sabato 2 aprile 2022

Bronx

Risultati immagini per bronx cocktail


Il bronx è un cocktail ufficiale dell'International Bartenders Association (IBA).

Preparazione

  • 4/10 gin
  • 2/10 vermouth rosso
  • 2/10 vermouth dry
  • 2/10 succo d'arancia
Viene preparato nello shaker con l'aggiunta di ghiaccio. Si serve nella coppetta cocktail e non presenta guarnizioni.

Sapori

Il cocktail Bronx è saporito e mediamente dolce, gusto "fruttato", senza essere banale o "appiccicoso". Probabilmente ispirato dal Duplex, i due drink però non sono del tutto simili. Gli esperti di cocktail Gary Regan e Mardee Haidin Regan lo descrivono come un drink ove "gin è l'ingrediente base, il succo d'arancia è il mixer, ed i dolci e secchi Vermouth son aggiunti quasi come retrogusto."
Secondo "The Professor", un barman di San Francisco, "Non usare uno dei gin più tradizionali per questo cocktail. Risparmiali per il Gin-Martini (cocktail), Gin tonic ed altri drink dove vuoi veramente gli aromi profumati del ginepro. Nella fascia media c'è un Gin estremamente adatto, Magellan." Ma raccomanda addirittura, "un gin giallo, anche, chiamato Old Raj, che però è uno dei più costosi. Un'altra scelta fra quelli mediamente profumati, è il Boodles, Citadelle od il Tanqueray No. 10. Se vuoi un Gin molto leggero, prova il Bombay od il Leyden."

Storia

Come per molti altri cocktail creati nel periodo del proibizionismo, molte storie esistono sulla creazione di questo cocktail.

Joseph S. Sormani

Due fonti attribuiscono a Joseph S. Sormani la creazione di questo drink.
  • "Il cocktail Bronx, strano a dirsi visto il nome, fu inventato in Philadelphia. Poi dev'esser rimasto ignoto ai più, finché un tale Joseph Sormani, un ristoratore del Bronx, lo scorpì a Quaker City nel 1905. La ricetta originale fu molto distorta nel corso degli anni, ma ecco l'originale per guidarvi e per compararla con le altre ricette attuali: quattro parti di gin, due parti di succo d'arancia e due parti di Vermouth italiano. Agitare con del ghiaccio e servire."
A Sormani fu accreditata la creazione del cocktail anche nel suo necrologio sul New York Times:
  • "Joseph S. Sormani, fu ristoratore nel Bronx, che si dice creò il Cocktail Bronx, morì mercoledì notte nel suo domicilio, 2322 Fish Avenue, nel Bronx, dopo una breve malattia. Era ormai 83enne."

Johnnie Solon

Secondo Albert Stevens Crockett, storico del Waldorf-Astoria Hotel, l'inventore del cocktail Bronx fu Johnnie Solon (o Solan). Solon, un barman di prima del protezionismo all'hotel Manhattan, fu "popolare come uno dei più bravi barman dietro un bancone di un bar dei nostri tempi." Queste sono le parole di Solon, riportate da Crockett, riguardo alla creazione del cocktail:
  • "Esisteva un cocktail, all'epoca, chiamato Duplex, che era abbastanza richiesto. Un giorno, ne stavo preparando proprio uno di essi, quando arrivò Traverson, capo-cameriere del'Empire Room, la sala da pranzo principale del Waldorf. Il Duplex era composto da parti uguali di Vermouth italiano e francese, shakerato con un po' di succo d'arancia, o due spruzzate di Orange Bitter. Traverson disse: «Perché non crei un nuovo cocktail? Ho un cliente che dice che non lo riesci a fare.»«Non posso?!?» risposi. Bene, finii il Duplex che stavo facendo, ed un pensiero mi sorse in testa. Misi in uno shaker l'equivalente di due terzi di Gin Gordon's, poi riempii il resto con succo d'arancia. Infine nel mix misi una spruzzata di Vermouth italiano e francese, agitando il tutto. Non lo assaggiai, ma lo versai in un bicchiere da cocktail e lo portai a Traverson, dicendo: «Tu sei un giudice onesto», lo era, «vedi che ne pensi di questo.» Traverson lo assaggiò, poi reagì dicendo: «O mio Dio! Hai realmente creato qualcosa di nuovo! Questo farà un gran successo. Fammene un altro che lo porto al cliente nella sala da pranzo. Scommetto che ne vedrò molti altri. Hai abbastanza arance? Se non ce ne hai, ti conviene fare scorta, perché sono convinto che dovrò servirne molti di questi cocktail durante i pranzi.» La richiesta del Bronx iniziò quel giorno stesso. Molto presto iniziammo ad utilizzare una cassa di arance al giorno. Successivamente molte casse. Il nome? No, non deriva veramente dal sobborgo o dal fiume omonimi. Ero andato allo Zoo del Bronx uno o due giorni prima, e lì vidi, ovviamente, molti animali che non avevo mai visto. I clienti abitualmente mi parlavano degli strani animali che vedevano dopo aver bevuto molti cocktail. Così, quando Traverson mi disse, quando stava andando a servire al cliente il cocktail, «Che devo dirgli, se mi chiede quale sia il nome?», io pensai a quegli animali, perciò dissi: «Oh, puoi dirgli che è il Bronx»"
Solon dovrebbe aver creato il cocktail fra il 1899 (quando si unì al locale) ed il 1906 (quando il cocktail Bronx apparve la priva volta per iscritto). Comunque sia, un riferimento precedente al "Bronx Cocktail" su di un menu di un Motel di New York indica che o il nome era già usato in precedenza oppure che Solon non sia l'inventore effettivo.

Altre citazioni precedenti

Apparve nel libro The World's Drinks And How To Mix Them di William "Cocktail" Boothby nel 1908, come "Bronx Cocktail": un terzo di Plymouth gin, un terzo di Vermouth francese ed un terzo di Vermouth italiano, insaporito con l'aggiunta di due spruzzate di Orange Bitter, circa un cucchiano da bar di succo d'arancia ed una scorza d'arancia decorativa.




venerdì 1 aprile 2022

Vermut

Risultati immagini per Vermut


Il vermut, o vermutte, oppure vermouth in grafia francese e vèrmot in quella piemontese, è un vino liquoroso aromatizzato ideato nel 1786 a Torino. È riconosciuto come prodotto agroalimentare tradizionale italiano ed è un ingrediente primario di numerosi cocktail.

