico che beneficia di entrambe le condizioni, determinando, cerchiamo di spiegarlo con parole semplici, una partizione del liquore, con la parte idrofila che crea le pareti di una bolla e quella idrofoba che la tiene separata. Ecco allora che quando la gradazione alcolica è alta che il sapore resta racchiuso in queste bolle che, a contatto diretto con l'acqua, andranno verso la superficie rendendosi meglio gustabili dalla lingua.
Discussioni di fine estate, come ce ne sono tante e che sembrano tutte volere ridicolizzare i nostri miti magari.
Il whisky resta whisky, sia che lo si beva liscio o che lo di allunghi con acqua o con il ghiaccio.
Un ultimo interrogativo: ma a chi si accinge a bere un bicchiere di scotch si pone mai interrogativi esistenziali? Non credo, a meno che non sia preda di una sbornia malinconica.
 
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