giovedì 18 aprile 2024

Espresso, ristretto, lungo e cappuccino: guida chiara alle differenze fondamentali del caffè italiano

Nel cuore della cultura italiana, il caffè non è solo una bevanda, ma un rito, un’esperienza che varia nelle sue forme più classiche. Capire la differenza tra espresso, ristretto, lungo e cappuccino è essenziale per chiunque voglia apprezzare appieno la tradizione del caffè italiano.

L’espresso rappresenta la base, il re indiscusso del caffè al bar. Preparato con una macchina specifica, si ottiene forzando acqua calda ad alta pressione attraverso caffè finemente macinato. Servito in tazzina piccola, riempie circa metà della tazza, offrendo un gusto intenso e concentrato, privo di aggiunte. È la forma pura del caffè italiano.

Il ristretto, o “corto”, è una variante dell’espresso. Si ottiene estraendo il caffè in un tempo più breve, producendo una quantità minore di liquido – circa un terzo della tazza – ma con un sapore più concentrato e intenso. Nonostante l’intensità, contiene meno caffeina dell’espresso normale perché l’estrazione è più rapida.

Al contrario, il lungo prevede un’estrazione più prolungata, riempiendo quasi tutta la tazza. Il risultato è un caffè meno intenso nel sapore ma più ricco di caffeina, ideale per chi preferisce un gusto più delicato e una bevanda più abbondante.

Il cappuccino si distingue dagli altri perché non è solo caffè, ma un mix di espresso e latte. In proporzioni quasi uguali, si unisce all’espresso il latte caldo e la sua schiuma densa, creando una bevanda cremosa e vellutata, generalmente servita in tazza più grande. Tradizionalmente consumato a colazione, il cappuccino è più simile a un alimento che a una semplice bevanda e raramente si beve dopo i pasti.

Oltre a queste, esistono numerose altre varianti come il doppio espresso:

  • Normale (riempie la metà inferiore della tazza - in Italia è solo il caffè);

  • Lungo, preparato più a lungo (riempie la maggior parte della tazza, ha un sapore meno intenso, contiene più caffeina);

  • Corto, detto anche ristretto, preparato per un tempo più breve (riempie il terzo inferiore della tazza, più sapore, meno caffeina);

  • Doppio, due shot regolari;

  • Macchiato, normale con un goccio di latte schiumato;

  • Schiumato, normale con schiuma di latte ma senza latte;

  • Marocco o marocchino, macchiato in tazza di vetro e con cacao in polvere;

  • Macchiato freddo, con latte freddo a piacere (ti viene servito l'espresso normale con un piccolo barattolo di latte freddo a parte, puoi aggiungere la quantità di latte che desideri);

  • Americano: espresso in tazza grande servito con un barattolo di acqua calda per diluirlo.

  • Caffè corretto: normale espresso con un goccio (o più) di grappa (o altro liquore).

  • Risintin o resentin: mezza dose di grappa versata nella tazzina da caffè usata per sciacquarla e aromatizzare la grappa con i residui del caffè.

  • Caffè leccese: espresso con ghiaccio e una dose di denso latte di mandorla italiano. (Non aggiungere zucchero, è già molto dolce. Non tutti i posti lo preparano.)

  • Caffè shakerato: espresso, sciroppo di zucchero, tanto ghiaccio, a volte qualche goccia di estratto alcolico alla vaniglia, il tutto in uno shaker, shakerato bene, filtrato e servito in una coppetta Martini. Un drink estivo analcolico o minimamente alcolico, molto amato.

  • Caffè sospeso: un caffè che si paga, non si beve e si lascia a una persona che non si incontrerà mai ma che il barista sa essere economicamente svantaggiata. Una tradizione napoletana. (Ancora Carlo Volpe)

Questi sono tutti i classici caffè da bar italiani. Poi ci sono i prodotti a base di latte, percepiti più come cibo che come bevande:

  • Cappuccino, parti uguali di caffè espresso e latte schiumato in una tazza grande (principalmente un alimento per la colazione, può essere consumato come spuntino pomeridiano, mai dopo i pasti);

  • Latte macchiato, latte schiumato con una dose di caffè espresso.