Descrizione

La sua gradazione e composizione è regolamentata dalla legge italiana che definisce vermut un prodotto di gradazione alcolica non inferiore al 15,5% e non superiore al 22% in volume e deve contenere artemisie, che costituiscono l'elemento caratterizzante. Deve essere composto da almeno il 75% di vino bianco dolcificato ed aromatizzato. Anche la percentuale di zucchero è regolamentata, ma varia, come la gradazione alcolica, a seconda del tipo di vermut. Il vermut bianco e rosso devono esprimere una gradazione alcolica non inferiore ai 15,5% vol e un tenore zuccherino minimo del 14%; il vermut secco (dry), invece, deve avere una gradazione alcolica minima di 18% vol e il 12% massimo di zuccheri. Il vermut viene ottenuto da vini bianchi zuccherini dal sapore neutro e delicato (bianco secco), da alcol a 95–96°, da zucchero (saccarosio) e da piante aromatiche, delle quali la più importante è l'assenzio maggiore (Artemisia absinthium L.) una pianta della famiglia delle Asteraceae.

Storia

Il vermut fu inventato nel 1786 da Antonio Benedetto Carpano a Torino, che scelse questo nome riadattando il termine Wermut, con il quale viene chiamata, in lingua tedesca, l'artemisia maggiore.

Precedenti storici

In seguito alla guerra di successione spagnola, iniziata nel 1701, che vide contrapporsi la Francia e l'Inghilterra, quest'ultima si trovò a dover superare i problemi derivanti dall'impossibilità di ricevere le normali forniture di vino francese. Per tale motivo, nel 1703, tra l'Inghilterra e il Portogallo, fu stipulato il trattato di Methuen che prevedeva vari accordi di tipo politico, militare e commerciale, con particolare riguardo all'importazione in Inghilterra di pregiati vini liquorosi portoghesi, a fronte dell'esportazione in Portogallo di pregiati tessuti inglesi.
Molto diffuso dai mercanti inglesi che, di fatto, ne avevano assunto il monopolio commerciale, il vino liquoroso ebbe un grande successo in tutta Europa, sia per il gradimento delle dame verso il gusto dolce, sia per l'intrinseco significato antifrancese che tale consumo comportava.
Questo nuovo scenario aprì le porte sia a prodotti già diffusi su scala locale, come il Marsala, prodotto della Sicilia che aveva metodi di vinificazione e invecchiamento simili a quelli dei vini portoghesi, sia a nuovi esperimenti come il vermut.
Il Vermut ebbe il merito di permettere l'utilizzo di vini giovani ad alta gradazione, surrogando le sapidità tipiche dell'invecchiamento attraverso l'aggiunta d'una particolare miscela di erbe aromatizzanti. La mistura registrò una grande diffusione, sia per la gradevolezza del gusto, sia per l'inferiore costo di produzione, e fu subito adottata in gran parte dell'Europa.

Composizione

Per legge il termine "vermut" è riservato ad un prodotto ottenuto da vino di produzione nazionale addizionato di sostanze aromatiche e amaricanti permesse.
La gradazione alcolica non deve essere inferiore al 15,5% in volume e il contenuto in zuccheri complessivi, espressi come zucchero invertito, non inferiore a 14 grammi per 100 ml. Nei vermut indicati come secchi o dry il contenuto alcolico minimo è del 18% e gli zuccheri non possono eccedere i 12 grammi per 100 ml.
Gli aromi derivano da:
  • foglie o piante intere di artemisia o assenzio (aroma principale prescritto dalla legge n. 108 del 16 marzo 1958, ad esclusione di alcuni tipi destinati all'esportazione), di camedrio, di cardo santo, della centaurea minore, della coca, dell'issopo, della maggiorana, della melissa, del dittamo, del timo, della salvia;
  • i fiori di camomilla, di luppolo, di sambuco, di zafferano, chiodi di garofano;
  • i frutti di anice stellato, di finocchio, di coriandolo, di cardamomo, di arancio (cortecce), macis, noce moscata, fava tonka, vaniglia;
  • le radici di angelica, di calamo aromatico, di enula campana, di galanga, di genziana, d'imperatoria, di ireos, di zenzero, di zedoaria;
  • le scorze di cannella, di china, di melograno;
  • il legno di quassia;
  • il succo di aloe.

Utilizzo

Il vermut si beve soprattutto come aperitivo ed entra nella composizione di molti cocktail, tra quali famoso è il Martini ma può anche essere usato per cucinare carni. Ci sono vari stili di vermut, in generi distinti per colore (rosso, bianco e rosato) e per gusto (dolce, secco, extra secco e chinato). L'uso del caramello come dolcificante e colorante è riservato al vermut rosso.

Riconoscimenti

La Regione Piemonte ha ottenuto dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali il riconoscimento del vermut tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani.




giovedì 31 marzo 2022

Grappa al miele

Risultati immagini per Grappa al miele

La Grappa al Miele risulta un digestivo gradevole, poiché dolce, e particolare se realizzata come sottoindicato, in quanto arricchita di spezie e sapori, come l'arancia, che creano un connubio perfetto con il miele.

Informazioni Generali

Grappa

La Grappa è un distillato prodotto da vinacce ricavate esclusivamente da uve prodotte e vinificate in Italia o nella Svizzera italiana.

Generalità

Il regolamento del Consiglio Europeo N 1576/89 del 29 maggio 1989 stabilisce che la denominazione "grappa" può essere applicata solo a distillati di vinaccia prodotti in Italia e a San Marino.
Il distillato di vinacce prodotti in altri paesi europei non può essere chiamato grappa, ma assume altri nomi tipici protetti facenti parte della categoria "Acquavite di vinaccia", ad esempio: in Francia è detta Marc, in Portogallo è chiamata Aguardente Bagaceira, in Spagna Aguardiente de Orujo, e in Grecia Τσικουδιά/Tsikoudia. Poiché la legislazione europea non è applicabile nell'Uruguay, questa nazione adotta un termine molto simile: grappamiel, cioè grappa con miele.
La grappa deriva dalla distillazione delle vinacce, ottenute quindi dalla svinatura di vini rossi. In questo caso le vinacce sono già fermentate, quindi pronte per essere distillate. Vi sono però altre 2 tipologie di vinacce con cui ottenere la grappa:
  • Vinacce semi-vergini, ottenute nella vinificazione in rosato; medesimo risultato si ottiene dalle vinacce di vini dolci;
  • Vinacce vergini, ottenute dalla "sgrondatura" nella vinificazione in bianco per ottenere vini bianchi. In questo caso, le vinacce non hanno subito alcuna fermentazione significativa.
Le vinacce vergini o semivergini devono essere obbligatoriamente fermentate prima di dare avvio alla distillazione in quanto la grappa si ottiene unicamente da vinacce fermentate.
Grappe di qualità elevata richiedono che si separi, prima della distillazione, i vinaccioli. A maggior ragione, è molto raro che una distilleria lasci, anche parzialmente, i raspi insieme alle vinacce.
Non bisogna confondere la grappa, che è un distillato di vinacce fermentate, con l'acquavite d'uva, che è un distillato di mosto. Allo stesso modo, la grappa non è un distillato di vino (Brandy). Quindi distillato di vinacce, distillato di mosto (d'uva) e distillato di vino sono tre bevande alcoliche diverse.

Etimo

Il nome deriva con ogni probabilità dal termine graspa con cui è chiamata nel Triveneto. "Graspa" deriva appunto da "graspo" che in veneto, significa "tralcio d'uva". Non vi è alcuna relazione con il monte Grappa, e quindi neppure con Bassano del Grappa, dove pur si trovano alcune delle più celebri distillerie della regione.

Caratteristiche

Il contenuto alcolico può variare tra il 37,5% e 60% in volume, raggiunto direttamente, nel caso delle grappe "pieno grado", oppure aggiungendo acqua, solitamente demineralizzata, nella giusta percentuale e in proporzione al prodotto della distillazione.
Classificazione
La grappa può essere classificata in base all'affinamento e/o lavorazioni che seguono la distillazione:
  • Giovane, non invecchiata;
  • Aromatica, derivante da uve aromatiche quali Brachetto, Malvasia, Moscato e Traminer aromatico;
  • Invecchiata, minimo 12 mesi in botti di legno sotto controllo ex UTF, oggi Agenzia delle Dogane;
  • Riserva Invecchiata o Stravecchia, minimo 18 mesi in botti in legno sotto controllo UTF;
  • Aromatizzata, con l'aggiunta di aromatizzanti naturali, come erbe, radici o frutti o parte di esse.
Ovviamente le classificazioni possono coesistere. Per esempio una grappa può essere giovane e nello stesso tempo, aromatica.
Un secondo modo per classificare le grappe in base a come vengono distillate le vinacce:
  • grappa di monovitigno, se la grappa ottenuta proviene da una singola varietà di vinaccia;
  • grappa mista, se la grappa ottenuta contiene percentuali diverse di più varietà di vinacce.
Termini come "affinata" o "barricata" non danno nessuna indicazione del tempo di giacenza nei legni e sono solo per grappe non sotto controllo UTF. Questa rappresenta una garanzia della distilleria dove il periodo di giacenza è indicato sull'etichetta.
Le grappe di alta qualità vengono servite tutte a temperatura ambiente per esaltarne al meglio i profumi ed il sapore. Spesso, per mode locali o per mascherare prodotti mediocri, la grappa viene servita fredda o da freezer, come accade per altri distillati come la vodka. La qualità della grappa, come accade per il vino, dipende dal tipo e dalla qualità delle uve usate, ma anche dall'impianto di distillazione e dalle capacità tecniche del mastro distillatore. La grappe vengono prima invecchiate in botti dette "Pilata", poi dopo due anni passano in botti di rovere.

Storia

I metodi di distillazione si sono sviluppati tra l'VIII e il VI secolo a.C. in Mesopotamia e furono presto applicati al vino per la preparazione dell'acquavite. Questi processi vengono citati dagli alchimisti a partire dal XII secolo d.C. Anche la distillazione dalle vinacce ha probabilmente origini storiche molto lontane. Secondo una leggenda, si attribuisce ad un legionario romano del I secolo a.C., dopo il suo ritorno dall'Egitto, di aver trafugato un impianto di distillazione, e di aver iniziato la produzione di un distillato dalle vinacce di un vigneto di cui era assegnatario in Friuli usando le tecniche apprese. Lo storico Luigi Papo fa risalire la prima produzione in Friuli nel 511 d.C. ad opera dei Burgundi, che dalla vicina Austria, durante una breve installazione a Cividale applicarono le loro tecniche usate nella distillazione da sidro di mele alla distillazione a partire da vinacce, ottenendo quindi la grappa. La nascita della Distilleria Nardini, a Bassano del Grappa (VI) nel 1779 determinò una vera e propria rivoluzione e segnò l'inizio della distillazione moderna in Italia, attraverso l'introduzione del metodo di distillazione "a vapore".
La Bortolo Nardini è infatti la più antica distilleria d'Italia vantando così il titolo di prima grappa d'Italia.
Nel Trentino, fino agli anni cinquanta, la tecnica più praticata era la distillazione a fuoco: si riscaldando le vinacce con il fuoco portandole ad ebollizione e ottenendo l'alcool sotto forma di gas, successivamente condensato. Inizialmente la condensazione veniva fatta a temperatura ambiente, in seguito con il miglioramento della tecnica si introdusse il riscaldamente e la conseguente condensazione ad acqua. L'evoluzione della distillazione verso sistemi moderni fu rapida. Gli impianti di distillazione a metodo discontinuo sia a vapore che a bagnomaria permisero la produzione di grappe di qualità migliori. Questi impianti consentono di selezionare le singole partite di vinaccia e di grappa.
Fino agli anni settanta del Novecento, le grappe classiche erano prodotte da vinacce indifferenziate. Solo un'azienda piemontese, la Distilleria Bocchino di Canelli, nel cuore dell'astigiano, produceva dal 1898 una grappa da sole vinacce di moscato, abbondanti nella zona. L'idea del fondatore, Carlo Bocchino, fu quella di utilizzare per la distillazione queste profumate ed abbondanti vinacce, le quali, solitamente, venivano abbandonate lungo il greto del torrente Belbo che attraversa per l'appunto l'abitato di Canelli.
L'idea di produrre una gamma di grappe cosiddette monovitigno, ovvero prodotte da un'unica tipologia di uva, ha di fatto cambiato la percezione della Grappa, elevandolo da prodotto di basso livello a distillato di pregio. Questa "svolta copernicana" si deve alla famiglia Nonino che nel 1973 registra il termine monovitigno. Agli stessi Nonino si deve nel 1984 la nascita dell' acquavite d'uva, distillata dall'uva, intesa come frutto.