L'espresso può essere anche disponibile come dec (decaffeinato), al ginseng (per una sferzata di energia, ha il sapore di una medicina) e orzo (orzo, sotto), un surrogato del caffè per bambini e per chi non vuole assolutamente assumere caffeina (l'orzo può essere piccolo o grande). Alcuni dei caffè sopra citati sono disponibili anche in altre soluzioni (come l'orzo macchiato, ad esempio).

La differenza principale tra espresso, ristretto, lungo e cappuccino risiede nel tempo di estrazione, nella quantità e nella presenza o meno del latte, elementi che plasmano l’esperienza di gusto, la forza e la cremosità di ogni tazza. La scelta dipende dal momento della giornata, dal gusto personale e dalla tradizione che si vuole celebrare.



mercoledì 17 aprile 2024

La Pepsi è cambiata? Un viaggio tra ricordi, gusto e la battaglia segreta dei dolcificanti

Da bambino, il sapore della Pepsi era una certezza: forte, deciso, ben distinto dalla Coca-Cola, che appariva più morbida e rotonda. Era l’estate, l’odore di catrame caldo nelle strade della città, la bottiglia di vetro fredda tra le mani — un momento semplice e indimenticabile. Poi, anni dopo, la Pepsi sembrava diversa, quasi un’eco della Coca-Cola di una volta, come se la formula fosse stata manomessa o, più probabilmente, come se la percezione stessa del gusto fosse cambiata.

Ma cosa è successo davvero?

Le ricette delle grandi bevande gassate, come Pepsi e Coca-Cola, sono gelosamente custodite come segreti di Stato, rinchiusi in caveau inaccessibili. La formula di base rimane invariata, ma ciò che può davvero modificare il sapore è l’origine e il tipo di dolcificanti impiegati: zucchero di canna puro in alcune aree, sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio in altre. E proprio qui la lingua – e le papille gustative – notano la differenza.

Inoltre, il tempo cambia tutto, e non solo i prodotti. Le papille gustative invecchiano, si adattano, si confondono, e il ricordo di un sapore preciso può diventare sfocato, distorto o idealizzato.

Ma la vera essenza di quella bevanda — il suo cuore pulsante — non è solo nella ricetta o nei dolcificanti. È nella battaglia per mantenere quell’identità unica, quella linfa vitale che rende Pepsi Pepsi, e che nessuno è disposto a compromettere. Questo è il messaggio che i grandi produttori vogliono far arrivare: il gusto non si vende, si protegge con la stessa passione con cui si difende un impero.

Alla fine, che sia una questione di dolcificanti, percezione o memoria, il gusto di un prodotto iconico come Pepsi rimane un mistero personale, capace di evocare emozioni e ricordi tanto forti quanto la sua frizzantezza.



martedì 16 aprile 2024

Cointreau: Il Liquore all’Arancia che Ha Rivoluzionato il Mondo dei Cocktail

Cointreau non è un liquore a base di brandy, ma un celebre liquore francese all’arancia, noto per la sua purezza e intensità aromatica. Prodotto a partire da alcool neutro e bucce di arance amare, offre un sapore fresco e distintivo che lo rende un ingrediente irrinunciabile in molti cocktail classici come il Margarita, il Cosmopolitan e il Sidecar.

Esiste però una variante, il Cointreau Noir, che combina il liquore all’arancia con Cognac Fine Champagne Rémy Martin, introducendo così la componente di brandy.

Storicamente, Cointreau ha coniato il termine “triple sec” per descrivere i liquori all’arancia, anche se oggi preferisce non usarlo per distinguersi dai prodotti più economici presenti sul mercato.

Dolce e aromatico, il Cointreau è raramente consumato liscio, ma trova la sua massima espressione nel mixology e nella pasticceria, conferendo a cocktail e dessert un carattere unico e raffinato. Tra i concorrenti di alto livello si segnalano Grand Marnier, Pierre Ferrand e Bauchant, ognuno con le proprie peculiarità e basi alcoliche.



lunedì 15 aprile 2024

Budweiser: ci sono davvero motivi per non berla?


Nel mondo della birra esistono due grandi categorie di appassionati: quelli che bevono con piacere ciò che trovano e quelli che si sentono in dovere di analizzare ogni sorso con la serietà di un sommelier d’annata. In mezzo a questi estremi ci sono i consumatori quotidiani, che vogliono semplicemente godersi una buona birra in compagnia, senza per forza dover leggere la carta degli aromi o disquisire sulle varietà di luppolo.