Tecniche moderne di distillazione e invecchiamento

Gli impianti moderni di distillazione a bagnomaria continuo sono diventati automatizzati, composti Un progetto di ricerca iniziato nel 2003 dal Laboratorio Sperimentale dell'Istituto Agrario San Michele all'Adige ha portato alla realizzazione nel 2009 presso le Poli Distillerie di Schiavon di un innovativo alambicco a bagnomaria operante sottovuoto. Rispetto agli impianti a bagnomaria tradizionali, i distillati ottenuti con il vuoto risultano sensibilmente migliorati, per incremento della nota floreale terpenica, per la forte diminuzione delle impurità di testa, per la sensibile diminuzione degli esteri, e per la riduzione dell'alcool metilico. L'applicazione del vuoto al processo di distillazione fu tentata già verso la fine dell'800 dall'italiano Enrico Comboni ma si dovettero attendere molti decenni perché ne venisse fatto un uso produttivo e non solo sperimentale, in considerazione delle notevoli difficoltà tecniche connesse al rischio di implosione dell'alambicco e alla condensazione dei vapori. Il principale vantaggio derivante dalla pressione negativa all'interno dell'alambicco, ossia il vuoto, consiste nell'abbassamento del punto di ebollizione dell'alcool e dei vari composti volatili presenti nella vinaccia. Questo permette di ottenere un distillato connotato da delicati aromi fruttati e floreali, che, essendo termolabili normalmente vengono persi a causa delle alte temperature presenti all'interno di una caldaia.
I processi di lungo affinamento nel legno avvengono in modo più tradizionale in grandi botti da invecchiamento, tipicamente in barrique da 225 litri. Questo "riposo" influisce sul prodotto secondo la varietà del legno usato che interagisce col distillato con il quale viene a contatto. Per l'invecchiamento della grappa prevalgono il rovere, l'acacia, ed il ciliegio. Gli ultimi, legni chiari che rilasciano poco colore danno una qualità delicata, mentre grazie ai tannini, il rovere conferisce un timbro particolare, secondo la varietà. Per ragioni di prossimità, e per la loro qualità sono spesso utilizzati sia i roveri francesi che croati. Tra i roveri francesi si distinguono particolarmente quelli provenienti dalla foresta di Tronçais e delle foreste circostanti nell'Allier, di Nevers, del Limosino e del Cher. Non sono da meno i roveri della Slavonia. Il rovere ha la caratteristica di donare alla grappa non solo un bellissimo colore ambrato, ma cede sostanze fondamentali per la formazione del prodotto finale, spesso imbottigliato in bottiglie artistiche d'artigianato. Per sfruttare le proprietà di diversi legni, nel 1999 la Distilleria Marzadro introdusse l'idea innovativa di affinare la grappa in botti di legni diversi: rovere, acacia, frassino e ciliegio.
La legge italiana autorizza anche una edulcorazione (max 2%) mediante un'aggiunta di zucchero, anche caramellato, nel caso delle grappe invecchiate o riserve. Come espediente commerciale ingannevole, questo consente la produzione di bassa qualità con colori molto intensi simili a quelli ottenuti con processi di lungo affinamento in legno. In seguito alla produzione della grappa, i vinaccioli possono essere utilizzati ulteriormente per la produzione di olio ad usi alimentari o industriali.

Bicchieri

Per la degustazione della grappa, vengono generalmente utilizzati i cosiddetti bicchieri tulipe. Le grappe molto invecchiate vengono preferibilmente servite in bicchieri da cognac, tipo balloon, più ampi ed adatti per apprezzarne le caratteristiche organolettiche. Sebbene nessuno lo vieti, è generalmente sconsigliato, così come il brandy e il cognac, e diversamente dai whisky e dalla vodka, rinfrescare la grappa in frigo o servirla "on the rocks".

Grappe regionali

A seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 30 settembre 2011 del decreto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Mipaaf), contenente la scheda tecnica della grappa, e relativa procedura di notifica alle Autorità comunitarie, gli Stati membri della Comunità Europea hanno sei mesi di tempo per presentare delle osservazioni, ai sensi delle procedure previste dal Reg. 110/2008. In attesa del perfezionamento dell'iter per la definitiva assegnazione della denominazione geografica "Grappa" da parte dell'Unione Europea, rimane in vigore il Decreto del presidente della Repubblica 16 luglio 1997, n. 297, con cui all'art. 16 cui viene regolamentato l'utilizzo delle denominazioni relative alle grappe indicate al punto 6 dell'allegato II del regolamento (CEE) n. 1576/89 e più specificatamente:
  • Grappa di Barolo
  • Grappa piemontese o del Piemonte
  • Grappa lombarda o della Lombardia
  • Grappa trentina o del Trentino
  • Grappa friulana o del Friuli
  • Grappa veneta o del Veneto
  • Südtiroler Grappa / Grappa dell'Alto Adige. Tra i superalcolici altoatesini va segnalata quello chiamato erroneamente grappa Williams, in realtà un'acquavite ottenuta distillando la pera Williams locale. In alcuni casi, in bottiglie appese ai rami degli alberi viene fatta crescere una pera, vengono in seguito riempite con il distillato di pere Williams e messe in vendita.
Il 15 gennaio 2008, il Parlamento europeo ha adottato il regolamento CE 110/2008 che ha aggiunto le seguenti
  • Grappa siciliana o Grappa di Sicilia
  • Grappa di Marsala
Qualora non ricorrano i requisiti per poter utilizzare la denominazione "grappa" o le sopraelencate denominazioni geografiche, dovrà essere usato in sostituzione il termine "acquavite di vinaccia".

Legislazione

  • Il Consiglio europeo ha abrogato il Regolamento nº 1.576/89 del 29 maggio 1989, e lo ha sostituito con il regolamento nº 110/2008 del 15 gennaio 2008, secondo cui una bevanda alcolica può chiamarsi "grappa" solo se rispetta le condizioni riportate al paragrafo 6 dell'Allegato II dello stesso regolamento.
Per quanto riguarda i paesi non facenti parte dell'Unione europea, la denominazione "grappa" può essere applicata solo ai distillati di vinaccia prodotti in alcune zone della Svizzera. Infatti l'Art. 60 dell'Ordinanza del DFI, sulle bevande alcoliche nº 817.022.110 del 23 novembre 2005 sancisce che: "La grappa è acquavite di vinaccia prodotta in Italia, nel Canton Ticino, in Val Calanca, Val Bregaglia, Val Mesolcina o nella Val Poschiavo con uve delle relative regioni".
  • L'Accordo del 1999 siglato fra la Confederazione Svizzera e la Comunità europea relativo ai prodotti agricoli protegge infatti le denominazioni delle grappe prodotte nelle regioni svizzere di lingua e cultura italiana.
  • Regolamento recante norme in materia di produzione e commercializzazione di acquaviti, grappa, brandy italiano e liquori: decreto del presidente della Repubblica 16 luglio 1997, n. 297.
  • Art. 16. Decreto Ministeriale n.153 del 27/03/2001: disposizioni per i fabbricanti ed i detentori di apparecchi di distillazione.
  • Ministero dell'industria del commercio e dell'artigianato: circolare 20 novembre 1998, n. 163. Norme di applicazione del regolamento CEE n. 1576/89 relativo alle bevande spiritose e del decreto del Presidente della Repubblica 16 luglio 1997, n. 297.
  • Decreto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali del 13 maggio 2010, n. 5195 recante Disposizioni di attuazione del regolamento CEE nº 110/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008 concernente la definizione, l'etichettatura, e la protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose.
Il decreto definisce, tra l'altro, le modalità di presentazione della richiesta di registrazione comunitaria delle bevande spiritose con indicazione geografica, individuate ai sensi dell'articolo 15 del regolamento comunitario.
  • Attuazione dell'articolo 17 del Regolamento (CE) n. 110/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, concernente la definizione, la designazione, la presentazione, l'etichettatura e la protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose - Scheda tecnica della «Grappa».
Sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica Italiana del 30 settembre 2011 è stato pubblicato il decreto del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, contenente la scheda tecnica della grappa, in attuazione al regolamento (CE) n. 110/2008 sulla designazione, presentazione, etichettatura e protezione delle Indicazioni Geografiche delle bevande spiritose.
Si tratta di un importante passo a tutela della Grappa e del patrimonio agroalimentare Italiano, la cui rilevanza e diffusione a livello internazionale richiede una protezione specifica da illegittime usurpazioni da parte dei produttori di altri Paesi. La scheda tecnica, che costituisce un disciplinare di produzione, predisposta dopo un lungo lavoro di concertazione con le categorie di settore, è stata trasmessa alla Commissione europea per la registrazione e pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Ue beneficiando delle regole di protezione e tutela a livello internazionale.
Le modalità di produzione riportate nella scheda tecnica rispecchiano gli elevati standard qualitativi e la peculiarità della produzione tradizionale, pur tenendo conto dei necessari adeguamenti tecnologici. In particolare, la scheda tecnica relativa alla IG "Grappa", oltre agli elementi caratterizzanti il prodotto e il metodo di produzione, prevede l'obbligo di imbottigliamento in impianti ubicati sul territorio nazionale al fine di salvaguardarne la qualità e garantirne l'origine.