In questo contesto, la Budweiser è spesso bersaglio di critiche. Alcuni la considerano una birra commerciale senza carattere, altri la difendono con naturalezza. Ma ci sono davvero motivi concreti per evitarla? E, soprattutto, conta davvero il giudizio degli altri quando si tratta di gusti personali?

La Budweiser nasce nel 1876 a St. Louis, Missouri, prodotta da Adolphus Busch e dalla Anheuser-Busch Brewing Association. L’ispirazione arrivava dalle birre boeme a bassa fermentazione, in particolare da quelle della città ceca di České Budějovice (in tedesco Budweis, da cui il nome). Nel tempo, Budweiser è diventata una delle birre più vendute al mondo, simbolo della grande produzione industriale americana.

È una lager chiara, leggera, beverina, con un grado alcolico moderato (5%) e un profilo gustativo semplice, pensato per piacere a un pubblico molto ampio. La ricetta prevede l’uso di malto d’orzo, riso (per alleggerire il corpo), luppolo e lievito selezionato.

Spesso i motivi per cui qualcuno sconsiglia la Bud non sono legati al gusto, ma piuttosto al contesto culturale. Molti appassionati di birra artigianale guardano con sospetto i grandi marchi, percepiti come simboli di omologazione e di un mercato dominato da interessi commerciali.

In verità, se si giudica la Budweiser dal punto di vista strettamente gustativo, non si può dire che sia una birra mal fatta. È coerente con ciò che vuole essere: leggera, dissetante, adatta a essere bevuta in quantità durante eventi sociali. Non ha difetti tecnici evidenti, e per qualcuno rappresenta un sapore familiare e rassicurante.

Ci sono molte situazioni in cui la Budweiser è una scelta naturale:

  • Grigliate e barbecue: Se sei invitato a una grigliata in giardino e nel frigorifero ci sono solo lattine di Bud, non c’è alcun motivo di rifiutare. È una birra pensata proprio per questi momenti informali.

  • Feste e incontri sportivi: Nelle grandi riunioni tra amici o in occasione di una partita di calcio o di football, una Bud fredda può essere esattamente ciò che serve.

  • Serate senza pretese: Dopo una lunga giornata, bere qualcosa di semplice senza dover riflettere troppo è più che legittimo. Non tutte le birre devono richiedere attenzione o discussioni tecniche.

Naturalmente, se ti trovi in un birrificio artigianale o in un locale specializzato, potrebbe valere la pena sperimentare. Se sei abituato alla Bud e vuoi scoprire nuovi sapori, ci sono alternative leggere ma più ricche di carattere:

  • Blonde Ale: morbida e accessibile, con note maltate e poco amaro.

  • Brown Ale: leggera tostatura, sapore rotondo, facilità di bevuta.

  • Pilsner artigianale: più fresca e aromatica rispetto alle lager industriali, senza allontanarsi troppo dallo stile che già conosci.

Molti preferiscono scegliere birre prodotte da birrifici indipendenti, per una questione di filosofia: filiera corta, ingredienti di qualità, sostegno all’economia del territorio. Questo è un buon motivo per esplorare alternative alla Budweiser quando se ne ha l’occasione.

Tuttavia, anche in questo caso, non c’è ragione di demonizzare la scelta di bere Bud se capita. Accettare una birra offerta in amicizia vale più di una presa di posizione ideologica.

Per celebrare lo spirito della Bud, ecco un piatto semplice che ne esalta la convivialità: il burger alla griglia marinato con Budweiser.

Ingredienti per 4 persone

  • 500 g di carne macinata (manzo o mista)

  • 1 lattina di Budweiser

  • 1 cucchiaio di salsa Worcestershire

  • 1 spicchio d’aglio tritato

  • 1 cucchiaino di senape dolce

  • Sale e pepe q.b.

  • 4 panini per burger

  • Formaggio cheddar a fette

  • Lattuga, pomodoro, cipolla rossa

Preparazione

  1. In una ciotola capiente, mescola la carne con la salsa Worcestershire, l’aglio, la senape e metà della Budweiser. Copri e lascia marinare in frigo per almeno un’ora.