Associazioni e concorsi

  • Organizzazione internazionale di concorsi per vini e alcolici. IWSC (International Wine and Spirit Competition)
  • L'Associazione Nazionale Assaggiatori Grappa e Acquaviti (ANAG) è una associazione italiana, nata nel 1978, con sede ad Asti, e con delegazioni su tutto il territorio nazionale, con lo scopo di valorizzarela figura dell'assaggiatore di grappa e di altri distillati.
  • Acquaviti d'Oro - Concorso Internazionale, organizzato da ANAG.

Miele

Il Miele è un alimento prodotto dalle api (ed in misura minore, da altri imenotteri). Viene prodotto a partire dal nettare e dalla melata. La melata, con un gusto molto dolce simile allo zucchero, è prodotta da vari omotteri, fitomizi, i cui escrementi zuccherini sono la base alimentare per numerosi insetti.

Storia

La parola miele sembra derivare dall'ittita melit. Per millenni, ha rappresentato l'unico alimento zuccherino concentrato disponibile. Le prime tracce di arnie costruite dall'uomo risalgono al VI millennio a.C. circa. Per millenni il miele è stato il principale dolcificante usato dall'uomo.
Anche nell'antico Egitto il miele era apprezzato, e le prime notizie di apicoltori che si spostavano lungo il Nilo per seguire con le proprie arnie la fioritura delle piante risalgono a 4000 anni fa. Inoltre, gli Egizi usavano deporre accanto alle mummie grandi coppe o vasi ricolmi di miele per il suo viaggio nell'Aldilà, alcuni dei quali sono stati rinvenuti durante gli scavi ancora perfettamente sigillati (l'archeologo T.M. Davies ha scoperto per esempio in una tomba egizia un barattolo di miele vecchio di 3300 anni, perfettamente commestibile). Dalla lettura dei geroglifici è noto che ricette a base di miele erano impiegate non solo ad uso alimentare ma anche medico (cura dei disturbi digestivi, unguenti per piaghe e ferite).
I sumeri lo impiegavano in creme con argilla, acqua e olio di cedro, mentre i babilonesi lo impiegavano per cucinare: erano diffuse infatti le focaccine fatte con farina, sesamo, datteri e miele. Nel Codice di Hammurabi si ritrovano articoli con cui gli apicoltori erano tutelati dal furto di miele dalle arnie.
La medicina ayurvedica, già tremila anni fa, considerava il miele purificante, afrodisiaco, dissetante, vermifugo, antitossico, regolatore, refrigerante, stomachico e cicatrizzante. Per ogni specifico caso era indicato un differente tipo di miele: di ortaggi, di frutti, di cereali o di fiori.
I Greci lo consideravano "cibo degli dei", e dunque rappresentava una componente importantissima nei riti che prevedevano offerte votive. Omero descrive la raccolta del miele selvatico; Pitagora lo raccomandava come alimento per una vita lunga.
I romani ne importavano grandi quantitativi da Creta, da Cipro, dalla Spagna e da Malta. Da quest'ultima pare anche derivarne il nome originale Meilat, appunto terra del miele. Veniva utilizzato come dolcificante, per la produzione di idromele, di birra, come conservante alimentare e per preparare salse agrodolci.
Nella alimentazione medievale il miele aveva un ruolo ancora centrale, seppure ridotto rispetto all'antichità, ed era usato principalmente come agente conservante oltre che dolcificante.
Il miele fu gradualmente soppiantato come agente dolcificante nei secoli successivi, soprattutto dopo l'introduzione dello zucchero raffinato industrialmente.
Recentemente in virtù delle proprietà terapeutiche il miele sta in parte ritornando in voga.

Produzione

Il miele è prodotto dall'ape sulla base di sostanze zuccherine che essa raccoglie in natura.
Le principali fonti di approvvigionamento sono il nettare, che è prodotto dalle piante da fiori (angiosperme), e la melata, che è un derivato della linfa degli alberi, prodotta da alcuni insetti succhiatori come la metcalfa, che trasformano la linfa delle piante trattenendone l'azoto ed espellendo il liquido in eccesso ricco di zuccheri.
Per le piante, il nettare serve ad attirare vari insetti impollinatori, allo scopo di assicurare la fecondazione dei fiori. A seconda della loro anatomia, e in particolare della lunghezza della proboscide (tecnicamente detta ligula), le api domestiche possono raccogliere il nettare solo da alcuni fiori, che sono detti appunto melliferi.
La composizione dei nettari varia secondo le piante che li producono. Sono comunque tutti composti principalmente da glucidi, come saccarosio, glucosio e fruttosio, e acqua.
Il loro tenore d'acqua può essere importante, e può arrivare fino al 90%.
La produzione del miele comincia nell'ingluvie dell'ape bottinatrice (la cosiddetta borsa melaria), dove il nettare raccolto viene accumulato.
Giunta nell'alveare, l'ape rigurgita il nettare, che a questo stadio è ancora molto liquido.
Il compito passa alle api operaie, che per 30 minuti digeriscono il nettare scindendo gli zuccheri complessi in zuccheri semplici, utilizzando enzimi come l'invertasi, la quale ha la proprietà di idrolizzare il saccarosio in glucosio e fruttosio.
L'elaborazione del nettare viene ultimata con la sua disidratazione, per prevenire la fermentazione. A questo scopo, le api operaie lo depongono in strati sottili sulla parete delle celle. Le api ventilatrici mantengono nell'alveare una corrente d'aria che provoca l'evaporazione dell'acqua. Il miele impiega in media 36 giorni per maturare, ma la durata varia a seconda dell'umidità iniziale del nettare. Viene quindi immagazzinato in altre cellette che, una volta piene, saranno sigillate (opercolate).
Le api utilizzano il miele come nutrimento; in caso di grande freddo la produzione basta solamente ai bisogni dell'alveare.