  2. Forma 4 hamburger e cuoci sulla griglia ben calda, spennellandoli ogni tanto con la birra rimasta.

  3. Aggiungi una fetta di cheddar a fine cottura per farla sciogliere.

  4. Servi i burger nei panini con lattuga, pomodoro e cipolla a piacere.

Naturalmente, il miglior abbinamento per questi burger è... una Budweiser ben fredda. Il gusto leggero e pulito della birra bilancia la succulenza della carne e la sapidità del formaggio senza sovrastare i sapori.

Se vuoi variare, puoi accompagnare con una Helles bavarese o una American Pale Ale dal profilo delicato.

Alla fine, la questione è semplice: se ti piace la Budweiser, bevila con piacere e senza imbarazzo. Non tutte le birre devono essere un’esperienza sensoriale da meditazione. In certe occasioni, quello che conta è la convivialità, il momento condiviso con gli amici e il gusto personale.

Come si dice spesso: non esistono birre cattive, solo birre adatte a diversi momenti. E se quel momento chiama Budweiser, non c’è motivo di dire di no.


domenica 14 aprile 2024

La birra alla spina nel Regno Unito: cultura, temperatura e tipologie

 

La birra è più che una bevanda nel Regno Unito: è un rituale sociale, un pilastro culturale, un'eredità liquida che scorre nelle vene dei pub da secoli. E sì, nel Regno Unito la birra alla spina è non solo popolare, ma praticamente lo standard in ogni pub che si rispetti. Ma se siete abituati alla birra ghiacciata degli Stati Uniti, qui troverete un mondo diverso: più sfumato, più caldo (letteralmente), e ricco di tradizione.

Nei pub britannici, la birra alla spina è la norma, più ancora che in molti altri paesi. Le birre in bottiglia sono disponibili, certo, ma sono spesso viste come opzioni secondarie rispetto a ciò che scorre dalle pompe del bancone. Le vere protagoniste sono le "cask ales" (birre in fusto tradizionale, non pastorizzate né pressurizzate) e le "draught lagers", birre industriali spillate da impianti refrigerati e pressurizzati.

Un’icona della birra britannica è il “beer engine”, la pompa manuale che i baristi azionano a forza di braccio per servire birre da fusti di cask ale conservati in cantina. Queste birre non sono raffreddate artificialmente, ma mantengono una temperatura di cantina naturale: tra i 10 e i 12 gradi. Per chi è abituato a birre fredde come il ghiaccio, può sembrare strano, ma è una scelta precisa: questa temperatura esalta gli aromi, la rotondità del malto e la delicatezza del luppolo, senza anestetizzare il palato.

Le cask ale sono vivi, nel senso che continuano a fermentare nel fusto e devono essere consumati entro pochi giorni dall'apertura. Per questo motivo, richiedono attenzione e competenza nella gestione. Un buon publican è anche un curatore di birra.

Accanto ai beer engines, molti pub britannici hanno pompe elettriche che servono birre refrigerate e pressurizzate, simili a quelle che si trovano in Europa e America. Qui troverete marche come Carling, Foster’s, Stella Artois, Heineken, Amstel e versioni fredde delle birre britanniche più famose (come John Smith’s o Guinness Extra Cold).

La differenza è chiara: mentre negli USA la birra industriale è spesso ultra-fredda per mascherare la mancanza di sapore, in UK la birra è servita fresca, ma non ghiacciata, e la temperatura è calibrata per valorizzare, non coprire, il profilo organolettico.

La varietà è ampia, ma alcune categorie dominano il panorama:

  • Bitter e Best Bitter – Birre ambrate, dal corpo medio, con un bilanciamento tra malto e luppolo. La tipica “pinta del pub”.

  • Mild Ale – Più leggere, spesso scure, dal sapore maltato e con bassa gradazione.

  • Golden Ale – Versioni più leggere e fruttate, introdotte per competere con le lager.

  • Pale Ale e IPA (stile britannico) – Più delicate delle controparti americane, con luppoli terrosi e floreali.

  • Porter e Stout – Birre scure, corpose, con note di caffè, cioccolato e tostato.

  • Draught Lager – L’alternativa fredda, chiara, leggera, sempre presente per accontentare il pubblico generalista.

E non dimentichiamo il sidro, spesso servito alla spina, sia refrigerato che a temperatura ambiente, in particolare nel Sud-Ovest dell’Inghilterra (Somerset, Herefordshire).