Lavorazione

Le fasi di lavorazione del miele sono un insieme di procedimenti che l'apicoltore compie per ottenere il miele in forma commercializzabile.
La lavorazione dell'uomo inizia dove finisce quella dell'ape, ovvero alla fine delle fioriture, dopo che le api hanno immagazzinato ed opercolato il miele nei favi.
La lavorazione di seguito descritta è quella utilizzata nell'apicoltura moderna razionale.
Estrazione dei melari
Le api accumulano il miele prodotto nei favi contenuti nei melari. Al momento opportuno l'apicoltore decide di toglierli dall'arnia per portarli in laboratorio ed iniziare l'estrazione del miele. Questa fase comporta la necessità di togliere le api contenute nel melario. Per questa operazione vengono alternativamente utilizzati due strumenti: il soffiatore, oppure gli apiscampi. Il soffiatore viene utilizzato dagli apicoltori professionisti perché più rapido e perché è sufficiente una sola visita per completare l'estrazione dei melari. Il melario viene posto in verticale sull'arnia, il soffiatore spazza via tutte le api in pochi secondi ed il melario è pronto per essere portato via. Gli apiscampi invece devono essere posti tra il nido ed i melari qualche giorno prima di poter portar via i melari e quindi è necessario effettuare due passaggi. Vengono utilizzati, seppure inefficienti, dagli apicoltori hobbisti in quanto (in numero limitato) sono più economici del soffiatore.
Stoccaggio dei melari
Una volta tolti dalla loro posizione sopra l'arnia, i melari vengono portati in laboratorio ed accatastati. In questo momento è opportuno controllare il grado di umidità del miele con un particolare tipo di rifrattometro chiamato mielometro. Se risultasse troppo umido occorrerebbe procedere alla fase di deumidificazione.
Disopercolatura
I favi dei melari sono generalmente opercolati, ovvero con le cellette chiuse con un tappo di cera. Occorre togliere questo "tappo" per permettere al miele di fuoriuscire. Questa operazione viene effettuata manualmente con una apposita forchetta o coltello, oppure attraverso un procedimento meccanizzato grazie alla macchina disopercolatrice.
Smielatura
Una volta disopercolate le celle, i telaini vengono posti nello smielatore che, grazie alla forza centrifuga, fa fuoriuscire il miele. Dallo smielatore il miele viene convogliato nei maturatori anche in questo caso con procedimenti differenziati tra professionisti ed hobbisti. I primi utilizzano un sistema di tubi e pompe, mentre i secondi preferiscono i più economici secchi (detti "latte").
Filtraggio
Il miele viene versato nei maturatori passando attraverso i filtri che raccolgono i residui di cera, i resti delle api e qualsiasi altro materiale fosse accidentalmente finito nel miele. I filtri hanno maglie di diverse dimensioni e, di solito, se ne utilizzano un paio con maglie differenziate (larghe, sottili). Vengono utilizzati anche filtri a sacco di nylon.
Decantazione del miele.
Nella fase di smielatura il miele acquista aria che viene eliminata nella fase di decantazione: nel maturatore il miele decanta e l'aria viene a galla sotto forma di bollicine che formano la schiuma.
Schiumatura
In questa fase viene eliminata la schiuma prodotta dalla fase di decantazione.
Cristallizzazione guidata
È un processo, ampiamente usato nei paesi del nord Europa e negli Stati Uniti, che permette ai mieli florali a cristallizzazione variabile di assumere invece una consistenza cremosa omogenea, più adatta quindi alla commercializzazione, perché ne migliora la spalmabilità, senza peraltro variarne le caratteristiche chimiche.
Per ottenere questo risultato vi sono due procedimenti possibili, che devono essere effettuati a temperature comprese tra i 10 °C ed i 18 °C:
  • rimpicciolimento meccanico dei cristalli in formazione mediante rimescolamento
  • aggiunta del 5-10% di miele starter a cristalli fini e successivo rimescolamento.
Invasettamento
Una volta tornato limpido per l'eliminazione dell'aria e prima che inizi la cristallizzazione il miele può essere invasettato (per la vendita al dettaglio) o versato in latte o fusti (per la vendita all'ingrosso).
Per invasettare viene utilizzata una macchina chiamata invasettatrice.
Stoccaggio
Lo stoccaggio è una fase importante per il miele in quanto una elevata temperatura, un'esposizione al sole o altre operazioni errate possono compromettere la qualità, il sapore ed anche la commestibilità del prodotto.

Conservazione

Grazie alle qualità di antibatterico naturale, il miele è un alimento che naturalmente ha una lunga conservazione. Tuttavia, sono possibili alcune alterazioni dovute principalmente a:
  • umidità;
  • luce;
  • calore.
L'umidità favorisce la fermentazione, che pur alterando il miele, può essere utilizzata per produrre l'idromele. La temperatura invece influenza direttamente l'aroma e i principi nutritivi: mentre al di sotto dei 10 °C è trascurabile (anzi, per evitare la cristallizzazione si può conservare il miele a temperature al di sotto dello zero), due mesi a 30 °C degradano il miele come un anno e mezzo a 20 °C. Analogo discorso vale per la luce diretta, quindi è opportuno conservare il miele in recipienti scuri o al chiuso. Inoltre, essendo igroscopico, il miele tende ad assorbire l'umidità e gli odori dell'ambiente, quindi i contenitori dovrebbero essere a chiusura ermetica.
La degradazione dello zucchero fruttosio, sia col tempo, sia in seguito a trattamento termico, genera idrossimetilfurfurale (HMF). Dato che l'HMF è praticamente assente nei mieli freschi, il suo valore, solitamente indicato in mg per kg (Parti per milione - ppm) è un indicatore della buona conservazione e del tipo di lavorazione del miele. Il limite imposto dalla legge italiana è di 40 mg/kg. Nei mieli industriali, che sono sempre "liquidi", l'HMF è molto spesso vicino, se non pari a tale valore.
Nonostante queste variabili il miele, se conservato in ambiente sigillato può durare praticamente per millenni, per esempio in una tomba egizia fu rinvenuto un barattolo di miele vecchio di 3300 anni, perfettamente commestibile.

Tipi di miele

Sono migliaia le specie vegetali visitate dalle api: alcune danno origine a mieli monofloreali, in genere più pregiati e dall'aroma deciso, altre concorrono a produrre le varietà millefiori, più delicate.
A seconda della fiorita da cui viene tratto il nettare, variano il colore, la consistenza del miele ma soprattutto il suo sapore e le sue proprietà organolettiche, portando a specifiche differenze di olfatto e gusto: dall'aroma delicato del miele d'acacia, limpidissimo e liquido, al profumo intenso di quello di tiglio, dal retrogusto maltato di quello di melata di abete, dai riflessi verdastri, al gusto amarognolo di quello di castagno, denso e scuro, dal sapore pungente del miele d'eucalipto, a quello più gentile e fruttato del rododendro e del ciliegio.
Tipi di miele diffusi in Italia
Si fornisce un elenco dei tipi di miele diffusi in Italia:
  • Millefiori (senza un ingrediente prevalente)
  • Miele di acacia (Robinia pseudoacacia).
Ha consistenza liquida: rispetto agli altri mieli non tende a cristallizzare, se non dopo un paio d'anni; inoltre il suo sapore delicato lo rendono ottimo per dolcificare bevande senza modificarne il sapore. Ha proprietà disintossicanti, corroboranti e regolarizzanti l'apparato digerente; è utilizzato in decotti contro le affezioni delle vie respiratorie ed emollienti per la pelle di viso e mani.
  • Miele di agrumi
È un miele prodotto solo nelle regioni dove gli agrumi sono coltivati estesamente: Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Sardegna, Sicilia. Si ottiene da arancio, limone cedro e mandarino. Ha proprietà spasmodiche e sedative.
  • Miele di ailanto (Ailanthus altissima)
  • Miele di asfodelo (Asphodelus)
  • Miele di bergamotto (Citrus × bergamia)
  • Miele di cardo (Carduus)
  • Miele di carrubo (Ceratonia siliqua)
  • Miele di castagno (Castanea sativa)
Prodotto in tutto il territorio nazionale, ha aroma intenso e sapore molto deciso, tendente all'amarognolo. Ha proprietà mucolitiche ed è regolatore dell'intestino[2].
  • Miele di ciliegio (Prunus avium)
Miele piuttosto raro dal sapore intenso e dal profumo delicato.
  • Miele di cipolla
  • Miele di colza (Brassica napus)
  • Miele di corbezzolo (Arbutus unedo)
Ha la caratteristica di essere piacevolmente amarognolo e di avere una produzione estremamente limitata, perché possibile solo nelle zone ricche di corbezzoli, come la Sardegna (la massima produttrice italiana), la Calabria, la Toscana e, nelle Marche, il promontorio del Conero. Il sapore amarognolo è dovuto all'arbutina, un glucoside contenuto nel nettare di corbezzolo. Rispetto agli altri mieli è il più costoso, perché uno dei più rari e pregiati: il corbezzolo ha diffusione limitata e la sua fioritura autunnale non sempre consente alle api di raccoglierne il nettare, a causa delle basse temperature. Ha proprietà antiasmatiche, diuretiche, antisettiche, specie contro il mal di gola e la bronchite.
  • Miele di edera (Hedera helix)
  • Miele di erica (Erica spp.)
  • Miele di eucalipto (Eucalyptus)
È il miele balsamico per eccellenza, utile per le affezioni delle vie respiratorie[2].
  • Miele di girasole (Helianthus annuus)
  • Miele di lavanda (Lavandula)
  • Miele di leguminose:
    • Trifoglio (Trifolium spp.)
    • Erba medica (Medicago sativa)
    • Ginestrino (Lotus corniculatus)
    • Meliloto (Melilotus officinalis)
    • Sulla (Hedysarum coronarium)
  • Miele di lupinella (Onobrychis sativa)
  • Miele di nepitella (Clinopodium nepeta)
  • Miele di Manuka]] (Leptospermum scoparium)
  • Miele di marasca (Prunus mahaleb)
  • Miele di melata:
    • Miele di melata d'abete (Abies spp.)
    • Miele di melata di Metcalfa pruinosa, un rincoto omottero di origine americana
    • Miele di melata di nocciolo (Corylus avellana)
    • Miele di melata di quercia (Quercus spp.)
    • Miele di melata di frutti di bosco
    • Miele di melo (Malus domestica)
  • Miele di rododendro (Rhododendron)
  • Miele di rosmarino (rosmarinus officinalis)
Oggi raro, è un miele di antica tradizione: gli antichi romani lo usavano per addolcire il vino e ne producevano perciò grandi quantità. Oggi è tipico della Puglia e della Sardegna. Ha un retrogusto particolare, simile a quello della farina bagnata. Ha proprietà depurative e rivitalizzanti.
  • Miele di rovo (Rubus fruticosus)
  • Miele di tarassaco (Taraxacum officinale)
  • Miele di tiglio (Tilia spp.)
  • Miele di timo (Thymus)
  • Miele di zagara

Principi nutritivi contenuti

I principali componenti del miele sono:
  • Glucosio
  • Fruttosio
  • Acqua
  • Polline
Zuccheri ed apporto calorico
Gli zuccheri sono presenti in quantità variabile ma in media intorno al 70%-80%. Di questi, i monosaccaridi fruttosio e glucosio passano da circa il 70% nei mieli di melata fino ad avvicinarsi molto al 100% in alcuni mieli di nettare. Tranne pochi casi, il fruttosio è sempre lo zucchero più rappresentato nel miele, perché è già contenuto nel nettare. La presenza di fruttosio dona al miele un potere dolcificante superiore allo zucchero raffinato ma anche una fonte di energia che il nostro organismo può sfruttare più a lungo. Infatti, per essere utilizzato, deve essere prima trasformato in glucosio e, quindi, in glicogeno, il "carburante" dei nostri muscoli. Il miele è dunque consigliabile agli atleti prima di iniziare un'attività fisica, grazie anche all'apporto calorico di circa 300 Kilocalorie per 100 grammi. Lo zucchero raffinato, rispetto al miele, contiene invece saccarosio, che è un disaccaride composto da glucosio e fruttosio, ed è privo di vitamine ed oligoelementi.
Tutti gli zuccheri presenti sono: glucosio, fruttosio, saccarosio, maltosio, isomaltosio, maltulosio, nigerosio, turanosio, kojibiosio, laminaribiosio, α,β-trealosio, gentobiosio, melezitiosio, 3-α-isomaltosilglucosio, maltotriosio, 1-kestosio, panosio, isomaltotriosio, erlosio, teanderosio, gentosio, isopanosio, isomaltotetraosio e isomaltopentaosio.
Oligoelementi
Nel miele esiste una discreta presenza di oligoelementi (quali rame, ferro, iodio, manganese, silicio, cromo, presenti soprattutto nei mieli più scuri), vitamine (A, E, K, C, complesso B), derivati dell'acido caffeico enzimi e sostanze battericide (acido formico) ed antibiotiche (germicidina): queste ultime categorie di sostanze permettono in particolare al miele di essere conservato a lungo, e ne giustificano l'utilizzo come disinfettante naturale. Sono presenti tracce di olii volatili, da cui dipendono le proprietà organolettiche.