In alcuni pub tradizionali — soprattutto nelle campagne o nei “micropub” — si trovano fusti a caduta: barili non pressurizzati, spesso posizionati dietro il bancone, da cui la birra viene spillata per gravità, senza pompa. Qui la temperatura può avvicinarsi a quella ambiente, soprattutto se non c’è cantina climatizzata. È birra nella sua forma più rustica e naturale, e richiede palati disposti ad abbandonare il concetto di "fredda = migliore".

Nel Regno Unito, la birra alla spina è più di un prodotto: è un patrimonio culturale. Che venga servita da una pompa manuale in un pub del Kent o da un rubinetto refrigerato a Manchester, non è solo questione di freddo o di marca, ma di stile e approccio al bere.

Per il bevitore britannico, una birra ben servita è una birra viva, che sa di malto, di tempo, di pompa tirata a mano e di legno di pub. E se non è ghiacciata come in America, è solo perché non ha bisogno di nascondere nulla.

sabato 13 aprile 2024

Bottiglia o bicchiere? Il dilemma della birra bevuta “al collo”




Chiunque ami la birra si è posto almeno una volta questa domanda: è davvero sbagliato bere birra direttamente dalla bottiglia? Oppure ci sono occasioni in cui è del tutto accettabile, se non addirittura preferibile?

La risposta, come spesso accade, non è assoluta, ma cambia in base al contesto, alla tipologia di birra e alle aspettative del bevitore. In altre parole: non è sempre un crimine gastronomico… ma quasi mai è la scelta migliore.

La birra, contrariamente a quanto molti pensano, non è solo gusto: è anche aroma, schiuma, colore e texture. Quando la si beve direttamente dalla bottiglia, buona parte di questi elementi viene compromessa.

1. L’aroma viene escluso

Il collo della bottiglia è stretto e chiuso: non consente agli aromi di uscire e raggiungere il naso, e quindi il cervello registra meno informazioni. Il profumo di luppolo di una IPA, le note tostate di una stout o il floreale di una saison… tutto questo non arriva al bevitore. È un po’ come ascoltare musica in cuffie rotte: il pezzo c’è, ma l’esperienza è mutilata.

2. Niente schiuma = meno gusto, più gas

Versando la birra in un bicchiere, si permette la formazione di una corretta testa di schiuma, che non è solo estetica: rilascia aromi, protegge la superficie del liquido e regola la carbonazione. Bevuta direttamente dalla bottiglia, la birra non “respira”: l’anidride carbonica resta intrappolata, viene ingerita tutta insieme, e può causare gonfiore o un eccesso di frizzantezza in bocca.

3. Il colore e la limpidezza sono invisibili

Sembra un dettaglio trascurabile, ma il colore della birra prepara il palato. Una lager limpida e dorata comunica leggerezza e freschezza; una rossa profonda annuncia corpo e dolcezza. In bottiglia scura o opaca, tutto questo va perso.

Detto questo, non viviamo in un pub ideale, ma in un mondo reale dove praticità, informalità e spontaneità contano eccome. E ci sono momenti in cui bere dalla bottiglia è perfettamente accettabile, se non inevitabile.

  • Grigliate, pic-nic e feste all’aperto: Niente bicchieri a portata? Nessun problema. Una birra fresca e semplice (magari una pilsner o una lager da supermarket) fa il suo dovere anche “al collo”.

  • Eventi sportivi o concerti: In piedi, in mezzo alla folla, tenere in equilibrio un bicchiere è un’impresa. Qui la bottiglia è alleata, non nemica.

  • Birre leggere da consumo quotidiano: Non stiamo parlando di una tripel artigianale da meditazione. Una Peroni, una Budweiser o una Corona bevute gelide dalla bottiglia sono più rito sociale che degustazione tecnica.

Insomma, se la birra è una bevanda da compagnia, anche la bottiglia può esserlo.

Molti pensano che bere dalla bottiglia sia semplicemente più comodo. Vero. Ma non si può ignorare che, nella maggior parte dei casi, questa scelta sacrifica parte dell’esperienza. I birrai progettano le loro birre per essere versate e gustate nella loro interezza sensoriale. E se anche i grandi marchi investono in bicchieri personalizzati, un motivo c’è: un contenitore ben scelto cambia tutto.

Bere birra direttamente dalla bottiglia non è un delitto gastronomico, ma è una scorciatoia. In alcuni contesti è comoda, giustificata, perfino piacevole. Ma se si ha a che fare con una birra artigianale, strutturata, o semplicemente se si vuole cogliere il massimo dal proprio bicchiere, vale la pena fare un piccolo sforzo e versarla come si deve.

Non perché fa più “esperto”, ma perché ne vale il gusto.

















venerdì 12 aprile 2024

Perché bere la birra dalla lattina rovina l’esperienza (quasi sempre)

Carling Glass

Bicchiere Birra Moretti

Bicchiere da Guinness

Vetro Strongbow


L’idea di versare la birra in un bicchiere non è un capriccio da sommelier del luppolo. È il frutto di secoli di evoluzione sensoriale, di rispetto per il prodotto e di desiderio di gustarlo nel modo più pieno possibile. E se è vero che molti bevitori occasionali non notano differenze clamorose, chi ama la birra sa bene: bere direttamente dalla lattina è quasi sempre un passo indietro.

Le lattine di birra sono pratiche: leggere, richiudibili (parzialmente), infrangibili, e ideali per trasporti lunghi e refrigerazione rapida. Tuttavia, presentano diversi svantaggi dal punto di vista del gusto, dell’olfatto e della fruizione generale.

1. Il sapore metallico (sì, esiste)

Anche se la stragrande maggioranza delle lattine moderne è rivestita internamente con una sottile pellicola protettiva per evitare il contatto diretto tra il liquido e il metallo, una leggera nota metallica può comunque emergere. Non tanto nella birra in sé, quanto nel primo sorso, dove l’odore e il gusto delle labbra che toccano l’alluminio interferiscono con la percezione generale.

2. Zero aroma

Il naso è responsabile fino all’80% del gusto percepito. Quando bevi dalla lattina, l’apertura piccola e il metallo intorno al bordo bloccano l’interazione diretta con l’aroma della birra. Nessun profumo di luppolo fresco, nessuna nota maltata, nessuna sfumatura fruttata o speziata. Solo un flusso diretto, chiuso e quasi sterile. Il bicchiere, al contrario, permette all’aroma di espandersi e incontrare il naso prima ancora che la birra tocchi le labbra.

Una delle fasi più importanti della degustazione è la versata corretta, che consente di:

  • formare la giusta quantità di schiuma, che protegge la birra dall’ossidazione;

  • rilasciare l’anidride carbonica in eccesso, evitando gonfiore e sensazioni troppo frizzanti in bocca;

  • aprire l’aroma, grazie al contatto con l’aria.

Alcune lattine contengono widget, piccoli dispositivi che aiutano a ricreare la cremosità della spillatura da pub (soprattutto con le stout come Guinness). Ma il widget non è un sostituto del bicchiere: è un palliativo. Anche se hai una Guinness con widget, versarla correttamente nel suo bicchiere iconico cambia completamente l’esperienza.

Molti marchi offrono bicchieri dedicati (Carling, Moretti, Guinness, ecc.), e sì, c’è una componente di marketing. Ma c’è anche una logica tecnica precisa:

  • bicchieri a tulipano concentrano gli aromi;

  • boccali larghi favoriscono la formazione della schiuma;

  • calici alti mantengono la carbonazione per birre leggere;

  • il vetro trasparente permette di apprezzare il colore e la limpidezza, elementi che influenzano la percezione gustativa.

Non è snobismo: è progettazione sensoriale.

In definitiva, la lattina limita:

  • l’aroma,

  • la visione,

  • la consistenza (manca la schiuma adeguata),

  • e spesso anche il sapore, se percepito in modo distorto dal metallo e dalla mancanza di ossigenazione.

Certo, in campeggio o su una spiaggia, una lattina può essere pratica. Ma se sei a casa o in un locale, non versare la birra nel bicchiere è come guardare un film su un francobollo. Tecnicamente lo stai vedendo, ma stai perdendo tutto il resto.

Bere direttamente dalla lattina non rovina la birra in senso assoluto, ma ne sacrifica una buona parte del piacere. Per apprezzarne davvero il sapore, la freschezza e la complessità aromatica, versa la tua birra in un bicchiere adatto, prenditi qualche secondo in più, e godi di un’esperienza che coinvolge tutti i sensi.

Perché se la birra è un piacere, tanto vale viverlo tutto.



 
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