Proprietà farmacologiche e curative

Azione antibatterica
È nota da tempo l'azione antibatterica del miele, dovuta alla sua elevata concentrazione zuccherina e al pH acido, e quella delle soluzioni di miele, grazie all'azione della glucosidasi contenuta: questo enzima, inattivo nel miele puro, in soluzione si attiva, trasformando il glucosio in acido gluconico e acqua ossigenata. Questo accorgimento è dovuto alla necessità di proteggere il miele in formazione dai batteri, quando ancora non agiscono l'acidità e la concentrazione di zuccheri.
Proprietà specifiche
Nella medicina erboristica, il miele è suggerito per la cura del sistema emopoietico (grazie alla ricchezza di sali), del sistema cutaneo (favorisce la cicatrizzazione e l'idratazione), del sistema nervoso (migliorerebbe sonno e concentrazione), dell'apparato respiratorio (contro tosse e catarro, sciolto in latte o tè), dell'apparato circolatorio (si presuppone abbia un'azione ipotensiva), dell'apparato digerente (regolarizzerebbe l'attività escretoria dei succhi gastrici e della flora batterica, migliorerebbe l'assorbimento di calcio e magnesio, sarebbe leggermente lassativo fatta eccezione per quello di lavanda o castagno).
Sebbene qualsiasi tipo di miele sia ritenuto utile per alleviare i disturbi sopracitati, dalla flora nettarifera, cui si aggiunge una più o meno lunga stagionatura, dipendono proprietà farmacologiche più specifiche: il miele d'acacia sarebbe disintossicante e antinfiammatorio delle vie respiratorie, quello di tiglio avrebbe proprietà sedative e sarebbe utile contro l'emicrania, il miele d'eucalipto sarebbe espettorante, vermifugo e antitosse, quello d'erica diuretico ed antianemico, quello di lavanda risulterebbe utile sulle bruciature per uso esterno, il miele di conifera sarebbe utile contro le affezioni respiratorie, il miele di biancospino verrebbe consigliato contro ansia ed insonnia, quello di castagno sarebbe utile contro la cattiva circolazione.

La legge italiana

Il miele, per la legge italiana, non può subire aggiunte di sorta, e gli unici trattamenti a cui può essere sottoposto sono:
  • estrazione dai favi per forza centrifuga;
  • decantazione;
  • filtraggio;
  • cristallizzazione guidata.
La cristallizzazione dipende dalla quantità di zuccheri, soprattutto glucosio, contenuta nel miele. Essendo una soluzione sovrassatura, il tempo necessario varia in maniera inversamente proporzionale alla concentrazione degli zuccheri: da poche settimane, o addirittura nei favi dell'alveare, per il miele di colza, tarassaco o edera che sono molto ricchi di glucosio, finanche a superare un anno per il miele d'acacia, di melata e di castagno, ricchi di fruttosio.
I trattamenti termici, utilizzati per mantenere il miele allo stato liquido, privano il miele di molti principi nutritivi. È quindi preferibile l'utilizzo di miele cristallizzato o cremoso al di fuori del periodo di produzione.

Uso di farmaci nella produzione di miele

Talvolta nell'allevamento delle api vengono utilizzati farmaci che possono contaminare il miele.
In Europa, ai sensi del regolamento 2377/90, non sono previsti limiti residuali di antibiotici nei mieli e nella pappa reale che pertanto devono considerarsi vietati negli alveari in produzione. Sono invece ammessi in alcuni paesi (Italia esclusa) per la cura di alcune patologie quali la peste americana e la peste europea.
In alcuni stati extraeuropei ne è consentito l'uso sistematico per la prevenzione delle medesime patologie. In particolare negli Stati Uniti è frequente l'uso di tetracicline e del sulfatiazolo. In altri stati, quali la Cina sono frequenti le contaminazioni con il cloramfenicolo, un antibiotico che può causare gravi effetti collaterali.
La globalizzazione sta inoltre portando a frequenti episodi di contaminazione con cloramfenicolo dovuti alle triangolazioni del mercato.

Riconoscimenti

Sono stati riconosciuti come prodotti agroalimentari tradizionali italiani i seguenti mieli:
Regione Abruzzo
  • miele d'Abruzzo
Regione Basilicata
  • miele lucano
Regione Calabria
  • miele di arancio calabrese
  • miele di castagno calabrese
  • miele di corbezzolo
  • miele di eucaliptus calabrese
  • miele di melata di abete calabrese
  • miele di sulla calabrese
Regione Campania
  • miele di acacia
  • miele di castagno
  • miele di girasole
  • miele di sulla
  • miele millefiori
Regione Emilia-Romagna
  • miele del crinale dell'appennino emiliano romagnolo
  • miele di erba medica della pianura emiliano romagnolo
  • miele di tiglio, mel tiglio
  • miele vergine integrale
Regione Friuli-Venezia Giulia
Regione Lazio
  • miele del Monte Rufeno
  • miele monoflora di eucalipto della Pianura Pontina
Regione Liguria
Regione Lombardia
  • miele della Valtellina Denominazione d'origine protetta (DOP) (domanda presentata il 10/05/2011)
  • miele Varesino DOP (domanda pubblicata il 31/10/2013)
Regione Marche
  • miele di borraggine (Borago officinalis)
  • miele di erba medica
  • miele di erba strega (Stachys annua)
  • miele di ginestrino (Lotus corniculatus)
  • miele di lupinella (Onobrychis viciifolia)
  • miele di melata di quercia
  • miele di melata di salice
Regione Toscana
  • miele della Lunigiana DOP (il primo miele in Italia a denominazione di origine
protetta, registrato il 23/10/2004)
  • miele di Spiaggia del Parco di Migliarino - San Rossore
Regione Veneto
  • miele delle Dolomiti Bellunesi DOP (registrato il 12/03/2011)
Regione Sardegna
  • miele di cardo
Regione Siciliana
  • miele di cardo
  • miele di sulla
  • miele di rosmarino

Ricetta

Ingredienti

Per ottenere quasi mezzo litro di liquore, sono necessari:
  • 500 g di grappa morbida.
  • 240 g di miele d'acacia o, meglio, di castagno.
  • Buccia di mezza arancia non trattata.
  • Buccia di un quinto di limone verde non trattato.
  • 1 g di cannella in stecca.
  • 2 chiodi di garofano.

Preparazione

Porre la grappa ed il miele in un vaso di vetro, quindi scaldare a bagno maria finché il miele si scioglie completamente (intorno ai 45 gradi), quindi lasciar raffreddare.
Inserire la buccia d'arancia (ne basta mezza) e di limone verde (ne basta molto poca, giusto per dare un po' di gusto amaro), la cannella ed i chiodi di garofano.
Chiudere il vaso e lasciare in fusione, agitando di tanto in tanto, per una decina di giorni, quindi filtrare ed imbottigliare.



 
Wordpress Theme by wpthemescreator .
Converted To Blogger Template by Anshul .